[...] Come modello, nell’Anno Paolino c’è l’Apostolo delle genti. Un promotore di dialogo e cultura. Non a caso l’incontro vedeva ieri seduti al tavolo con Bagnasco, la Gelmini, Annicchiarico e la sua vice, suor Feliciana Moro, anche il responsabile nazionale del Servizio nazionale per il progetto culturale Vittorio Sozzi e il vice Ernesto Diaco, che oggi prenderà la parola nella seconda giornata di lavoro. Più volte, infine, è ritornato l’accorato appello di Benedetto XVI sull’«emergenza educativa». E domani circa 8mila insegnanti da tutta Italia saranno ricevuti in udienza per la prima volta da Ratzinger [...]
Berlino. Se la capitale laica si divide sull’ora di religione
I gruppi "Pro Reli" e quelli "Pro Ethik" domenica si sfidano sull’ingresso delle confessioni a scuola Uno scontro culturale e politico che via referendum rischia di ricreare il muro tra Ovest e Est
Da una parte, con la Cdu-Csu, gruppi cattolici, protestanti, ebrei e musulmani
Dall’altra i sostenitori della lezione di etica: "Una materia che unisce tutti"
di Andrea Tarquini (la Republica,24.04.2009)
Una guerra sulla religione a scuola, un Kulturkampf, spacca Berlino e la Germania, e domenica gli elettori della capitale diranno chi vincerà. Sembra un paradosso, ma proprio la capitale, che è la più laica e atea tra le grandi città tedesche, è chiamata a decidere quali devono essere il posto e di fatto il rapporto di forze tra etica non confessionale e religioni nell’insegnamento e nella società. Lo scontro mobilita partiti, associazioni civiche, media e vip. E soprattutto polarizza più che mai, divide destra e sinistra democratiche, a volte con toni da guerra fredda. Il suo esito sarà rilevante anche in vista delle elezioni politiche di dicembre.
Due milioni e quattrocentomila persone, tanti sono i berlinesi aventi diritto di voto, sono chiamati a esprimersi al referendum che "Pro Reli", cioè "Per la religione", un’associazione di base di cattolici, protestanti, ebrei, musulmani moderati, sostenuta dalla CduCsu della Cancelliera, ha ottenuto con una raccolta di firme. Sfida il sindaco-governatore socialdemocratico (Spd) Klaus Wowereit, il quale del 2006 ha fatto di Berlino un’eccezione nel paese sul tema difficile dell’ora di religione. Nella maggior parte dei 16 Stati (Bundeslaender) tedeschi, infatti, religione (cristiana, ebraica, musulmana o qualsiasi altra) o etica universale sono materie facoltative alternative, a pari dignità.
Wowereit, che governa la città insieme ai postcomunisti della Linke, ha invece introdotto l’etica quale materia obbligatoria per tutti, mentre la religione è facoltativa. L’associazione di base "Pro Ethik" ("Per l’etica") fa campagna per lui. La vecchia opinione di Juergen Habermas, uno dei massimi pensatori laici tedeschi, secondo cui nella società, senza i valori religiosi, perdono punti di riferimento anche i non credenti, non sembra convincere l’ultralaico Wowereit.
"Votate sì alla pari dignità tra etica e religione, perché è una questione di libertà", dicono i vip schierati con "Pro Reli". Personaggi non sospetti di foga clericale, anzi noti per posizioni liberal e aperte, come Guenter Jauck, uno dei più noti conduttori tv tedeschi, o la moderatrice Tita von Hardenberg: «Lo Stato non può arrogarsi su questo tema una posizione di monopolio».
Tutto sbagliato, ribattono i portavoce del no, come il giovane scrittore di sinistra Arne Seidel: «Io voglio la lezione di etica insieme, per tutti gli scolari e studenti, quale che sia la loro confessione e origine». Sono due posizioni entrambe rispettabili, ma lontanissime. L’etica obbligatoria per tutti, afferma l’ex sindaco Spd Walter Momper, è importante anche in nome dell’integrazione tra diverse comunità, qui a Berlino dove 40 bambini su 100 nascono figli di stranieri o di cittadini d’origine straniera. «Se ognuno studia la sua religione separato, danneggeremo l’integrazione che deve cominciare dalla scuola».
Sul fronte opposto, pareri opposti. Da voci insospettabili di volontà discriminatorie: come Stephan Kramer, un leader della comunità ebraica. «Se voglio rispettare un’altra concezione del mondo devo prima sapere chi sono, quali sono le mie radici», afferma.
Fin qui i toni civili del dibattito. Ma la propaganda dei due fronti poi si è fatta pesante. Un manifesto di "Pro Reli" mostrava una cesta con dentro indumenti solo di colore rosso, come a dire che chi chiede di votare no è automaticamente comunista. Neanche quelli di "Pro Ethik" vanno per il sottile: nei loro poster raffigurano la famosa stampa di Albrecht Duerer, le mani in preghiera, sullo sfondo di un tappeto di fiori bruni, il colore che in Germania indica i nazisti. Oppure affiancano un prete cristiano e un Taliban ritratti entrambi a far lezione.
Chi vincerà? Gli ultimi sondaggi danno al "sì" un lieve vantaggio, il 51%, nonostante si calcola che i berlinesi non credenti siano 6 su 10. Ma se domenica sera il numero di partecipanti al voto si rivelerà insufficiente, il risultato del referendum sarà nullo. Comunque finisca, il Kulturkampf sull’ora di religione sta ricreando un Muro nelle anime tra le due Berlino: all’Ovest i paladini della pari dignità tra religione ed etica a scuola sono in decisa maggioranza, mentre nell’Est "rosso" il "no" si prepara a stravincere.
EDUCAZIONE E VALORI
«Ora di religione, risorsa
anche per non credenti»
di Gianni Santamaria(Avvenire, 24 Aprile 2009)
L’ora di religione come momento riservato a chi crede? Come catechismo impartito per convertire chi non crede? Oppure come insegnamento etico, o peggio, asettico elenco di nozioni? Niente di tutto questo. I numeri dicono che la stragrande maggioranza degli studenti, il 91,1%, si avvale dell’insegnamento della religione cattolica (Irc). Ma oltre a questo, il valore della conoscenza non tanto del fenomeno religioso, quanto della religione cattolica come fattore che ha costruito il tessuto in cui viviamo è al centro da ieri di una tre giorni dal titolo Io non mi vergogno del Vangelo. L’insegnamento della religione cattolica per una cultura al servizio dell’uomo, organizzato dal servizio nazionale di settore della Cei.
Insegnamento confessionale? La «confessionalità» - ha spiegato il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco davanti ai 300 convenuti, tra direttori diocesani e insegnanti di religione in rappresentanza dei circa 25mila specialisti - «non può essere vista come una complicazione o un intralcio all’esercizio della laicità, bensì essa costituisce una garanzia di identità ». Essa fa sì, dunque, che l’impegno vada a un insegnamento non «a-situato, cioè fuori contesto, ma al contrario che sia radicato in una tradizione viva, capace a sua volta di vivificarlo continuamente, e farlo progredire in un costante confronto con la realtà». E la realtà di oggi parla di una grande richiesta di senso. Ma è anche caratterizzata da spinte secolaristiche e dalla presenza plurale di altre religioni tra i banchi.
Per i ragazzi di altro credo o che «si riferiscono ad altri sistemi di significato», però, conoscere la religione cattolica è tutt’altro che un orpello. L’alunno, al di là dell’appartenenza, infatti, è bene che percepisca «il significato dei valori che scaturiscono da questa fede» - ha proseguito il porporato - riconoscendo che essi sono «generalmente vissuti e condivisi e che nel nostro Paese sono parte integrante del patrimonio storico e culturale».
Ma non è solo una questione di cultura libresca, bensì di vita quotidiana. L’insegnamento della religione cattolica, infatti, «potrebbe significare comprendere le persone che vivono coerentemente la fede cristiana», in vista della promozione di una «mentalità accogliente» che favorisca una «serena convivenza civile nel quadro del pluralismo». Obiettivo comune di Stato e Chiesa, in questo senso, è l’«alleanza educativa».
Per raggiungere questi obiettivi - è emerso dall’intervento di Bagnasco, ma anche dalla presentazione del responsabile del Servizio nazionale per l’Irc, don Vincenzo Annicchiarico e dagli interventi di un direttore diocesano (di Brescia) e di una insegnante romana - occorre che la religione cattolica diventi sempre più disciplina scolastica a pieno titolo e con pari dignità. «La cura e la competenza dell’insegnante- ha confermato Annicchiarico - diventa espressione di una risorsa non solo per la scuola, ma per l’intera società», andando incontro «ai bisogni culturali ed educativi degli alunni e delle loro famiglie, mostrando così un impegno educativo per la piena realizzazione dell’uomo».
A partire dalla loro precisa identità di credenti e uomini di «sintesi» tra fede e cultura, li ha definiti Bagnasco. «Testimoni della possibilità di riconoscere il Vangelo come sensato e significativo per la propria vita», è emerso dal saluto dei direttori diocesani. Con lo scopo di «formare la persona nella sua globalità», hanno ribadito gli insegnanti.
Come modello, nell’Anno Paolino c’è l’Apostolo delle genti. Un promotore di dialogo e cultura. Non a caso l’incontro vedeva ieri seduti al tavolo con Bagnasco, la Gelmini, Annicchiarico e la sua vice, suor Feliciana Moro, anche il responsabile nazionale del Servizio nazionale per il progetto culturale Vittorio Sozzi e il vice Ernesto Diaco, che oggi prenderà la parola nella seconda giornata di lavoro. Più volte, infine, è ritornato l’accorato appello di Benedetto XVI sull’«emergenza educativa». E domani circa 8mila insegnanti da tutta Italia saranno ricevuti in udienza per la prima volta da Ratzinger.
Gianni Santamaria
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Profumo: l’ora di religione cambi. Gli studenti hanno culti diversi
Il cardinale Ravasi: il Concordato prevede che resti cristiana
di M. Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 26.09.2012)
ROMA - Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, a pochi mesi dalle elezioni, lancia l’idea di «cambiare l’ora di religione». «Credo che il Paese sia cambiato, nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, religioni e Paesi diversi. Credo che si debba modificare il modo di fare scuola, che debba essere più aperto». «Ci vuole - aggiunge - una revisione dei nostri programmi in questa direzione». «Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica» aveva già affermato Profumo venerdì sera, alla festa di Sinistra, ecologia e libertà. Stessi concetti ribaditi ieri. «Un discorso - ha precisato dopo qualche ora il ministro dopo che ieri sono scattate più forti le polemiche da parte cattolica -, che vale per l’ora di religione, ma anche per quella di geografia, che, secondo Profumo, si può studiare ascoltando le testimonianze di chi viene da altri Paesi».
La parziale marcia indietro non ha però placato le proteste dei rappresentanti del mondo cattolico. E in serata dal Vaticano è arrivato lo stop del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura. «Il Concordato prevede che l’ora di religione resti cristiana», ha dichiarato Ravasi. Anche perché dai microfoni di Radio Vaticana il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, presidente della Cei per l’educazione cattolica obietta: «L’ora di religione non è di certo una lezione di catechismo». Contrario anche il centrodestra.
D’accordo con Profumo, Hamza Piccardo, portavoce dell’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii): «Il ministro ha aperto una pentola che ribolle». D’accordo col ministro anche il Partito democratico, il sindacato scuola Flc-Cgil, l’Idv, Sel e i grillini, oltre ai radicali e la Rete degli studenti medi. Mentre lo Snadir (Sindacato autonomo degli insegnanti di religione) ha ricordato al ministro di aver appena firmato «due intese riguardanti l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e le indicazioni didattiche senza aver letto con attenzione ciò che ha sottoscritto».
Intanto, con la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale, prende il via il concorso a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento del personale docente nelle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado. E anche qui non sono mancate le polemiche.
Al concorso nazionale che sta per partire possono partecipare i docenti che hanno conseguito almeno un’abilitazione all’insegnamento entro quest’anno. Oppure che abbiano conseguito la laurea alla data del 22 giugno 1999. Inoltre, ma solo per le scuole primarie e dell’infanzia, «i candidati in possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l’anno scolastico 2001-2002, ovvero al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale, iniziati entro l’anno scolastico 1997-1998». L’iscrizione avverrà online, a partire dal 6 ottobre e fino alle ore 14 del 7 novembre 2012. Si tratta di un test con 50 quesiti, di logica, comprensione, lingua straniera e informatica, appunto. La seconda prova «scritto-pratica» sarà invece su base nazionale. Con quesiti a risposta aperta «finalizzati a valutare la padronanza delle competenze professionali nonché delle discipline oggetto di insegnamento». La terza prova sarà tecnico-pratica, e prevede anche una lezione prova.
Il Dio sconosciuto dei cristiani
Napolitano e Ravasi si confrontano al Cortile dei Gentili
di Armando Torno (Corriere delal Sera, 26.09.2012)
Il Cortile dei Gentili il 5 e il 6 ottobre si terrà ad Assisi. Dopo gli incontri di Stoccolma (13 settembre), si aprono ora numerosi dialoghi nella casa di Francesco, uno dei protagonisti del cristianesimo amato dai credenti di ogni confessione. E anche da chi si professa ateo o agnostico. In questo anno della fede la scelta della città umbra, luogo che è diventato sinonimo di pace, è carica di significati. D’altra parte, l’invito di papa Benedetto XVI è stato concretizzato dal Cortile dei Gentili con questi eventi: con essi si desidera «raccogliere e dare forma al grido spesso silenzioso e spezzato dell’uomo contemporaneo» verso Dio. Che, per un numero crescente di persone, rimane uno «sconosciuto».
Il presidente Giorgio Napolitano, in un confronto con il cardinale Gianfranco Ravasi condotto da Ferruccio de Bortoli, sarà il primo interlocutore di queste due giornate che hanno come tema appunto Dio, questo Sconosciuto. Un titolo che, nato nell’ambito del Pontificio consiglio della cultura, ha in sé una lieve provocazione e, al tempo stesso, riflette una problematica. Del resto, questo primo incontro avrà come protagonisti un laico, con una storia politica ricca di impegni e di ideali, e un cardinale studioso della Bibbia, che con questo Cortile sta invitando i credenti a dialogare con personalità distanti e sensibilità che si sono formate a prescindere dalla fede. Il conduttore Ferruccio de Bortoli porrà le domande sia a Napolitano che a Ravasi, portando le due esperienze in una sorta di zona franca, dove potranno parlare del loro rapporto con Dio senza preoccupazioni dei rispettivi ruoli istituzionali. Sono protagonisti che hanno molto da dire sull’argomento di apertura degli incontri, e quasi sicuramente non mancheranno sorprese.
Lo stesso Ravasi ci ha confidato: «Col tema, Dio, questo Sconosciuto, vogliamo invitare tutti ad alzare lo sguardo oltre le frontiere di quello che offre l’orizzonte quotidiano, verso quello che noi credenti chiamiamo Dio e che i non credenti possono chiamare il "mistero"». Parole che hanno in sé anche un invito, quasi una sorta di superamento di taluni luoghi comuni. Così come la nostra mente cerca di catturare conoscenza lanciando reti nervose verso ciò che ignora, allo stesso modo occorre andare al di là dei limiti delle visioni quotidiane per entrare in contatto con qualcosa che ci consenta di riflettere su Dio, indipendentemente dalla fede che ci portiamo appresso.
Prosegue Ravasi: «La figura di San Francesco è emblematica perché da un lato racchiude, nel suo stesso corpo ferito dalle stimmate, la sua unione intima con Cristo nella fede; ma, d’altro lato, il suo messaggio e la sua opera coinvolgono i temi capitali dell’esistenza e della storia, dalla povertà al creato, dalla pace al dialogo tra i popoli, dalla vicinanza alle sofferenze fino alla gioia del canto libero e sereno».
Non a caso ad Assisi ci saranno anche dibattiti su problemi contingenti (Franco Bernabè, Susanna Camusso e Mario Orfeo alle 21 del 5 ottobre parleranno di Lavoro, impresa e responsabilità) e il tutto sarà chiuso alle 17 del 6 ottobre da un dialogo tra lo stesso cardinale Ravasi e il ministro Corrado Passera. Saranno toccate anche le questioni dei giovani, della Terra, della crisi economica eccetera. E si avvicenderanno filosofi (Umberto Galimberti e Giulio Giorello, per esempio), registi (Ermanno Olmi), scienziati (Umberto Veronesi), architetti (Massimiliano Fuksas). Né mancheranno giornalisti: Monica Maggioni e Aldo Cazzullo, per esempio.
«Nel cortile di Francesco divinità e umanità s’incrociano in armonia, e forse Dio diventa meno sconosciuto», aggiunge sua eminenza alla fine. Viene alla mente, congedandoci, una frase di Robert Musil ne L’uomo senza qualità: «Se questa libertà da Dio non fosse altro che la via moderna verso Dio?».
L’elenco completo dei dibattiti e i nomi di tutti i partecipanti all’incontro di Assisi si può trovare consultando il sito: www.cortiledeigentili.com
L’ora delle religioni
La cultura laica in passato ha frenato. Spero che si cambi
di Michele Ciliberto (l’Unità, 26.09.2012)
È IMPORTANTE IL PROPOSITO ESPRESSO OGGI DAL MINISTRO FRANCESCO PROFUMO DI INTRODURRE NELLA SCUOLA MEDIA L’INSEGNAMENTO DELLE RELIGIONI.
È una proposta importante sia dal punto culturale che da quello civile. Non è la prima volta, in verità, che viene avanzato un progetto di questo genere, ma purtroppo è sempre caduto nel vuoto, senza riuscire ad ottenere una pratica realizzazione.
Alla base di questo fallimento ci sono stati contrasti, opposizioni, diffidenze di vario genere. C’è una diffidenza di matrice ecclesiale. Ma va detto che ostilità sono scaturite anche da vecchie forme di anticlericalismo di matrice vetero risorgimentale che impedivano di cogliere l’importanza della conoscenza storica delle religioni, e il valore che esse hanno avuto, sia pure da punti di vista differenti e configgendo tra di loro, nella formazione dell’uomo moderno e, in generale, della modernità. Basta pensare all’importanza che l’ebraismo ha avuto nella cultura rinascimentale per fare un solo nome: Giovanni Pico della Mirandola con la sua Biblioteca ebraica e al significato dell’islamismo già nel Medioevo nella costruzione complessa e stratificata dell’identità europea, che non può essere ridotta alla sola matrice cristiana. Essa è il risultato, in varie forme e con differente rilievo, delle tre «religioni del Libro».
E lo stesso atteggiamento negativo e dannosissimo che ha impedito lungamente lo studio della teologia nelle università italiane, non rendendosi conto che senza conoscere le discussioni, e i conflitti, di ordine teologico è impossibile comprendere filosofi di prima grandezza come Cartesio, Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel... Un atteggiamento di cui non è il caso di sottolineare la miopia e la cecità, anzitutto sul piano scientifico, ma anche su quello civile perché impedisce di mettere a fuoco la molteplicità di vie e di forme attraverso cui si è formata, e continua a formarsi, l’esperienza umana, in cui confluiscono, anche polemicamente, correnti e tradizioni religiose di cui occorre mettere in luce, e valorizzare, sia la specificità che l’originalità.
Questo per quanto riguarda il passato. Ma oggi la conoscenza ,e lo studio, delle religioni appare perfino più importante e necessario per le trasformazioni della composizione demografica sia italiana che europea. Oggi sia nel nostro continente che in Italia si sta faticosamente, ma progressivamente, affermando una società multietnica e multireligiosa, che costituisce l’orizzonte attuale della nostra storia, ponendo una serie di problemi nuovi e inediti con cui è indispensabile confrontarsi. Questo processo richiede la maturazione di nuovi punti di vista e di nuove forme di cittadinanza che impongono di andare al di là della pur fondamentale idea moderna di «tolleranza» e richiedono la costituzione di nuovi modelli e di nuovi istituti di reciproco riconoscimento e convivenza, che non possono, evidentemente, prescindere da una forte e diffusa conoscenza delle reciproche fedi ed esperienze religiose.
In questo senso il problema posto dal ministro Profumo è centrale e riguarda direttamente la figura e l’identità del nuovo Stato nazionale e della nuova identità europea che intendiamo costruire. Occorre naturalmente vedere se ci siano le condizioni per attuare finalmente questo progetto uscendo da vecchie e superate forme di laicismo e da vecchie contrapposizioni tra credenti e non credenti. E se non ci sono queste condizioni occorre quanto prima crearle, anzitutto sul piano giuridico e istituzionale. E i primi a muoversi in questo senso dovrebbero essere proprio i «laici», se hanno a cuore la formazione di una nuova, e più ricca e più avanzata Italia civile, per riprendere un’espressione cara a un maestro come Norberto Bobbio.
Ma il discorso va al di là della pur importante dimensione civile: l’esperienza religiosa, quando è autentica e profonda, è un patrimonio essenziale per tutti: conoscerla e salvaguardarla è fondamentale per laici e non laici, per credenti e non credenti qualunque sia la «fede» che professano.
«Religione da rivedere»
di Leo Lancari (il manifesto, 26 settembre 2012)
Per chiunque abbia a che fare con la scuola potrebbe sembrare una constatazione ovvia, eppure le parole dette ieri da Francesco Profumo rappresentano comunque una novità. «Il Paese è cambiato perciò deve cambiare anche modo di fare scuola», ha detto il titolare dell’Istruzione. Basta dare un’occhiata alle facce che spuntano dai banchi per capire come la scuola, così come la società, sia ormai sempre più multietnica, al punto che continuare a non tener conto delle altre culture sia ormai impossibile.
Un discorso che diventa ancora più valido se si parla di religione i cui programmi - ha spiegato ancora Profumo - vanno rivisti. «Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole così come concepito oggi non abbia più molto senso. Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica», ha affermato il ministro parlando venerdì alla festa di Sel. Concetto ribadito anche ieri, seppure con toni diversi. «Nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, religioni e paesi diversi - ha infatti detto il ministro-. Credo che debba cambiare il modo di fare scuola, che debba essere più aperto. Ci vuole una revisione dei nostri programmi in questa direzione».
E il ripensamento non tocca solo l’ora di religione insegnata nelle classi, che non deve essere solo ed esclusivamente quella cattolica, ma deve toccare anche i programmi di geografia, adeguandoli alla nuova realtà. Come Profumo ha potuto constare direttamente. «Ieri ero in una scuola con il 50% di alunni stranieri - ha spiegato - e mi hanno detto che imparano la geografia dai loro compagni che raccontano del loro paese».
Il ministro ha messo l’indice su una realtà in continua crescita. Secondo gli ultimi dati forniti dal Miur e relativi all’anno scolastico 2010-2011, sono 711 mila gli studenti con cittadinanza non italiana iscritti nelle nostre scuole, il 13,1% in più rispetto all’anno precedente. Di questi quattro su dieci sono nati in Italia, con una concentrazione maggiore nelle scuole d’infanzia dove il 78,3% degli iscritti con cittadinanza non italiana è nato sul territorio italiano. Il gruppo più numeroso è composto da studenti rumeni (125 mila) seguiti dagli albanesi (100 mila)e dai marocchini (poco più di 90 mila). Una presenza corposa, concentrata soprattutto il Lombardia ed Emilia Romagna e, per quanto riguarda le province, a Milano e Roma.
Ignorare questi nuovi cittadini diventa sempre più difficile, al punto da convincere il ministro dell’Istruzione della necessità di aggiornare i programmi scolastici. Ma le parole di Profumo hanno scatenato un vespaio di polemiche. Specie per quanto riguarda la religione cattolica. Critiche sono arrivate dalla Cei, ma anche dagli insegnati di religione, dal Pdl e dall’Udc. Tra i primi ad attaccare il ministro c’è monsignor Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per la scuola della Cei e vescovo di Piacenza. «L’ora di religione cattolica non è certo una lezione di catechismo - ha detto -, bensì un’introduzione a quei valori fondanti della nostra realtà culturale che trovano la propria radice proprio nel cristianesimo». Proteste anche dagli insegnati di religione che attraverso Orazio Rustica, segretario del sindacato di categoria, hanno ricordato a Profumo di aver firmato a fine giugno «le due dichiarazioni riguardanti l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e le indicazioni didattiche senza aver letto con attenzione ciò che ha sottoscritto». Contro il ministro anche Pdl, Lega e Udc.
Sul fronte opposto apprezzamenti per la presa di posizione del ministro sono arrivati dall’associazione dei genitori cattolici («giusto ampliare l’insegnamento della religione»), dall’Ucoi, da Pd, Idv, Radicali e dalla Flc-Cgil: «Profumo ha perfettamente ragione», ha detto il segretario Mimmo Pantaleo. «E’ fondamentale ridisegnare il ruolo della scuola pubblica all’interno della società, in cui il confronto tra culture diventa decisivo per garantire diritti per tutti».
Scuola
Tutti i nomi di Dio
di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 27 settembre 2012)
Bisogna venire qui, in questa ex “scuola ghetto” per stranieri, «da cui le famiglie italiane fuggivano, mentre adesso c’è la fila», ricorda Miriam Iacomini, coordinatrice didattica, per capire come e quanto la polemica sull’ora di religione, la crociata di critiche contro il ministro Profumo che ne ha proposto una (timida) modifica, siano cose e parole lontane dalla vita reale.
Perché l’Italia di Hu, di Massimo, di Pilar, cinesi, filippini, sudamericani, nordafricani, bangladesi, ma anche romeni, ucraini, albanesi, che giocano e corrono nel cortile della loro scuola, è già “multi”- culture, fedi, colori - e il cattolicesimo, visto dalle volte scrostate di questo antico istituto, è soltanto una tra le tante religioni.
Racconta Yusra, 11 anni, accanto alla madre Safia, somala: «Sono musulmana, frequento la moschea, ma qui a scuola fin dalle elementari ho avuto amici di tutte le nazionalità e di tutte le religioni. Ho sempre fatto l’ora di “alternativa”, ma ho partecipato ai laboratori: ognuno raccontava le proprie usanze e anche il proprio modo di pregare». E Safia, con il capo coperto, quietamente precisa: «Nel Corano c’è ogni cosa, anche un po’ della Bibbia, dividersi non serve... ».
Davanti al cancello donne velate e mamme in sari, genitori italiani e la folta, foltissima e sempre più prospera comunità asiatica dell’Esquilino. «Noi siamo buddisti, scandisce sicura la bambina cinese, italiano perfetto e lieve accento romano - ma la mia migliore amica ha fatto la prima comunione, e alla sua festa sono andata anch’io». Integrazione senza barriere. Poi i ragazzini crescono, e può accadere che tutto cambi. Ma per ora è così. Semplicemente.
«Questa scuola negli ultimi dieci anni ha subito una metamorfosi positiva», dice con orgoglio Rosaria D’Amico, maestra con la passione ancora intatta per il suo lavoro. «Le famiglie italiane del quartiere avevano paura di portare i loro figli in un istituto con una percentuale di immigrati così alta. Poi hanno iniziato a frequentarci, hanno capito la nostra didattica aperta ad ogni tipo di diversità, hanno visto le attività, dallo sport alla ludoteca, e le iscrizioni sono cresciute di anno in anno. Italiani e non. E forse sarebbe ora di smetterla di parlare di “stranieri”, visto che il 90% degli immigrati che frequentano la nostra scuola è in realtà nato in Italia ».
I piccoli cinesi ad esempio. Che alle 16,30, quando tutti gli altri vanno a giocare, frequentano la loro seconda scuola, in cinese, appunto. «E sono fortissimi, hanno un allenamento formidabile, come quelli che arrivano dal Bangladesh, che parlano tre lingue», aggiunge Rosaria D’Amico. Mescolarsi fa bene. Apre la mente e i cuori. Come pregare, per chi ci crede. Cristo, Allah, Budda: i grandi poster sulle pareti disegnati dai ragazzi ci ricordano che le fedi sono tante, Dio ha più volti e più nomi. «Ognuno nel cuore sa come invocarlo, soprattutto quando sei un bambino», dice Fatiah, musulmana, che però non ha esonerato i suoi figli dall’ora di religione. «Per loro è come una favola, va bene così».
Educazione alla convivenza. Alla “Di Donato” da alcuni anni, l’associazione “Uva”, che vuol dire “Universo L’Altro”, tiene laboratori di storia delle religioni, finanziati attraverso un bando della Tavola Valdese, con i fondi dell’8 per mille. Spiega la presidente Giulia Nardini: «È da questa eterogeneità che nasce la curiosità dei bambini. Ai nostri corsi partecipano tutti, anche chi è esonerato dall’ora di religione cattolica. Noi facciamo un racconto delle varie fedi attraverso i simboli, le feste e le mappe dei luoghi dove queste storie sono nate. E la narrazione li cattura, conquista sia chi in famiglia prega, chi no. La particolarità è che spesso i bambini di questa scuola già sanno a quale religione appartengono i loro compagni. Sono abituati alla diversità». E gli insegnanti di religione? «A volte collaborano, a volte è come se volessero difendere il loro territorio dalla contaminazione».
Invece questa scuola multi-tutto, aperta dal primo mattino alla sera tardi, grazie ad un efficientissimo comitato di genitori, sede di un Ctp, cioè un centro di educazione per adulti, ha fatto della “contaminazione” la propria cifra. Vincente, sembra. Francesca Longo ha due figlie.
«Entrambe hanno sempre frequentato l’ora di religione. Per cultura, per curiosità. Credo sia giusto. Purché, naturalmente, non diventi catechismo». Aldo è il giovane padre di Paolo, 6 anni, energia incontenibile: «Siamo atei, Paolo non è battezzato e non fa religione. Il ministro Profumo ha ragione: in un mondo globalizzato non si può insegnare ai bambini che esiste soltanto il cattolicesimo. E chi lo critica dovrebbe vedere questa realtà: il miglior amico di mio figlio è di fede islamica, il suo compagno di banco è induista. Il mio sospetto è che la Cei voglia utilizzare l’ora di religione per catechizzare e riportare alla Chiesa i nostri bambini...».
Chissà. Eppure ai più giovani il contatto con il “sacro” piace. Miriam Iacopini, maestra e coordinatrice didattica: «Poco tempo fa abbiamo fatto un lungo lavoro sulle tre religioni monoteiste, portando i bambini a visitare anche la moschea e la sinagoga. E alle famiglie che avevano esonerati i figli dall’ora di religione abbiamo chiesto un esonero “al contrario”. Un’esperienza entusiasmante. Queste polemiche invece sono inutili. Avete visto la nostra scuola? Cadono i cornicioni, la palestra è inagibile, le finestre sono rotte. Abbiano bisogno di fondi non di dibattiti già vecchi per i bambini di domani... ».
di Mariapia Veladiano (la Repubblica, 27 settembre 2012)
Come si fa a non parlar di Dio a scuola? Far finta che non esista un credere che ha scosso la storia, disegnato le nazioni, spostato i confini, costruito cattedrali e pievi, riempito musei di opere d’arte. E poi ha dato speranza e suscitato l’azione di persone, popoli, per generazioni, ovunque, da sempre.
Anche adesso. E poi, certo che è capitato, questo credere si è anche rovesciato in conflitti, ordalie atroci, fanatismi devastanti. E bisogna saperlo perché non capiti più, così si dice sempre, tutti d’accordo. Fin qui d’accordo. Poi comincia la guerra. Su come parlare di questa immensità che si declina in infiniti personalissimi modi di far propria una speranza così assoluta da non potersi quasi dire e che pure si deve dire. La via italiana al parlar di Dio a scuola è limpidamente inesemplare.
L’attuale status dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) è formalmente ineccepibile. Ha da anni un suo corretto profilo culturale, dei programmi non confessionali che guardano al cristianesimo come fenomeno religioso fondante per la nostra storia e società, ha suoi obiettivi di apprendimento e sta definendo le specifiche competenze in uscita riferite ai diversi ordini di scuola. Però ha alcuni peccati d’origine che la rendono una disciplina sempre in trincea: nasce da un Concordato (quella del 1984 è stata solo una Revisione del Concordato) internazionale, è disciplina a pieno titolo, ma marginalizzata a livello reale in quanto non entra nell’esame di Stato ed è soggetta a scelta, e marginalizzata anche a livello simbolico, perché la valutazione è fuori dalla pagella.
Poi ci sono i docenti: ora di ruolo per concorso, ma sottoposti all’idoneità dell’ordinario diocesano e però gestiti dallo Stato, privilegiati per alcuni, ma anche crocifissi da una condizione irrimediabilmente anomala che spesso li costringe a programmi molto dipendenti dai desideri degli studenti. A volte eroi a volte fantasisti della didattica.
Ora, a dire che va bene così, magari perché ancora i numeri “tengono” e gli studenti che si avvalgono sono ancora la maggioranza, ci vuol proprio coraggio. Non va bene così anche solo perché decenni di IRC non ci stanno salvando da un analfabetismo religioso impressionante.
Chi insegna lettere conosce la disperazione di dover spiegare tutto, ma proprio tutto, ogni volta che in letteratura si ha bisogno di riferirsi alla cultura religiosa: che sia la cacciata dal paradiso terrestre per il primo capitolo del Candido di Voltaire, o la Pentecoste per gli Inni sacri di Manzoni. Gli studenti non sanno enunciare un dogma quando si parla di principio d’autorità nell’Illuminismo, non sanno dire cosa sia un salmo quando si incontrano i versi struggenti di Quasimodo “alle fronde dei salici per voto,/ anche le nostre cetre erano appese,/ oscillavano lievi al triste vento”. E spesso neppure sanno cosa sia un voto diverso da quello di scuola.
Oggi la scuola è davvero l’ultimo splendido laboratorio della nostra convivenza e l’esperienza religiosa, che per tanti, per la maggior parte di noi, è sì storia, cultura, passato ma anche fondamento e insieme spiraglio di un futuro possibile, deve trovare un posto preservato dalla strumentalizzazione politica, difeso attraverso la sobrietà delle parole e dei toni. Chi crede sa che la fede non ha bisogno dell’IRC, ma del nostro dar ragione della speranza che viviamo, lungo tutto il laico comune costruire insieme i giorni che ci sono dati.
Ai ragazzi a scuola si deve dare la consapevolezza che l’allargarsi dell’umano alla dimensione dello spirito non è un abbaglio, ma una possibilità che moltitudini prima di loro e intorno a loro hanno conosciuto e conoscono. E nella pace possono coltivare. Un parlar di Dio a scuola che venga dalla vittoria di un malsano accanito combattersi è sempre una sconfitta.
IL CASO
"Ora di religione nel credito"
Gelmini esulta per la sentenza
La notizia della decisione dei giudici diffusa dal ministero di viale Trastevere. Cambia la valutazione alla vigilia degli scrutini
di SALVO INTRAVAIA
LA Religione contribuirà alla determinazione del credito scolastico. Ne dà notizia lo stesso ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, che dichiara: il "Consiglio di Stato accoglie le nostre posizioni". Il ministro "accoglie con soddisfazione la notizia", in quanto i giudici amministrativi ribaltano la sentenza del Tar Lazio che la scorsa estate bloccò le ordinanze emanate dall’ex ministro, Giuseppe Fioroni, nelle quali si afferma che anche la Religione cattolica contribuisce alla dote in punti che i ragazzi raccolgono nell’ultimo triennio in vista della maturità.
Il Consiglio di stato "ha riconosciuto la legittimità - continua viale Trastevere - delle ordinanze nelle quali si stabiliva che ai fini dell’attribuzione del credito scolastico, determinato dalla media dei voti riportata dall’alunno, occorreva tener conto anche del giudizio espresso dal docente di religione". Il perché è presto detto. "Il Consiglio di Stato infatti ha stabilito che, nel caso l’alunno scelga di avvalersi di questo insegnamento, la materia diventa per lo studente obbligatoria e concorre quindi all’attribuzione del credito scolastico".
Con la sentenza numero 7076 dello scorso mese di agosto il Tar Lazio accolse i ricorsi presentati, a partire dal 2007, da alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e di confessioni religiose non cattoliche, che chiedevano appunto l’annullamento delle ordinanze ministeriali firmate da Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008. In quell’occasione manifestò il suo dissenso la parlamentare del Pd, Paola Binetti, che adesso si prende la sua rivincita. Cosa accadrà adesso?
L’anno scolastico è agli sgoccioli e, durante gli scrutini, i Consigli di classe dovranno attribuire il credito scolastico (8 punti per la terza, 8 per la quarta e 9 per la quinta) in vista degli esami di stato. Secondo quanto comunicato dal ministero, il giudizio dei prof di Religione dovrebbe concorrere alla determinazione del credito, ma solo per chi si avvale di questo insegnamento. Coloro che non seguono le lezioni di religione, ovviamente, non avranno né giudizio né credito. Sarà nei prossimi giorni lo stesso ministero a chiarire le modalità di applicazione del provvedimento.
* la Repubblica, 10 maggio 2010
No a crocifisso in classe Strasburgo: lede libertà
Il Vaticano, "Dobbiamo valutare la sentenza"
Ansa03 novembre, 15:29
STRASBURGO - La presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce "una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni" e una violazione alla "libertà di religione degli alunni". E’ quanto ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nella sentenza su un ricorso presentato da una cittadina italiana.
Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all’istituto statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule. A nulla, in precedenza, erano valsi i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia. Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato ragione.
La sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul ricorso presentato da Soile Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese, contro l’esposizione dei crocefissi nelle scuole ha previsto che il governo italiano dovrà pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. La sentenza, rende noto l’ufficio stampa della Corte, è la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.
Il governo italiano ricorrera’ contro la sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo relativa al caso dei crocifissi nelle aule scolastiche. Lo ha dichiarato all’ANSA il giudice Nicola Lettieri, che difende l’Italia davanti alla Corte di Strasburgo. Se la Corte accoglierà il ricorso del governo italiano, il caso verrà ridiscusso nella Grande Camera. Qualora il ricorso del governo non dovesse essere accolto, la sentenza emessa oggi diverrà definitiva tra tre mesi, e allora spetterà al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa decidere, entro sei mesi, quali azioni il governo italiano deve prendere per non incorrere in ulteriori violazioni legate alla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche.
"Per noi è una novità. Prenderemo visione della sentenza poi la scuola prenderà una decisione": questa la posizione espressa dalla dirigenza della scuola media "Vittorino da Feltre", ad Abano Terme (Padova), di fronte al pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla vicenda dei crocifissi nelle classi. Una questione sollevata nel 2002 da Soile Lautsi, una donna finlandese ma residente e sposata in Italia da una ventina d’anni, i cui figli frequentavano all’epoca l’istituto padovano. "Chiaramente - dicono ancora dalla scuola - i figli della signora non sono più qui. Speriamo che adesso siano all’Università. In ogni caso abbiamo tenuto sempre ferma la disponibilità alle decisioni di legge che sono state prese sulla vicenda sollevata dalla madre degli alunni". Un iter giudiziario che il consiglio di Stato nel 2006 aveva in qualche modo chiuso con una sentenza che indicava il valore di simbolo del crocifisso anche su un piano di valori civili.
NO COMMENT DAL VATICANO, PER LA CEI DECISIONE ’IRRESPONSABILE’
Il Vaticano vuole leggere la motivazione, prima di pronunciarsi sulla sentenza oggi della Corte europea di Strasburgo che ha condannato la presenza dei crocifissi nelle aule come una "violazione" delle convinzioni religiose dei genitori. "Credo che ci voglia una riflessione, prima di commentare", ha detto padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, durante una conferenza stampa per presentare un prossimo convegno sull’immigrazione. Anche mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, presente in conferenza stampa, si è unito alla linea di padre Federico Lombardi. "Preferisco non parlare della questione del crocifisso perché sono cose che mi danno molto fastidio", ha detto di fronte alle insistenze dei giornalisti. Prima di commentare la sentenza della corte di Strasburgo, mons. Veglio’ ha premesso che ’’e’ una fortuna vivere in un mondo multiculturale’’ e che la convivenza tra diverse religioni ’’e’ una ricchezza’’. Tuttavia a proposito del ’no’ europeo al crocifisso nelle aule italiane il presule ha ribadito che la sentenza ’’e’ un po’ forte’’ e lo infastidisce perche’ ’’l’identita’ nostra bisogna pure conservarla’’. Pur affermando di rispettare comunque le decisioni della giustizia, ha aggiunto di sperare che si trovi una soluzione per preservare la cultura di un Paese.
Il crocifisso rappresenta "una dimensione anche di peso culturale ed educativo che è davvero irresponsabile voler cancellare". Lo ha affermato in un’intervista alla Radio Vaticana, mons. Vincenzo Paglia, responsabile della commissione Cei per il dialogo interculturale, commentando la sentenza della Corte europea di Strasburgo. "A me pare - ha aggiunto mons. Paglia a proposito della sentenza - che parta da un presupposto di una debolezza umanistica oltre che religiosa del tutto evidente: perché la laicità - ha spiegato - non è l’assenza di simboli religiosi ma la capacità di accoglierli e di sostenerli di fronte al vuoto etico e morale che spesso noi vediamo anche nei nostri ragazzi". "Pensare di venire in loro aiuto facendo tabula rasa di tutto - ha proseguito - mi pare davvero miope anche perché presuppone una concezione di cultura che è libera solo nella misura in cui non ha nulla o ha solo quello che rimane sradicando da ogni storia, tradizione, patrimonio". Il presule ha ricordato che i luoghi pubblici italiani sono stracolmi di crocefissi: "non credo - ha osservato - che ci sia nessuno che pretenda di distruggere i simboli religiosi nelle strade e nelle piazze italiane perché levano la libertà di religione". Mons. Paglia, responsabile Cei per il dialogo interreligioso (e non interculturale come scritto precedentemente), ha respinto l’argomentazione secondo cui il crocifisso nelle aule scolastiche rappresenti un’imposizione. "Non lo credo - ha spiegato -. E’ un ricordo di che cosa accade all’uomo quando la giustizia non viene rispettata e da cui emerge un valore di gratuità di cui tutti abbiamo bisogno a qualunque fede appartiamo". "In questo senso - ha concluso - c’é una dimensione anche di peso culturale ed educativo che è irresponsabile davvero voler cancellare".
GELMINI, RAPPRESENTA TRADIZIONI
"La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione". Lo ha affermato il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini in relazione alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sulla presenza del crocifisso nelle classi.
CORO DI NO DAL CENTRODESTRA
"In attesa di conoscere le motivazioni attraverso le quali la Corte di Strasburgo ha deciso che i crocifissi offenderebbero la sensibilità dei non cristiani, non posso che schierarmi con tutti coloro, credenti e non, religiosi e non, cristiani e non, che si sentono offesi da una sentenza astratta e fintamente democratica". Così il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia interviene in merito alla notizia della sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo sui crocefissi nelle scuole. "Chi offende i sentimenti dei popoli europei nati dal cristianesimo è senza dubbio la Corte di Strasburgo. Senza identità non ci sono popoli, e senza cristianesimo non ci sarebbe l’Europa. Che destino paradossale: proprio coloro che dovrebbero tutelare il senso comune si danno da fare per scardinare la nostra civiltà. Si vergognino!".
’’Trovo assurda e gravissima la sentenza della Corte di Strasburgo contro la presenza del crocefisso nelle scuole italiane. Gia’ il Tar ed il Consiglio di Stato si erano pronunciati sulla vicenda rigettando le richieste della cittadina finlandese e dichiarando che: ’il crocifisso e’ il simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell’identita’ del Paese, ed e’ il simbolo dei principi di eguaglianza, liberta’ e tolleranza e del secolarismo dello Stato.’ Un pronunciamento ineccepibile che viene completamente sovvertito dalla Corte europea’’. E’ quanto dice Gabriella Carlucci, vice Presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia. ’’Ancora una volta un organismo europeo, entra a gamba tesa nelle questioni interne del nostro Paese, calpestando valori e principi su cui si fondano la nostra societa’, la nostra cultura, la nostra identita’. Lo Stato italiano deve opporsi in giudizio a questo pericolosissimo precedente’’, conclude.
’’La Corte europea dei diritti dell’uomo, con questa sentenza, ha calpestato i nostri diritti, la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni e i nostri valori. In ogni caso, i crocifissi da noi resteranno sulle pareti delle nostre scuole, dove sono sempre stati, cosi’ come continueremo ad avere i presepi o a festeggiare il Natale. Perche’ siamo orgogliosi di questi nostri simboli e del loro significato e perche’ fanno parte di ognuno di noi’’. Lo afferma Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione Legislativa commentando la sentenza della Corte europea di Strasburgo.
CASINI, CONSEGUENZA PAVIDITA’ UE
"La scelta della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di bocciare la presenza del crocifisso nelle scuole è la prima conseguenza della pavidità dei governanti europei, che si sono rifiutati di menzionare le radici cristiane nella Costituzione Europea". Lo afferma il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini in un’intervista al Tg2. "Comunque, nessun crocifisso nelle aule scolastiche ha mai violato la nostra libertà religiosa, né la crescita e la libera professione delle fedi religiose. Quel simbolo - conclude - è un patrimonio civile di tutti gli italiani, perché è il segno dell’identità cristiana dell’Italia e anche dell’Europa".
MURA (IDV), ADEGUARE SCUOLA A SOCIETA’ MULTIETNICA
"La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo può legittimamente suscitare reazioni di segno profondamente diverso motivate da un lato dalla tradizione, dalla storia e dalla cultura del nostro paese, dall’altro invece da una sentenza, approvata all’unanimità, da un autorevole tribunale europeo. Ma la cosa più sbagliata che si può fare è quella di dar vita ad una accesa battaglia tra chi vuole il crocifisso nelle aule e chi non lo vuole, perché non è questo il vero problema da risolvere nella scuola italiana". Lo dichiara Silvana Mura, deputata di Idv. "La questione fondamentale invece riguarda una scuola destinata ad avere studenti che sempre di più saranno di etnie e culture diverse. L’offesa nei confronti di studenti di religioni diverse da quella cattolica non credo sia rappresentata tanto da un crocifisso appeso al muro, ma piuttosto da programmi che non si pongano il problema di conciliare le caratteristiche fondamentali che l’insegnamento di stato deve avere con la nuova realtà multiculturale e multietnica che in futuro sarà rappresentata dagli studenti della scuola italiana", conclude.
FRANCO (PD), E’ RISPETTO LIBERTA’ RELIGIOSA
"Il crocifisso non è e non può essere considerato unicamente espressione delle tradizioni italiane, come sostiene il ministro Gelmini, a meno di non voler svalutare questo simbolo religioso. Certo, fa parte della nostra storia. Ma di fronte a questa sentenza è chiaro che occorre riflettere sui modi migliori di promuovere la convivenza civile tra la molteciplicità di culture e religioni che caratterizzano attualmente la popolazione che vive in Italia". Lo dice la senatrice Vittoria Franco, responsabile nazionale Pari Opportunità del Pd. "Invece di arroccarsi nella difesa e nella conservazione - prosegue Vittoria Franco - la vera riflessione da promuovere è come arrivare a favorire ancora meglio, nelle nostre scuole che ospitano da tempo bambini portatori di molteplici culture e religioni, la convivenza pacifica e il rispetto. Mi sorprende dunque il ministro Gelmini, che si preoccupa delle tradizioni anziché pensare al fatto che le classi italiane sono multietniche da tempo. La Corte europea - ha concluso Vittoria Franco - ha semplicemente richiesto allo Stato italiano il rispetto della libertà religiosa e non mi pare che questo sia in contrasto con la nostra Costituzione come sostiene il ministro Gelmini".
L’Islam e l’identità nazionale
di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 20/10/2009)
Le incertezze tra gli uomini di Chiesa a proposito dell’ipotesi dell’insegnamento della religione islamica nelle scuole rivelano le incongruenze in cui si trova la gerarchia ecclesiastica in tema di insegnamento religioso. Ma l’intervento perentorio del cardinale Bagnasco che definisce l’ora di religione, quale oggi è praticata in Italia, «non una catechesi confessionale ma una disciplina di cultura» trasforma l’incongruenza in contraddizione.
Infatti se fosse vero quello che afferma il cardinale, allora l’ora di religione sarebbe un’espressione di cultura e di etica civile nazionale (addirittura con il richiamo al Concordato). I vescovi italiani, da cui dipendono gli insegnanti di religione, ne sarebbero i garanti. Di conseguenza gli islamici non potrebbero avanzare una rivendicazione analoga perché introdurrebbero nella scuola una cultura estranea alla scuola stessa. Con questo ragionamento si mostra in modo maldestro che la religione a scuola viene usata - impropriamente - come identikit o surrogato della cultura nazionale.
Ma lo zelo furbesco di promuovere la dottrina cattolica come esperienza culturale per radicarla nella scuola (equiparandola senz’altro alle altre discipline, voto compreso) si accompagna al suo impoverimento di contenuto teologico in senso proprio. La raccomandazione che talvolta fa Papa Ratzinger di non confondere fede religiosa e cultura viene smentita proprio a casa sua.
Chiariamo subito un equivoco. Qui non stiamo parlando di un tema che interessa i credenti o viceversa i soliti rompiscatole dei laici (pardon, laicisti). Non è neppure la chiamata alle armi dei difensori dell’identità italiana per contrastare l’islamizzazione del nostro Paese. E’ grottesco che in prima fila in questa eroica impresa ci sia la Lega che contemporaneamente mira a disfare la nazione italiana. Qui è in gioco il concetto di cittadinanza.
E’ in gioco la libertà di espressione e di fede di tutti i cittadini. E’ in gioco la libertà religiosa nella sue forme più qualificate, compreso il diritto all’educazione dei propri figli. Queste cose le sanno benissimo i cattolici quando sono in minoranza e devono combattere per i loro diritti. E’ incredibile che si debbano ricordare loro questi principi quando sono in comoda maggioranza. Ma siamo arrivati a questo punto in un Paese dove il ministro Maroni, dall’alto della sua competenza teologica, dice che l’Islam, privo di un’istituzionalizzazione dogmatica secondo i nostri criteri, non è una fede in sintonia con la nostra alta cultura religiosa. In questo si dichiara d’accordo con il cardinale Bagnasco.
Viene il sospetto (almeno per quanto riguarda il Presidente della Cei) che l’irrigidimento verso gli islamici sia una mossa cautelare per tenere testa all’altra richiesta, ben più impegnativa e per lui insidiosa, di introdurre l’ora di religione in Italia, basandola sul pluralismo delle confessioni e sull’analisi storica comparata delle religioni. In questo caso non c’è più l’alibi che la richiesta non sia solidamente fondata sulla pluralità delle tradizioni culturali dell’Europa e dell’Italia. Ma è un altro discorso.
Tornando all’ipotesi dell’ora di religione islamica, non siamo tanto ingenui da ignorarne i rischi e le difficoltà. Non soltanto a proposito della questione sempre sollevata circa il fondamentalismo religioso visto come la matrice del terrorismo. Non è un problema da prendere a cuor leggero. Tanto vale affrontarla a viso aperto. Ma qui vorrei ricordare un punto solitamente ignorato anche nel dibattito pubblico più disponibile al confronto interreligioso. Parlo delle incompatibilità teologiche e delle sue conseguenze.
Porterò un esempio concreto raccontando molto succintamente quanto è accaduto alcuni mesi fa in Germania, una società che per molti aspetti offre un panorama estremamente positivo dei rapporti tra le diverse culture e le diverse religioni. Si doveva assegnare un premio prestigioso ad alti esponenti delle Chiese e della cultura per i loro sforzi di dialogo interreligioso. Ma qualche settimana prima della premiazione, l’esponente islamico - un noto uomo di letteratura e di poesia - scriveva su un giornale un commento al famoso quadro della crocifissione di Guido Reni, presente in una chiesa romana. Un bellissimo pezzo estetico, letterario ma anche di contenuto teologico, che esprimeva la tesi islamica per cui l’idea di Cristo Dio crocifisso è una blasfemia per un musulmano. Una tesi che dovrebbe essere nota a tutti i conoscitori del Corano. Invece nella circostanza di quel premio scoppiò come una bomba e la tesi dello studioso islamico fu intesa come un’offesa al cristianesimo. I rappresentanti delle Chiese protestarono, si ritirarono dal premio innescando una vivacissima polemica giornalistica e mediatica. Improvvisamente il grande pubblico si rese conto che si era toccata l’incompatibilità dei punti di vista teologici.
A questo punto, come si può continuare a dialogare tra le religioni? Su che cosa si può dialogare? Ci si è presto resi conto che una minima competenza teologica reciproca (anche da parte dei laici) è una premessa indispensabile per non ridurre il colloquio interculturale e interreligioso a superficiali anche se benevole dichiarazioni di reciproca buona volontà.
Quella che è una sfida tra adulti responsabili può diventare un grosso disagio e sconcerto per le giovani generazioni che vivono fianco a fianco a scuola o in altri ambienti. Ma non è alzando barriere (pseudo) culturali o tracciando confini di separazione «identitaria» che si viene a capo di questi problemi. E’ il futuro che ci attende. Quella dei Bagnasco e dei Maroni è una risposta sbagliata.
Ora di religione il Vaticano vuole lo Stato catechista
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 10.09.2009)
Che fra i tanti problemi dell’Italia di oggi si debba porre in evidenza - ancora una volta - quello dell’ora di religione potrà sembrare un lusso da laicisti incalliti. E invece è probabile che proprio in questo dettaglio si trovi un bandolo dell’imbrogliata matassa italiana. Vediamo. Nel testo della lettera inviata dal prefetto della Congregazione vaticana per l’educazione cattolica ai presidenti delle conferenze episcopali si affermano punti secchi e precisi:
1. l’insegnamento della religione non può essere «limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in modo comparativo o neutro», ma deve concentrarsi nell’insegnamento della religione cattolica.
2. Il potere civile «deve riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla»; ma uscirebbe dai suoi limiti se presumesse di «dirigere o di impedire gli atti religiosi». Dunque «spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola» garantendo così genitori e alunni che quello che viene insegnato è proprio il cattolicesimo. Questa direttiva può essere letta da molti punti di vista: se ne ricava intanto un’idea di quanto scarsa sia l’autonomia dei vescovi e delle loro conferenze nazionali nel governo religioso dei fedeli cattolici. Il Concilio Vaticano II aveva segnato un momento di svolta rispetto all’avanzata del potere delle congregazioni vaticane, veri ministeri centralizzati capaci di ridurre i vescovi a obbedienti impiegati di concetto. Ma poi la Curia ha ripreso la sua marcia. Con qualche vittima e con evidenti conflitti tra figure dell’episcopato e mondo vaticano, come quelli intravisti nell’episodio dell’aggressione al direttore di «Avvenire» e delle sue dimissioni.
Oggi il capo del governo italiano si prepara a pagare alla dirigenza vaticana della Chiesa un prezzo tanto più salato in termini di limitazione o erosione dei diritti costituzionali quanto più logora appare la sua rappresentatività allo sguardo non offuscato dalla propaganda mediatica: dichiarare - come ha fatto Berlusconi - che quelle relazioni sono «eccellenti» significa solo che il debitore si impegna a pagare qualunque prezzo. Oltre al testamento biologico avremo dunque sempre più uno Stato catechista, anzi uno Stato chierichetto. Perché una cosa di cui il cardinale Grocholewski sembra non rendersi conto è questa: che quel pericolo di uno Stato che presuma di dirigere o di impedire atti religiosi è proprio ciò che la sua lettera tende a realizzare e che in Italia già esiste.
Non potremmo definire altrimenti lo Stato obbediente che a) impone nelle sue scuole pubbliche l’insegnamento di una sola e specifica religione; b) fa svolgere quell’insegnamento da persone scelte dall’autorità ecclesiastica; c) si prepara a garantire a quell’insegnamento la stessa autorevolezza delle altre discipline scolastiche e la stessa remunerazione in crediti, in barba alla sentenza del Tar del Lazio, assicurando che questa ora di religione ha «la stessa esigenza di sistematicità e di rigore che hanno le altre discipline». Noi non vogliamo negare che lo studio delle dottrine cattoliche possa avere sistematicità e rigore. In popoli che il caso geografico e le svolte storiche hanno lasciato più lontani di noi da Piazza San Pietro ci sono eccellenti facoltà di teologia cattoliche sorte per emulazione accanto a quelle protestanti. Qui, come ben sa l’attuale pontefice che ne è stato un docente, le questioni dottrinali dell’intricato sistema di segni e di concetti elaborato nel corso di millenni vengono dottamente discusse seguendo le regole della ricerca intellettuale: conoscenza critica dei testi, rigore di analisi. Ma nell’insegnamento scolastico di cui qui si tratta abbiamo solo la distribuzione di verità in pillole per lottare contro i pericoli sommi evocati dalla lettera cardinalizia di cui sopra: «creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso».
Tra l’esercizio dell’intelligenza aperta e ancora fresca delle menti giovanili e l’obbligo di inculcare certezze, tra la libera ricerca del vero e l’apologetica di una religione c’è un abisso. Quale sia poi l’effetto di questa dimensione catechistica sulla vita religiosa di un popolo è la storia a dircelo. Da secoli, in un modo o nell’altro, con una breve parentesi di scuola laica nell’Italia dello Statuto albertino, gli italiani imparano il catechismo cattolico, da quello di San Roberto Bellarmino in poi. Ebbene, quale sia lo stato della religione degli italiani è sotto gli occhi di tutti. Non parliamo solo di conoscenza: ché qui l’abisso è grande come sanno i pochi volenterosi che tentano ogni tanto di diffondere la conoscenza della Bibbia. Parliamo di morale, quella dei Vangeli cristiani e del decalogo ebraico. Parliamo della capacità cristiana di testimoniare la fede in faccia al potere. L’Italia non ha conosciuto martiri se non quelli creati dal potere ecclesiastico. Ha conosciuto ipocriti, eredi di di ser Ciappelletto e di Tartufo. Nel paese dove un tempo fiorivano i marxisti immaginari, oggi pullulano i convertiti religiosi. «Franza o Spagna, purchè se magna», si diceva nel ‘600.
Il Vaticano: l’ora di religione non diventi multiconfessionale
La Santa Sede: "Danneggia gli alunni"
L’insegnamento della religione cattolica non può essere limitato a un’esposizione delle diverse religioni, ciò sarebbe una forma di relativismo e di indifferentismo. Inoltre l’insegnamento della religione non può essere marginalizzato senza creare un grave danno agli alunni. È quanto scrive la Congregazione per l’educazione cattolica in una lettera inviata lo scorso 5 maggio Presidenti delle Conferenze episcopali sul tema dell’insegnameto della religione cattolica. Il testo è firmato dal Prefetto della Congregazione, cardinale Zenon Grocholewski.
«La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica - si legge nel testo - ad assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e neutro».
«Con questi presupposti - si afferma ancora nel testo - si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: ’il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o di impedire gli atti religiosì. Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico».
L’ora di religione è la «partita di scambio del governo per la pace con la Santa Sede» protesta la Rete degli Studenti. Quella chiesta dal Vaticano, spiega, è «un’impostazione lontana anni luce da quella della maggior parte degli studenti che, come rivela anche un recente sondaggio, pensano che l’ora di religione cattolica dovrebbe essere riformata e rivista, aprendola allo studio di altre religioni o trasformandola in un’ora di discussione su temi etici e sociali».
* La Stampa, 9/9/2009 (16:14)
Le intuizioni giuridiche del giovane Carlo Azeglio Ciampi al momento della laurea
C’è libertà per le minoranze religiose?
La «libertà concordataria» è ben lontana sia dalle posizioni dei teologi protestanti riuniti nel 1943 alle Giornate del Ciabas, sia di Piero Calamandrei... e puntuale arrivò il Concordato
di JEAN-JACQUES PEYRONEL (Riforma, n. 33, 04.09.2009)
«PERSONALMENTE mi riconoscevo in pieno nelle posizioni di Piero Calamandrei. Non sentivo contraddizione alcuna tra il sentimento religioso al quale ero stato educato in famiglia e a scuola (...) e la formazione laica vissuta negli anni della “Normale”»: così scrive Carlo Azeglio Ciampi nell’introduzione al libro* che pubblica la sua tesi di laurea in Giurisprudenza, sostenuta il 23 luglio 1946 a Pisa, su «La libertà delle minoranze religiose nel diritto ecclesiastico italiano».
Ora è noto che Calamandrei, costituente del Partito d’Azione, fu uno dei più tenaci oppositori all’art. 7 che costituzionalizzò i Patti Lateranensi. Nelle sue «note» sull’acceso dibattito della Costituente, Calamandrei scriveva tra l’altro: «Tutti gli oppositori (...) si rifiutavano di accettare una formula, la quale, venendo a dare ai Patti Lateranensi il carattere di vere e proprie norme costituzionali, avrebbe accolto nella costituzione repubblicana il principio dello Stato confessionale e della religione di Stato consacrato in quei Patti, in aperto contrasto coi principi della libertà di coscienza e della uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge, proclamati in altri articoli della stessa costituzione».
La tesi di Ciampi, sostenuta otto mesi prima del voto sull’art. 7, parte da questa constatazione: «Mentre la proclamazione della religione dello Stato è solennemente fatta negli articoli 1 dello Statuto e del Trattato, il principio della libertà religiosa non trova nessuna esplicita affermazione del nostro diritto». Libertà religiosa che per lui va intesa come un «concetto giuridico» da distinguere «in due aspetti principali: libertà di coscienza e libertà di culto».
Nell’introduzione al libro, Francesco Margiotta Broglio rievoca il percorso del futuro presidente della Repubblica tra la guerra e gli studi giuridici, concludendo: «Ciampi non poteva sicuramente immaginare, nel luglio del ’46, che i costituenti avrebbero finito per adottare soluzioni pienamente compatibili con le formulazioni assai equilibrate da lui esposte nella dissertazione di laurea in giurisprudenza ».
Gianni Long invece, parlando della situazione degli ebrei e dei protestanti alla vigilia della Costituente in una «città aperta» come Livorno, che diede i natali a Ciampi, ricorda gli atteggiamenti ambivalenti del protestantesimo italiano su questo tema.
La legge sui culti ammessi del 1929, fortemente voluta da Mario Piacentini, ex cattolico sposato con una valdese delle Valli, «fu accolta con entusiasmo da tutti gli evangelici italiani», scrive, ma poi ci fu la «svolta dell’estate del 1943», alle Giornate del Ciabàs, in cui venne rivendicato il «principio della separazione nei rapporti tra chiesa e stato, come il regime nel quale meglio che in ogni altro, essa può svolgere la propria opera con quella libertà che le proviene dalla Parola di Dio», posizione ribadita in un manifesto del Consiglio federale delle chiese evangeliche del 2 giugno 1946, in cui «si enunciavano tre punti: la piena e completa libertà di coscienza e di religione; l’assoluta indipendenza di tutte le chiese dallo Stato; la neutralità religiosa, cioè “l’imparzialità dello Stato, non confessionale e libero da ogni ingerenza ecclesiastica” ». Infine, Long ricorda che le «intese» previste all’art. 8 «non erano volute né dagli ebrei (...) né dai protestanti, legati al principio del diritto comune».
In appendice, Francesco Paolo Casavola, ex Presidente della Corte costituzionale, riflettendo su «Lo Stato tra confessione e laicità», afferma che fu «paradossalmente, il richiamo protestantico alla libertà della coscienza» a richiedere «il soccorso e il sostegno dei poteri statali» in quanto «il compromesso di Westfalia» era «ben più crudo di una proclamazione di confessionismo di Stato, perché postulava anche ideologicamente l’annientamento della libertà di coscienza nell’appartenenza territoriale».
Anche il giovane Ciampi insiste sul principio della libertà di coscienza. Ma, dopo aver parlato dei limiti alla libertà religiosa per motivi di ordine pubblico, ricorda i «limiti del tutto diversi (...) posti al concetto di libertà religiosa da parte cattolica» citando la lettera di Pio XI al Cardinale Gasparri del 30 maggio 1929: «Se si vuole dire che coscienza sfugge ai poteri dello Stato, se si intende riconoscere, come si riconosce, che in fatto di coscienza, competente è la Chiesa ed essa sola in forza di un mandato divino, viene con ciò stesso riconosciuto che in uno Stato cattolico, libertà di coscienza e di discussione devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica».
Il che fa dire a Ciampi: «Dire che lo Stato (...) riconosce la religione cattolica come la vera, significa l’accettazione completa della dottrina cattolica, che per la sua caratteristica “totalitaria” investe ogni aspetto della vita umana, tendendo necessariamente alla unicità, all’esclusione di qualsiasi altra fede religiosa».
«Se quindi si vuole rispondere alla domanda se in Italia esista un regime di libertà religiosa - conclude Ciampi - la risposta è senz’altro negativa; non si può certo definire “libertà” il trattamento fatto alle minoranze religiose».
Si chiede inoltre: «È ammissibile in un regime di libertà religiosa l’esistenza di un Concordato fra lo Stato e uno dei culti?». La risposta dei costituenti democristiani e comunisti consistette nell’approvazione dell’art. 7 seguito dall’art. 8.
Otto mesi prima, Ciampi scriveva in conclusione della sua tesi: «Se da un lato i sostenitori dello Stato laico hanno ragione quando affermano che non debbano esistere privilegi per nessuna religione, d’altro canto non meno legittima è l’esigenza di valutare l’importanza della tradizione cristiana nella vita della Nazione italiana». Ragion per cui, secondo lui, «lo Stato non può certo disinteressarsi dell’educazione religiosa».
62 anni dopo, non c’è tuttora una legge quadro sulla libertà religiosa, c’è tuttora il Concordato, pur revisionato, e c’è tuttora l’Irc confessionale. E ci sono voluti 37 anni per giungere alla prima firma di un’intesa. A noi pare che questa «laicità concordataria» sia alquanto lontana da quella che chiedevano i giovani barthiani del Ciabàs nel 1943 e anche da quella che avrebbe voluto Piero Calamandrei...
* Carlo Azeglio Ciampi, La libertà delle minoranze religiose, a cura di Francesco Paolo Casavola, Gianni Long, Francesco Margiotta Broglio. Bologna, Il Mulino, 2009, euro 15,00.
La Stampa, 20/8/2009
Nuove regole per la valutazione i prof. di religione daranno crediti
Regolamento in Gazzetta: per ora sentenza Tar Lazio inefficace
ROMA Da oggi gli alunni della scuola italiana verranno valutati attraverso un nuovo regolamento: il testo è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale sotto forma di decreto del presidente della Repubblica (n. 122). Rimangono confermate quasi del tutto le indicazioni contenute nella bozza iniziale, tra cui l’obbligo per essere ammessi alla maturità di acquisire la sufficienza in tutte le materie e l’equiparazione dei docenti di religione ai colleghi delle altre materie ai fini dell’assegnazione dei crediti scolastici (non viene quindi preso in considerazione il parere contrario espresso dal Tar del Lazio il 17 luglio scorso).
Tra le novità più importanti che introduce il provvedimento vi è la necessità di conseguire, per essere ammessi agli esami di Stato, almeno la sufficienza in tutte le discipline: la regola vale sia per l’esame di licenza media, come del resto già previsto e applicato quest’anno, sia per le scuole superiori (dove invece durante gli ultimi scrutini era stata adottata la norma `interlocutorià voluta dall’ex ministro Fioroni che per l’ammissione all’esame di Stato richiedeva solo la media del sei).
Sarebbe utile, per un’applicazione immediata delle nuove indicazioni, che i collegi dei docenti predispongano sin dai primi incontri dell’anno. Alcune delle novità introdotte dal dpr 122 erano comunque già state adottate: come anche quella che prevede la presenza attiva e a pieno titolo dei docenti di religione cattolica per la determinazione dei crediti scolastici (mentre la valutazione della materia continua ad essere espressa dagli insegnanti nominati dal vicariato «senza attribuzione di voto numerico»).
Del resto il comma 3 dell’articolo 6 del nuovo regolamento, adottabile da oggi, non lascia spazio a dubbi: «In sede di scrutinio finale - si legge nel dpr 122 - il consiglio di classe, cui partecipano tutti i docenti della classe,compresi gli insegnanti di educazione fisica, gli insegnanti tecnico-pratici (...), i docenti di sostegno, nonchè gli insegnanti di religione cattolica limitatamente agli alunni che si avvalgono di quest’ultimo insegnamento, attribuisce il punteggio per il credito scolastico di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, e successive modificazioni».
Una conferma che quindi non tiene conto della discussa sentenza emessa il 17 luglio scorso dai giudici del Tar del Lazio, secondo i quali, per non discriminare quel 10% scarso di allievi che non si avvale della religione, non bisognerebbe rendere utile la frequenza della materia ai fini dell’assegnazione dei punti utili alla formulazione del voto di maturità.
Tra l’altro la mancata osservazione della pronunciamento dei giudici avviene attraverso l’adozione di un regolamento, quindi non con una procedura amministrativa, e comporta pochi problemi di incompatibilità applicativa rispetto a quanto stabilito dal tribunale laziale. Sempre in attesa, comunque, che si pronunci il Consiglio di Stato.
È bene infine ricordare che la presenza dei docenti di religione nel consiglio di classe non ha effetti attivi per tutte le operazioni di scrutinio: ad esempio la materia non viene presa in considerazione per la formulazione delle medie dei cosiddetti ottisti, gli studenti super-bravi che si presentano alla maturità senza aver frequentato il quinto anno.
Per quanto riguarda gli esami di licenza media, il nuovo regolamento sulla valutazione prevede che dal 2009/2010 nella determinazione del voto finale debba essere calcolata la media aritmetica dei voti conseguiti in tutte le prove d’esame: prove quindi scritte (anche il test standard Invalsi il cui peso quest’anno era stato deciso invece da ogni istituto) e orali. Oltre che nel giudizio di ammissione di esame (già dal 2008/09 espresso con voto in decimi anziché con giudizio (sufficiente, ottimo, distinto, ecc.).
Rispetto alla prima versione del testo non c’è invece più traccia, rispetto alla prima bozza di regolamento, della parte che prevedeva l’assegnazione del voto numerico anche durante le lezioni: i pareri contrari, tra cui quello obbligatorio ma non vincolante del Cnpi, devono evidentemente avere avuto il loro peso.
Rimane in piedi invece il voto numerico anche per la certificazione delle competenze, in disaccordo con quanto avviene nell’Ue. Alle superiori una novità importante, ma solo a riforma avvenuta, riguarderà l’obbligo da parte degli alunni, salvo situazioni particolari, di aver frequentato almeno i tre quarti delle lezioni: viene così introdotto, teoricamente a partire dal 2010/11, il concetto di frequenza obbligatoria invece sino ad oggi adottato solo nella primarie e durante lo scrutinio delle medie inferiori.
Pressoché confermata la valutazione dei ragazzi che presentano con difficoltà specifiche di apprendimento adeguatamente certificate. Ciò significa che «la valutazione e la verifica degli apprendimenti - si legge nel dpr 122 - , comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove di esame, sono adottati, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei».
In merito alla sentenza del TAR del Lazio
REGIO e RELIGIO
di Ernesto Miragoli *
Il Tar del Lazio ha accolto un ricorso per l’annullamento di un’ordinanza per gli esami di stato 2007/2008 adottata dall’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni sotto il governo Prodi, che prevedeva che a determinare il credito scolastico per gli esami di maturità potesse concorrere anche la valutazione dell’insegnante di religione. Con questa sentenza, la frequenza dell’ora di religione cattolica non concorrerà all’attribuzione del credito e i docenti di religione non potranno partecipare alle deliberazioni del consiglio di classe. Secondo il Tar, infatti, "sul piano giuridico un insegnamento di carattere etico-religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico".
Diego Coletti, vescovo di Como e Presidente della Commissione per l’Educazione Cattolica della C.E.I., al riguardo ha dichiarato alla Radio Vaticana che "...la laicità è danneggiata da questa sentenza perché per laicità si intende la giusta neutralità di una comunità civile che però dovrebbe valorizzare tutte le identità, ciascuna secondo il proprio peso e rilevanza culturale. Così invece si cade nel più bieco e negativo risvolto dell’illuminismo che prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità e delle identità".
Il Ministro Gelmini, dalla spiaggia di Positano dove si trova in vacanza con il suo compagno Giorgio Patelli, ha annunciato che farà ricorso contro la sentenza del T.A.R. laziale al Consiglio di Stato. Questi i fatti. Veniamo ai misfatti (nel senso di mistificazione dei fatti).
L’ora di religione cattolica nelle scuole è un "non senso" che lo stato italiano si porta dietro dal 1929, quando il card.Gasparri, tramite l’avvocato Pacelli, fratello del futuro Pio XII, la pretese quale prova dell’affermazione concordataria della religione cattolica come "...fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica". "Non senso" che il fascista Mussolini accettò (proprio lui che pochi anni prima, in Svizzera, in un comizio estrasse l’orologio dal panciotto e declamò:"Se Dio esiste gli do due minuti per fulminarmi" e si mise lì, istrionico e corrucciato, ad aspettare un evento che molti rimpiangono che non si sia verificato, ben sapendo che Dio non avrebbe mai assecondato tali stupide sfide) e che il socialista Craxi assecondò nel 1984. "Non senso"(per questo "misfatto") perché uno stato laico - e qui rispondo a mons.Coletti - ha rispetto per tutte le religioni e non ne conculca né privilegia alcuna. Secondo il vescovo di Como, invece, uno stato laico deve porsi in una giusta neutralità, ma avere attenzione "al peso ed alla rilevanza culturale": gesuitica affermazione che lascia intendere che, siccome in Italia la stragrande maggioranza della popolazione si riconosce nel cattolicesimo...intelligenti pauca. Coletti rincara la dose affermando che così si cade nel più bieco illuminismo che prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità e delle identità.
So che Coletti è laurato in filosofia, ma credo che qui spinga un po’ troppo sull’accelleratore del Cicero pro domo sua. A me non pare che Diderot e D’Alambert (tanto per citare due illuministi) abbiano affermato quel che sostiene il vescovo di Como, mi pare - piuttosto - che, sostenendo l’illimitato uso della ragione, pensino ad una concezione cosmopolita, che prende in considerazione anche le civiltà extraeuropee, e laica della storia, che ne amplia l’orizzonte rispetto a quella cristianocentrica e di ispirazione teologica. E che c’è di male? Non ci siamo - come seguaci del Cristo - inseriti in un contesto ebraico, greco, romano dove altre erano le spiritualità ed altre le etiche e non siamo stati, secondo l’esortazione del Maestro, "...lievito che fermenta la pasta"? Solo dopo (313 d.C.) abbiamo cominciato a cercare alleanze fra trono ed altare, appoggi al braccio secolare, terreni, prebende e via elencando, dimenticando l’esortazione:"...non prendete né bastone, né bisaccia, né sandali...mangiate quel che vi vien posto dinanzi...".
Tornando all’ora di religione: il vero misfatto è che gli insegnanti di religione, designati dalla curia, siano diventati di ruolo scavalcando graduatorie, precariati e sofferenze dei loro colleghi (regalo del centrodestra al card.Ruini); il vero misfatto è che può succedere che a tale insegnamento siano deputate persone che non hanno una preparazione pedagogica o che si freghino dietro al Direttore dell’Ufficio catechistico diocesano per avere qualche ora in modo da guadagnare qualcosa (si veda la dichiarazione dell’on.Lupi su "Il Corriere" del 14 agosto); il vero misfatto è che nessuno ha il coraggio di rivedere il Concordato e di dichiarare che tale ora debba essere obbligatoria, ma in questa si deve insegnare storia delle religioni e l’insegnante deve superare un esame di stato esibendo titoli adeguati e non essere designato dalla Curia locale. Il mio parere sulla sentenza del T.A.R. laziale? Assolutamente favorevole. Gli alunni i crediti debbono guadagnarseli sul campo.
Un consiglio a chi si straccia le vesti per questa sentenza: si faccia una verifica su come viene condotta l’ora di religione nelle scuole di ogni ordine e grado, sul gradimento degli insegnanti, sulla loro preparazione ad affrontare temi importanti, sull’uso che si fa del testo di religione che si deve obbligatoriamenti acquistare nel caso in cui ci si avvalga dell’insegnamento, poi ci si stracceranno le vesti, ma non certo per la sentenza del T.A.R. del Lazio! Anche qui: intelligenti pauca.
Ernesto Miragoli
Giornalista
22100 Como - via Lambertenghi 4
Cell. 3484006306
e-mail:miragoli@hotmail.it
Blog: www.webalice.it/miragoli
* Il Dialogo, 15 Agosto,2009 Ore: 20:16
La decisione del tribunale: non possono determinare i crediti scolastici
nessuna pratica di culto può avere una posizione dominante
Il Tar: "Il prof di religione non può partecipare agli scrutini"
Accolti i ricorsi che chiedevano l’annullamento delle ordinanze dell’ex ministro Fioroni
Paola Binetti: "Il credo non è un optional. No, a insegnanti di serie A e serie B"
ROMA - I docenti di religione cattolica non possono partecipare "a pieno titolo" agli scrutini ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico: a stabilirlo è il Tar del lazio, che con la sentenza n. 7076 ha accolto i ricorsi presentati, a partire dal 2007, da alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, che chiedevano l’annullamento delle ordinanze ministeriali firmate dall’ex ministro Giuseppe Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008. Contraria alla sentenza la parlamentare del Pd, Paola Binetti: "Così si creano insegnati di serie A e serie B; la religione non è un optional".
L’inclusione della religione nella rosa delle materie da cui scaturiscono i giudizi degli allievi è ritenuta illegittima. Per i giudici amministrativi "l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni o per chi dichiara di non professare alcuna religione, in Etica morale pubblica".
Nella sentenza, emessa il 18 luglio e resa nota in questi giorni, i giudici fanno menzione anche del principio della laicità dello stato, enunciato dalla corte costituzionale (sentenza n.203/89), ritenuto garanzia dello stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale: "sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente - sottolinea il Tar- essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico".
Quindi, ha precisato ancora la sentenza, "lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto, non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante".
Vengono così accolte in pieno le richieste formulate dalle diverse associazioni coordinate dalla consulta romana per la laicità delle istituzioni e dall’associazione "Per la scuola della Repubblica" (che giudicano la "sentenza illuminante"). Ad esse il Tar ha riconosciuto la richiesta di salvaguardia dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che "sono tutelati - secondo i giudici regionali - direttamente dalla costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all’alveo della tutela del giudice amministrativo".
La replica della Binetti. Io credo, al contrario, che il non ammetterli agli scrutini sia un criterio discriminatorio nei confronti dei docenti, che crea dei docenti di serie A e di serie B", un criterio "massimamente scorretto" perché "si ripercuote anche sullo studente in particolare quello che ha scelto l’insegnamento della religione". Così la parlamentare del Pd Paola Binetti commenta la sentenza. "Che poi loro - aggiunge - debbano avere grande professionalità e rispetto per la libertà di tutti è un altro discorso, ma escluderli significa dire agli studenti che ci sono dei professori di serie A be di serie B e questo contraddice tra l’altro l’altissimo numero di persone che scelgono l’insegnamento della religione e si aspettano che, una volta scelto, non sia un optional ma entri a pieno titolo nella valutazione".
* LA REPUBBLICA, 11 agosto 2009
Monsignor Diego Coletti critica la decisione del Tribunale amministrativo
"Alimenta diffidenza verso magistrati. Motivazioni da bieco illuminismo"
I vescovi contro il Tar del Lazio
Gelmini: "Faremo ricorso"
Gasparri: "Deriva anticattolica". Volonté: "Magistratura fuori legge"
Il ministro dell’Istruzione: "Così si discrimina la religione cattolica"
CITTÀ DEL VATICANO - "Sentenza pretestuosa", "bieco illuminismo". La Chiesa non ci sta e, tramite monsignor Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica scatena fuoco e fiamme sulla sentenza del Tar del Lazio che esclude gli insegnanti di religione dagli scrutini. Passano poche ore e il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini mette in pratica l’indignazione dei vescovi: "Farò ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza". Secondo il ministro questa decisione discrimina la religione cattolica. "L’ordinanza del Tar determina un ingiusto danno nei confronti di chi sceglie liberamente di seguire il corso", dice la responsabile dell’istruzione che difende il ruolo degli insegnati di religone: "Non è giusto sminuire il loro ruolo, come se esistessero docenti di serie a e di serie B".
Proprio quello che la Cei aveva chiesto. "Non credo - aveva detto ai microfoni della Radio Vaticana monsignor Coletti - che tocchi alla chiesa come tale fare ricorso. Tocca ai cittadini italiani organizzati in partiti o in associazioni culturali esprimere il loro parere, il loro dissenso di fronte a una sentenza così povera di motivazioni e credo che lo stesso ministero dovrà fare un ricorso perché ciò che è stato messo sotto accusa non è l’opinione della Chiesa ma una circolare del ministero, un qualche cosa che attiene all’organizzazione della scuola di Stato e credo quindi che siano questi gli organismi che debbano muoversi".
Monsignor Coletti ha definito la sentenza particolarmente pretestuosa e ha riaffermato che l’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della conoscenza della cultura italiana, e in questo senso va inteso nel sistema scolastico italiano, non come percorso confessionale individuale. "Non si tratta di un insegnamento che va a sostenere scelte religiose individuali: ma di una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili laicisti e purtroppo dobbiamo dire con buona pace anche dei nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane".
La sentenza del Tar del Lazio, ha proseguito Coletti, rischia di alimentare diffidenza e sospetto verso la magistratura che sono già troppo alti in Italia e sono fenomeni che invece vanno contrastati. "Non conosco i giudici del Tar del Lazio - ha detto il vescovo di Como - anche se questo tribunale amministrativo ha una sua lunga storia che molti conoscono. Caso mai ci sarà da chiedersi come mai la competenza su una questione così delicata venga data a un tribunale amministrativo regionale".
Critiche alla sentenza arrivano anche dal fronte politico. E sono trasversali. Giuseppe Fioroni, ora responsabile organizzazione del Pd, da ministro della Pubblica istruzione fautore delle contestate ordinanze, ha invitato il ministro Mariastella Gelmini a fare ricorso. Il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, ha parlato di "deriva anticattolica che non ha precedenti nella storia e nella tradizione del nostro Paese". Sulla stessa linea il presidente del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, secondo cui "il Tar del Lazio non coglie il problema e rischia di gettar via il bambino insieme all’acqua sporca". Il punto "è quello di assicurare lo stesso numero di ore di frequentazione scolastica a ogni alunno, cosa che non avvenendo determina la discriminazione su cui è intervenuto il Tar del Lazio". E di "vergognosa e ideologica sentenza" parla anche Luca Volontè dell’Udc secondo il quale "la magistratura è fuorilegge".
Favorevoli alla sentenza sono i ragazzi dell’Unione degli studenti, che la considerano "un passo avanti nella direzione della laicità della scuola pubblica". "Da sempre - ha sottolineato l’Uds - riteniamo incostituzionali le ordinanze dell’allora ministro Fioroni e vediamo con entusiasmo l’accoglimento del ricorso di cui l’Unione degli Studenti è stata l’associazione studentesca firmataria". "Viva soddisfazione" è stata espressa anche dal presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, il pastore Domenico Maselli, tra i firmatari del ricorso avanzato, tra gli altri, anche dalla Consulta romana per la laicità delle istituzioni e dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), insieme a decine di associazioni laiche e a diverse confessioni religiose non cattoliche - tra cui avventisti, battisti, ebrei, luterani, pentecostali e valdesi - nonché da due studenti oggi ventenni, che in sede di scrutinio degli esami statali si erano visti discriminati nell’attribuzione del voto finale, perché non avevano frequentato l’ora di religione.
* la Repubblica, 12 agosto 2009
Quanto dura un’ora di religione?
di Sergio Bartolomei e Maurizio Mori (l’Unità, 14.05.2009)*
Del Papa si parla sempre molto, soprattutto in questi giorni di viaggio in Terra Santa. Poco rilievo, tuttavia, è stato dato dalla stampa al discorso con cui, una decina di giorni fa, il Papa stesso ha ribadito che l’insegnamento della religione cattolica (Irc), lungi dal costituire «un’interferenza o una limitazione della libertà, è un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva».
A prima vista la tesi dell’insegnamento di una religione come modello di autentica laicità è tanto paradossale da essere subito scartata. Ma forse è opportuno continuare a riflettere sulle parole papali, almeno per consentirci di mettere in luce alcuni assunti dell’attuale orientamento vaticano. Eccole.
Con gli altri insegnanti, il docente di religione cattolica deve «porre al centro l’uomo creato a immagine di Dio», sollecitando ad «allargare gli spazi della nostra razionalità». Lo scopo deve essere far capire che «la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale» e permette di «trasformare la conoscenza in saggezza di vita» dando «un’anima alla scuola». La religione è infatti «parte integrante della persona» e condizione del «vivere umano completo»; in breve, «rende l’uomo più uomo».
Il rilievo del discorso papale emerge quando se ne indichino le implicazioni negative. L’idea che la religione è intrinseca alla cultura implica che senza la religione non c’è cultura o quella che c’è è insufficiente (lo dimostra la cultura scientifica che non attinge il mistero e non allarga la razionalità...). Se la religione è parte integrante della persona, chi non la coltiva è persona meno integra. Se rende l’uomo più uomo, chi non la fa propria è meno uomo, più grezzo o incompleto. E infine se la religione dà un’anima alla scuola, una scuola senza religione è arida o più povera, ecc. ecc.
Quattro secoli fa Pierre Bayle, in polemica coi devoti del suo tempo che negavano potesse esistere una comunità umana priva di religione, riconosceva come del tutto concepibile una società di “atei virtuosi”, persone cioè con solidi valori morali indipendenti dalla religione. Oggi il Papa rivendica il primato morale della religione per l’educazione quasi riecheggiando le parole dei programmi scolastici ministeriali del 1955 che vedevano nella religione «il completamento e il coronamento dell’insegnamento». L’idea di individui pensanti non religiosi è oggi per il Magistero altrettanto improbabile di quella di ateo virtuoso per gli avversari di Bayle. È in fondo l’ammissione indiretta che l’unico “laico virtuoso”, per la Chiesa, è il laico morto, rassegnato al precetto “fuori della chiesa, nessuna salvezza”.
* Consulta di Bioetica
No all’ora di religione
Berlino boccia il referendum dei cattolici
di Gherardo Ugolini (l’Unità, 27.04.2009)
Contro l’insegnamento dell’etica voluto dalla coalizione Spd-Linke, erano scesi in campo i gruppi cattolici. Anche la cancelliera Merkel si era schierata per l’abrogazione. Ma i berlinesi hanno detto no.
Il referendum non ha raggiunto il quorum ed è fallito. E chi ha votato ha detto no. E così la «battaglia sull’ora di religione», combattuta ieri a Berlino, si è conclusa con una chiara e netta vittoria del fronte laico. Se c’era bisogno di un’ulteriore conferma del fatto che i cittadini di questa metropoli sono orgogliosi del loro spirito tollerante e alieno da integralismi e fondamentalismi, questa è arrivata in modo clamoroso con l’affossamento dell’iniziativa Pro Reli, che mirava a modificare l’attuale sistema d’insegnamento della religione a scuola introducendo l’obbligo di scelta tra ora di religione o di etica.
Flop alle urne
Solo il 29% degli aventi diritto si è recata ieri alle urne e tra i votanti solo coloro che hanno detto «sì» alla proposta di cambiamento sono stati molto meno dei 612mila necessari per far scattare il quorum. Di conseguenza nelle scuole di Berlino si continuerà come prima: tutti gli scolari dovranno frequentare obbligatoriamente le lezioni di etica (intesa come educazione civica e trasmissione dei valori costituzionali), mentre solo chi lo vorrà potrà facoltativamente seguire l’ora di religione. Attualmente ben il 70% dei berlinesi in età scolare sceglie di non avvalersi dell’insegnamento di religione. Fino a ieri la città era invasa di manifesti e volantini invitanti a mobilitarsi «per la libertà di fede», contro «il materialismo imposto dalle sinistre».
Toni da crociata
Evidentemente questi toni da guerra fredda, questi slogan da crociata, non piacciono in una città che come nessun’altra ha vissuto sulla sua pelle il dramma novecentesco della contrapposizione ideologica. La sconfitta è cocente per Christoph Lehmann, il quarantaseienne avvocato di successo che un anno fa ha fondato l’iniziativa Pro Reli e l’ha guidata fino a ieri. Se ce l’avesse fatta avrebbe con ogni probabilità utilizzato la vittoria per catapultarsi alla guida della Cdu locale, travolta da scandali finanziari, relegata all’opposizione e in perenne attesa di un serio rilancio. Ha perso il vescovo della chiesa evangelica Wolfgang Huber. Hanno perso la Cdu e i liberali della Fdp. E ha perso Angela Merkel che alla vigilia del voto ha lanciato un appello a votare in massa per Pro Reli rompendo una tradizione che vuole il cancelliere neutrale in faccende di politica locale. Vero vincitore dalla consultazione referendaria è senz’altro il borgomastro Klaus Wowereit, il personaggio che meglio interpreta il sentimento di forte laicismo in cui si riconosce la stragrande maggioranza dei berlinesi. Era stato lui, governatore socialdemocratico alla guida di una maggioranza in cui Spd e Linke cooperano pragmaticamente e con discreti risultati, a volere che fosse introdotta etica come materia obbligatoria per tutti i ragazzi.
Ora di etica o religione, Berlino al voto
Merkel si schiera con i cattolici
di Gherardo Ugolini (l’Unità, 26.o4.2009)
Oggi nella capitale tedesca il referendum voluto dall’associazione di fedeli cattolici «Pro Reli». Obiettivo: cancellare l’obbligo di insegnamento dell’etica nelle scuole introdotto dalla maggioranza Spd-Linke.
La crociata divide la capitale: i quartieri orientali per il no, quelli occidentali per il sì Socialdemocratici difendono la novità dell’insegnamento civico introdotto nel 2006 Per vincere la battaglia i referendari dovranno avere almeno il 25%
Etica o religione? La metropoli più laica e secolarizzata d’Europa (il 60% degli abitanti si dichiara non credente), tradizionalmente moderna e trasgressiva, fiera delle sue «diversità» a partire dal sindaco gay Klaus Wowereit, è diventata nelle ultime settimane il teatro di una guerra di religione in cui gli opposti schieramenti si combattono con slogan e parole d’ordine da guerra fredda che nessuno avrebbe immaginato vent’anni dopo la caduta del Muro. L’associazione di fedeli
La crociata è partita mesi fa con la nascita dell’iniziativa civica denominata Pro Reli, cioè «per la religione»: un’associazione di fedeli cattolici e protestanti, sostenuta dalla Cdu, che si batte perché venga cambiato il sistema d’insegnamento della religione in vigore nelle scuole di Berlino. Attualmente gli scolari delle medie e superiori a partire dai tredici anni frequentano obbligatoriamente lezioni di etica, mentre l’insegnamento della religione è facoltativo. Questo dispositivo, che costituisce un eccezione rispetto al modello praticato negli altri Länder tedeschi, è stato introdotto nel 2006 dalla maggioranza Spd-Linke al governo della città, in quanto ritenuto il più idoneo per una comunità in cui sono rappresentate decine di etnie e di confessioni religiose. L’insegnamento di etica è concepito come una forma di educazione civica che trasmette i valori fondamentali della costituzione tedesca ed educa alla convivenza pacifica tra cittadini di vario orientamento e provenienza.
I fautori di «Pro Reli» si sono mobilitati contro questo meccanismo che giudicano penalizzante per la fede cristiana e hanno raccolto oltre 250mila firme tra i cittadini per introdurre l’obbligo di scegliere o religione o etica. È precisamente questa la materia del contendere, su cui oggi si svolge un referendum al quale sono invitati a partecipare oltre 2,4 milioni di berlinesi.
E la polemica si è fatta inevitabilmente rovente. «Votare sì è una questione di libertà», «La fede sposta le montagne», «Libertà di scelta»: chi gira per le strade della capitale tedesca non può evitare di imbattersi in megacartelloni con queste frasi scritte a carattere cubitali. La campagna pubblicitaria di Pro Reli, che ha fatto proseliti anche tra alcuni gruppi musulmani, è tutta giocata sul concetto di «libertà»: la libertà di scelta che la sinistra al governo di Berlino avrebbe conculcato imponendo i corsi di etica a tutti. Dall’altra parte i cartelloni della Spd ribattono con lo slogan «Etica o religione? Noi le pratichiamo entrambe».
Alla vigilia del referendum ha pensato bene di scendere in campo anche Angela Merkel proclamando il suo voto a favore di Pro Reli. «Spero che il maggior numero possibile di cittadini si dichiari a favore dell’insegnamento della religione» ha esortato la cancelliera. L’opinione pubblica appare divisa sull’argomento, con una prevalenza del no nei quartieri orientali (ex Ddr) e del sì in quelli occidentali.
Ma il vero pericolo per i referendari è che succeda come lo scorso anno in occasione della consultazione sulla chiusura dell’aeroporto di Tempelhof, allorquando i promotori del referendum, pur ottenendo la netta maggioranza dei voti, non raggiunsero il quorum e di conseguenza il risultato fu dichiarato nullo.
La sfida
Qui sta il punto: ai sostenitori di Pro Reli non sarà sufficiente ottenere più consensi degli altri. Per farcela davvero bisognerà che per la loro iniziativa votino almeno 612mila cittadini, pari al 25% dei berlinesi aventi diritto. Altrimenti tutto resterà come prima.
la Repubblica, 26.04.2009
"Ora di religione esempio di sana laicità" Il Papa: è parte integrante della scuola
CITTÀ DEL VATICANO - Per papa Ratzinger l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica non è «un’interferenza o una limitazione della libertà», ma - al contrario - è un esempio «di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva» in Italia e in tutti i paesi dove è istituito.
Benedetto XVI ne ha parlato ieri ai circa 8000 insegnanti di religione che hanno preso parte alla tre giorni di Meeting sull’Irc voluto dalla Cei, aperto giovedì scorso dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. «L’insegnamento della religione cattolica - secondo il Papa - è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l’insegnante di religione è una figura molto importante nel collegio dei docenti. È significativo che con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi». Presente all’udienza anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. (o. l. r.)
Benedetto XVI: "E’ parte integrante della scuola italiana e l’insegnante è una figura importante per i ragazzi"
Il Papa difende l’ora di religione
"Contribuisce ad una sana laicità" *
CITTA’ DEL VATICANO - L’ora di religione è parte integrante della scuola italiana ed è esempio di "laicità positiva". Lo ha ribadito oggi il Papa. "L’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l’insegnante di religione costituisce una figura molto importante nel collegio dei docenti", ha detto Benedetto XVI, come dimostra anche il fatto che "con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi".
Il Papa ha voluto riaffermarlo oggi nel modo più solenne, concludendo in Vaticano il Meeting degli insegnati di religione promosso dalla Cei, che era stato aperto giovedì scorso dal cardinal Angelo Bagnasco e dal ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini.
Applaudito dagli ottomila professori radunati nell’Aula Nervi, il Papa ha sottolineato che "l’altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina è il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto".
Lungi dal costituire "un’interferenza o una limitazione della libertà", la presenza nella scuola pubblica italiana degli insegnanti di religione selezionati dalla Chiesa cattolica "è, anzi, un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un paese ha sempre bisogno", ha aggiunto il Papa.
* la Repubblica, 25 aprile 2009