La querela è il rimedio oncogeno contro giornalisti e scrittori. Non in sé, ma per l’uso incontrollato e arbitrario che oggi se ne fa. Trasformata dal tempo e dal costume, è l’arma prediletta dal potere. Intanto perché tacita i Battista: i pochi che gridano nel deserto dell’abbandono; in guerra contro l’ignoranza cieca, la meschinità opulenta, il familismo, l’indifferenza.
La querela ti obbliga a difenderti, a fermarti, a lottare per te stesso, se sei soltanto un giovane ricco di buone speranze. Consapevole che dalla condanna avrai un’onta, una macchia, una traccia che gli avversari richiameranno a vita per levarti statura e carica morale. Loro, malavitosi e politici di presidio, a volte un solo corpo, hanno il placet del sistema: sono immuni e dritti al proprio posto; possono delinquere e benedire, predare e sentenziare, disintegrare strumenti, organi e presìdi democratici. Generano la convinzione che il saccheggio e la violenza sovrastano la legge; portano sfiducia collettiva, rassegnazione, sconforto, disumanità.
Così, in questo clima di paura e opportunismo, di reticenza e omologazione, parlare e agire diventa un reato, ancora prima del giudizio ordinario. Domina, a livello collettivo, una «solidarietà meccanica» verso gli ordinatori, i forti, i responsabili dello sfacelo. Questa si concretizza in forme di autocensura e limitazione personale, e soprattutto in aggressioni e propaganda falsa, utili a isolare resistenti e opposizioni.
Roberto Saviano ha spesso ricordato il valore dell’impegno; lui che non ha smesso un attimo di denunciare l’orrore imposto dai Casalesi e la loro ferina cattiveria. Non puoi star zitto e svaccato, guardando la morte e il sangue veri come un film in 16:9. Non puoi scuotere la maglia, convinto di non appartenenere all’inferno meridionale di piombo e dolore, rifiuti e sterminio, macerie e disperazione compressa. Come se fossi escluso dalla carneficina, salvo nel tuo mondo di quotidianità lineare e adesione allo scontato, preservato dal marchio della colpevolezza e dagli untori. Se chiudi la bocca, non puoi pensare, manco per un secondo, che sei diverso, che sei altro: che hai dei valori, un onore ufficiale, un ruolo sociale distinto e legittimo, un’utilità manifesta, una funzione per lo sviluppo.
La querela t’allontana dalla ricerca della verità, dall’indagine, dal racconto del male. Di un male che un libro non può contenere né rappresentare a sufficienza; neppure l’universale Gomorra. La querela serve a smorzarti la tensione etica, a trasformarla in un sentimento destabilizzante, a spostare l’attenzione sul tuo privato. La querela t’angoscia come la minaccia, ti abbatte: ti perseguita il pensiero di finirla, di cessarti; sai che non c’è ritorno, ormai hai osato, sfidato.
Un giorno Roberto Saviano m’ha scritto: «Se io non avessi avuto successo e un grande editore ora ero in un ospedale pscihiatrico, credimi». Ma non il successo dei soldi, come ripetono gli stolti, pedine di abili scacchisti. Roberto è stato protetto dalla straordinaria penetrazione del suo racconto, che ha restituito alle coscienze l’urlo represso d’una tragedia non solo campana, sconfinata come il mercato.
Roberto è riuscito a destare, a riunire un popolo, a schiacciare menefreghismo, falsa innocenza, abitudine.
Francesco Saverio Alessio e io, che abbiamo scritto " La società sparente " (Neftasia, Pesaro, 2007), siamo stati additati, messi ai margini: ci hanno insultati, nella nostra Calabria; ci hanno chiamati «pazzi», «visionari», «psicotici», solidarizzando cogli impuniti.
Confesso che per un periodo lo abbiamo creduto davvero: abbiamo pensato di non esistere, o, meglio, di esistere in un mondo ricostruito dalla nostra mente in fuga; ormai perduta nell’utopia della giustizia, della convivenza civile, dell’affrancamento della Calabria. Un sogno perfino capace di condurci al suicidio, all’esecuzione rasserenante, quella che non ha colpevoli materiali.
Abbiamo illuminato zone oscure in " La società sparente ", riesumato storie di giovani ammazzati con crudeltà indescrivibile, peggio degli animali da macello. Come Antonio Silletta, di San Giovanni in Fiore (Cs), sequestrato, sparato e bruciato; irriconoscibile, carbonizzato come un albero dopo un incendio. La madre, di fatto assassinata, morta di crepacuore, lasciata in solitudine da una società che aveva ritenuto naturale e cosa sua la sparizione del ragazzo, visti i precedenti per spaccio.
Che cosa c’è, e chi, dietro quel barbaro, doppio omicidio? Che cosa dicono le indagini?
Abbiamo maledetto la squallida accettazione dei paradossi, delle contraddizioni d’una Calabria dove si continua a votare il migliore offerente, spesso colluso, sostenuto dalla ’ndrangheta in cambio di premi, agevolazioni e libertà di movimento.
" La società sparente " è ancora, purtroppo, quella calabrese, che non crede nella forza della parola e della risposta civile; che non ha più fede né ideali; che affonda nella logica della convenienza, nella salvaguardia di perversi meccanismi di potere. Un potere onnipresente, onnipotente, che ha invaso le istituzioni e consolidato la Spa della morte, una ’ndrina sola, una Santissima: dai depuratori impuri ai materiali tossici nel crotonese, dalla gestione della monnezza allo sfruttamento delle coste, dalla sanità in metastasi alle truffe sui fondi europei, ai disastri ambientali, alla distruzione dei tessuti produttivi.
" La società sparente " è anche quella che emigra e giura di non rincasare mai più. Quella dei giovani che hanno capito come girano le cose in Calabria; che hanno inteso i collegamenti fra politica e ’ndrangheta; che sanno che giù non si lavora e vive dignitosamente, se non piegandosi all’una, all’altra, a entrambe.
Piegarsi vuol dire farsi gli affari propri, nel vero senso della parola. Significa raccogliere voti per qualcuno che la ’ndrangheta ha scelto per i suoi progetti. Significa raccontare dappertutto la favola della regione povera e bisognosa; significa perpetuare, con l’immobilità individuale, un assistenzialismo straripante che mantiene a palazzo i soliti noti. Significa lasciare campo aperto alle ecomafie e agli edili dell’autostrada, delle opere pubbliche, agli specialisti delle costruzioni di creta e veleni. Significa lasciare alle generazioni che verranno un’eredità di squallore, scempi, pericoli, disservizi, insicurezza, debiti, miseria, incultura, desolazione, criminalità, sgomento e disgregazione. Significa, poi, firmare la scomparsa d’una regione, che non sarà più salvabile perché non sarà rimasto più nessuno, nel futuro alle porte, fra gli ultimi liquami per la terra secca.
Con questa coscienza e urgenza, certi che la letteratura arriva dove non riesce l’informazione per immagini, Francesco Saverio Alessio e io abbiamo umilmente fornito un testo da cui partire per una responsabilizzazione politica dei calabresi, in nome di un obiettivo, l’uscita dalla minorità, e non di un partito.
Ma quando metti nomi e cognomi in un libro - e quando sto libro te l’ha pubblicato un piccolo editore che t’ha fatto firmare la sua estraneità nelle cause civili e penali - tutti si coalizzano e ti danno addosso. Perché sei solo, e sei pure un idealista imbecille, a cui mancano i mezzi di difesa.
Dopo le querele ricevute e per la vicinanza di " La società sparente " al movimento pro De Magistris, il pm che coi fatti ha dato una speranza viva alla Calabria bella, la politica calabrese ha denigrato il testo, la sua progressiva denuncia e gli autori. Con calcolo scientifico di tempi, mezzi e linguaggio, ha tentato in tutti i modi di negare la realtà del racconto, limitandolo il più possibile a un ambito locale. Perché non si sapesse, perché nulla uscisse fuori delle mura domestiche, perché ci fosse una lettura contraria della maggioranza e perché a maggioranza si sancisse la totale incompatibilità degli autori, in delirio, con l’ambiente calabrese.
Sull’esistenza di querele contro Alessio e me, la politica, non tutta, ha fondato la sua richiesta di consenso, pretendendolo, stavolta, in merito alla nostra (supposta) inattendibilità, piuttosto che per l’Europaradiso a Crotone o la risurrezione di Sviluppo Calabria.
La querela t’arriva subito, oggi, perché scrivi; se scrivi. Corri dal legale, se ce l’hai, o chiedi in giro d’uno bravo che ti levi dalle sabbie mobili. Sì, non c’è altro da fare. Non puoi cavartela diversamente, magari spiegando, illustrando, ragionando su periodi scritti con metodo, scrupolo e rigore.
Devi provare l’ebrezza del tribunale, entrarci; subire attonito il caos dei suoi lunghi corridoi. Ti passano a un palmo, quasi fossi invisibile, avvocati e loro praticanti. I primi procedono in testa, scarpe lucide, aria distratta e raccolta. Gli apprendisti, al seguito, li riconosci dal nodo della cravatta, classica o pop art, sempre grosso e impreciso.
Ti sei assunto la responsabilità penale e civile di ciò che hai scritto. Te lo ripeti dentro come il Daimoku dei buddisti. Chi ti trascina in giudizio di solito ha sostanze in banca. Le spalle ben coperte, può tenerti in bilico come una foglia d’ottobre avanzato. Nel mentre, ti chiedi perché sei finito tra quelle mura, dove incontri anziani contadini cui, come messaggio da non interpretare, qualcuno ha danneggiato il raccolto; dove noti disabili multati per aver sostato oltre il loro posteggio, occupato abusivamente da un villano.
Poi pensi che l’Italia è questa, e non la cambiano le tue piccole fatiche.
La querela tutela chi può essere stato offeso nell’onore.
I procedimenti penali contro Alessio e me sono stati tutti archiviati. Nessuno, in Calabria, vuole parlarne. Come nessun politico, meno che l’onorevole Angela Napoli, già membro della Commissione parlamentare antimafia, ha condannato le minacce e le intimidazioni che abbiamo ricevuto. La società sparente .
Emiliano Morrone
Alcuni riferimenti:
Lettera alla mia terra, di Roberto Saviano
http://www.revestito.it/?id1=19&id2=1&Tipo=7&id3=14230
http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1340
http://www.ndrangheta.it/?p=17
http://news.ladysilvia.it/ladysilvia/13350/attualita/0/
http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=1.0.2509557769
http://www.robertosaviano.it/articoli/9025/116/0
http://www.normanno.com/articolo.php?id=DM2008-01-10-0614
http://ilsatirosaggio.com/?p=433#more-433
http://www.perlacalabria.it/2007/11/19/chi-ha-paura-delle-parole-ha-paura-della-verita/
http://www.movimentodelsole.it/index.php?option=com_content&task=view&id=281&Itemid=2
http://www.ebeteinfiore.it/leggi.asp?id_art=2347&id_area=4&mac=3
http://masaghepensu.splinder.com/post/14914789/Da:+%22La+voce+di+fiore%22
http://www.ilcittadinodimessina.it/news.asp?idz=8&idn=5186
http://www.perlacalabria.it/2007/10/26/vile-biglietto-di-minacce-ad-un-giovane-scrittore-calabrese/
http://guide.dada.net/giornalismo/interventi/2007/11/312270.shtml
http://cultura-mediterranea.blogspot.com/2008/04/intervista-di-giuseppe-scano-allo.html
http://www.padovanews.it/content/view/22366/101/
http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=28044&idSezione=1
http://www.lameziaweb.biz/new.asp?id=6802
http://www.europaoggi.it/content/view/1221/0/
http://www.movimentodelsole.it/index.php?option=com_content&task=view&id=226&Itemid=2
http://www.forumdelreventino.org/forum/index.php?topic=30.0
http://www.luigiboschi.it/?q=node/6307
http://lasestina.com/index.php?Itemid=10697&id=2391&option=com_content&task=view
Riproponi questi articoli sulla società sparente in Calabria con costanza e dedizione, le stesse che metti,assieme agli altri che fanno parte di questa rete che ha come obiettivo quello di denunciare il sistema mafioso calabrese,per lottare affinchè nasca e cresca nelle coscienze l’importanza di marciare per l’affermazione dei propri diritti, da cittadini del sud. Tutte le volte,per me,è toccante rivedere l’immagine di Antonio Silletta barbaramente trucidato,sul cui omicidio non s’è indagato a sufficienza. Come può la società civile non interrogarsi su eventi tristi come quello? Come si può far finta di non vedere? Ho sempre viva la speranza che i miei conterranei risveglino le proprie coscienze.Che la si smetta di partecipere al sistema mafioso-politico-affaristico-industriale-massonico,attraverso il silenzio e la delegittimazione di chi denuncia,come voi,che la società sta sparendo. Assistiamo ogni giorno a brutali omicidi,sparizioni misteriose,alla crescita del potere delle cosche sul territorio calabrese ed oltre.Come si possono dormire sonni tranquilli,davanti a tutto ciò? Ricorrono i sessant’anni della "Dichiarazione per i diritti umani".
L’art 1 recita: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
La mafia,la ndrangheta,ci toglie il diritto all’eguaglianza ed alla libertà,perchè non ci consente di vivere liberamente e dignitosamente nella nostra regione,perchè non ci dà la possibilità di scegliere e costruire il nostro futuro.Ma possiamo scegliere di essere liberi ed eguali agli altri cittadini se ci ricordiamo che nasciamo "dotati di ragione e di coscienza",decidendo,così, di "agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
L’art 3 recita: Ogni individuo ha diritto alla vita,alla dignità ed alla sicurezza della propria persona.
La mafia,la ndrangheta,ci tolgono la vita e la sicurezza.Sono numerose le sue vittime,silenti,anche quelle che muoiono un pò alla volta di malattie tumorali e leucemie. Ci toglie anche la dignità,mettendoci davanti ad una scelta:l’asservimento o l’emigrazione.
L’art 7 recita: Tutti sono eguali davanti alla legge ed hanno diritto,senza alcuna discriminazione,ad una eguale tutela da parte della legge.
Questo diritto non lo abbiamo,se permettiamo che la mafia,la ndrangheta,penetrino nelle istituzioni,attraverso uomini politici con essa collusi.Essi faranno gli interessi dei mafiosi, una volta al potere,non quelli di tutti i cittaini.
Lart 19 recita: Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione,incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare,ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
La mafia,la ndrangheta,ci tolgono la libertà di espressione,perchè chi denuncia,chi non si piega ad esse è costretto a subire minacce ed intimidazioni,costretto a fuggire,nascondersi, non può più avere una vita normale.
Invito tutti i cittadini calabresi,e non,che leggono questo giornale a riflettere sull’importanza di riappropiarci dei nostri diritti.Non possiamo più continuare a subire. Mi rivolgo soprattutto ai miei conterranei,ai giovani calabresi.Abbiamo diritto alla nostra crescita ed allo sviluppo della nostra terra.
Grazie Emiliano,Biagio e Francesco Saverio.Grazie di cuore.
Anna Rita Sarro