Stanotte sono andato a dormire con una frase di Giampaolo Spinato, «lasci ai suoi sogni le bestemmie che urgono per vivere, o a un’altra vita, forse».
Ho guardato indietro e avanti, in casa pacchi di libri, fogli, scritti. Parole, storie. Chiusi per l’ennessimo trasferimento, per disporre in diverso ordine quella memoria di testi, capitoli del mio pensiero, della mia vita. E’ la pratica d’ogni emigrato, forse una necessità personale, esistere nella sfera degli altri.
Non hai sede, tutto è temporaneo, fugace. Ti consoli con la filosofia, robusta o spicciola. Poi un sorriso all’amico aiutante, Alessandro "Testa 57, oggi 62", puntualmente in ritardo ma presente. Pile di scontrini, biglietti di viaggio, appunti dimenticati, lettere di denuncia, locandine d’iniziative: gennaio 2008, a Messina con Sonia Alfano; giugno 2007, Festival internazionale della Filosofia in Sila; ottobre 2010, in Friuli con Saverio Alessio. E, ancora, una nota del 2008 ad Andrea Vianello, per segnalare a "Mi manda Rai 3" il caso d’una giovane rovinata dalla presunzione d’un chirurgo; nel 2009 una fitta corrispondenza con l’Asl di Pescara che sospese l’accompagnamento ad Antonella, terribili e mortificanti pastoie burocratiche, ingiuste, sino alla morte della mia amica, a cui tenni la mano, l’ultima volta, il 31 dicembre scorso in una stanza dei Riuniti di Bergamo.
A un anno quasi, non ho accettato che Antonella è andata via all’improvviso; senza che abbia potuto ripeterle che sono, e resto, un «cafone calabrese», che c’è un mio libro che l’aspetta, che la mafia, pure quella di chi s’è blindato nell’indifferenza per lasciarti vuoto e dolore, non è più forte dei puri. Avrei voluto ancora passeggiare con lei per le vie del centro della nostra Bergamo, e portarla all’Orio Center o in cima a San Vigilio, e da lì guardare la città ascoltandola raccontarsi.
E’ nato Massimo, un dono, e ho sentito sua mamma, la figlia d’Antonella, con la gioia della vita che continua, dell’amore che non finisce, si replica, s’infonde. Quell’amore che non ho saputo esprimere come semplice artigiano di parola, e neppure provare fino in fondo nella mia vita di viaggi, corse, scontrini, fughe, stazioni.
Mi sento come l’amico Mauro Minervino che descrive il suo peregrinare inquieto per la statale 18, arteria della costa tirrenica calabrese. Solo che lui in Calabria ci vive, ci dimora sempre nel suo patire, nel suo sperare. E’ lì, anche se da osservatore vagante, antropologo perenne, pesce fuor d’acqua, alieno pericoloso agli occhi del potere. Uno strano personaggio per tanti, abituati all’orrore del cemento che ha devastato quasi ogni angolo della terra, selvaggia e struggente. Io non ci sono più, invece: ci torno col cuore nella mia Calabria; a volte, e per un attimo, col corpo dissociato dalla mente, che fa i conti col lavoro, le scadenze, le bollette, la spesa, i piatti, i panni, i sogni di giovane appeso alla sua precarietà. Di ragazzo che canta spontaneamente ogni mattina, con l’animo latino d’allegria malinconica; di uomo che non brama postazioni di comando, figa e conti all’estero.
Spulciando fra le carte degli ultimi cinque anni, ho rivisto il quadro del mio vagare. Le battaglie, gli slanci, le figure incrociate, conosciute, rimaste, perdute. Massimiliano, il mio compagno di banco del liceo, anche lui mi ha salutato di colpo in questo anno: un assurdo incidente in moto, eppure non correva mai, non sbagliava mai, tanto era attento, scrupoloso, ricco dentro. Chissà se l’emigrazione non ci avesse dispersi; chissà, se non ci fosse stato questo fenomeno che abbiamo accettato collettivamente, forse per sentirci al passo coi tempi, reputandolo inevitabile e perfino necessario. E Domenico, insieme alle medie, spentosi in ospedale in due settimane. Una malattia impensabile, proprio quando aveva dato un senso alla sua vita. Penso a suo figlio, stesso nome, nato poi, in questo mondo d’incertezza, ambiguità e resistenza viva.
Rammento che i miei genitori a settant’anni hanno dovuto stabilirsi al Nord per curarsi «fuori regione», come dice l’amministrazione pubblica, e ho davanti l’immagine di Salvatore Borsellino, incontrato nei miei andirivieni da idealista testardo. Salvatore che mi fa una carezza come padre; Salvatore che mi volge i suoi occhi teneri e mi passa la tensione dei bambini, i soli aperti alle possibilità, che scrivono con le virgole, senza mettere punto.
Rileggo, poi, le mie lettere d’amore, i bigliettini, le frasi che non sono mai uscite in pubblico e forse nemmeno entrate in privato. E in tutta questa tempesta di emozioni, so che gli aquilani una casa non ce l’hanno, che molti operai hanno perso il lavoro e devono campare famiglia. Aziende che hanno chiuso, studenti che non avranno la borsa di studio e manco una stanza, grazie alla riforma cieca della ministra Gelmini e della destra illiberale al governo.
Sul finire dell’anno, ho visto da vicino la storia di Lea Garofalo, sciolta nell’acido perché aveva scelto di parlare con la giustizia, di combattere la ’ndrangheta che l’aveva costretta a fuggire. Molto più di me, che ho negli altri, e soprattutto nei più giovani, la mia casa senza affitto.
Ci sono ancora motivi e pagine, capitoli di lotta. Ed è per questo che il mio cuore è ancora carico di passione, d’amore.
Ciascuno «lasci ai suoi sogni le bestemmie che urgono per vivere, o a un’altra vita, forse».
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Emiliano Morrone e Carmine Gazzanni
Con le braccia protese. Sia stando in piedi che in ginocchio, le palme delle mani venivano a volte protese verso i cieli, oppure le mani erano alzate o protese in avanti come per supplicare. A volte si sollevava il viso o si alzavano gli occhi al cielo.
Le Scritture abbondano di riferimenti a posizioni del corpo e gesti, e la descrizione che ne fa la Bibbia basta a dimostrare che erano molto simili a quelli tuttora in uso nel Medio Oriente. Gli orientali sono molto più espansivi e disinibiti nell’esprimere i propri sentimenti di quanto lo siano molti popoli occidentali. Sia accompagnati da parole che senza parole, atteggiamenti e gesti assumevano considerevole forza e significato.
Preghiera e omaggio. In piedi. Presso gli ebrei e molti altri popoli menzionati nella Bibbia non c’era una posizione stabilita per la preghiera. Tutti gli atteggiamenti assunti erano molto rispettosi. Quella di stare in piedi era una posizione comune nel pregare, ed è menzionata anche da Gesù. Immediatamente dopo il battesimo, Gesù stava evidentemente pregando in piedi quando il cielo si aprì e lo spirito santo in forma corporea simile a una colomba scese su di lui, mentre la voce stessa di Dio parlava dai cieli.
Perciò l’apostolo Paolo dice che Dio è “provato giusto [forma di dikaiòo]” nelle sue parole e vince quando viene giudicato dai diffamatori. Gesù disse: “Che la sapienza sia giusta è provato dalle sue opere”. Poi aggiunse che quando dovranno rendere conto nel Giorno del Giudizio, gli uomini saranno ‘dichiarati giusti [forma di dikaiòo]’ o condannati dalle loro parole. Gesù disse che l’umile esattore di tasse che pregava contrito nel tempio “scese a casa sua più giustificato” del vanaglorioso fariseo che pregava contemporaneamente.
Anno nuovo, "Vita Nuova"...Per la stragrande maggioranza purtroppo, Vita nuova significa (Peggio di quella di prima) Ma! chi e’ saggio e usa perspicacia ragionando ed investigando...cambia sempre in meglio per il suo stesso bene della famiglia e della societa’. (Ripeto; Questi saranno solo una "minoranza"che riceveranno i "Doni negli uomini")
(1 Corinti 13:1-13)
Se parlo le lingue degli uomini e degli angeli ma non ho amore, son divenuto un [pezzo di] rame risonante o un rimbombante cembalo. 2 E se ho il dono di profezia e conosco tutti i sacri segreti e tutta la conoscenza, e se ho tutta la fede da trapiantare i monti, ma non ho amore, non sono nulla. 3 E se do tutti i miei averi per nutrire altri, e se consegno il mio corpo, per potermi vantare, ma non ho amore, non ne ho nessun profitto. 4 L’amore è longanime e benigno. L’amore non è geloso, non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta indecentemente, non cerca i propri interessi, non si irrita. Non tiene conto del male. 6 Non si rallegra dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. 7 Copre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. 8 L’amore non viene mai meno.
Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma ora che son divenuto uomo, ho eliminato i [tratti] del bambino.
(Tratti, Tatto, Ragenevolezza, Perspicacia, Sprono, Incoragiamento,Simpatia-Empatia...Rispetto per il Sentimento altrui) (Piangi con chi piange) Non e’ mica dare segni di debolezza praticare questi pregi e doni negli uomini e donne come la maggiranza pensa! NO"! NON lo E’..... Basti pensare che solo una "minoranza" lo sa fare e praticare.
Trovare Dio nel deserto dell’anima
di Giorgio Montefoschi (Corriere della Sera, 29.12.2010)
Secondo la scarna descrizione che di lui fecero fra’ Eliseo de los Martires e fra’ Girolamo di San José, Juan de la Cruz, Giovanni della Croce - uno dei più grandi mistici dell’Occidente - era di statura medio piccola e ben proporzionato nel corpo; il volto, moro, aveva una fronte ampia e spaziosa, naso appena aquilino, barba a mezzo pelo, occhi neri profondi e incoraggianti; il portamento era distinto e grave e, nella sua modestia e mitezza di tratto, irradiava una impronta di nobiltà spirituale, di serenità, e di calma.
Ma, dietro a quella mitezza e a quella serena calma, si celava una volontà di ferro: la volontà che nel corso della sua non lunga vita (era nato, da una famiglia povera, nel villaggio di Fontiveros, vicino ad Avila, nel 1542, morì nel convento di Ubeda, in Andalusia, mentre i confratelli gli leggevano brani del Cantico dei Cantici, il 13 dicembre del 1591), gli consentì di lottare con tutte le sue forze per la riforma dell’ordine del Carmelo a cui apparteneva (in questo vicinissimo a Santa Teresa d’Avila, che aveva incontrato nel 1567 e procedeva in questa stessa linea, fondando conventi «teresiani» dal Nord al Sud della Spagna); gli dette il coraggio e la pazienza di sopportare le contestazioni e le umiliazioni dei carmelitani che rimanevano calzati e vedevano come perturbatori della conservazione gli scalzi, e per circa un anno un duro carcere; la convinzione interiore di non doversi arrendere in alcun modo e per nessun motivo all’idea che la vera riforma della Chiesa non andava impiantata sulla ortodossia del pensiero e della dottrina, bensì cercata e risolta nel cuore dell’uomo addormentato in una fede affievolita, o spenta.
Le sue poesie, fortemente improntate dal Cantico dei Cantici, il libro amoroso e mistico per
eccellenza, descrivono l’Amore: il dolore insopportabile che si prova per la lontananza o l’assenza
di chi è amato e si nasconde; lo sgomento della solitudine; i misteriosi tocchi d’amore che, per sua
volontà imperscrutabile, l’amato concede improvvisamente a chi ama e invece si sente abbandonato
e ferito, come prigioniero nel ventre di una bestia, e poi improvvisamente vede un lampo che, però,
di nuovo lo acceca e lo ferisce, dal momento che è un lampo, e scompare; infine, le dolcezze
sublimi dell’unione, ineffabili, paragonabili con molta approssimazione a un naufragio di una luce
piccola in una luce immensa, di un suono in una musica silente. Sono poesie meravigliose. A chi lo
interrogava su quale fosse l’origine di questi versi così ricchi e belli, rispose: «A volte era Dio a
darmeli, a volte ero io a cercarmeli». Li cercava - come fa ogni poeta, ogni scrittore, ogni artista
nel buio più assoluto: vera condizione, imprescindibile, per la creazione.
È lo stesso buio, la tenebra, che è al centro dei suoi Commentari - la Salita al Monte Carmelo, la Notte Oscura, il Cantico Spirituale, la Fiamma d’amore: vale a dire, i lunghi commenti che seguono le Canzoni, nei quali, appunto, si specchiano il verso e la prosa, i percorsi niente affatto dissimili del poeta e dell’uomo che insegue Dio e da Dio è inseguito - perché tutto, tutto comincia da lì. Comincia dal buio che l’anima sente nella mancanza d’amore, e lì finisce: nella tenebra che Dio impone all’anima per poterla accogliere nuda, smarrita nel buio, dentro di Sé.
Nessuno, mai, è riuscito a raccontare questo cammino dalla tenebra alla tenebra, e dalla tenebra alla luce, come ha fatto Juan de la Cruz. Nessuno, mai, ha tracciato una salita tanto ardua, priva di ogni consolazione, comprese quelle ultraterrene. Nessuno, mai, ha concepito per l’anima un abisso così profondo. La Sposa è già in una notte oscura, eppure è infiammata d’amore: un amore che non riesce a definire e la sovrasta, e che forse, in una sua precedente visita, le ha regalato lo Sposo. Quindi, esce dalla sua casa addormentata, esce dalla prigione dei sensi, e va a cercarlo. Ma, per trovarlo, deve andare dove lui si è nascosto e dove, dunque, deve lei stessa nascondersi; deve ridursi a una tenebra ancora più oscura: e spogliarsi, annullare ogni conoscenza terrena, ogni conoscenza dell’intelletto, ogni tentazione della memoria, ogni folle presunzione della fantasia; deve annichilirsi nel corpo e nello spirito come, nel Getsemani e sulla Croce, fece Gesù.
«Per giungere a ciò che non sai» , scrive Juan de la Cruz nella Salita al Monte Carmelo, «devi passare per dove non sai; per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove non hai niente; per giungere a dove non sei, devi passareper dove ora non sei; per giungere interamente al tutto, devi rinnegarti totalmente in tutto» .
L’anima, insomma, deve conoscere Dio attraverso ciò che Egli non è, piuttosto che attraverso ciò che è; deve farsi arida e vuota come il deserto (deve andare nel deserto in cui andò Gesù); deve sentirsi tradita, abbandonata, morta, sola. Ma ecco che in quel momento, quando penserà di essere infinitamente lontana da Dio, sentirà un «tocco amoroso» che la sconvolge, una voce forte e dolce che la chiama, e capirà che mai più di quel momento è stata vicina a Dio: che non è fuggito, è in lei tutto nascosto, e la sta chiamando.
Come è possibile questo amore? Come è possibile amare chi non si conosce? Come è possibile, nel buio, questo amore del buio? Come è possibile che io vada a cercarti - dice la Sposa allo Sposo - se «quello che capisco mi piaga e mi ferisce d’amore e quello che non riesco a comprendere mi uccide?». È possibile - le risponde lo Sposo - perché io non ti ho abbandonata mai, io ti amata da sempre, prima che tu lo sapessi, e ti amerò per sempre. La Sposa trema, incredula, a queste rivelazioni che di colpo squarciano la tenebra fitta, e balbetta d’amore, non sa che dire. Allora, l’Amato le infonde nel cuore una immensa, pacifica e amorosa certezza: il calore che non si consuma mai della fiamma. E l’anima brucia e non si consuma in quella fiamma. È rapita e si perde in quella pacificante luce. E - come accade nel Fedro, e alla fine del Verbo degli uccelli, il poema mistico medievale del persiano Attar, come accade in ogni amore vero - la bellezza dell’Amata e dell’Amato si specchiano e si confondono.
* San Juan de la Cruz o Giovanni della Croce nacque in Spagna nel 1542 e morì nel 1591. Fondatore dei Carmelitani Scalzi, fu beatificato nel 1675 e canonizzato nel 1726. Il volume contenente Tutte le opere di Juan de la Cruz, con testo spagnolo a fronte, è curato da Luigi Bracco (Bompiani, pagine CXCVIII-2330, € 45) e fa parte della collana «Il pensiero occidentale» , diretta da Giovanni Reale.
Guardi; Sig. Giovanni della croce che miracoli non se ne fanno piu’ ora! Sssiii che si fanno...ogni istante...come l’erba e i fiori che crescono e i bambini che nascono. Il miracolo dell’ amore si avvera solo se noi operiamo a favore di conseguenza per farlo venire ed avere..."C’e’ piu’ felicita’ nel dare che nel ricevere" "Cerca che trovi, Bussa che ti sara’ aperto" (ti devi dare da fare insomma).
Giovanni della croce era e visse alcuni secoli fa’ e credeva ai miracoli come per esempio a quello di Tarsio (L’Apostolo Paolo) che ricevette la visione e in un istante si converti’ anche in breve tempo....ora invece nei nostri giorni non e’ piu’ cosi’ dobbiamo sudare, studiare, operare se vogliamo imparare ad amare e si deve anche lavorare per guadagnare e poi distribuire ad altri che non hanno.
La tunica non fa’ il monaco. Bisogna avere anche una famiglia a carico ed imparare e farsi un’esperienza con essa (la famiglia! altrimenti come impariamo!) Non dobbiamo essere egoisti! Dicendo che tu sarai "Salvato" Non dirlo mai; lascia il giudizio a Dio. Concentriamocci a servire Dio tramite l’esempio che ci lascio’ il suo figlio Cristo Gesu’ e camminiamo nelle sue orme; non possiamo sbagliare. Ma! lui non era sposato...allora tu non ti sposare come Gesu’ ma veramente sei come Gesu’ che disse che anche se guardiamo una donna da provare passione sessuale per lei e con lei ...commettiamo fornicazione immorale. Ma! Lui caccio’ anche i falsi mercanti del Tempio con una frusta....lascia stare la frusta tu ed io non ne abbiamo il poterre di farlo!
Certo che Dio e Gesu’ non ci abbandoneranno mai; ma! sempre se siamo attivi in tutto quello che Loro hanno detto di fare e praticare e non chiudendosi in un convento aspettando qualche miracolo non sapendo e non avendo neanche il desiderio con esattezza di che’ miracolo hai bisogno! Evita gli estremi sacrifici; (come quello del giovane Norveggese che voleva e vorrebbe cambiare il mondo uccidendo) VAI! In Piazza (letterale e simbolioca) e grida a squarcia gola.
Pratica la VERITA’ dimostrandoti d’essere libero e libera gli altri....aiutandoli. Studia pittosto e acquista accurata conoscenza della parola di Dio ed evita le tradizioni e il formalismo mondano; cerca Dio facendo il primo passo e Dio ne fara’ due verso di te. Il padre del figliol Prodigo...corse incontro al suo figlio che si sperpero’ i soldi dell’eredita’ con le prostitute ma che poi dopo; avendo finito i soldi mangiava con i porci le carrupe.
Sai che il fratello maggiore che era rimasto col padre si fece geloso? Noi non dobbiamo essere gelosi per alcun motivo ....Non ne abbiamo il permesso....solo servi Dio anche fino alla fine dei tuoi giorni e non vedrai mai un miracilo...poiche’ Dio ti risuscitera’ qui sulla terra al tempo appropriato e profetizzato per darti una migliore posizione di prima con la prospettiva di vivere per sempre qui sulla terra. Il resto delle persone del mondo vivono per la gionata e non pensano al domani...i governi li tengono legati a dei fili e li manovrano...mentre anche loro sono manovrati da satana il diavolo per fare c’io’ che e’ sbagliato e praticare, tramite vizi, immoralita’ e corruzione.
Abbi il coraggio di dimostrarti che sei "differente" meglio di chi cerca di esserlo con l’egoismo!
Distinti saluti a tutto lo staff.