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Facebook: attaccati gli scrittori antimafia Biagio Simonetta ed Emiliano Morrone

Quale l’utilità? Nota per l’unità del fronte civile contro le mafie
venerdì 13 gennaio 2012.
 

di Emiliano Morrone

Da circa una settimana Biagio Simonetta e io siamo oggetto di commenti sprezzanti su Facebook. Nostri giovani concittadini di San Giovanni in Fiore (Cosenza) ci scrivono sbrigativamente che facciamo schifo e, addirittura, che abbiamo una mentalità mafiosa.

Per alcuni meridionali, narrare significa smerdare. Simonetta e io siamo giornalisti e autori di pubblicazioni antimafia. Insieme, anche con Francesco Saverio Alessio, abbiamo partecipato a numerose iniziative di associazioni e movimenti. In università, piazze e municipi, abbiamo raccontato la pressione della ‘ndrangheta in Calabria e gli effetti devastanti della cultura e pratica mafiosa. Insieme, pure con Alessio, ci siamo ritrovati a Casal di Principe (Ce), invitati da “Libera” di don Luigi Ciotti e, per esempio, a Verona; lì chiamati dai ragazzi di “Legalità e Giustizia”, gruppo dell’ateneo scaligero. Insieme, sempre con Alessio, cerchiamo con la parola di aggregare la società civile. Da Sud a Nord, nel nostro piccolo. Senza ritenerci eroi, lontani dal professionismo dell’antimafia.

Con Alessio ho scritto un libro, “La società sparente”, su come in Calabria la politica fabbrica il consenso. Il saggio, questo è solo il genere letterario del testo, spiega perché nella regione prosegue un gravissimo spopolamento: le possibilità di lavoro sono molto scarse e spesso subordinate al “sistema Saladino”, basato su assunzioni precarie in cambio di voti. Un sistema datato, rodato e “regolare” che - secondo la tesi di fondo del volume, sottolineata da Roberto Saviano in un articolo su “L’Espresso” - sta producendo lo svuotamento della Calabria. Lo gestiscono la politica, la ‘ndrangheta e un’ampia zona grigia di professionisti e imprenditori. Qui, nella nostra terra, si sono bruciati i fondi europei; la sanità, “cosa” della ‘ndrangheta, è allo sfascio e i rifiuti sono, in un tempo, l’affare e l’enigma del post-moderno.

Soprattutto a Sud si può comprare la dignità di persone e coscienze: il potere sfrutta il bisogno diffuso e la paura delle masse. Del 2007, “La società sparente” ha un capitolo sui consiglieri regionali indagati - solo in ragione cronologica - dopo l’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno, avvenuto a Locri il 16 ottobre 2005. Quello fu un periodo terribile per le istituzioni, potendosi presumere un loro generale inquinamento. Fra l’altro, all’epoca vennero arrestati i consiglieri regionali Dionisio Gallo (Udc), Pasquale Tripodi (Udeur), Franco La Rupa (Udeur) e Domenico Crea (Margherita). Il loro collega Enzo Sculco (Margherita) fu poi condannato per concussione, nell’ambito di un’inchiesta condotta dal pm antimafia Pierpaolo Bruni. Purtroppo, ad oggi la situazione non è mutata: mi riferisco anzitutto agli arresti dei consiglieri regionali Santi Zappalà e Franco Morelli, del Pdl, considerati dall’accusa amici della ‘ndrangheta.

Biagio Simonetta ha scritto un romanzo carico di rabbia, amore e verità. Si chiama “Faide” e non fa i nomi del potere antistatale. Al contrario di “Demoni e sangue” di Francesco Saverio Alessio, potente saggio di un intellettuale che, più avanti negli anni, denuncia con ferocia il malaffare al Sud; lirico nella memoria della bellezza perduta, aggredita e distrutta da uomini senz’anima. Il valore del romanzo di Simonetta - che con l’espediente del verosimile trasmette al lettore tutta la disumanità della ‘ndrangheta - sta proprio nel racconto nudo e crudo dell’azione criminale, spogliato di riferimenti anagrafici che, di solito, producono fazioni e negazioni.

Oggi, ragazzi della stessa generazione di Biagio e mia, divulgano odio e rancore nei nostri confronti, addebitandogli di costruire finzioni, “fotoromanzi”. Lo fanno su un social network che si assume libero, ignorando...

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