Succede in Calabria, incanto e laboratorio politico-mafioso. C’è un comune, San Giovanni in Fiore (Cs), col record italiano della disoccupazione ed emigrazione. Vi si trova un ospedale, irregolare, vecchio e morente, usato come fabbrica di voti e clientele. La politica se n’è sempre fottuta, giocando sul bisogno altrui. Lì, medici, infermieri e amministrativi hanno consolidato bacini di voti, assicurandosi il potere e benefici come dipendenti pubblici.
In ogni periferia del Sud, il dottore è un papa, e l’infermiere può sempre servire. Soprattutto a San Giovanni in Fiore, isolato fra i monti della Sila, dove perfino la neve porta guai, tanto la città è disastrata. Riguardo ai sanitari a palazzo, potrei esporre un lungo elenco di nomi, in parte già nel volume “La società sparente”. Membri della sinistra locale o d’una destra furbamente ballerina, hanno ottenuto migliaia di preferenze, grazie alla paura, diffusa, della malattia. Promettendo prenotazioni, visite anticipate e trattamenti di favore.
La stessa classe politica, arrogante e arrugginita, ha gabbato tanti disoccupati, per anni foraggiandoli, grazie al governo centrale e regionale, con un sussidio a fondo perduto. Togliendo, cioè, dignità e prospettive a masse di cinquantenni e giovani; abbagliati dalla possibilità di ricevere, comodi a casa propria, poche centinaia di euro al mese. Poi bar, birra, tabacco, carte, calcio. Miseria. Con uno schema fisso: finti corsi di formazione professionale e l’avallo di carte false, per un reddito garantito, ad opera di consiglieri comunali e amministratori interessati. Quindi scioperi, blocchi stradali e aggressioni, dai destinatari del contentino, per ottenerne la proroga a cadenza periodica.
San Giovanni in Fiore è una frontiera del Mezzogiorno in cui la povertà, anzitutto culturale e morale, crea dipendenze e governatori. Uno di loro è il presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, signore del luogo. Celebrato più di Mastella, gli mancano il sorriso e la simpatia del “padrino” campano. Oliverio è più d’un commendatore, noto alla stampa per le tante consulenze assegnate, formalmente in regola, ad amici degli amici e compagni di partito. Ma è uno che non riesce a guardarti in faccia, che sfugge al confronto. Sta in poltrona da un ventennio, e s’è riciclato con la complicità di chi lo teme, specie nel suo Pd: è il capo indiscusso.
Oggi Oliverio è il regista di un’operazione politicamente truffaldina: a San Giovanni in Fiore, i consiglieri comunali d’opposizione si sono dimessi, nei giorni scorsi, determinando la caduta della giunta di Antonio Barile; una brava persona, pur se nel Pdl. Nelle motivazioni, si racconta d’una scelta responsabile a difesa dell’ospedale civile, il cui punto nascite è stato soppresso dal presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti. Primo atto, secondo esponenti d’un centrosinistra inquieto e bugiardo alla Ghedini, per la chiusura definitiva dell’intero presidio.
Oliverio e Scopelliti sono due facce d’una sola medaglia. Perfettamente dentro il sistema calabrese doc, per cui i voti s’incassano col calcolo di ragioneria. Il primo ne prese un migliaio da Luigi Garofalo, sotto processo per voto di scambio trattato coi Forastefano, rispettati ‘ndranghetisti. Senza mai allontanarlo dalla sua corte. Il secondo, invece, è nel mirino della magistratura che sta verificando suoi rapporti con uomini d’onore.
Il dramma è che i giovani della mia città, io sono di San Giovanni in Fiore, non hanno capito che dobbiamo essere distanti sia dagli Oliverio che dagli Scopelliti. E dai loro accoliti. Perché entrambi, pur d’arrivare al potere, non si sono mai dissociati dai compari. Quei Loiero e Chiaravalloti che hanno distrutto la sanità calabrese, il cui bilancio parla chiaro: su tre miliardi, uno va ad altre regioni per cure fuori del territorio. E nessuno sa bene quanto ne mangi Cosa nuova. Carmine Gazzanni
SANITÀ,
APPELLO AI SANGIOVANNESI (E A TUTTI I CALABRESI):
BASTA ERRORI, SITUAZIONE DRAMMATICA
di Emiliano Morrone *
Non è il momento delle accuse, dei veleni, del tifo e della propaganda. Non c’è più tempo né campo per lo scontro politico, gli attacchi e il protagonismo, qualunque ne sia la bandiera, la matrice, l’obiettivo. San Giovanni in Fiore e tutta la Calabria devono guardare in faccia la realtà, drammatica per tutti. Siamo sulla stessa barca e non possiamo permetterci nuovi errori, leggerezze e deliri contagiosi.
I casi positivi hanno superato l’immaginabile: sono ben oltre 400 nella «Capitale della Sila», sommando quelli ufficializzati dall’Asp di Cosenza e quelli accertati dai laboratori privati. Ma potrebbero essercene molti altri, nascosti dall’abilità del virus di camuffarsi, ingannare, infettare e colpire all’improvviso. Dobbiamo, per quanto possibile, proteggere i più deboli, intanto gli anziani e i bambini. Perciò vi sono due soluzioni: stare a casa propria e uscire solo per necessità; abbandonare i pregiudizi e inquadrare la situazione, di massima allerta senza precedenti. Anche per gli interventi di solidarietà e assistenza, giusti e sacrosanti, occorrerà cautela assoluta.
Siamo disarmati, in una guerra che non riconosciamo come tale, che davamo per vinta a causa dei messaggi sballati dei mesi scorsi, figli di una “politicizzazione” della pandemia, del disordine mediatico, di certe teorie del complotto e delle giocate quotidiane all’“Allegro statista”, che ci hanno incollato al pc (o al telefonino) durante e dopo il primo lockdown.
Nel contesto la confusione nei Palazzi e il «fai da te» sui territori si sono moltiplicati all’impazzata. Così ministri, presidenti di Regione, sindaci, dirigenti sanitari, commissari e delegati - perfino senza titolo - hanno spesso agito d’istinto e non di rado a fasi lunari: senza un coordinamento stabile sui dati e i fabbisogni e, nonostante il dettato della Costituzione in tema di profilassi internazionale, senza la regia fissa dello Stato. Ciò è avvenuto a discapito della chiarezza e dell’uniformità delle misure di contenimento.
Il Servizio sanitario calabrese non può, per quello che è, fronteggiare a modo l’epidemia in atto. Molti malati cronici non riceveranno le cure necessarie. Il sistema è vicino al collasso: ospedali, sanitari e unità operative sono sotto enorme stress, tanti reparti si tanno dedicando al solo Covid, gli organici sono più che insufficienti, i mezzi disponibili ancora pochi e le direttive alquanto carenti, specie per i medici e le terapie di base. Inoltre, in Calabria ci troviamo nel bel mezzo di una Babele istituzionale, amplificata da tg e servizi in onda e pagina. Nell’emergenza mancano il capitano e la rotta. E perfino l’equipaggio sanitario è decimato dal Covid, già ridotto dal blocco - anche dovuto a una schizofrenia del Tavolo di verifica degli adempimenti del Piano di rientro - delle assunzioni, che speriamo il parlamento rimuova, senza indugi, nella conversione del secondo «decreto Calabria».
Nel quadro complessivo, la recente trasferta a Roma dei sindaci appare tardiva e piuttosto inutile, perché da marzo 2020 sono trascorsi otto mesi senza il previsto aumento del personale sanitario e delle terapie intensive; senza l’attuazione del Piano Covid; senza l’acquisto di un congruo numero di macchine per processare i tamponi e mantenere il tracciamento; senza l’attivazione delle Usca programmate e di plessi dedicati; senza nuovi medici, infermieri e Oss a tempo indeterminato. Per non parlare delle scuole, qui tralascio per brevità la storia dei banchi a rotelle, molte delle quali non sono state adeguate con i soldi mandati dal governo per l’edilizia leggera e l’affitto di spazi alternativi.
Se quanto riassunto è vero, e lo è, senza l’incremento di personale e strumenti dovremmo abbandonare l’idea, foriera di grandi entusiasmi, di trasformare un’ala dell’ospedale di San Giovanni in Fiore (o di altro posto) in Covid hotel. Se la sposassimo acriticamente e a furor di social, potremmo trovarci presto a scongiurare ulteriori contagi, per di più nel periodo di punta dell’influenza stagionale. Bisogna invece muoversi per riqualificare il presidio ospedaliero nostrano e l’assistenza territoriale. Con una proposta unitaria e convincente, con la forza e la determinazione di una comunità (montana e periferica) che finora ha soltanto subito per colpa dell’opportunismo e della compiacenza di larga parte della vecchia politica.
È triste da scrivere, ma allo stato dobbiamo barricarci in casa, chiedendo ai rappresentanti di ogni livello che non ci sia più quella sovrapposizione di poteri che, insieme all’attendismo generale e a una diffusa voglia di apparire, ha confermato la debolezza del sistema politico e sanitario della Calabria, come la nostra incapacità, purtroppo cronica, di tutelare uniti il diritto alla salute. Il più importante per la ripresa dell’economia e della formazione scolastica, in una regione in cui la ’ndrangheta e il malaffare proliferano grazie alla miseria, all’ignoranza e alle connivenze, non soltanto mafiose.
SANITÀ: MESSAGGIO A TUTTI CONCITTADINI DI SAN GIOVANNI IN FIORE, AL DI LÀ DI DESTRA E SINISTRA
di Emiliano Morrone *
Ho già scritto sull’idea di utilizzare un’ala o un’area dell’ospedale di San Giovanni in Fiore per assistere pazienti Covid non gravi. La previsione, stando alle carte, è di attivare a riguardo una ventina di posti dedicati. Pare che l’Asp di Cosenza sia già passata alla fase attuativa. Così fosse, occorrerebbe sapere con quali garanzie, con quale personale e con quali strumenti, posto che sarebbe inaccettabile - lo dico intanto alla commissaria, Cinzia Bettelini - interrompere o ridurre l’attività della Medicina e delle altre unità operative all’interno dello stesso ospedale. Da ultimo ho anche sentito un medico e professore universitario, che ha posto nel merito alcune questioni dirimenti, da me riassunte per come ricevute. Se volete approfondire, potete leggere il mio post di stamani.
Torno sull’argomento per chiarire alcuni punti, poiché diversi lettori mi hanno scritto in proposito.
Primo: non ho ruoli di rappresentanza e mi limito, da giornalista, a dare un umile contributo di informazione a beneficio della mia comunità di San Giovanni in Fiore. Non prendo soldi per aggiornarvi sulla sanità locale (e regionale), non ho interessi personali e credo che ciascuno possa fornire elementi utili al dibattito specifico, di chiaro interesse pubblico. Non è la prima volta che mi occupo dei servizi sanitari locali. Peraltro ai temi della sanità calabrese ho dedicato, per mestiere, una certa attenzione. Non sono un eroe né aspiro ad esserlo. Lascio ai banditori della tv questo compito remunerativo. A me piace dedicare parte del tempo libero per ben altro lavoro, possibilmente di concreta utilità collettiva. Ribadisco: non ci guadagno denaro, fama o pubblicità. L’informazione ha un ruolo essenziale, soprattutto in una regione come la Calabria, specie oggi. Allora cerco di fare la mia parte, anche perché vivo nel territorio. Pertanto non posso restare a guardare né riesco ad ignorare i fatti, le loro dinamiche e il contesto presente e passato.
Secondo: è affare della politica, dunque degli eletti, raccogliere le informazioni che ho pubblicato sul progetto del Covid hospital a San Giovanni in Fiore. Essa può ignorarle, ritenerle fuori luogo oppure, viceversa, può prenderle in considerazione, discutere delle criticità rilevate e convergere o meno sulle soluzioni da portare ai vari tavoli di confronto; anche su quelle volte al rilancio complessivo dell’offerta sanitaria locale. Da tempo ne ho indicato diverse, sentiti vari esperti in materia sanitaria.
Terzo: se non abbandoniamo la tifoseria politica e se non rinunciamo ai pregiudizi, non otteniamo un tubo. Anzi, facciamo danni. Qui occorre concentrarsi sulle azioni, ragionarci a modo e non cedere alla fretta dell’era virtuale o alla tentazione del consenso.
Quarto: se ancora non si fosse capito, con le centinaia di casi positivi e con le gravissime carenze del sistema sanitario regionale, ci troviamo, anche a San Giovanni in Fiore, in una difficoltà inedita, pesantissima. Il futuro si annuncia incerto e insidioso, sia per la tutela della salute che per l’economia. Infatti non è possibile prevedere con certezza l’evoluzione dell’epidemia né il comportamento del virus. Possiamo soltanto rispettare le misure di contenimento dei contagi e proporre, uniti, una valida organizzazione dei servizi; spero con intelligenza, con metodo e senza caciara o il brutto vizio del protagonismo, purtroppo a lungo di moda. Ancora non esiste un vaccino ufficiale e sicuro, sicché sono fondamentali la cautela, la responsabilità individuale e il senso di comunità, nel dolore come nella speranza e nell’impegno comune.
Quindi chiedo ai miei concittadini, in cui confido molto, di remare nella stessa direzione. Dobbiamo risollevarci tutti. Ora o mai più.
* Facebook : Emiliano Morrone, 24.11.2020
"STRADA E IL MITO DELLA CALABRIA DEGLI EROI (FORESTIERI)"
di Emiliano Morrone *
Nella società virtuale e del manicheismo spinto accade di tutto. Io la storia di Gino Strada commissario o sub-commissario alla sanità calabrese la vedrei, per come si sta mettendo, come la conferma, l’ennesima, della sconfitta del popolo calabrese, evidentemente ritenuto incapace di esprimere dirigenti seri, onesti e capaci. Vedremo se prevarrà, con Strada o meno, l’esclusione di professionisti locali.
Non metto in discussione il lavoro del fondatore di Emergency e non mi interessano certe opinioni terze sulla sua organizzazione umanitaria - che ha indubbi meriti concreti -, secondo cui sarebbe troppo schierata a sinistra. Il punto non è questo, ma è molto più pratico: Strada - che peraltro, nell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’articolo 21 della Costituzione, definì "coglioni" i 5 Stelle - sarebbe nello specifico una figura simbolica, punto.
Piaccia o meno, ma come Cotticelli non ha esperienza in materia di organizzazione e gestione sanitaria di aziende pubbliche della salute e non lo immagino condividere ufficio e responsabilità commissariali con Giuseppe Zuccatelli, scelto dal governo alla guida del piano di rientro dal disavanzo sanitario calabrese. Ma c’è un aspetto ancora più importante, al netto della difficoltà dell’esecutivo di giustificare, eventualmente, la sostituzione del manager di Cesena, ex "virologo" minimalista, o le sue dimissioni indotte.
Possibile che la Calabria abbia sempre bisogno dell’eroe forestiero? Facciamo così schifo? Siamo così ignoranti, stolti e da buttare? Non abbiamo già vissuto l’esperienza del capitano, anzi, Colonnello, Ultimo, quale assessore regionale all’Ambiente? Per il ruolo non c’era nessuno in loco meglio di Ultimo, indipendentemente dalla biografia formidabile da carabiniere? Non abbiamo, soprattutto negli ultimi tre anni, già visto e subito nomine (nella sanità) di professionisti provenienti da fuori?
A titolo di esempio ne faccio un breve elenco: Urbani (da febbraio ad agosto 2017 perfino controllore e controllato), Cotticelli (uscito di scena come sappiamo), Schael (dimissionario), Gentili (andato via), Panizzoli (molto discussa la sua valutazione), Saitta (dimissionaria) e Bettelini, secondo Nuova Cosenza "già - in quota Lega - commissario straordinario dell’Ospedale San Gerardo di Monza per poi essere bocciata ai test a cui la Lombardia ha sottoposto i dirigenti al fine di formare la lista dei manager sanitari dalla quale selezionare i vertici delle strutture sanitarie regionali".
Quindi mettiamoci d’accordo, se in Calabria non vale nessuno, e io non lo credo né sono disposto a crederlo, a questo punto si metta un volto simbolico, non calabrese, in ogni posto chiave della pubblica amministrazione regionale, si rinunci alla retorica sui nostri giovani laureati e si certifichi che tutta la dirigenza calabrese è insana e tra l’altro finanche debole davanti alle seduzioni della ’ndrangheta delle cosche o dei colletti bianchi. Non rimarrebbe che eliminare per legge le elezioni regionali, perché anche la giunta e il Consiglio della Calabria dovrebbero essere formati da grandi saggi, naturalmente non calabresi. Infine non resterebbe che la strada dell’emigrazione di massa, poiché nessuna persona intelligente si riconoscerebbe in una simile ricostruzione estremizzata e falsa.
COVID IN CALABRIA/ Caos fondi, commissari, terapie: così si diventa zona rossa
La Calabria è “zona rossa” dall’ultimo 6 novembre. Ecco la situazione in una regione in affanno. Intanto il Cdm nomina il nuovo commissario
di Emiliano Morrone *
Per via della circolazione del coronavirus, delle lungaggini sui tamponi, della fragilità del proprio sistema sanitario, della scarsa disponibilità di terapie intensive, della debolezza della medicina territoriale e della quasi saturazione degli ospedali, la Calabria è “zona rossa” dall’ultimo 6 novembre. Lì si è appena dimesso il commissario alla sanità regionale, Saverio Cotticelli, nel dicembre 2018 voluto per imporre rigore e legalità dall’allora ministra della Salute, la deputata M5s Giulia Grillo. Nel contempo il presidente Giuseppe Conte ha scritto su Facebook: “Cotticelli va sostituito con effetto immediato. Anche se il processo di nomina del nuovo commissario prevede un percorso molto articolato, voglio firmare il decreto già nelle prossime ore: i calabresi meritano subito” il sostituto. Che ieri sera il Cdm ha già provveduto a designare: si tratta di Giuseppe Zuccatelli, commissario alle due aziende ospedaliere di Catanzaro.
Il programma Rai Titolo V è stato a riguardo determinante: ha mostrato urbi et orbi la serafica flemma dell’ex generale dei carabinieri Cotticelli, già capo dei Nas, cui l’intervistatore aveva chiesto conto del piano regionale anti-Covid e domandato quanti posti di terapia intensiva fossero stati attivati in Calabria, a fronte degli stanziamenti dell’esecutivo Conte. Lo stesso commissario governativo ha poi “dato i numeri” in faccia alle telecamere: ha fornito risposte claudicanti ed imprecise, chiedendo infine aiuto alla sua vice, Maria Crocco, che prima gli aveva raccomandato: “Tu devi andare preparato in tv”.
Dopo gli oltre 130 morti con il virus, l’indice Rt sopra 1,8, il “Doc” di “zona rossa”, le polemiche, le manifestazioni di piazza da Cosenza in giù, la paura della comunità calabrese, l’incertezza sui dati dei positivi, la rinuncia al tracciamento dei contatti e l’anomala sospensione del bollettino giornaliero dettagliato per Comune, la scena lascia sbigottito chicchessia, seguita dall’intervento dell’“usciere” Saverio Mosciaro, in realtà componente della segreteria del dipartimento regionale Tutela della salute, che con sicurezza titanica ha chiarito a Titolo V: “Sono 161 i posti letto in terapia intensiva”.
Ma come, il commissario Cotticelli non sapeva e il sedicente usciere Mosciaro invece sì? E la Crocco può ritenersi immune da responsabilità, se nelle scorse settimane i vertici e i primari del Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria, l’unico dei 4 hub regionali organizzato a modo contro il Covid, le aveva contestato l’uso di algoritmi circa la determinazione del fabbisogno di personale sanitario, giusto in un momento di necessità, crisi e sbandamento generale, peraltro acuito dalla scomparsa prematura della presidente della Regione, Jole Santelli?
Nel marzo 2020 la presidente regionale ricevette la delega di Protezione civile per gestire l’emergenza Covid. I deputati M5s Francesco Sapia e Giuseppe d’Ippolito contestarono la scelta del capo Dipartimento, Angelo Borrelli, sostenendo che in una regione con la sanità commissariata si dovesse per forza incaricare il delegato del governo, dunque Cotticelli. Il 27 ottobre scorso un parere ministeriale informava il commissario alla sanità calabrese dell’obbligo di stilare il piano di contrasto dell’epidemia. A voce l’aveva già anticipato, il 9 settembre, il commissario nazionale per gli Investimenti, Domenico Arcuri, che soltanto dal 3 novembre autorizzava i bandi per l’aumento dei posti di terapia intensiva.
Nel mentre il responsabile regionale della lotta al Covid, Antonio Belcastro, distingueva tra intubati e non intubati in merito al discusso ritocco del dato dei ricoverati in terapia intensiva, in una serata passati da 26 a 11, proprio alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo Dpcm a firma Conte. E a stretto giro lo stesso Belcastro comunicava che le aziende del Servizio sanitario regionale avevano speso metà dei 18, sui 45 milioni complessivi, inviati in primavera dal governo per fronteggiare la pandemia. Il che fa a pugni con quanto dichiarato giorni prima dal sostituto presidente della Regione, il leghista Nino Spirlì, per cui i fondi erano stati spesi tutti.
Poco importano le contraddizioni, a queste latitudini. Come quella del rettore dell’Università di Catanzaro, che nei giorni scorsi ha bloccato, secondo Giuseppe Zuccatelli, commissario della collegata azienda pubblica della salute, un sopralluogo tecnico funzionale ad attrezzare posti letto per pazienti Covid nel padiglione C del policlinico dell’ateneo. Eppure questa struttura, denunciarono i parlamentari Sapia, D’Ippolito e Paolo Parentela, “non ha il Pronto soccorso, non fa emergenza-urgenza ma riceve dal 2012 un corrispettivo regionale di decine di milioni di euro superiore a quanto consentito dalla legge”.
Per la sanità calabrese il Consiglio dei ministri ha già approvato un secondo decreto legge; il primo, con scadenza a 18 mesi, era stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 2 maggio 2019. Il fatto ha prodotto aspre critiche da parte di diversi esponenti del centrodestra regionale.
In Calabria, che ha due aziende sanitarie - Reggio e Catanzaro - sciolte per infiltrazioni mafiose, la tutela della salute sembra impossibile, irraggiungibile. Il bilancio annuo della sanità regionale è di 3,5 miliardi, con cui secondo l’ex primario della chirurgia ospedaliera di Crotone, Giuseppe Brisinda, ritornato al Gemelli di Roma, si può fare tanto, a patto che “la somma sia gestita da persone capaci e pulite”. Giuseppe Nanci, medico di famiglia dell’associazione MediAss, ripete che “il fondo sanitario regionale è insufficiente, perché lo Stato ripartisce le risorse secondo un criterio sbagliato, che non considera i dati territoriali relativi ai pazienti cronici, bisognosi di farmaci e visite a carico della Regione”. Così, secondo Nanci “alla Calabria mancano ogni anno 150 milioni di euro e il disavanzo, che passa i 100 milioni, lievita anzitutto per questo motivo, prima che per gli sprechi e gli imbrogli risaputi”.
Oltre che con l’avanzata imperiosa del Covid, la Regione deve misurarsi con un’amministrazione provvisoria e ridotta a causa della morte improvvisa della presidente Santelli. Nella confusione del periodo, tra lockdown, commissariamenti e limitazioni varie, le imprese, gli autonomi e le famiglie calabresi rischiano di diventare ancora più poveri, più disperati, più soli. E per ora i malati senza Covid non possono nemmeno partire in cerca di speranza.
Coronavirus. Conte: in Calabria subito via il commissario alla Sanità
Il premier firma il decreto per sostituire Cotticelli, che presenta le dimissioni. Il rebus dei posti occupati in Terapia intensiva e le contestazioni sulla "fascia rossa"
di Redazione Internet (Avvenire, sabato 7 novembre 2020)
"Il commissario per la sanità in Calabria Saverio Cotticelli va sostituito con effetto immediato. Anche se il processo di nomina del nuovo commissario prevede un percorso molto articolato, voglio firmare il decreto già nelle prossime ore: i calabresi meritano subito un nuovo commissario pienamente capace di affrontare la complessa e impegnativa sfida della sanità". Lo afferma in una nota il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Il commissario, al centro delle polemiche per la sua intervista a "Titolo quinto" di Rai3 in cui tra l’altro ha ammesso di non sapere di dover fare lui il piano Covid, aveva già annunciato le dimissioni il 10 ottobre scorso senza formalizzarle, in attesa di un incontro con il ministro della Salute Roberto Speranza che avrebbe dovuto avvenire pochi giorni dopo ma che invece saltò. In giornata è prevista la nomina del nuovo commissario, informa l’Ansa, dopo le dimissioni che Cotticelli presenta oggi ai ministri Speranza e Gualtieri.
La Calabria risulta in "fascia rossa", quella più grave (insieme a Lombardia e Piemonte), nell’ambito dei provvedimenti per limitare la diffusione del Covid-19. All’indomani dell’ordinanza del ministro della Salute, in cui sulla base dei dati comunicati dalle Regioni si assegnavano le stesse alle tre fasce (rossa, arancione e gialla, per decrescente gravità), numerosi pazienti di Terapia intensiva risultavano trasferiti nei reparti ordinari.
Stamani una nota della Regione, definendo "una speculazione priva di fondamento" le ipotesi sulle manipolazioni delle cifre, precisa che si trattava di pazienti ricoverati in rianimazione solo "a causa della temporanea carenza di posti letto nei reparti di degenza ordinaria e di terapia sub-intensiva" e che quei pazienti "non avevano bisogno di ventilazione meccanica assistita, perché non presentavano gravi criticità".
Il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, in una nota afferma che Cotticelli "non può restare al suo posto un minuto in più. Il Governo darà corso alla nuova nomina, sulla base del nuovo commissariamento deciso in CdM. La #ZonaRossa però è il frutto non di una decisione politica, ma di un Rt elevatissimo e di gravi inadempienze nell’organizzazione regionale, nonostante le importanti risorse stanziate in questi mesi".
"Una sola cosa è certa - prosegue Provenzano -. Tutto questo non può essere pagato dai cittadini calabresi. Con il decreto di stanotte arriveranno i primi importanti ristori per gli imprenditori, i lavoratori e i cittadini colpiti dalle restrizioni. Soprattutto, sul fronte sanitario vanno recuperati con tutta l’urgenza del caso i ritardi (storici e attuali) per tutelare i diritti dei calabresi. Basta polemiche. E ciascuno faccia fino in fondo la sua parte. È in gioco la vita e la dignità dei cittadini".
Cotticelli era stato nominato commissario ad acta per la sanità della Calabria il 7 dicembre 2018 con atto dell’allora ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, di concerto con la collega della Salute Giulia Grillo e sentita Erika Stefani, che era ministro per gli Affari regionali per le autonomie del primo Governo Conte. La nomina è infatti del Mef, di concerto con Salute e sentito il ministero degli Affari regionali. Cotticelli era stato poi confermato il 19 luglio 2019.
SANITÀ CALABRESE, MI GIRANO LE BALLE TIPO CARLETTO MAZZONE
di Emiliano Antonino Morrone *
File e attese interminabili, gente assiepata che si affatica per un timbro, per pagare il ticket di un esame, di una visita, delle analisi del sangue. La storia si ripete da tempo. Accade a San Giovanni in Fiore, tra i comuni calabresi colpiti dal piano di rientro scritto nel 2010 da Agenas, che tagliò un terzo degli ospedali della regione e ne ridimensionò altri. All’Asp di Cosenza conoscono il problema di questa processione per il ticket anni ’40 (del Novecento), ma rimangono immobili, indifferenti.
Sono troppo presi, farfuglia un dipendente, a mantenere equilibri di un sistema che si regge a stento, stando ai recenti rilievi della Corte dei conti, che ha riassunto lo stato gestionale dell’azienda sanitaria, caratterizzato da perdite progressive, pesante esposizione debitoria nei confronti dei fornitori, mancata approvazione del consuntivo 2018, utilizzo irregolare del ricorso ai contratti flessibili, aumento esponenziale delle spese, incompletezze nella stima del contenzioso pendente e pagamento di commissioni elevatissime circa il ricorso ad anticipazioni di cassa.
Negli uffici dell’Asp ci sono, però, dirigenti che si sono mossi, che nel merito hanno proposto soluzioni pratiche, semplici, veloci. Ci parlo, mi raccontano i casini quotidiani, lamentano confusione, rimbalzano contro i muri di gomma di una burocrazia cangiante e assieme uguale a se stessa. Sento poi un capoccione dell’azienda, che mi scrive di parlare con la nuova commissaria. Gli rispondo indignato, con il garbo tagliente di chi ha le balle girate e non se ne beve più una. Avverto quel guerriero solitario di Ciccio Sapia, sempre pronto all’azione. Segnalo pure ad Alessandro Melicchio, ragazzo limpido e operativo. In pratica all’Asp di Cosenza manca la volontà di risolvere la questione, perché San Giovanni in Fiore è considerata lontana, periferica, fastidiosa e forse perfino tamarra. Chiamo il commissario alla Sanità regionale, che ascolta con calma e assicura il suo intervento. Preciso che il sindaco Giuseppe Belcastro vuole andare all’Asp di Cosenza con la fascia.
La misura è colma: siamo nel 2020 ma è come se fossimo indietro di quasi un secolo. Parliamo di prenotazioni, nell’era dei pc, delle app, dei satelliti, delle "autostrade digitali". Vergogna, scrivetelo all’infinito, vergogna! Il punto è chiaro: non si assumono nuovi sanitari, non si comprano macchinari per le diagnosi, non si fa prevenzione seria e non si danno risposte. Giusto per rincarare la dose, si obbliga una popolazione intera a penare e pietire per pagare un cazzo di ticket e ottenere la ricevuta. E, in tutto questo declino, da anni si tengono dei giovani, gli addetti al ticket, in stato di precarietà, appesi alla speranza di una stabilizzazione, puntualmente rinviata. Non è abbastanza per pretendere i nostri diritti?
Fonte: Facebook, 11.07.2020 (ripresa parziale).
Si dimette capo prot. civile Calabria
Decisione dopo polemiche intervista tv. ’Frasi montate ad arte’
di Redazione ANSA
(ANSA) - CATANZARO, 31 MAR - Il responsabile ad interim della Protezione civile della Regione e soggetto delegato per l’emergenza Covid Domenico Pallaria si è dimesso dall’incarico.
E’ stata la presidente della Regione Jole Santelli a renderlo noto comunicando di avere "preso atto delle dimissioni". Le dimissioni fanno seguito alle polemiche scoppiate dopo la trasmissione Report di ieri sera durante la quale è stato trasmesso un brano dell’intervista a Pallaria in cui il dirigente ha detto "io non mi sono mai interessato di edilizia sanitaria, di attrezzature sanitarie. Io mi occupo di altre cose. Se lei mi dice ’che cos’è un ventilatore?’, non le saprei nemmeno dire". La Santelli ha fatto sapere che "fino all’espletamento della nomina del nuovo responsabile, attraverso procedura selettiva, l’interim è attribuito al dirigente generale del dipartimento di riferimento Fortunato Varone". Dal canto suo Pallaria ha detto che le frasi andate in onda sono state "artatamente estrapolate da un un contesto".
A GIOACCHINO DA FIORE, IN MEMORIA.
A FIANCO DELL’INTERVENTO DEL NOSTRO DIRETTORE, CREDO CHE SIA DA PORRE E SIA DEGNO DI "ATTENZIONE" ANCHE L’INTERVENTO SULLA "SANTA ALLEANZA" ATEA E DEVOTA (a livello locale e nazionale) DI FELICE SCALIA, GESUITA, TEOLOGO DELL’ISTITUTO "IGNATIANUM" DI MESSINA:
L’abiura della profezia
di Felice Scalia (Adista - Segni nuovi, n. 9, 5 febbraio 2011)
Dopo tante “contestualizzazioni” sulle malefatte del Cavaliere in materia di coerenza con una sua proclamata fede cristiana, dalla alte gerarchie cattoliche giungono esecrazioni, richiami, e “forti pressioni”. Nulla da eccepire se non la eccessiva prudenza di ieri che tra i semplici poteva suonare connivenza, e la riduzione di oggi di quanto sta paralizzando la vita politica italiana ad una questione di morale personale poco degna di un “uomo pubblico”. Personalmente resto nella mia preoccupazione, e per una serie di motivi: la vita privata del Cavaliere è stata ed è modello di corruzione del tessuto morale della nazione intera; la sua sfrenatezza nulla è se non la conseguenza di una concezione di vita basata sul potere ed il denaro; l’etica sessuale è intimamente connessa con un’ideologia, il “pensiero unico”, dove tutto è in vendita, anche le persone ridotte a cose, e dove le leggi del mercato sono “la Legge”. Queste interconnessioni sono mine vaganti, questo “insieme” stride con la fede cristiana. E da tempo aspettavamo in tanti una presa di posizione profetica della Chiesa sul “sistema”. Non c’è stata e non c’è. Fino a far sembrare ovvia l’ipotesi di una blasfema nuova “santa alleanza” di alti uomini di Chiesa con questo tipo di potere, ben oltre l’umana simpatia, o la stessa comprensione benevolente per la vita difficile di un “peccatore” atipico.
Confesso che questa ipotesi non mi sembra campata in aria e certi fatti la suggeriscono. Ed una spiegazione plausibile è che quegli uomini di Chiesa, anche se non ne sono coscienti, sono membri della “Chiesa-istituzione” prima che della “Chiesa-mistero”, di quella Chiesa cioè che è presenza storica del Cristo per le nostre strade. Le istituzioni hanno una loro logica, una propria forza di attrazione, si sostengono a vicenda quale che sia il loro contenuto e la finalità per cui esistono. I “potenti” costituiscono una categoria antropologica a parte, sono tutti fratelli, quasi appartenessero ad una tentacolare massoneria planetaria. Il potere è maestà ed arbitrio, non è legge, anche se a sua giustificazione porta avanti il “bene comune”, la tenuta dell’ordine e perfino della legge di Dio.
Questa stupefacente caduta di stile cristiano, questa abiura alla profezia che ci farebbe leggere la storia alla luce della Parola (e mai viceversa) dovrebbe fare riflettere tutti. Ma forse il male denunziato da questo strano neo-collateralismo di certi cattolici col potere rivela un grave scadimento dello stesso cristianesimo. Pare che da «lieto annunzio» di salvezza «per ogni carne», da proclamazione che non esistono pietre tombali sulle nostre sciagure e sui nostri limiti, ma pietre pasquali che sprigionano vita e futuro di gloria, da queste altezze esso sia sceso a quattro “valori non negoziabili” assicurati dal Cavaliere fino a quando rimane in sella.
Qui non si sta dicendo che quei “valori” (difesa della vita umana al suo apparire ed al suo tramonto, tutela della famiglia, diritto all’educazione dei figli...) siano fasulli, ma che essi non esauriscono affatto il Vangelo.
Viene ovvia la conclusione che fino a quando il popolo di Dio tutto continua a non interrogarsi sul “sistema”, sul paradigma che regge il mondo, o addirittura lo “sposa” quasi fosse ovviamente naturale, contentandosi magari di ritenere proprio compito lenire i guai provocati da esso («Il capitalismo globalizzato è legge sacra di natura, ma noi aiuteremo gli affamati della Tunisia...»), fino a quel giorno ogni esecrazione di eccessi, ogni (inimmaginabile) scomunica sarebbe solo un toglierci un bruscolo dagli occhi lasciando che vi prosperi una bella trave.
* Gesuita, teologo dell’istituto Ignatianum (Messina)
Sul tema, in generale, nel sito:
LEGGE ELETTORALE ("PORCELLUM") E PROSTITUZIONE: ANGELA NAPOLI LANCIA L’ALLARME.
Caro Emiliano più che di distanza politica, io credo che bisogna guardare alla politica e ai fatti della politica, senza "paraocchi" di qualsiasi tipo: ideologici, di opportunismo, di qualunquismo... Lo scrivo sapendo di che cosa sto parlando perchè, io per tanti anni ho avuto dei paraocchi idelogici. Lo ammetto io ero un comunista che credeva a verità assolute. Ero affascinato dall’idea della costruzione di una società di giusti ed eguali ideale e metafisica. Oggi sono diventato un comunista "indebolito", un comunista che guarda alle diseguaglianze del mondo contemporaneo e globalizzato in quanto tale, con una visione scientifica ed economica che descrive ancora una volta lo scontro tra ricchi e poveri, tra i nuovi nobili e plebei, patrizi e servi della gleba. Una visione marxista della società contemporanea che ci fa guardare meglio lo scontro tra occidente e terzo e quarto mondo, tra i quartieri bene e le periferie degradate delle metropoli. Ritornare quindi a Marx per tendere in maniera dinamica e non statica a superamento dello stato di fatto. Ma caro Emilano fare politica oggi lo sai bene, vole dire stare dentro ai problemi, tentare di governare processi economici e sociali, Chi più di noi sa cosa vuol dire fare politica al sud. ma provare ancora a farlo in maniera velleitaria non mi appassiona più. sai bene perchè stai vivendo la tua esperinza politica vicino alle posizioni di IDV che comunque quasi vent’anni di berlusconismo hanno perfino mutato la cultura, le tradizioni, gli usi e le consuetudini degli italiani. sai bene che alla fine neanche per Di Pietro, per Vattimo o per De Magistris, il Pd ed il PDL in Calabria sono le facce della stessa medaglia. Non votano in Calabria, non votano a Cosenza ma la loro formazione politica ( e credo anche quella più vicina oggi alle tue posizioni politiche ) non è equidistante ma è per forza, per fortuna o purtroppo più vicina ad Oliverio piutosto che a Scopelliti.
P. S. dopo il comunismo debole, ci rimane l’anarchismo debole su cui però nessuno ha ancora scritto niente: forse è un ossimoro