Europa 2007 ....

Lezione manzoniana sulla FORZA dell’ITALIA del 1628. LUNEDI’ SERA AL TEATRO QUIRINO DI ROMA. ENZO BIAGI, L’INNOMINATO, IL CARDINALE TONINI, I DON RODRIGO, I DON ABBONDIO, E I TANTISSIMI BRAVI E LE TANTISSIME BRAVE. Una nota di Furio Colombo - a cura di pfls

mercoledì 5 dicembre 2007.
 
[...] Lunedì sera, al Teatro Quirino, era lontana un secolo la affermazione dolorosa e netta del Cardinale Tonini detta a Pianaccio il giorno della sepoltura di Biagi: «Lo hanno ucciso», che voleva dire: un giornalista, specialmente se grande e libero, muore quando gli si toglie la parola [...]

Enzo Biagi e l’Innominato

di Furio Colombo *

La sera del 3 dicembre dedicata, nel Teatro Quirino di Roma, a ricordare Enzo Biagi, il giornalista celebre per una vita di eccellente lavoro, per la sua libertà tranquilla, per la sua cacciata dalla Rai, una bella sera di amicizia in cui c’erano proprio tutti, che è durata due ore e che Rainews ha trasmesso in diretta, soltanto due persone hanno parlato di Berlusconi, descritto realisticamente come padrone prepotente mentre si stava comprando la libertà d’informazione in Italia.

Soltanto due persone hanno fatto il nome, narrato gli eventi e descritto il pericolo, (già vissuto da uno di loro e imminente per l’altro). Le due persone, sedute l’una di fronte all’altra, nelle inquadrature di una delle celebri puntate de «Il Fatto», erano Enzo Biagi e Indro Montanelli. Due morti.

I vivi hanno dimostrato molto amore per Biagi, hanno narrato ricordi belli e affettuosi. Ma, sotto la ferma e implacabile guida della Rai che, a causa della diretta televisiva, ha esautorato i veri promotori, ovvero l’associazione Articolo 21, ci hanno parlato di un grande giornalista vittima di qualcosa di brutto più simile al destino che a una decisione politica. Dichiarazione dopo dichiarazione, tutto ha assunto il senso di quella recriminazione, di quel “non è giusto” che ognuno di noi, dice o vorrebbe dire contro la crudele arbitrarietà della morte, quando scompare un amico caro e ammirato.

Lunedì sera, al Teatro Quirino, era lontana un secolo la affermazione dolorosa e netta del Cardinale Tonini detta a Pianaccio il giorno della sepoltura di Biagi: «Lo hanno ucciso», che voleva dire: un giornalista, specialmente se grande e libero, muore quando gli si toglie la parola.

Non so se è passato un ammonimento, o sono bastati gli sguardi. Ma un sensibile ospite non italiano che si fosse unito a noi quella sera avrebbe ammirato la forza e l’unanimità del compianto, ne avrebbe dedotto (e avrebbe capito bene) che Biagi era molto amato e circondato da una stima immensa. Ma non sarebbe mai arrivato a ricostruire la chiave dell’evento e il vero perché di quella celebrazione: non un morto ma la sua libertà, quando gliela si toglie per vendetta, e facendo finta, insieme a una legione di compiacenti o intimiditi o prudenti, che l’Italia non abbia una Costituzione democratica, una Costituzione che garantisce la libertà di parola, di stampa, di opinione. Certo, vi sono state tante voci nobili, alcune corrucciate, e persino un momento di protesta del leader dell’Articolo 21, Giulietti.

Ma eravamo dentro una diretta della Rai, e la Rai, a quanto pare, non si sente tranquilla a parlare liberamente di Berlusconi come gli inglesi parlano di Tony Blair e gli americani di George W. Bush. Vuoi che ci sia l’incubo del ritorno, vuoi che sembri più decoroso saltare quel fastidioso dettaglio, l’arbitrario licenziamento di Biagi, e quell’altro dettaglio, il macigno del conflitto di interessi. Certo è che il microfono girava in sala in modo da non avvicinarsi mai a voci che avrebbero potuto educatamente sfiorare l’argomento dell’editto di Sofia e della “raccomandata con ricevuta di ritorno” con cui il più illustre giornalista italiano è stato messo alla porta della tv di Stato. Peccato. Nella sera dedicata a Biagi è stato dimenticato il fatto.

colombo_f@posta.senato.it

* l’Unità, Pubblicato il: 05.12.07, Modificato il: 05.12.07 alle ore 8.10


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