Il vangelo di Gentilini
di Ferdinando Camon *
Esce il testo pressoché integrale del discorso che Gentilini ha tenuto alla festa della Lega, domenica scorsa a Venezia, ed è un testo di così rozza violenza, che merita di essere analizzato: è la prima volta che càpita di veder condensato in una colonna il sistema del primo sceriffo d’Italia.
"Popolo della Legaaaaa! - esordisce -. La Lega si è svegliataaaaaaa!": appena salito sul palco aizza l’orgoglio dei leghisti, annunciando che la Lega che sembrava impotente in realtà dormiva, adesso si è svegliata e mangerà il mondo. "Le mura di Roma stanno crollando sotto i colpi di maglio della Lega": il nemico è sempre Roma, ma adesso i leghisti sono arrivati sotto le sue mura e le abbattono, sono i nuovi barbari.
"Questo è il vangelo secondo Gentilini": la parola vangelo manda una luce che vorrebb’essere sacrale su tutto il proclama. "Voglio la rivoluzione contro i campi dei nomadi e degli zingari": non leggi, che rispettino i codici, ma la rivoluzione, che scatena il furore. "Io ne ho distrutti due a Treviso": non messi in regola o bonificati, ma distrutti, dunque il problema degli zingari non è come si comportano, ma il fatto che esistono. "Voglio eliminare i bambini che vanno a rubare agli anzianiiiiiii!": non rieducarli ma eliminarli, toglierli dalla vita.
Molto più di quello che chiede la Lega. Infatti: "Se Maroni ha detto tolleranza zero, io voglio tolleranza doppio zero". Questo è uno slogan a uso interno, stabilisce una supremazia da leghista dentro la Lega, non c’è nessun leghista più leghista di lui. "Prenderò dei turaccioli per ficcarli in bocca e su per il c... ai giornalisti che infangano la Lega": l’allusione oscena serve a cementare l’oratore con chi ascolta, crea intimità, non c’è intimità più forte di quella sessuale, e infatti a questo punto gli applausi scrosciano.
"Voglio la rivoluzione contro quelli che vogliono aprire le moschee e i centri islamici": ma tra questi ci sono anche le gerarchie ecclesiastiche, e allora? "Le gerarchie ecclesiastiche dicono: Lasciamoli pregare. Noooo! Vanno a pregare nei desertiiii!": ma vengono dai deserti, e allora questa è una cacciata indietro con l’uso della forza, il loro voler pregare è un oltraggio che ci autorizza a usar ogni mezzo per rispedirli a casa. La presenza degli islamici diventa oltraggiosa quando si comportano da islamici.
"Ho scritto anche al papa: gli islamici, che tornino a pregare nei loro paesi": probabilmente è vero, avrà scritto al papa, ma il papa non ha risposto e lui adesso, annunciandolo pubblicamente, si presenta come più cristiano del capo dei cristiani. "Voglio la rivoluzione contro la Magistratura: ad applicare le leggi devono essere i giudici veneti": qui c’è l’idea che il potere gudiziario, per essere un potere, deve rappresentare il popolo, ma per rappresentare il popolo dev’essere eletto dal popolo, e questo è il programma sottinteso: giudici eletti. "Questo è il vangelo di Gentilini: tutto a noi e se avanza qualcosa agli altri. Voglio la rivoluzione contro i phone center i cui avventori si mettono a mangiare in piena notte e poi pisciano sui muri: che vadano a pisciare nelle loro moscheeeee!": il discorso tocca l’apice, "pisciare nelle moschee" è il motto che muove una spedizione punitiva, e lui urlando la guida.
"Voglio la rivoluzione contro il burqa e i veli delle donne, che mostrino l’ombelico caso mai... Non voglio veder neri, marroni o grigi che insegnano ai nostri bambini, cosa insegnano, la civiltà del deserto? Ho scritto al presidente della repubblica": probabilmente anche questo è vero, avrà scritto a Napolitano ma Napolitano non ha risposto, e denunciando la cosa pubblicamente il vicesindaco di Treviso comunica: non c’è da fidarsi del presidente della repubblica. Ognuno è la propria origine: patria, cultura e razza sono unite.
"Queste sono le parole del vangelo secondo Gentilini, ho bisogno di voi, statemi vicini": nel vangelo secondo qualcun altro, quando il protagonista sentiva avvicinarsi l’ora della morte, pregava i seguaci di vegliare con lui. Anche per Gentilini è un’ora brutta, l’ora dell’estremo pericolo. Le ultime parole: "Viva la Lega!" e il coro di risposta saldano l’abbraccio.
* l’Unità, Pubblicato il: 21.09.08, Modificato il: 21.09.08 alle ore 12.50
Il dio Po
di Giovanni Sarubbi *
I mezzi di comunicazione hanno dato ieri ampio risalto alla “notizia” della partecipazione del Ministro Umberto Bossi al cosiddetto “rito dell’ampolla”, che i dirigenti della “Lega Nord” sui loro siti internet chiamano “magico rito dell’ampolla”, che si svolgerà il 12 e 13 settembre prossimo in quel di Paesana (Cn), paese dove sorge il fiume Po e dove i dirigenti leghisti ritengono nasca la cosiddetta Padania. Il “rito” consiste nel raccogliere in un’ampolla l’acqua dalla sorgente del Po per poi andarla a versare a Venezia come segno di unità della “nazione padana”.
Il fatto che i leghisti chiamino questa iniziativa usando i termini “rito” con in più l’aggettivo di “magico”, lo qualifica certamente come un rito religioso di tipo paganeggiante in cui il fiume Po viene di fatto trasformato in una sorta di dio, da cui trarrebbe vita la cosiddetta Padania, e di cui i dirigenti leghisti sarebbero i sacerdoti.
Ora per quel che ci riguarda ognuno può adorare quel che gli pare e dar luogo a tutti i tipi di culto che ritiene più opportuno basti che si rispetti l’art. 19 della Costituzione che afferma: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon Costume”.
Che i leghisti credano o meno al dio Po sarebbe questione di nessun interesse per l’intero popolo italiano se i leghisti non fossero anche quelli che quotidianamente si proclamano difensori di non meglio identificate “radici cristiane dell’Italia” e promuovono giuramenti, che di per se stessi sono blasfemi per un cristiano, per proclamare “l’Italia cristiana mai musulmana”, come ha fatto recentemente l’eurodeputato Borghezio a Genova, violando fra l’altro proprio la sacralità di una chiesa consacrata al culto cattolico. E al magico rito dell’ampolla parteciperà anche Borghezio, e non potrebbe essere altrimenti visto il suo ruolo di punta che egli ha fra i dirigenti leghisti. Ora, come si dice, una domandina sorge spontanea: si può stare zitti di fronte a questi riti pagani che crediamo nulla hanno di cristiano, pur nella molteplicità di confessioni cristiane esistenti? Si può considerare i leghisti cattolici o protestanti o ortodossi nonché difensori della “cristianità”? E la "cristianità", ammesso che esista, ha bisogno proprio di tali difensori?
Crediamo di no! Se i documenti ufficiali delle chiese, come i catechismi, contano qualcosa ai leghisti dovrebbe essere negata qualsiasi patente di cristianità, da qualsiasi chiesa cristiana degna di questo nome.
Eppure non ci sono iniziative o dichiarazioni contro i riti, che oramai i mezzi di comunicazione considerano “tradizionali”, del paganesimo leghista partoriti dalla fantasia perversa di chi ha bisogno di qualcosa di “sacro” per rivendicare una superiorità razziale, come ha fatto durante le Olimpiadi lo stesso Borghezio che ha parlato della superiorità della “razza padana” in riferimento alla conquista della medaglia d’oro della nuotatrice Pellegrini. Superiorità razziale che ha poi lo scopo di giustificare l’accaparramento di maggiori risorse economiche per la cosiddetta Padania ai danni del resto del paese. Una storia vecchia, già vista e non solo in Italia. La maggioranza delle chiese cristiane, cattoliche e protestanti, durante il fascismo ed il nazismo hanno commesso l’errore gravissimo di dare credito a quelle ideologie deliranti costate all’umanità decine di milioni di morti.
Crediamo sia un dovere morale per tutte le chiese cristiane non ripetere quell’errore di fronte ad evidentissimi proclami razzisti e a riti pagani che, per quanto ridicoli possano essere, sono estremamente pericolosi come lo sono tutte le ideologie razziste, comunque mascherate e da chiunque siano propugnate.
* Il Dialogo, Lunedì, 01 settembre 2008 - editoriale.
Borghezio con i nazisti, un caso europeo
Lo show di Colonia arriva a Bruxelles. Persino Bossi prende le distanze
di Federica Fantozzi (l’Unità, 22.09.2008)
Dopo il gelo di Castelli e Calderoli, arriva la netta presa di distanze di Umberto Bossi: «Non si accettano tutti gli inviti». Sotto accusa Mario Borghezio, l’europarlamentare leghista presente al comizio flop contro una moschea a Colonia. Ma la vicenda non crea imbarazzi solo nella maggioranza di governo, particolarmente silenziosa e parca di commenti nonostante l’accaduto. Lo «spettacolo» indecoroso di Borghezio, unico europarlamentare a Colonia (neppure la destra più estrema ha partecipato alla manifestazione), verrà discusso oggi durante la sessione plenaria a Bruxelles. Pasqualina Napoletano, vicepresidente del gruppo Pse: «Inqualificabile, ma non stupisce. Piuttosto, riflettano gli elettori»
«IO NON CI SAREI ANDATO» dice Bossi, ed è la pietra tombale. Dopo Castelli e Calderoli, la sconfessione della «gita tedesca» di Borghezio da parte del suo partito è totale. Gli europarlamentari italiani giudicano «inqualificabile» il gesto, di cui oggi Bruxelles discuterà durante la sessione plenaria.
La presenza di Borghezio al raduno neonazista di Colonia imbarazza la maggioranza di centrodestra: l’italiano era l’unico rappresentante sia del Parlamento Europeo che di un partito di governo alla manifestazione contro la moschea islamica. Che, tra l’altro, si è trasformata in flop grazie alla reazione compatta della città renana. Anche Fiore e Romagnoli, l’estrema destra a Strasburgo, l’hanno disertata. Se dunque dalle file del PdL non si strappa un commento «perché la faccenda riguarda la Lega», quest’ultima è obbligata ad affrontarla.
Nei giorni scorsi l’ex ministro Castelli aveva messo le mani avanti: «Borghezio dovrebbe valutare bene, io starei lontano da certe formazioni politiche». Ieri, a cosa fatta, il ministro della Semplificazione Calderoli confermava il gelo: «Non avrei mai aderito, abbiamo sempre detto no all’estrema destra. Borghezio ha partecipato a titolo personale». Fino all’epitaffio bossiano (condiviso dal capogruppo alla Camera Cota): «Non tutti gli inviti vanno accettati».
Pasqualina Napoletano (Sinistra Democratica) è vicepresidente del gruppo Pse: «Il comportamento di Borghezio è inqualificabile ma non mi stupisce. Si è già distinto per iniziative simili». L’eurodeputata ricorda «l’iniziativa di portare maiali a urinare sul terreno destinato a una moschea» e, in generale, «gli atteggiamenti razzisti e islamofobici». La Napoletano auspica una reazione dell’emiciclo, come fu quando il deputato leghista interruppe l’allora capo dello Stato Ciampi. Padroni del gioco, tuttavia, sono gli elettori: «Riflettano, dato che le elezioni Europee sono vicine».
Trova motivi di preoccupazione anche Monica Frassoni, eurocapogruppo dei Verdi: «È stato messo in risalto l’isolamento italiano, Bossi ha preso atto che all’interno di un sistema certi strappi non passano inosservati».
Ma se è stata importante la reazione di Colonia, «l’Italia è una realtà diversa. Le posizioni di Maroni e Gentilini, la morte di Abdul a Milano, i neri di Castelvolturno etichettati come delinquenti: dire che non è grave e non siamo razzisti significa velarsi la faccia di fronte all’Europa».
Daniele Marantelli, deputato del Pd in terra padana, ieri rappresentava il suo partito alle celebrazioni della «Prealpina», con Bossi. Per il Senatùr un compleanno di popolo in attesa della «barcolada» sul Lago Maggiore. «Borghezio? - spiega Marantelli - Lì siamo ben oltre la destra europea. Quel raduno è stato uno spettacolo inqualificabile. Bene hanno fatto le autorità a impedirlo: quando il nostro governo vara misure di sicurezza che riguardano i bambini rom non capisce che Italia e Germania in Europa sono ancora degli osservati speciali». Ma l’elettorato leghista sta con Bossi o Borghezio? «La maggioranza è con Bossi ma ci sono venature razziste da non sottovalutare. Il Pd deve sfidare il gruppo dirigente del Carroccio a sconfessare ogni fenomeno di intolleranza».
Fascista e secessionista, l’ultima raffica della Padania
di Oreste Pivetta (l’Unità, 22.09.2008)
L’ultima raffica della Padania ha lasciato ancora il segno. Più degli altri, meglio degli altri. Al contrario dei suoi colleghi bloccati all’aereoporto, Mario Borghezio ce l’ha fatta a raggiungere Heumarkt, a salire sul palco brandendo come una spada contro l’Islam il libro della Fallaci, “La rabbia e l’orgoglio”. Non è andato oltre. Cancellata la manifestazione. Peccato: ci siamo persi onde su onde di merda, culo, pedate, bastonate, vaffanculo, eccetera eccetera. Borghezio dal palco è un uragano in piena: «La folla mi eccita», si era spiegato una volta. Ne sa qualcosa chiunque sia capitato dalle parte di Riva degli Schiavoni, a Venezia, il giorno delle celebrazioni leghiste, il giorno in cui dall’ampolla miracolosa retta dalla mano di Bossi l’acqua del Po si versa nell’Adriatico. Borghezio è capace di dirne di tutti i colori: oratoria violenta, tono trascinante, slogan di eccitante potenza, agitati tra parte anatomiche e resti organici, insulti e argomenti alla rinfusa, tanto chissenefrega.
Non immaginatelo rozzo e ignorante, è persino gentile quando scende dalla tribuna e abbandona il megafono. Il fisico non l’aiuta: un metro e 76 di altezza e una circonferenza che nessuno s’è mai azzardato a misurare di una flaccidissima polpa che non fa certo onore alla stirpe padana. Ma è un uomo di molte letture e di autentica bibliofilia: tra le antichità quella che si tiene più stretta al cuore è un manoscritto del Settecento sull’esoterismo. Dei contenuti non si sa.
Avvicinandosi agli amici neonazi radunati a Colonia, si è riavvicinato al suo passato che peraltro non ha mai smentito. Il giovane e magro Borghezio era un duro, tremendo, che nei fatidici anni 60 (è nato a Torino il 3 dicembre 1947 e si è laureato in legge) frequentava la destra più destra, prima monarchico e poi vicino al Msi, il partito allora di Almirante che non gli piaceva tanto, accusandolo di pigrizia e di moderatismo.
Il senatore Ugo Martinat, Settimo Torinese, ora di An, lo ricordava così: «In gioventù lui bazzicava attorno a Europa civiltà, che dissentiva da Ordine Nuovo, che dissentiva dal Msi. Per un certo periodo ha girato fra i ragazzi della Giovine Italia, che era l’organizzazione missina dell’epoca. Ma dissentiva anche da quelli: basta, me ne vado, siete troppo moderati». Stava dunque alla destra della destra della destra e fu così, da destra, che si imbattè nel leader che l’avrebbe definitivamente conquistato: Umberto Bossi. Avviandosi con Bossi lungo un gratificante percorso, che lo vide consigliere comunale, deputato, persino sottosegretario alla giustizia, parlamentare europeo e, massima gloria, presidente del governo della Padania, tra il 1999 e il 2004, quando Bossi convocava i suoi parlamenti tra Pavia e Mantova. Poi se ne dimenticò e lasciò perdere, smarrendo anche quella vena secessionista, che aveva sedotto Borghezio, che non s’appassiona invece all’acqua fresca del federalismo. Fedele alla vecchia idea, nemico del “poltronismo” che aveva invece impigrito molti suoi colleghi all’ombra del Carroccio. Borghezio, malgrado il peso, è un uomo di strada: organizzatore, camminatore, faticatore, megafono in pugno per “esternare” nella situazioni più disparate.
Epiche le sue battaglie contro le peripatetiche nigeriane a colpi di flit sul treno, per le impronte digitali (anticipando di gran lunga Maroni), contro la Chiesa di Roma per la Chiesa del Nord (in questo caso, rara volta, suscitando l’ira di Bossi), contro quei «culi in aria” degli islamici, contro i venditori ambulanti e contro i poveracci che dormivano sotto i ponti. Strattonò per un braccio un ragazzo marocchino di dodici anni per consegnarlo ai carabinieri e fu condannato a pagare (nel 1994) 750mila lire di multa per violenza privata. Incendiò (nel 2000) i materassi di alcuni nordafricani e anche stavolta fu condannato: a due mesi e venti giorni di reclusione, commutati poi in tremila euro di multa, per l’aggravante della finalità di discriminazione. Inventò con Max Bastoni (non poteva trovare alleato più degno), le ronde padane, le camicie verdi, chiese le pallottole di gomma per i poliziotti, disse e smentì che «lo squadrismo padano deve usare il bastone contro gli immigrati».
Diego Novelli, che lo aveva conosciuto giovane consigliere comunale, ci ha lasciato di lui un ritratto persino benevolo: «L’uomo è un generoso, convinto delle sue idee, ha un grande disinteresse personale, tratti che costituiscono spesso le caratteristiche di tutte le forme di fanatismo». Fanatico, non c’è dubbio. Ma con moderazione calcolata, per sopravvivere (più longevo di Haider o di Le Pen). Con astuzia politica, con consumato mestiere dentro un partito che impone a tutti dei limiti e dove la fedeltà è un dogma. Altro che dibattito: quanti ne ha tolti di mezzo Bossi, avversari o presunti avversari, comunque ambiziosi. «Scarafaggi padani» li definiva Borghezio. La cui biografia politica non è un caso e neppure un episodio di folklore ma si ritaglia perfettamente tra le rovine della storia nazionale nazionale. Tra le rovine lui in fondo è rimasto in piedi, come gli «raccomandavano» gli scritti del maestro Julius Evola. Ci scandalizzavano le ronde o le impronte digitali, ma siamo stati lì lì perché diventassero pratiche di governo.
L’ultima battaglia Mario Borghezio l’ha guidata a Milano contro la moschea di viale Jenner: fazzolettone verde al collo, megafono in mano e via... Alla fine, come si è visto, la battaglia l’ha vinta proprio lui.
Partiti di Governo
di Furio Colombo *
Borghezio (Lega Nord) è andato a Colonia per unirsi a una manifestazione contro gli immigrati islamici e i tedeschi lo hanno subito riconosciuto: un nazista. Gli hanno chiuso il microfono dopo 20 secondi e «lo hanno portato via di peso» (dai giornali, ndr). Borghezio ha protestato e si possono capire le sue ragioni. Quelle manifestazioni lui, e quelli della Lega Nord per l’indipendenza della Padania, in Italia le fanno tutti i giorni, proprio come la manifestazione proibita a Colonia. Ma da noi i giornali ne parlano con rispetto, le televisioni le includono nella regolare rassegna politica, perché in Italia Borghezio, «portato via di peso dalla piazza di Colonia» è partito di governo. Lo stesso partito del ministro delle Riforme, del ministro del federalismo fiscale, del ministro dell’Interno.
* l’Unità, Pubblicato il: 22.09.08, Modificato il: 22.09.08 alle ore 7.39
L’incubatrice del razzismo
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 23.09.2008)
Colonia, 20 settembre: divieto di una manifestazione razzista. Venezia, 15 settembre, esempi di oratoria all’annuale raduno della Lega: «Macché moschee, gli immigrati vadano a pregare e pisciare nel deserto» (Giancarlo Gentilini, che rivendica la primogenitura come "sindaco-sceriffo" d’Italia); «Non ci rompete più i coglioni con gli immigrati, vecchie facce di merda» (Mario Borghezio, parlamentare). Le storie parallele possono essere ingannevoli, e vanno maneggiate con cautela. Ma questo accostamento mostra il diverso senso di responsabilità di chi governa, dietro il quale vi è una diversa sensibilità delle opinioni pubbliche. Le parole dette a Venezia sono il segno d’un degrado pericoloso, e non del parlar schietto di cui i leghisti si vantano. Nella loro brutalità, dovrebbero aiutare a comprendere meglio che cosa sta diventando questo Paese. Il linguaggio anticipa, accompagna, spiega. Invece, viene ormai ignorato (silenzio di quasi tutto il sistema dell’informazione sulla qualità dell’oratoria veneziana), mentre offre una traccia preziosa, seguendo la quale si chiariscono fenomeni che vanno ben al di là del mondo leghista.
1) La Lega e il territorio. I risultati delle ultime elezioni politiche ci hanno consegnato la Lega come vera vincitrice. E si è improvvisamente scoperto che la ragione forse più importante del suo successo sta nel rapporto che i leghisti e i loro amministratori hanno saputo stabilire con il "territorio". Da qui molte considerazioni: non è vero che servono soltanto partiti "leggeri"; non è vero che tutto può essere affidato alle pure strategie comunicative; non è vero che i cittadini possono essere considerati solo come carne da sondaggio; non è vero che l’amministrazione oculata non paga. Indicazioni in sé importanti, se non altro perché mostrano come non esista solo il modello berlusconiano di raccolta del consenso, e dunque la vanità e l’insensatezza della corsa verso una indistinta postmodernità che consegnerebbe i partiti "popolari" soltanto all’archeologia politica (altra cosa, evidentemente, sono le tecniche nuove di costruzione d’un partito popolare nel terzo millennio). Ma l’esperienza e il successo leghista sono fatti anche di altre cose, esattamente quelle che danno radici locali agli spiriti che i leader affidano, e non è la prima volta, alle alate parole citate all’inizio. Non siamo solo di fronte ad una esasperazione dell’intolleranza. Si sta costruendo anche un territorio in senso "etologico", rispondendo appunto a quell’"imperativo territoriale" di cui parlava Robert Andrey, che spinge molte specie a marcare confini, invalicabili anche se fisicamente invisibili, all’interno dei quali nessuno può penetrare e, se lo fa, scatta istintivamente una reazione anche violenta. Andate altrove, ripetono ossessivamente i leghisti all’"altro" - immigrato, rom, omosessuale - riprendendo (inconsapevoli?) i paradigmi terribili del razzismo. Su questo s’innesta una identità esasperata che, in molte situazioni, diviene il più forte collante sociale. Di questo fenomeno profondo, di quest’idea premoderna impastata di terra e sangue, regressiva, lontanissima dal modo in cui i partiti popolari storici avevano costruito il rapporto con il territorio, vogliamo riconoscere l’esistenza, discuterne seriamente e mettere a punto strategie politiche per contrastarlo?
2) Un Paese mitridatizzato. Se questo non avviene, è perché si è creata nel tempo un’abitudine, un’assuefazione, in definitiva una rassegnazione. Uno storicismo da quattro soldi induce a pensare e ad agire registrando un successo della Lega di cui non resterebbe che prendere atto realisticamente. Di fronte a questo dato dovrebbe tacere la lotta politica, quella vera, che va alle radici culturali e sociali dei fenomeni. Ecco, allora, le debolezze delle varie sinistre, che si sono mosse senza essere capaci di sciogliere l’intreccio tra la nuova dimensione del localismo, ben individuata dalla Lega, e una serie di manifestazioni che non possono essere derubricate come folklore. A questo si è aggiunta la narrazione berlusconiana, che va avanti da anni e che, quali che siano le "intemperanze" di Bossi e dei suoi, blandisce, rassicura, ammicca, dice che in fondo sono ragazzate che avranno un epilogo rassicurante nelle bicchierate del lunedì ad Arcore. Si coglie qui una furberia politica ed un messaggio rassicurante. Vi garantisco che la Lega può essere addomesticata, che i leghisti non impugneranno mai i fucili di cui parlano. Si legittima così la politica della Lega in tutte le sue manifestazioni che, proprio perché appaiono paganti, finiscono per divenire un modello per alleati e concorrenti. Inoltre, fino a quando la Lega continua ad esibire anche questa faccia, finisce in qualche modo con il dipendere dalla mediazione, politica o personale, di qualcun altro. Ma, in questo modo, nulla si fa per arrestare il degrado civile, l’involgarirsi generale del linguaggio che rivela l’abbandono di criteri fondativi della democrazia, l’eguaglianza e il rispetto della dignità delle persone in primo luogo. E non è soltanto la Lega a portare la responsabilità della situazione che si è determinata.
3) Europa. Altri Paesi hanno conosciuto fenomeni simili ma, per intelligenza politica e consapevolezza culturale, hanno fatto in modo che potessero essere circoscritti. Questo spiega l’attenzione preoccupata dell’Unione europea per una serie di vicende italiane: assistiamo all’accelerarsi di dinamiche politiche e sociali che rendono evidenti non il rischio, ma la realtà di pratiche discriminatorie e di vere e proprie aggressioni razziste. La risonanza europea di quel che sta accadendo non può essere attenuata esibendo qualche modifica di norme inizialmente più aggressive. È il contesto che, giustamente, inquieta. Vi è una preoccupazione delle istituzioni europee per il modo in cui le norme vengono concretamente applicate, e permangono i giudizi negativi sull’aggravante prevista per i reati commessi dagli immigrati. Una delegazione della Commissione per le libertà pubbliche del Parlamento europeo ha appena concluso una sua visita in Italia proprio per acquisire direttamente elementi per valutare la situazione dei rom. L’Agenzia europea per i diritti fondamentali ha pubblicato un rapporto sull’assalto al campo rom di Ponticelli. Da qui vengono le contestazioni a rappresentanti del Governo italiano nel corso di una conferenza a Bruxelles: e i nostri diplomatici, invece di levare inutili proteste, dovrebbero aiutare il Governo a comprendere le reazioni europee, il clima che ormai avvolge le politiche italiane in materia di immigrazione, e non solo.
4) Immigrati buoni e cattivi. Questa distinzione ricorre continuamente nelle discussioni, per mettere in evidenza che le politiche ispirate alla sicurezza pubblica non devono essere temute da chi è venuto nel nostro paese con buone intenzioni, e qui lavora e si comporta correttamente. Ma chiunque conosca la realtà di molte prefetture e questure, delle modalità dei controlli di polizia, sa che troppo spesso le cose vanno in modo diverso. Mi riferisco ai casi in cui è certo che ci si trova di fronte ad immigrati regolari, a situazioni in cui non esiste alcun pericolo. Molte volte, parlando con immigrati regolari alle prese con le estenuanti e inutili trafile per i continui rinnovi del permesso di soggiorno, ho sentito questa frase: «ci trattano come animali». Vorrei che il ministro Maroni impartisse disposizioni severe perché ogni persona venga rispettata, soprattutto quando si trova nella condizione di non poter nemmeno protestare, non dico abbozzare una reazione. No, allora, alle urla, agli atteggiamenti intimidatori, all’uso del tu come se ci si rivolgesse ad esseri inferiori, agli apprezzamenti sui tratti del viso o sulle donne, all’insofferenza verso qualsiasi richiesta di spiegazioni. Lì, in quei luoghi, l’immigrato incontra lo Stato. Solo se lo vedrà accogliente riuscirà a rispettarlo.
5) Razzismo? La parola spaventa, ma dev’essere pronunciata. Di fronte a vicende drammatiche, e spaventosamente eloquenti, ecco subito l’esorcismo: Milano non è razzista, Roma non è razzista e via elencando paesi e città. Che cosa vuol dire? Vi è una specie di immunizzazione territoriale per cui qualsiasi cosa accada in certi luoghi il contagio razzista è impossibile? Sappiamo che non è così. I razzisti sono tra noi, non in Italia soltanto, ma noi dobbiamo chiederci se stiamo facendo abbastanza non solo per combatterli, ma per evitare che si sentano i veri rappresentanti del tempo.