Un anno fa la tragica scomparsa di Valentina Barranca, giovane studentessa universitaria di Siderno (Rc)

Passione ed impegno nel nome di Anna Kuliscioff per una ragazza che ha dispiegato le sue ali verso il cielo nel fiore della giovinezza.
sabato 27 dicembre 2008.
 

Poco più di due anni addietro conosco Valentina, una ragazza di Siderno, ovvero quel paese che sin da bambino vedo come traduzione speculare in salsa borghese della adiacente ed apparentemente più “povera” Locri. A dire il vero é Vale (così si fa chiamare) a stabilire un primo contatto con me per e-mail.

Valentina, classe 1986, 20 anni ai tempi, anche se attraverso i nostri diversi carteggi telematici e poi conoscendola personalmente mi rendo presto conto di come la maturità intellettuale ed umana di questa ragazza andasse ben oltre quello che comunemente può essere l’orizzonte di pensiero di un qualsiasi giovane della nostra generazione, stupidamente assuefatta a falsi miti quali il consumismo di facciata, Grande Fratello e Maria De Filippi.

Vale è una di quelle persone che più ci parli e meno ti senti “alieno” su questa terra: testa inquadrata ben salda sulle spalle, schiena dritta e tante piccole grandi ambizioni. Come me studia a Roma, e forse anche per questo traspare a pelle un forte senso di responsabilità da parte sua: lasciata la provincia e messi i piedi su uno di quei tanti treni che squartano l’Italia in due, vivere in una grande città diventa una doppia fatica, sia per gli aspetti positivi e negativi che ogni metropoli ha in sé, sia perché, come ogni studente fuori sede che si rispetti (soprattutto se primogenito), ti assale quel continuo volere andare oltre le proprie stesse capacità, fare capire ai genitori che prima o poi ci si allontana dal nido, e si cerca di spiccare il volo contando sì sul loro sostegno, ma soprattutto sulle sole nostre forze. Ecco, queste cose di Vale le capisco al “volo”, tanto per restare in tema.

A Vale non va giù che la nostra Calabria continui ad essere infangata e vilipesa da tutto e tutti, ma al tempo stesso da persona seria quale è mette in gioco prima di tutto lei stessa, cerca di costruire l’alternativa. Come dire, cerca di “educare con l’esempio“: tanto volontariato nelle associazioni, impegno civile muovendo i primi passi anche in politica. Il suo mito è Anna Kuliscioff, la “dottora” dei poveri, donna socialista e progressista, bandiera della lotta post-fascista per l’emancipazione femminile.

A tutto questo si aggiunge una passione dilettevole ed al tempo stesso strettamente legata al contingente: a Vale piace molto ricamare. Praticamente una ragazza da sposare, una di quelle alla “vecchia maniera” quando, per intenderci, se non sapevi ricamare restavi zitella. Metaforicamente provo a dare anche una spiegazione a questa sua passione, metafora che è poi condivisa da lei: anche la più brutta delle stoffe, sporca, strappata e rammendata, se ci sai ricamare sù, con la tua fantasia puoi ridarle vita nuova. Ecco, questa stoffa sporca, strappata e rammendata è la nostra bella e disgraziata Calabria: certo, occorrerà pungere, ma con giusta perizia, impegno e quel po’ che serve di fantasia, possiamo darle nuova vita, ed a noi con lei. Vale è una donna nel corpo di una bambina, un metro e mezzo di sogni e capacità, boccoli ramati e carnagione pallida a farne da cornice ed occhialetto da professorina, anzi, da “dottora”.

Continuiamo a sentirci per un periodo attraverso Internet e cellulare, un paradosso considerato che entrambi stiamo a Roma. Capita di parlare di tutto, dall’esame imminente all’università ai piccoli problemi di cuore, alla ‘ndrangheta, dai libri alla politica (soprattutto quella locale), ai viaggi in treno. Ma alla fine si finisce con il parlare sempre dell’YMCA, la storica associazione alla quale suo padre a Siderno dedica passione ed impegno da una vita ed alla quale anche lei ne rivendica gelosissimamente orgogliosa militanza.

Qui si ferma la storia di Vale raccontata al presente, qui si fermano le nostre chiacchierate sull’esame imminente all’università, i piccoli problemi di cuore, i libri, la politica, la ‘ndrangheta, l’YMCA. Ne restano solo i viaggi in treno, anzi un viaggio.

Vale per il suo ultimo viaggio, all’insaputa di tutti ed in silenzio, quel treno lo ha cercato, aspettato e trovato. Il 21 dicembre 2007 ha dispiegato le sue bellissime ali solo per un attimo, ha condiviso con Dio tutta la sua magnificenza e poi, rannicchiatasi su quel maledetto binario arrugginito che sembra la cicatrice permanente alla Statale 106, ha aspettato il suo ultimo treno.

E’ stata una sua scelta, dicono, ed effettivamente così sembra. Ma da giorni penso e ripenso, piango come un bambino, mi chiedo “perché?“, cerco di convincermi che forse quel suo essere così donna servisse a colmare non so quale male interiore che probabilmente la opprimeva e che ha finito con il rosicchiarle il corpo e lacerarle l’anima, giorno dopo giorno, per poi condurla al suo ultimo viaggio. Il mio essere ormai sempre più dubbioso di tutto e di tutti vorrebbe convincermi che qualcuno o qualcosa su quel binario ce l’ha portata la nostra Vale, troppo determinata e proiettata oltre l’orizzonte per fermarsi anche al più insormontabile degli ostacoli, troppo attaccata alla vita, troppo innamorata della vita degli altri, per scegliere di lasciarci.

Per quel poco tempo che ho avuto conoscerla sono certo che avrebbe messo in gioco, rischiato la propria stessa vita per ciò in cui credeva e per cui lottava, ma mai, mai, e poi mai persone come me, come lei, come tanti altri ragazzi della nostra “razza” si sognerebbero di fare gli eroi alfieriani della situazione, pronti finanche a sacrificare le proprie vite come atto di estrema rivendicazione di libertà contro il Tiranno di turno. Semmai siamo pronti morire in piedi e non in ginocchio, costi quel che costi, ma affrontando di petto qualsivoglia Tiranno ed affidando le nostre vite solo al Destino e mai a noi stessi. Questo è il credo di chi si spende in quella che è la buona battaglia.

Ma ora basta. Qualsiasi sia il tentativo di spiegarmi, capire o comprendere, non ci riesco. Non riesco ad accettare. Non ci riesco.

Aldo Pecora


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