[...] La mondializzazione crea un mercato aggressivo? I finanzieri provocano la crisi che devasta le economie e le vite di milioni manipolando algoritmi separati dall’economia reale? Utilizzano i soldi pubblici per ricominciare i loro traffici di devastazione? Non c’è che una soluzione. I lavoratori scelgano: o il lavoro sottopagato con ritmi bestiali o i diritti. E se il mercato diventasse ancora più aggressivo quale alternativa verrebbe posta ai lavoratori, lavoro schiavistico o morte per fame?
La contrapposizione alternativa fra diritti e lavoro sottende un carico di violenza ricattatoria contro l’essere umano. Chi condanna la violenza, anche nelle sue forme simboliche, dovrebbe essere in prima linea nel condannare una violenza che spoglia donne e uomini della dignità che costituisce il fondamento della loro identità [...]
Roma pronta ad ospitare due cortei. A partire dalle 13,30. Presenti i partiti di sinistra
Piazza di Fiom e Cgil. Almeno mezzo milione
Oggi le tute blu della Fiom scendono in piazza a Roma per il lavoro e i diritti. Con loro lavoratori di tutte le categorie, precari, studenti e migranti. Due i cortei, da piazza della Repubblica e piazzale dei Partigiani.
di Luigina Venturelli (l’Unità, 16.10.2010)
L’annuncio di una grande manifestazione nazionale della Fiom, lanciato in piena estate da un’assemblea nello stabilimento napoletano della Fiat, passò quasi sotto silenzio: erano i primi giorni di luglio, l’accordo di Pomigliano sembrava ancora un caso isolato, l’ultimatum di Marchionne pareva quasi una scelta obbligata. Da allora sembrano passati anni, non pochi mesi: il Lingotto ha ulteriormente delocalizzato e licenziato chi protestava, Federmeccanica ha disdetto il contratto nazionale dei metalmeccanici, il governo non ha mosso un dito contro la crisi ma ha tirato dritto sul ddl lavoro e sulla riforma dello Statuto dei lavoratori.
PER IL LAVORO E LA DEMOCRAZIA
Oggi l’allarme lanciato dalle tute blu della Cgil sul rischio di una generale diminuzione dei diritti del lavoro ha assunto la forma e la sostanza dell’evidenza. Si era parlato di 100mila persone attese oggi a Roma, poi le stime sono salite a 500mila, e ieri sera la segreteria del sindacato si limitava a lamentare l’impossibilità di trovare più un mezzo pubblico disponibile per raggiungere la capitale dalle varie regioni d’Italia. La Fiom scende in piazza per «i diritti, la democrazia, la legalità, il lavoro e il contratto nazionale». E accanto a lei sfilano migliaia di cittadini convinti della necessità di respingere «l’attacco su più fronti» che sta colpendo il lavoro, «bene comune che deve tornare elemento centrale» nella società e nella politica.
L’appuntamento è per le 13.30: i due cortei partiranno da piazza della Repubblica e piazzale dei Partigiani e, attraverso il centro cittadino, si riuniranno in piazza San Giovanni, dove il leader della Fiom Maurizio Landini prima, e quello della Cgil Guglielmo Epifani poi, terranno i comizi conclusivi. Prima di loro interverranno lavoratori, precari, studenti e associazioni: dagli operai di Melfi illegittimamente licenziati dalla Fiat al fondatore di Emergency Gino Strada, dai rappresentanti di Libera al Popolo viola, dal Comitato contro la privatizzazione dell’acqua agli emigranti. E poi tutto il mondo della scuola, studenti, insegnanti, ricercatori e genitori, quello del volontariato e quello dell’ecologia. Non mancherà, ovviamente, il centrosinistra: il Pd non ha aderito come partito, ma parteciperanno molti suoi esponenti, mentre ci saranno al gran completo Italia dei Valori, Sinistra Ecologia Libertà, e Federazione della Sinistra.
Intervista a Maurizio Landini
«Abbiamo già vinto Grazie a noi si parla di lavoro e democrazia»
Il segretario Fiom: «Sarà una piazza pacifica Chi non condivide i principi della democrazia e della non violenza è bene che non venga»
di Luigina Venturelli (l’Unità, 16.10.2010)
Da giorni i centralini della Fiom sono intasati di telefonate da tutta Italia. Lamentano l’assenza di mezzi pubblici per soddisfare le richieste di chi vuol partecipare alla manifestazione: le Fs non hanno fornito nemmeno la metà dei treni richiesti dal sindacato, di pullman non se ne trovano più, ormai ci si organizza con le auto tra amici. Ma il governo non parla delle ragioni di questa imponente mobilitazione di massa. Preferisce lanciare allarmi preventivi.
Landini, come giudica questo gran parlare di sicurezza? Un tentativo per sviare l’attenzione dalla sostanza della mobilitazione?
«Penso di sì. Quella di domani (oggi per chi legge, ndr) sarà una grande manifestazione. Anche quanti tentano di inasprire il clima sono consapevoli dell’ampio livello di partecipazione previsto, sia tra i lavoratori metalmeccanici, sia tra le persone convinte che una politica di difesa dei diritti corrisponda ad una politica per uscire dalla crisi economica molto diversa da quella proposta da governo e Confindustria. E per questo provano a parlare d’altro».
Per togliere di mezzo ogni dubbio, alla Fiom risultano rischi di scontri o infiltrazioni violente?
«No. Per le persone che rappresentiamo e per le associazioni della società civile che ci hanno comunicato la loro adesione, non ci risulta alcun allarme. Del resto abbiamo detto con estrema chiarezza che chi non condivide i principi della democrazia e della non violenza, che stanno alla base della manifestazione, è bene che non venga. Se poi il ministro sa di possibili infiltrazioni dall’estero, è questione di stretta competenza del ministero, che deve garantire la sicurezza non solo dei manifestanti ma dei cittadini in generale».
Che cosa pensa delle parole di Maurizio Sacconi: «Quando arriverà il morto, saranno in molti a condannare»?
«Sono parole irresponsabili, soprattutto perché pronunciate da un ministro con generali responsabilità di governo. Chi dà lezioni di linguaggio, dovrebbe cominciare da sé. E dovrebbe rispettare la storia di questo Paese: se c’è una democrazia, è perché qualcuno ha lottato per conquistarla, e questo qualcuno è proprio il movimento dei lavoratori».
Il che ci riporta alle ragioni della manifestazione.
«Le ragioni che ci hanno spinto ad organizzarla sono sempre più confermate dall’attualità. È in corso un attacco ai diritti senza precedenti, a cominciare dalla cancellazione del contratto nazionale di lavoro, sulla falsa premessa che si tratti di un passo necessario a superare la crisi economica. E manca democrazia nei luoghi di lavoro, da cui la pratica degli accordi separati: se i lavoratori non possono esprimersi e votare, come possono scegliere in caso di opinioni diverse tra i sindacati?».
È questo che dirà nel suo intervento conclusivo? Tornerà anche a chiedere uno sciopero generale della Cgil?
«Dopo una grande manifestazione è necessario continuare la mobilitazione, sia per garantire la partecipazione delle persone che ne condividono le motivazioni, sia per raggiungere risultati concreti, riaprendo le trattative sui temi che ci stanno a cuore».
Quali potrebbero essere le conseguenze politiche del corteo?
«La mobilitazione della Fiom ha già raggiunto un primo risultato: ha riportato il lavoro al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico. In questi mesi abbiamo tenuto molte assemblee nelle fabbriche ed altrettante iniziative pubbliche con cittadini, giovani ed associazioni, ed era molto tempo che non vedevo centinaia di persone discutere per ore di lavoro, diritti ed uscita dalla crisi. Se questa attenzione si consolidasse, sarebbe già un forte elemento di novità sociale e politica».
Chi criminalizza la protesta
Il pacifico «dissenso» della Fiom
di Enzo Mazzi (l’Unità, 16.10.2010)
La grande manifestazione di “pacifico dissenso” della FIOM e non solo che si tiene oggi a Roma è stata pericolosamente colpita dal lancio verbale di ordigni incendiari da parte di Maroni, in una specie di carica preventiva. E’ apparsa pericolosamente più vicina l’illiberalità della Cina verso il dissenso. La critica alla Cina, sebbene pericolosa per via degli interessi economici, è un po’ scontata. Meno scontata anzi sottaciuta se non coperta da una coltre di omertà politica e mediatica è la critica alle democrazie occidentali. L’Italia non fa eccezione.
Solo alcuni esempi più eclatanti, oltre a questo inquietante attacco di Maroni contro la manifestazione di oggi. Furono considerati “delinquenti” i pacifisti dissidenti verso il G8 di Genova pestati a sangue nella caserma di Bolzaneto; delinquenti i neri di Rosarno, quelli di Cagliari.
Ed ora, altro esempio inquietante, il 5 novembre prossimo si svolgerà a Firenze il processo d’appello per 13 persone condannate in prima istanza nel 2008, addirittura a sette anni di reclusione per aver manifestato nel maggio del 1999 contro i bombardamenti NATO sulla Serbia, per dire no a un’operazione militare decisa fuori dall’Onu, cosa che non succedeva dalla fine della seconda guerra mondiale, in contrasto con la Costituzione che “ripudia la guerra”.
Il corteo fu del tutto pacifico, posso testimoniarlo perché c’ero anch’io, non erano presenti Black Bloc e si concluse sotto il Consolato americano. Improvvisa una violenta carica dei Carabinieri. Fuggi fuggi a mani alzate, qualcuno pestato a caso, una ragazza quasi perse un occhio, lacrimogeni ad altezza d’uomo. Vennero individuate 13 persone - a posteriori, non identificate in loco - denunciate, processate e condannate appunto a ben sette anni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale aggravata dal loro numero. Dissenso uguale sovversione o invece sacrosanta difesa della Costituzione?
Non va dimenticato che i bombardamenti furono decisi al termine di trattative tra NATO e Federazione Jugoslava, nel febbraio 1999, a Rambouillet. I giochi erano già fatti prima di cominciare. Gli Stati Uniti pongono a Belgrado un ultimatum irricevibile col quale, di fatto, le milizie NATO avrebbero pieni poteri in tutto il paese. Lo denunciò Lamberto Dini e lo tesso Henry Kissinger dichiarerà: “Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia, era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento” (Daily Telegraph, 28 giugno 1999).
Deve essere responsabilità di tutti a livello isituzionale e di società civile allontanare dall’Italia lo spettro dell’illiberalità cinese contro il pacifico dissenso: quello delle tute blu di oggi come quello dei pacifisti del maggio 1999.
Il ricatto è violenza di Moni Ovadia (l’Unità, 16.10.2010)
Oggi siamo in piazza per manifestare a sostegno della Fiom e contro il governo. Personalmente ho aderito alla manifestazione senza esitare non solo per essere vicino ai lavoratori in un momento drammatico per il presente e il futuro loro e dei loro figli, ma anche per partecipare ad una lotta decisiva e dare futuro allo statuto di dignità e di sacralità dell’essere umano in quanto tale.
L’attacco ai diritti dei lavoratori condotto in nome delle ragioni della prepotenza mercantile non è più questione politica, né sindacale o socio economica. È molto, molto di più. È questione che attiene al senso stesso della vita, alla dimensione etica e spirituale dell’esistenza umana.
Le argomentazioni del padronato fatte proprie anche da una parte delle rappresentanze sindacali e da politici disinvolti si pretendono fondate sul buon senso, si qualificano come risposta alle trasformazioni dei rapporti di produzione e di scambio create dalla globalizzazione. In realtà si fondano su un assunto assiomatico che si vorrebbe asettico mentre è ideologico e spietato. La mondializzazione crea un mercato aggressivo? I finanzieri provocano la crisi che devasta le economie e le vite di milioni manipolando algoritmi separati dall’economia reale? Utilizzano i soldi pubblici per ricominciare i loro traffici di devastazione? Non c’è che una soluzione. I lavoratori scelgano: o il lavoro sottopagato con ritmi bestiali o i diritti. E se il mercato diventasse ancora più aggressivo quale alternativa verrebbe posta ai lavoratori, lavoro schiavistico o morte per fame?
La contrapposizione alternativa fra diritti e lavoro sottende un carico di violenza ricattatoria contro l’essere umano. Chi condanna la violenza, anche nelle sue forme simboliche, dovrebbe essere in prima linea nel condannare una violenza che spoglia donne e uomini della dignità che costituisce il fondamento della loro identità.
Fiat/Democrazia. Un’associazione a sostegno della Fiom
di: Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti *
La prima ragione della nostra indignazione nasce dall’assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c’è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell’impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.
La seconda ragione della nostra indignazione, quindi, è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l’essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell’ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l’esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all’interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
L’idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l’attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l’egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.
Ci indigna infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l’individualizzazione del rapporto di lavoro, l’aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell’ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l’affettività dei diritti stessi.
Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all’altezza della sfida?
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell’agenda politica: nell’azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall’autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un’associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un’azione adeguata con l’intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno.
* Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti
* il l manifesto, 29.12.2010
Le tute blu della Fiom invadono Roma Epifani: "Adesso lo sciopero generale"
Decine di migliaia in piazza con
la Cgil.
I cortei senza incidenti.
Landini: "Numeri? Contate voi" *
ROMA La pacifica invasione delle tute blu a Roma si conclude che è quasi sera. Sfuma il timore di incidenti, paventato anche dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Sono arrivati da tutta Italia e tornando a casa si sentiranno meno soli, e forse quel lungo striscione che recitava «l’indifferenza uccide, gli operai producono per tutti, rispettateli», portato da lavoratori e studenti, ha davvero reso l’idea dello spirito della manifestazione.
Una manifestazione che ha sfilato, con due cortei, nel cuore della capitale, con slogan e striscioni ma anche con pupazzi che che hanno preso di mira governo e imprenditori. E quando nel pomeriggio la testa del corteo è arrivata in piazza S.Giovanni e l’ha letteralmente colorata di rosso con le bandiere dei metalmeccanici, molti manifestanti dovevano ancora partire da piazza della Repubblica. Nessun dato ufficiale dagli organizzatori. «Contateci voi», dice il leader Fiom, Maurizio Landini dal palco. Parla solo un sindacalista di lungo corso come Giorgio Cremaschi che stima «circa un milione di persone».
Qualcuno azzarda stime più modeste, ma si parla sempre di centinaia di migliaia di manifestanti, forse di 300 mila. Difficile un conto. Da Piazza della Repubblica è partita la parte più consistente del corteo con in testa gli operai di Pomigliano, studenti, docenti e rappresentanti delle associazioni di volontariato, oltre ai centri sociali. Ma anche le tute blu della Fiat giunte nella Capitale dallo stabilimento campano e quelle arrivate da Termini Imerese. E i tre operai della Fiat di Melfi, licenziati e reintegrati da un giudice. Durante il corteo non sono mancate le critiche al segretario della Cgil; su un cartello si leggeva «Epifani con Cisl e Uil lascia stare. C’è bisogno di lottare». Mentre sul palco dietro la scritta «Il lavoro è un bene comune», slogan della manifestazione, alcuni operai hanno sorretto pannelli su cui erano riportate le parole Legalità, Democrazia, Diritti, Lavoro.
E durante i due cortei che hanno sfilato senza incidenti si sono incontrati i finti Bossi o Berlusconi con cartelli che recitavano «la crisi per me non c’è» o «l’appetito vien mangiando». Poi un finto Marchionne che frusta gli operai. E false banconote da 50 euro che raffigurano il volto del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, sono state lanciate in aria da alcuni manifestanti. A sfilare anche decine di infermieri dietro lo striscione "Ci avete tolto l’ultima goccia di sangue" e con al braccio dei lacci emostatici. E tra i cartelli esposti dagli operai anche qualcuno contro la Cisl e il suo segretario: in uno Raffaele Bonanni viene raffigurato con sotto la scritta «infame maggiordomo», mentre in un altro è disegnato un operaio con la tessera della Cisl definita «il sindacato dei paraculi». Ed è sera quando si arrotolano striscioni e portano via fischietti e cartelloni, la giornata è stata "discretamente sorvegliata" dalle forze dell’ordine e in piazza rimangono i cartelloni con le cinque parole d’ordine della manifestazione: diritti, democrazia, legalità, lavoro, contratto.
In piazza con le tute blu anche molti volti della politica - da Nichi Vendola (Sel) ad Antonio Di Pietro (Idv) - e poi associazioni, movimenti e centri sociali. Sul palco sembra tornare anche la sintonia tra Cgil e Fiom. Il numero uno dei metalmeccanici, Maurizio Landini, chiede lo sciopero generale. La piazza incalza il leader della confederazione di Corso d’Italia, Guglielmo Epifani, che dice di sì: «In assenza di risposte» lo faremo. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, attacca invece una piazza che è un «retaggio di questi maledetti anni Settanta». È «pacifica, democratica e non violenta», replicano Landini ed Epifani. «Sì ai diritti, no ai ricatti. Il lavoro è un bene comune», lo slofan dela manifestazione con le cinque parole d’ordine: diritti, democrazia, legalità, lavoro, contratto. «Siamo in piazza per difenderli», dice dal palco Landini. Parla del contratto nazionale e dell’ «attacco» venuto dall’accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano e sulle deroghe (entrambi non firmati dalla Fiom); chiede, come Epifani, una politica diversa per uscire dalla crisi, insiste su nuove regole per la democrazia sindacale.
«Il Paese sta rotolando, da mesi è lasciato a se stesso», incalza Epifani, che parla di un governo «debole» e difende la scelta della Fiom di non accettare le deroghe. «Abbiamo il dovere di continuare questa battaglie e per continuarla si deve arrivare alla programmazione dello sciopero generale», dice Landini nel suo intervento. Dopo la manifestazione della Cgil del 27 novembre, «in assenza di risposte, continueremo la nostra iniziativa anche con lo sciopero generale. È una delle armi che può essere utilizzata, anche se non l’unica», risponde Epifani, tra gli applausi della piazza. Per lui è l’ultima manifestazione, l’ultimo comizio; il 3 novembre lascerà la guida della Cgil a Susanna Camusso.
Nella piazza ci sono anche gli operai degli stabilimenti Fiat di Pomigliano, di Termini Imerese, di Melfi (a partire dai tre licenziati dall’azienda e reintegrati dal giudice del lavoro). Il "bersaglio" è la Fiat, è Federmeccanica. A loro «abbiamo detto di no» e «diremo sempre di no quando si vogliono cancellare i diritti ed il contratto», afferma Landini. È il governo: «Ha fatto poco e male, ha diviso i sindacati e questo è un rimprovero che io farò sempre», ripete Epifani, sostenendo che «la Cgil non è isolata. Semmai è qualcun altro che deve interrogarsi perchè in Europa si battono e scioperano tutti e qualcuno da noi non lo fa».
* La Stampa, 16/10/2010