IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
Le colpe dell’opposizione
di Nadia Urbinati (la Repubblica. 06.03.2009)
La lunga marcia della sinistra italiana verso il nichilismo è cominciata alla Bolognina, poche settimane dopo la caduta del Muro di Berlino - è utile rammentarla per capire in quale grave situazione ci si trova ora. Non ho consultato gli archivi del Pci-Pds per verificare se la decisione di abolire un partito (allora si disse "cambiare nome") fosse stata presa collegialmente dalla Segreteria o dal Comitato Centrale. Ma per noi spettatori lontani, quella fu la decisione di un capo. Il quale dall’alto della sua personale opinione decretò che era tempo di cambiare: era la storia a chiederlo, disse.
Molto probabilmente il mutamento era indispensabile; anzi lo era certamente. Ma venne effettuato nel peggiore dei modi possibili. Con un atto discrezionale, senza una deliberazione collettiva e ponderata; senza andare all’origine ideologica e ideale di quel cambiamento, che restò di facciata e vuoto di contenuti. Come un cambiar d’abito si passò dal comunismo di facciata al liberalismo di facciata (spesso al liberismo, naturale vicino di casa dell’economicismo marxista).
E da allora questo fu il metodo accreditato presso i dirigenti del maggiore partito della sinistra. Un metodo decisionista e personalista, che anticipava quello che ora tanto deprechiamo del Presidente del Consiglio. Un metodo anti-deliberativo, tipico di monarchie assolute o reggenti dispotici; un metodo che consiste nel decide d’arbitrio prima, per poi convocare organismi collettivi o congressi straordinari per legittimare post-factum quella decisione e soprattutto farla digerire al popolo subalterno.
In questo stesso modo da allora il partito ha deciso-e-digerito altre risoluzioni, quasi tutte improvvide e sbagliate. Tra le peggiori delle quali c’è senza dubbio la famigerata bicamerale, quell’improvvida politica che ha fatto della nostra Costituzione una merce di scambio politico per creare alleanze e che, soprattutto, ha legittimato il patrimonialismo di Forza Italia.
Il paese stava assistendo attonito e impotente alla formazione veloce e pericolosa di un potere assoluto -quello mediatico-patrimoniale - e i leader dell’opposizione hanno con grande intelligenza pensato bene di giustificarlo e legittimarlo, invece di imbrigliarlo e contenerlo. Hanno pensato di farvici accordi e usare l’arma del compromesso senza far troppo caso al fatto che solo tra eguali ci si può accordare; perché chi ha un potere sovrastante fa quello che vuole, e non onora gli accordi. Per fare accordi occorreva prima limitarne il potere. Il contrario sarebbe stato, come fu, un assurdo. Avevano mai avuto modo di leggere Locke o Montesquieu nei ritagli di tempo i dirigenti della sinistra?
Come in una giostra medievale, a forza di fendenti e picconate, la sinistra é stata ridotta a un’ombra di se stessa. Ed é ammirevole che i suoi elettori abbiano resistito per tanto tempo, impotenti di fronte alle violenze e improvvide offese dei capi. Da invenzione a invenzione: perfino imitando slogan di altri partiti in altri paesi (come faceva notare il corrispondente dall’Italia per il New Yotk Times dando l’annuncio delle dimissioni di Walter Veltroni) e mettendo insieme cose che non possono stare insieme, come il governo ombra britannico e il partito elettorale americano, un guazzabuglio che è stato degno di un apprendista stregone.
Infine, a completare il capolavoro, le primarie: un metodo di selezione dei candidati che prevede un partito consolidato e infine una struttura federale del partito stesso: senza di che diventa guerra fratricida fra le mura delle città e delle contrade; il nemico sta dentro, con grande godimento dell’avversario vero che sta fuori. E poi, si può adottare un metodo che vive di conflitto a fondamento di un partito che ha bisogno di grande unità, almeno per stabilizzarsi? Metodi anti-democratici e rozzi, strutture e procedure sbagliate. E che cosa dire dei contenuti?
Sarebbe interessante sapere in che cosa credono questi dirigenti: sulla rappresentatività del sistema elettorale, sulla scuola pubblica, sulla giustizia sociale, sul conflitto di interesse, sulle politiche per affrontare la crisi economica, sul pluralismo religioso, sulla divisione tra stato e chiesa, sui diritti umani fondamentali, ecc. Non ci è mai stato detto con chiarezza: perché non era possibile fare chiarezza, visto che non c’era davvero un’unità di ideali e prospettive politiche, di alcuni ideali in particolare come quelli relativi all’interpretazione dei diritti individuali o dello stato laico.
E infine, una nota dolentissima ma purtroppo realistica: molti dirigenti del Pd "vivono di" politica parlamentare essendo la politica il loro lavoro principale; questo dà loro una naturale disposizione all’inerzia e al rattoppo. Non dal centro potrà venire il rinnovamento. E di un rinnovamento di uomini e di donne c’è urgente bisogno. Senza del quale l’opposizione si consegna all’avversario e ne sancisce un potere già pericolosamente ingombrante e ai margini della costituzionalità. L’opposizione ha una responsabilità enorme, non solo o tanto verso i propri elettori, ma prima ancora e soprattutto verso i cittadini italiani: la responsabilità di contribuire a fare del paese una dittatura eletta.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La lezione di Tocqueville
di Nadia Urbinati (la Repubblica, 4 giugno 2010)
La libertà di stampa è una di quelle libertà per le quali non può esistere una via intermedia tra massima libertà e dispotismo. Lo aveva capito quasi due secoli fa Alexis de Tocqueville, il quale, da critico diagnostico della trasformazione democratica delle società moderne, non si faceva scrupolo a confessare la sua ambigua attitudine nei confronti di questa libertà. Una libertà che diceva di amare non perché un bene in sé ma perché un mezzo che impedisce cose veramente indesiderabili come l’impunità, l’abuso di potere e le tentazioni assolutistiche di chi governa. Proprio perché ogni tentativo di regolare la libertà di stampa si risolverebbe invariabilmente in uno sbilanciamento di potere a favore di chi regola, meglio, molto meglio una libertà senza limiti.
Del resto, chi può decidere su quale sia il limite giusto? E poi, chi controllerà colui che decide sul limite? Per questa ragione, Tocqueville osservava che se i governanti fossero coerenti con la loro proposta di limitare la libertà di stampa per impedirne un uso licenzioso ed esagerato, dovrebbero accettare di sottomettere le loro azioni ai tribunali, di essere monitorati dai giudici in ogni loro atto. Se non amano il tribunale dell’opinione dovrebbero preferire il tribunale vero. Ma questo, oltre che essere irrealistico, comporterebbe se attuato un allungamento della catena di impedimenti fino al punto da asfissiare l’intera società sotto una cappa di controllori e censori. A meno di non ripristinare l’assolutismo di età pre-moderna - un vero assurdo.
L’impossibilità di trovare una giusta limitazione per legge della libertà di stampa sta nel fatto che nei governi che si fondano sull’opinione, come sono quelli rappresentativi e costituzionali, non è possibile sfuggire all’opinione, la quale deve pur formarsi in qualche modo ed essere libera di fluire.
È per questa ragione che l’azione del premier contro i due tribunali - la stampa e la magistratura - è in qualche modo anacronistica e assurda. Lo è per questa semplice ragione: nonostante la sua persistente passione censoria, egli vive di pubblico e non può restare celato agli occhi di chi è deputato a preferirlo e perfino amarlo. Il suo desiderio più grande è quindi quello non tanto o semplicemente di mettere il bavaglio alla stampa, ma invece quello di esaltare una forma soltanto di opinione, quella che non fa conoscere ma fa invece ammirare, preferire, amare. Egli vuole quindi l’impossibile: vivere di pubblico senza pubblico.
Poiché il pubblico è formato proprio attraverso diverse opinioni (questo è vero anche quando il pubblico è fatto di consumatori, e l’opinione è pubblicitaria, poiché in fondo anche di dentifrici ce ne sono di vari tipi sul mercato). Ma il premier vuole creare il suo pubblico e vuole che questo solo goda di libera circolazione: questa è l’ambizione assurda dell’assolutismo dispotico nell’era dei media.
Come ha scritto Ezio Mauro a commento dell’attacco in diretta che il premier ha lanciato contro chi aveva ricordato le sue passate dichiarazioni di sostegno agli evasori fiscali (Massimo Giannini) e contro chi aveva mostrato con i dati un suo calo nei consensi (Ipsos e Pagnoncelli), egli vuole «impedire ai giornali di raccontare la verità» per distribuire invece «un’unica verità di Stato».
I monarchi assoluti dell’età pre-moderna non avevano a che fare con il pubblico: il decidere liberamente (fuori dai vincoli dell’opinione e del voto) li rendeva, se possibile, meno esposti alla menzogna e se menzogna c’era era all’interno della cerchia di potere nella quale vivevano. Arcana imperii era il nome della politica fatta a porte chiuse in un sistema di potere nel quale non c’era nessun obbligo a tenerle aperte. Ma con l’avvento della politica del consenso - in primis della designazione elettorale dei governanti - questa condizione di libertà ha perso giustificazione e, soprattutto, si è rivelata impossibile. Infatti, per il leader, l’essere scelto, sostenuto, e perfino amato è possibile solo se acquista o si crea un’immagine pubblica, un’immagine che esca dal palazzo e circoli liberamente. La condanna del leader con ambizioni assolutisiche nell’era democratica è quella di non poter più aspirare al potere assoluto mentre i mezzi di cui dispone - la stampa e l’opinione- - alimentano enormemente questa sua aspirazione.
Ecco quindi il paradosso del quale siamo testimoni (e vittime) in Italia: un leader che è stato creato dai media e che per restare al potere deve poter contare sulla pubblicità di quell’immagine vincente, e per tanto su un sostegno acritico dei media stessi.
La premessa non detta di questo paradosso è che la verità sarebbe fatale a quell’immagine, e deve per tanto restare celata alla vista e all’udito. Ecco allora che la limitazione della libertà di stampa deve per forza essere più di questo per poter funzionare: deve coinvolgere non soltanto il momento della divulgazione delle opinioni scomode, ma anche quello del reperimento delle informazioni sulle quali quelle opinioni si basano (deve cioè mettere in discussione entrambi i tribunali). Aveva ragione Tocqueville: nella sfera della libertà di stampa non si dà né può darsi una via mediana tra massima libertà e dispotismo, perché una volta imboccata la strada della censura un limite tira l’altro senza che si riesca a vederne la fine.
Dittatura
di Giovanni Sarubbi *
Non c’è un vaccino per il fascismo, non c’è un vaccino per la dittatura. E’ quello che stiamo imparando in questi tempi con la riproposizione di leggi e costumi in voga durante il periodo fascista. Ma sbaglia chi pensa che si possa risolvere tutto sconfiggendo il dittatore di turno, comunque si chiami. Non è mai stato così e non lo è neppure ora.
Quando si parla di dittatura si pensa immediatamente al dittatore che quella dittatura ha impersonificato: Mussolini per il fascismo, Hitler per il nazismo, Franco per il franchismo, solo per citare i più noti. Ma una lettura attenta della storia di quei periodi dimostra inequivocabilmente che questi personaggi sono stati solo il punto di raccordo di tutta una serie di forze economiche e sociali che li hanno sostenuti, finanziati, appoggiati in ogni modo possibile. Non sarebbe stato possibile il fascismo in Italia o il nazismo in Germania senza l’appoggio delle grandi imprese capitalistiche dei rispettivi paesi.
Oggi è la stessa cosa. Berlusconi svolge la funzione di colui che attira su di se l’attenzione, con le sue gaffe internazionali, con il gossip sulle sue capacità amatorie o sulla sua “immortalità”, con le barzellette, con le leggi ad personam, con l’aurea di imprenditore di successo. Ma tutto ciò serve a coprire e a sostenere la dittatura di una classe, quella capitalista, sul resto della popolazione.
Nelle dittature ci sono sempre eliminazione della libertà di stampa, repressione violenta delle opposizioni politiche, razzismo e squadracce punitive, persecuzioni religiose. Scriveva Primo Levi che “Ogni tempo ha il suo fascismo. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando e distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti sottili modi la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine”.
Ma tutte queste cose non sono che il condimento, il brodo di coltura, di una realtà sociale che vede una classe imporre alle altre il proprio volere innanzitutto economico e per fare questo essa usa il potere politico, quello militare e quasi sempre quello di una religione compiacente e subalterna.
La dittatura in Italia si manifesta principalmente nelle brutali condizioni di lavoro che sono imposte ai lavoratori che nell’arco di un ventennio si sono visti privare di ogni diritto e derubare anche del salario che non è più in grado di garantirgli, come prescrive la nostra Costituzione, una esistenza libera e dignitosa.
La dittatura si manifesta nei licenziamenti di massa che stiamo vivendo in questi mesi, nelle truffe finanziarie diffuse e gestite da chi occupa posti di responsabilità nella finanza internazionale, nell’aiuto che gli Stati stanno concedendo proprio a questi truffatori che continuano ad essere impuniti, nell’inquinamento che le industrie del nord Italia hanno imposto a regioni come la Campania, che è diventata una immensa discarica a cielo aperto, nella messa in discussione delle pensioni o del potere di acquisto dei lavoratori. La violenza squadristica, il razzismo, la persecuzione antireligiosa hanno lo scopo di garantire questo stato di cose. Di questo bisogna prendere coscienza.
Noi, lo diciamo chiaramente, siamo contro la dittatura, e, a scanso di equivoci, diciamo che siamo contro qualsiasi dittatura. Non accettiamo che qualcuno possa imporre al resto della popolazione i propri interessi esclusivi. L’umanità è unica, le persone nascono tutte eguali, tutte hanno diritto a vivere dignitosamente, nessuno singolarmente o a gruppi può appropriarsi delle ricchezze naturali o del lavoro di altri, o distruggere l’unico pianeta sul quale viviamo.
Siamo decisamente contro tutti i sistemi sociali che consentono lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che impediscono alle persone di riconoscersi fratelli e sorelle negando una vita piena e gioiosa per tutti/e.
Siamo decisamente contro l’appropriazione privata delle ricchezze sociali e la socializzazione delle perdite che in questi anni e negli ultimi mesi in particolare è diventata la costante della nostra società, sia a livello nazionale che internazionale. Non è questo quello che è scritto nella nostra Costituzione che non prevede l’oppressione di una classe sulle altre mettendo il lavoro, e non il suo sfruttamento forsennato, a fondamento della nostra Repubblica.
Come sconfiggere la dittatura? Noi pensiamo che ci sia bisogno di denunciare inequivocabilmente il suo essere l’oppressione di una classe sociale precisa, nel nostro caso quella capitalistica, ai danni del resto della società.
Qualcuno ci chiamerà vetero comunisti, ma per noi è solo ciò che è scritto nei Vangeli.
Giovanni Sarubbi