Laboratorio giornalistico

di Mauro Diana - Meno ambiente, più rischi

Le attività antropiche sconvolgono il paesaggio, distruggono ecosistemi e generano rischio, specie idrogeologico
martedì 21 marzo 2006.
 

Meno ambiente, più rischi

Le attività antropiche sconvolgono il paesaggio, distruggono ecosistemi e generano rischio, specie idrogeologico

Recentemente ho avuto il dispiacere di leggere che nella zona del Parco del Pollino nei pressi di Rotonda o giù di lì, un sindaco ha deciso tramite ordinanza, di far tagliare alcuni alberi, molti dei quali secolari, presenti nella zona protetta. Ognuno fa le sue scelte, per carità, ed ognuno ha le sue buone ragioni. Ma ci sono alcune considerazioni univoche che devono essere sempre tenute a mente quando si decide di alterare un ambiente, e quindi l’ecosistema ad esso correlato, in maniera spesso irreparabile ed irreversibile. Innanzitutto si deve partire dalla definizione di rischio, che è il danno atteso in conseguenza del verificarsi di un dato evento pericoloso. Esso può essere espresso dall’equazione Rischio = Vulnerabilità x Pericolosità x Elemento a rischio, dove la vulnerabilità è il grado di distruzione atteso al verificarsi di un evento pericoloso (da 0 ad 1 dove 0 significa “nessuna distruzione” ed 1 “distruzione totale”); la pericolosità è la probabilità che un evento si verifichi in uno spazio-tempo; l’elemento a rischio è l’uomo e le sue attività presenti nella zona a rischio. Tagliando degli alberi si genera un serio pericolo sia per l’attività umana che, e soprattutto, per l’ambiente circostante: tale tipo di pericolo, per quanto concerne le attività umane, è chiamato rischio idrogeologico. Appartiene alla grande famiglia dei rischi geologici di cui fanno parte, oltre al già citato, anche i rischi sismico e vulcanico. Tra i rischi geologici, il rischio idrogeologico (derivante dall’unione dei rischi idrici su di un terreno geolitologico) è quello più pericoloso, ma è anche quello che può essere maggiormente prevenuto avendo cura dell’ambiente. Da esso si generano una serie di dissesti che modificano irreparabilmente l’ambiente circostante: frane, smottamenti, eccessivo scorrimento delle acque superficiali, irregolarità nel ciclo idrologico, problemi al bacino imbrifero. Tagliare gli alberi vuol dire soprattutto privare il terreno della stabilità garantita dalle radici; vuol dire anche permettere alle acque di afflusso meteorico di dilavare in maniera irregolare il terreno. Questo genera, nel breve e lungo termine, una maggiore esposizione a rischio perché il terreno perde di coesione e di stabilità: tende quindi potenzialmente a franare e, di conseguenza, aumentando anche il ruscellamento dovuto alla mancanza di copertura vegetale, le acque si incanalano verso valle fino a raggiungere o le attività umane o, in altri casi, il letto di un fiume che, ovviamente, aumenta di portata. L’aumento di portata dei fiumi o, meglio ancora, dei torrenti (che nella zona in considerazione hanno nella maggior parte dei casi un regime stagionale) può provocare un rischio per le attività antropiche in quanto le opere di difesa non sono adeguate a fronteggiare una emergenza non prevista durante la costruzione di queste. Inoltre, la mancanza di copertura vegetale, provoca anche un aumento di velocità delle acque superficiali: da ciò ne consegue, inevitabilmente, un maggiore prelievo di rocce e sedimenti che, spostandosi dal luogo “originario”, provocano fenomeni erosivi, oltre che maggiori esposizioni a rischio per l’uomo. Senza contare il fatto che una “normale” piena si trasforma in alluvione quando si ha, per l’appunto, un aumento della velocità delle acque che, data la loro violenza, staccano parti di roccia e di sedimenti che, nel percorso monte-valle, vanno a distruggere le opere umane. In effetti di per sé una piena non è considerata generalmente un rischio, perché è semplicemente un aumento di portata, e quindi di volume d’acqua, in una data sezione del bacino considerato. Il vero rischio è l’alluvione, perché portandosi con se detriti, questi materiali vanno a distruggere le opere umane specie in prossimità del letto ove giace il fiume. A questo fatto va aggiunto il discorso che il disboscamento provoca gravi danni anche per il normale ciclo dell’acqua, che consta sinteticamente di tre fasi principali: evapotraspirazione, ruscellamento ed infiltrazione. Fra questi tre elementi, l’evapotraspirazione è la parte più consistente: essa è data dall’unione dell’evaporazione (passaggio di stato dell’acqua da liquida ad aeriforme) e della traspirazione (derivante dal “respirare” delle piante); venendo meno uno di questi tre fattori, il bilancio idrologico viene in parte sconvolto, ovviamente non a livello globale, ma a livello locale. Infatti, come matematica ci insegna, essendo il ciclo idrologico sempre in equilibrio, diminuendo l’evapotraspirazione, aumentano il ruscellamento (superficiale) e l’infiltrazione (sotterranea). Si è già visto ciò che accade se aumenta lo scorrimento superficiale delle acque meteoriche, ma se aumenta anche l’infiltrazione, ovvero la parte d’acqua che viene assorbita dal terreno e che va ad alimentare le falde acquifere, questa può provocare un aumento di velocità delle acque sotterranee. C’è da ricordare che le falde acquifere sono importantissime per l’uomo: da esse si emunge acqua per usi domestici e, sempre da esse, l’uomo ricava energia elettrica grazie alle centrali geotermiche. E le falde sono alimentate dalle acque sotterranee che viaggiano molto lentamente: nel loro percorso verso il basso si arricchiscono di minerali; col tempo l’acqua che percola dagli strati più superficiali a quelli più sotterranei raggiunge alimenta, appunto, le falde che, a loro volta, alimentano anche in molti casi i letti dei fiumi (dicesi di falda influente). Da ciò ne deriva che, all’aumentare del volume d’acqua in una falda influente, aumenta anche il volume d’acqua del fiume sovrastante. La falda, alimentando il fiume, porta la sua acqua verso il mare facendo così “ripartire” il ciclo. Particolare attenzione deve essere prestata per la prevenzione dal rischio frane: esse, nella maggior parte dei casi, non danno segni visibili, specie le frane per crollo e ribaltamento. Generalmente, gli unici indizi che possono lasciar presupporre l’inizio di una fenomeno franoso è il piegarsi degli alberi, dei pali telefonici e della luce verso valle e delle strade che hanno un abbassamento della sede, proprio come avviene per il fenomeno della subsidenza. Le frane non sono un fenomeno facilmente controllabile: i pochi indizi premonitori spesso e volentieri non ricadono nella diretta osservazione umana o, ancora, non si hanno le capacità tecnico-scientifiche per comprenderne i segnali. Ma non è solo il disboscamento che provoca rischio: ogni attività umana, se non costruita in maniera attenta e rispettosa per l’ambiente, può diventare un potenziale pericolo, paradossalmente, per l’uomo stesso. Tanto per fare un esempio: costruire sotto un vulcano (come accade nella zona del Vesuvio), di certo è pericoloso, e nonostante ciò si continua ad edificare indiscriminatamente, tanto che la zona di Napoli e del suo hinterland è la zona più soggetta a rischio vulcanico del mondo, pur essendo il Vesuvio un vulcano attivo ma quiescente. Si ricorda, a tal proposito, che la zona di Napoli e dei Campi Flegrei ha una densità abitativa ben al di sopra della media italiana. Rischio per l’ambiente si ha anche quando, per esempio, si ha un eccessivo sfruttamento dei terreni adibiti a pascolo. Essi, per essere usati al massimo della resa, devono essere posizionati in zone dove sono presenti molti alberi, in quanto essi danno il nutrimento al terreno sottostante grazie anche ai batteri decompositori che generano vari cicli biogeochimici. Tale terreno ricco di sostanze nutrienti deve essere disboscato per impiantare un pascolo, ed anche qui si genera rischio per gli stessi motivi sopra detti. Inoltre, l’uso sconsiderato di sostanze chimiche artificiali per la concimazione delle piante genera dal canto suo il fenomeno dell’eutrofizzazione, che si verifica poi in mare con una esplosione inimmaginabile delle alghe provocando la morte dei pesci, in quanto fa mancare loro l’ossigeno necessario per vivere. Questo genera, per l’uomo, danni economici perché deturpa la zona. Chi mai vorrebbe andare a fare il bagno dove l’acqua è piena di alghe in superficie? Oppure si pensi alle discariche controllate: se il terreno dove esse devono sorgere non è opportunamente impermeabilizzato, si può provocare inquinamento sotterraneo delle falde che poi, sempre per il ciclo dell’acqua, torna in superficie generando un circolo vizioso dal quale è impossibile uscire. Occorre, dunque, maggiore rispetto per una zona, specie se questa è protetta come lo è un parco nazionale. Non è immaginabile danneggiare la natura e gli ecosistemi presenti per favorire una crescita economica celata dallo sviluppo sostenibile. Perché l’unica cosa che è sostenibile è la non alterazione dell’ambiente e degli ecosistemi in esso contenuti. Vale sempre il discorso che l’inquinamento, una volta creato, non è possibile distruggerlo, ma si può solamente spostarlo da una parte all’altra.

Mauro Diana


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