Un’antica cantata grecanica, declamata in Calabria per i crociati di Riccardo Cuor di Leone, alle origini delle chanson de geste carolingie e dell’Orlando furioso
di Mimmo Gangemi (La Stampa, 05.03.2015)
Don Peppe aveva coronato il sogno tardivo della sua vecchiaia: ci era giunto a respirare l’aria di tre secoli. Era stato uno dei ragazzi del ’99, carne da macello nella Grande guerra e soccorso all’animo fiaccato dei combattenti dopo la disfatta di Caporetto. Pur centenario, si tratteneva su una panchina della piazza a chiacchierare con altri vecchi, scandendo un lento scorrere di tempo, di sicuro altrove più veloce. Erano in un paesino della Bovasia, nell’area grecanica, Reggino ionico, lì dove l’Aspromonte - la propaggine delle Alpi (sì, le Alpi!) situata più a Sud, tiratasi su 200 milioni di anni fa, per la spinta della crosta africana sulla zolla europea - offre al mare i calanchi, solchi bianchi e ramificati che discendono i crinali, dal colore aspros, bianco in greco. Parlavano nell’unica lingua che conoscevano, già in bocca ai loro antenati da due millenni e mezzo, il greco antico, insaponato di dialetto per colpa delle storpiature incrostate nel lungo cammino e dei popoli giunti da conquistatori.
Galiziella e Ruggieri
Mugugnava a mezze labbra e a mo’ di cantilena ricordi sprofondati nelle viscere del secolo appena svoltato, ascoltate dal nonno attorno alla ruota del braciere nelle serate di levantina. Erano versi in ottave. Vi comparivano un imperatore, la donna guerriera Galiziella, Ruggieri di Risa, con Risa che è l’antica Reggio, guerrieri della montagna, e le loro gesta epiche, anche con armi fiammeggianti - il fuoco greco.
«Una volta li sapevo meglio» si giustificò quando gli si incepparono i ricordi. Non era a conoscenza di stare recitando brani di una cantata in grecanico che in seguito, in normanno, divenne la Chanson d’Aspremont, una delle prime chanson de geste, del ciclo carolingio, partorita poco dopo la Chanson de Roland e su cui Ariosto mise gli occhi e attinse per l’Orlando furioso.
La tradizione orale
Le prime notizie sulla Chanson d’Aspremont risalgono all’inverno 1190-1, declamata in Aspromonte per le truppe crociate di Riccardo Cuor di Leone e di Filippo Augusto di Francia in procinto d’imbarcarsi per la terza crociata contro Saladino, lui intenzionato a invadere il Meridione d’Italia e ad avanzare da lì alla conquista dell’Europa.
Nella chanson i saraceni combattono contro Carlo Magno - la storia ci dice che invece si scontrarono con i Bizantini e che Carlo Magno mai scese tanto a Sud, e infatti nella ballata don Peppe non dà un nome all’imperatore. Era propaganda in favore della crociata, e un modo per intrattenere e allietare i soldati.
Esistono parecchie versioni. Le più antiche sono quella anglo-normanna della fine del secolo XII e quella franco-normanna del XIII. Ce ne sono anche in italiano, una in forma manoscritta del XIV, un’altra della prima metà del XV, una terza, in stampa, del XVI - edizioni Bindoni di Venezia. Nessuna nel grecanico di don Peppe. Eppure a lui era giunta così, tramandata di generazione in generazione.
Significa che, ancor prima dei Normanni, esisteva la tradizione orale, nel grecanico parlato nei luoghi delle vicende. Vi si esibivano i contastorie e i giullari - le stesse descrizioni geografiche sono talmente aderenti alla realtà da palesare che, comunque, la stesura avvenne in Aspromonte, e la presenza, nella prima versione manoscritta, dei dromoni, navi bizantine che già non ci sono dopo l’arrivo dei Normanni, indica che l’autore ha attinto dai cantastorie e che nella traduzione gli è sfuggito di eliminare particolari che tradiscono l’«appropriazione indebita». Quindi, gli stranieri in armi di fede se ne impadroniscono, la modellano a loro utile e ne fanno una sorta di propaganda politica, filo inglese la prima e filo francese la seconda, con piccole differenze - il franco-normanno ha sostituito le ottave che acclamavano l’Inghilterra con altre pro Francia.
Una luce fiammeggiante
Peccato che non sia stata manoscritta nella lingua madre. O, meglio, peccato che a oggi non se ne sia trovata traccia su pergamena. Ma non si dispera, finalmente studiosi di rilievo - la professoressa Sicari di Reggio, il professor Gangemi dell’Università di Padova, il professor Castrizio dell’Università di Messina, tutti d’accordo con il nostro don Peppe - si attivano su un patrimonio letterario, tra gli 11 e i 13 mila versi, a seconda della stesura, che appartiene specialmente all’Aspromonte, di grande valore poetico e sociale.
E anche fondamentale sul tema dell’evoluzione della lingua, se si pensa che, dopo la morte di Petrarca e Boccaccio, quando ci fu una levata di scudi delle università italiane contro la «lingua da ciabattini», i Toscani, per stabilizzare il loro volgare, tradussero e diffusero molte opere, compresa la Chanson d’Aspremont, che intitolarono Cantari d’Aspromonte, e in essa compare la donna guerriero Galiziella, assente nella versione normanna, un’ulteriore prova, questa, che attinsero, traducendoli, direttamente ai versi originali dei cantastorie, in grecanico.
Nella Chanson d’Aspremont compare la Santa Croce: viene portata sul campo di battaglia e lì sprigiona una luce fiammeggiante, alta fino in cima al cielo, che disorienta i nemici e li scompagina. Si fa anche menzione di un’abbazia realizzata dal duca Girart per seppellire i morti - in realtà edificata dai monaci basiliani. Non può trattarsi che dell’abbazia di Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, dove, al tempo, era in uso il rito della Santa Croce e non ancora quello mariano, della Madonna della Montagna. Polsi, simbolo quindi della cristianità e rifugio dell’anima per i soldati diretti alle guerre sante, quella stessa Polsi che oggi, ingiustamente, spogliano del culto e della fede, sprezzandola come luogo di ’ndrangheta e di perdizione.
L’ultimo cantastorie
Storie di quaggiù, che finiscono nel dimenticatoio. Storie di un profondo Meridione che non interessano all’Italia schizzinosa. Storie che è giusto risuscitare, perché patrimonio dell’umanità. Storie su cui le grandi università europee - naturalmente tutte d’accordo con i Normanni - hanno sviluppato e continuano a sviluppare studi importanti e a stanziare fondi per la ricerca. Storie che sono nostre e che però da noi si tacciono.
Don Peppe non lo si vede più seduto sulla panchina della piazza al tiepido sole di primavera o all’ombra dei tigli nei tardi pomeriggi d’estate, con la voce raschiosa di gola in una lingua dal sapore della civiltà e con il vezzo di muovere rumorose, sciacquettanti e rapide le labbra come quando rinvigoriva la brace del sigaro, che l’età non gli consentiva più. Ha consumato i fiati mentre si accendevano i vividi colori delle foglie morte, nel primo autunno del nuovo millennio. Con lui se n’è andato l’ultimo cantastorie.
Sul tema, in rete, si cfr.:
Lu cuntu di “La chanson d’Aspremont”.
E a seguire:
AMÉLIE HANUS, L’episodio del duello tra Orlando e Ferraù nella Spagna Magliabechiana. Annali Online di Lettere - Ferrara Vol. 1 (2010) 1/20 - file:///C:/Users/Asus/Downloads/admin-hanus%20(2).pdf.
MARCO INFURNA, Il duello di Rolando e Feraguto sul ponte in un affresco lombardo del Quattrocento, “Par estude ou par acoustumance”. Saggi offerti a Marco Piccat per il suo 65° compleanno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2016) - file:///C:/Users/Asus/Downloads/Il_duello_di_Rolando_e_Feraguto_sul_pont.pdf
Luca MorlinoSpunti per un riesame della costellazione letteraria franco-italiana (Francigena).
FLS
DOTTA IGNORANZA (1440), "PACE DELLA FEDE" (1453), E RILANCIO DI UN "NUOVO" #PRESEPE "FRANCESCANO" (ALL’ORIGINE DELLA "#CAPPELLASISTINA"): #ARCHEOLOGIA, #FILOLOGIA, E #STORIAELETTERATURA ...
Un invito alla lettura di un "vecchio" lavoro di #ricerca di Arnalda Dallaj:
"#ORAZIONE E #PITTURA TRA «#PROPAGANDA» E #DEVOZIONE AL TEMPO DI SISTO IV. [...] A proposito del dibattito sull’Immacolata Concezione e delle vivacissime forme che lo caratterizzarono tra l’ottavo decennio del #Quattrocento e gli inizi del #Cinquecento sono state utilizzate di recente espressioni come « mezzi pubblicitari » e «manifesti dottrinali» ponendo così l’accento sull’intensa ricerca, da parte delle istituzioni ecclesiastiche, di appropriati canali di comunicazione per ampliare il confronto sulla dottrina che, proprio in quel secolo, aveva conquistato basi più salde, anche se il definitivo assestamento maturerà solo nel 1854. Una data cardine fu il 1477, allorché il #papa #francescano Sisto IV autorizzò la celebrazione della festa e approvò l’Ufficio, appositamente composto da Leonardo Nogarolo, concedendo ampia indulgenza per la partecipazione alla liturgia. La tesi della « preservazione » di Maria dal peccato originale, pur trovando sempre maggiori consensi, continuò ad essere avversata soprattutto dai Domenicani. [...]" (cf. Arnalda DALLAJ: "IL CASO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA DI GANNA").
Federico La Sala #ARCHEOLOGIA, #FILOLOGIA, E #STORIAELETTERATURA ...
Un invito alla lettura di un "vecchio" lavoro di #ricerca di Arnalda Dallaj:
"#ORAZIONE E #PITTURA TRA «#PROPAGANDA» E #DEVOZIONE AL TEMPO DI #SISTOIV. [...] A proposito del dibattito sull’Immacolata Concezione e delle vivacissime forme che lo caratterizzarono tra l’ottavo decennio del #Quattrocento e gli inizi del #Cinquecento sono state utilizzate di recente espressioni come « mezzi pubblicitari » e «manifesti dottrinali» ponendo così l’accento sull’intensa ricerca, da parte delle istituzioni ecclesiastiche, di appropriati canali di comunicazione per ampliare il confronto sulla dottrina che, proprio in quel secolo, aveva conquistato basi più salde, anche se il definitivo assestamento maturerà solo nel 1854. Una data cardine fu il 1477, allorché il #papa #francescano Sisto IV autorizzò la celebrazione della festa e approvò l’Ufficio, appositamente composto da Leonardo Nogarolo, concedendo ampia indulgenza per la partecipazione alla liturgia. La tesi della « preservazione » di Maria dal peccato originale, pur trovando sempre maggiori consensi, continuò ad essere avversata soprattutto dai Domenicani. [...]" (cf. Arnalda DALLAJ: "IL CASO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA DI GANNA").
Lu cuntu di “La chanson d’Aspremont”
di Giuseppe Gangemi *
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Prima seduta di lu cuntu ‘ntitulata
“Presentazione”
Non è molto chiaro ai più che cosa sia quel complesso di opere, di grande successo per secoli, tra il XII e il XVI secolo, che va sotto il nome di Chanson d’Aspremont (e nomi collegati: Cantari d’Aspramonte, romanzo Aspramonte, Karlamagnus Saga, etc.). Tanto per incominciare si tratta di uno dei testi letterari, scritto in varie lingue medioevali, più interessanti anche dal punto di vista sociale.
Con il nome Chanson d’Aspremont si intende in genere un solo tipo di opere: quelle scritte in lingua anglo-normanna alla fine del XII secolo e quelle scritte in lingua franco-normanna nel secolo successivo. Sono entrambe opere di propaganda politica, filo-inglese le prime e filo-francese le seconde. La caratteristica di questo tipo di opere è di essere molto interessanti dal punto di vista dell’evoluzione della lingua e dal punto di vista del valore poetico. Come vedremo, la differenza tra il primo e il secondo tipo di opere spesso è minima (cfr. pubblicazioni della Chanson di André de Mandach e di François Suard che differiscono per poche centinaia di versi su oltre 11.000 e perché l’autore franco-normanno ha tolto e sostituito tutti i versi con affermazioni favorevoli all’Inghilterra con versi con affermazioni favorevoli alla Francia).
Gran parte del dibattito accademico verte su questi due tipi di opere. Questo tipo di dibattito non serve molto all’obiettivo di cui si legge sul sito dell’assessorato alla cultura della Regione Calabria a proposito di un evento sulla Chanson d’Aspremont cui avrebbe partecipato il giorno 1 giugno 2013 l’assessore Mario Caligiuri: “recuperare e valorizzare il grande scrigno della cultura calabrese”. L’evento, alle Terme di Antonimina, sarebbe consistito, come si legge ancora nel sito della Regione, nel fatto che “sono state tradotte in Italiano e in vernacolo calabrese le parti più significative della Chanson, corredate da suggestivi bozzetti. Quasi un fumetto per rimettere in pista una bella operazione culturale da proseguire magari con la traduzione integrale e una mostra mobile”. Il tutto sul presupposto che la Chanson non sia “mai stata tradotta in italiano”.
Ed, invece, non è vero: la Chanson ha avuto almeno due traduzioni in Italiano, in forma manoscritta, alla fine del XIV e nella prima metà del XV e, addirittura a stampa, nel XVI secolo. La prima volta è stata pubblicata, in versi, con il titolo Cantari d’Aspramonte; la seconda volta in prosa, da Andrea da Barberino, con titolo Aspromonte; la terza volta, manoscritta nel XV secolo, è stata pubblicata a stampa nel 1527 (edizioni Bindoni di Venezia). Infine, nel 1991, Carmelina Sicari ha tratto una antologia, dall’edizione Bindoni, per una piccola casa editrice Qualecultura di Vibo Valentia.
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Per quanto riguarda l’operazione di trasformare la Chanson in una specie di fumetto o l’idea di tradurla in vernacolo calabrese, occorre pensare che i manoscritti a noi arrivati, sia in una delle lingue normanne, sia in Italiano, hanno lavorato su una precedente epopea di racconti, presumibilmente in lingua greca, o in qualche altro dialetto calabrese, durante il periodo bizantino e il successivo periodo normanno fino al 1190.
Per quanto riguarda, poi, la mancanza di un manoscritto in questa lingua o dialetto greco-calabrese, questo dipende dal fatto che per un’operazione di questa portata (la trascrizione di una versione di più di 11.000 versi di canzone) necessitava, al tempo, di un ricco mecenate e il valore politico implicito nell’opera può avere impedito che questo mecenate si facesse avanti per puro amore dell’arte. Bisogna, inoltre, considerare che la Chanson, prima dell’entrata in gioco dei mecenati normanni, che ne hanno finanziato la traduzione e la pubblicazione in pergamena, è stata una epopea di miti nati e sviluppatesi nel corso della lotta di resistenza ai Saraceni. Il fatto, poi, che la grande maggioranza della popolazione dell’Aspromonte e di Risa (il nome bizantino di Reggio) fosse greca ci obbliga a confrontarci con uno dei caratteri distintivi dei Greci: essi non trattavano i miti che andavano producendo alla stregua di favole (l’antica versione di quelli che oggi, nella società delle immagini, si chiamano fumetti), ma come racconti di un passato capace di forgiare l’identità di un popolo. Lo stesso di poteva dire anche dei Romani.
La conclusione da trarre è che i miti della resistenza ai Saraceni costituivano lo strumento di diffusione di una nuova consapevolezza sociale che si era costruita nel corso delle lotte: le varie diverse etnie, Greci, Brettii, Italioti, Osci, etc., erano diventati, nel corso della resistenza, un nuovo popolo, i Calabri. Ed è per questa nuova identità che si forma nei fatti che il nuovo nome - che i Bizantini hanno dato alla regione chiamando Calabria, nel 663, la zona greca del Reggino, ed estendendo il nome a tutto il territorio sotto controllo, nel 725 (devo queste date a uno scritto di Caligiuri, attuale assessore alla cultura della Regione Calabria) - esce dai documenti burocratici ufficiali e finisce per attecchire anche a livello delle popolazioni.
La teoria che vado a presentare parte dall’assunto che la Chanson d’Aspremont sia il risultato di innumerevoli cantilene epiche, nelle quali si esaltava il valore degli eroi popolari che avevano combattuto la guerra di resistenza ai Saraceni. Esse sono state elaborate, nel loro nucleo originario, dai combattenti stessi di questa guerra e, nei momenti di tregua, venivano raccontate dai cantastorie in giro per la Calabria. Esse avevano una fondamentale importanza culturale che era quella di cementare in una narrazione epica l’unione dei vari popoli della Calabria (Brettii, Greci, Romani, Italioti, etc.) in un unico popolo che era stato capace di fronteggiare, insieme, un nemico che era insieme politico e religioso. Queste canzoni avevano lo scopo di favorire lo sviluppo di un unico spirito di popolo, che condivideva lo stesso ideale politico e religioso. Queste canzoni, inoltre, avevano uno stretto rapporto con le tradizioni locali e alle varie storie o leggende che erano sorte su determinati luoghi dove c’era stata una battaglia o un’imboscata o qualcuno era stato seppellito.
La Chanson d’Aspremont ha avuto, insomma, la stessa funzione che hanno avuto poemi come l’Iliade, l’Odissea, i Nibelunghi, etc. che erano stati preparati da una serie di brevi poemi cantati nelle piazze e lungo le strade percorse dai pellegrini. Tutte queste opere hanno forgiato nuovi popoli o li hanno aiutati ad acquistare una nuova unità e una nuova identità. Il fatto che, ad un certo punto, questa raccolta di canzoni epiche venga tradotta in un’altra lingua da un popolo occupante, implica che, da una parte, questo popolo ha inteso appropriarsi di una tradizione per piegarla a proprio vantaggio, mentre, dall’altra, ha inteso favorire il formarsi di una nuova identità e unità. Se questo popolo occupante fosse rimasto a lungo a governare la Calabria, probabilmente, intorno alle Chanson d’Aspremont in lingua normanna sarebbe sorta una epopea che avrebbe aiutato un nuovo percorso di formazione di una nuova identità. Ma siccome ogni pochi secoli, il popolo occupante è continuamente cambiato (e la cosiddetta monarchia nazionale borbonica è riuscita a durare appena poco più di un secolo) il risultato è stato che la Chanson d’Aspremont per molto tempo non ha significato niente per la Calabria. E se ora se ne ritorna a parlare è perché, altrove, nel Nord Italia e in Europa, anche per il costituendo progetto di costituire l’Unione Europea, si sta riscoprendo questa Chanson che, unita a tutte le altre Chanson de geste, per la lunga storia che ha avuto in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Norvegia, in Scandinavia, in Ungheria, etc. può contribuire a ricostruire uno spirito europeo.
Ma può anche essere usata con altri scopi, come sembra essere usata, per esempio, in Belgio dove la si sta recuperando per rilanciare la grande tradizione linguistica francese contro la meno rilevante tradizione linguistica vallone in un’operazione che può sfociare nel secessionismo (il secessionismo dei Francesi dai Valloni o viceversa è diventato, in Belgio, negli ultimi decenni, un timore e anche una possibilità).
Nello studiare, da Calabrese, la Chanson d’Aspremont, bisogna essere consapevoli dello scopo con cui la si studia: se per rivendicare una specificità calabrese che ci rende diversi dal resto d’Italia o se per rivendicare il nostro pieno diritto (se non addirittura il nostro diritto di primogenitura) a considerarci tra i grandi costruttori dell’Europa. Con orgoglio possiamo, infatti, rivendicare che la Chanson d’Aspremont ha un afflato poetico grandissimo, anche nella versione “rubata” dai Normanni per i loro obiettivi politici e ha suscitato ammirazione e interesse in tutta Europa, venendo continuamente ritradotta e rielaborata in tutte le lingue europee del tempo.
Le prime Chanson d’Aspremont pubblicate su pergamena, e pagate da ricchi mecenati, sono opere scritte, infatti, da Normanni del Nord Europa per un pubblico nordeuropeo e per obiettivi politici di fronte ai quali Calabresi e uomini dell’Aspromonte erano e rimangono estranei. Questo, però, non significa che non bisogna prendere in considerazione le opere normanne. Esse vanno, invece, considerate in tutte le loro versioni per ricavare quei riferimenti a persone, categorie sociali, luoghi, edifici o oggetti realmente esistiti. Esse vanno esplorate, verso per verso, perché in quei versi si nascondono i grandi valori della cultura calabrese e il momento germinativo del “carattere” calabrese, oltre che della nostra identità, sia come Calabresi che difendevano le proprie famiglie, sia come Europei che difendevano la loro religione, quella religione che ha costruito la civiltà dell’Europa.
Per indicare come si possano ricavare dei riferimenti rilevanti per la cultura calabrese, mi limito a fare un solo esempio: il fatto che in alcune delle versioni della Chanson si fa riferimento a un muro costruito intorno all’Aspromonte o in mezzo all’Aspromonte mentre, in tutte le versioni, si racconti di una imponente torre costruita in un punto di questo muro. In alcune versioni italiane, poi, si dice anche che tracce di questa torre esistevano ancora al momento in cui quei manoscritti Italiani venivano trascritti, per la prima volta, su pergamena (alla fine del XIV secolo).
Bisogna spiegare cosa significa questo muro, visto che non ci sono tracce di questa “muraglia” e dove è stata eretta questa torre, i cui resti sarebbero rimasti in piedi ancora a lungo. André de Mandach, nella pubblicazione della prima parte, primo volume della Chanson che presenta la prima parte dell’opera, sostiene che questa Torre sarebbe stata eretta a Gambarie, mentre nel secondo volume, con la seconda parte dell’opera, sostiene che la Torre sarebbe stata eretta a Bagnara.
Egli stesso, quindi, finisce per trovare poco convincente (forse anche a causa del fatto che ha ricevuto critiche da qualcuno che conosce i luoghi) che l’esercito Saraceno partisse da Gambarie (la torre dove si concentrava il grosso delle truppe) per andare verso Bagnara realizzando lo scontro non si capisce se più vicino a Bagnara o a Gambarie. Solo che, e mi corregga chi conosce meglio di me questi territori, il testo di de Mandach parla di una manovra di aggiramento dell’esercito saraceno per chiudere quest’ultimo a tenaglia procedendo lungo due diverse valli. Questa condizione di due valli convergenti non è riscontrabile a Gambarie (dove le valli non sarebbero così larghe per una battaglia e agevoli per un aggiramento). Nelle vicinanze di Bagnara, il testo parla ancora di un’ampia valle dove si svolge la battaglia, non mi sembra esistano queste valli facilmente aggirabili. E, quindi, anche sopra Bagnara non sarebbe il punto adatto per collocare la battaglia per il controllo dell’Aspromonte.
Il problema è che quello che rende poco decifrabili i luoghi degli scontri è un ribaltamento di prospettiva: si presuppone che l’offensiva ai Saraceni venga solo da Nord, da Catanzaro e Cosenza, essendo partita da Parigi. Ma questo è quello che racconta la Chanson nella versione anglo-normanna e franco-normanna. Vi sono rimaste evidenti tracce nel testo che sono comprensibili solo se si ribalta la prospettiva nel modo seguente: una forte offensiva non può non essere venuta anche dall’Aspromonte che non è mai stato conquistato del tutto dai Saraceni. In una prospettiva che faccia dell’Aspromonte un luogo di difesa e offesa, con i Saraceni attestati nelle Planitiae Sancti Martini, fino a Sant’Agata, cioè fino a quella che sarà poi chiamata Oppido, e a Gerace e Bovalino, l’ipotesi più probabile è quella di una battaglia che si svolge tra Saraceni da una parte e due diverse forze, in collaborazione ma anche in competizione tra loro. Nella Chanson, le due forze sono quelle di Carlomagno (parte più numerosa) e quella di Girart della Fratte. Questa cooperazione/competizione può essere realmente esistita ed essere stata rappresentata, dai franco-Normanni o dagli anglo-Normanni, con personaggi importanti dell’epoca di Carlomagno della cui politica i Normanni si ritenevano eredi e continuatori. Ma siccome sappiamo che Carlomagno non è mai sceso e non ha mai combattuto in Calabria, si può ipotizzare che la versione orale originaria parlasse di due forze, la prima delle quale proveniente da Nord (soldati Bizantini regolari?) e una seconda dall’Aspromonte (gruppi di guerriglia spontaneamente costituiti a difesa delle creste e delle strade di attraversamento dell’Aspromonte?). In base a questa ipotesi, il ruolo delle truppe di Carlomagno può essere stato svolto da vere forze provenienti da Nord (Catanzaro? Lungo la via delle creste?) per rompere il quasi completo accerchiamento e le truppe di Girart possono essere state guerriglieri (infatti sono descritte combattere, nella Chanson, più con l’astuzia e gli agguati, che con la forza).
Di questo, però, parlerò solo in una delle ultime “sedute” dell’indagine che sto presentando. Per adesso mi limito a considerare che, ipotizzando che i Franchi vengano da Nord e stazionino a Bagnara (anche se Bagnara è città fondata dai Normanni), e i Saraceni siano a Sud e partano da Risa e si muovano dalla torre, ipotizzare, come fa de Mandach nel primo volume, che la torre sia a Sud di Bagnara verso l’interno dell’Aspromonte, più o meno a Gambarie, ha un qualche senso; ipotizzare, invece che i Saraceni abbiano costruito la torre a Bagnara, come dice de Mandach nel secondo volume, significa di fatto ipotizzare che l’Aspromonte sia stato conquistato dai Saraceni nelle zone più elevate, ma non a Est e a NordEst di Bagnara (questa non sarebbe stata sicura, altrimenti). Il problema è, invece, che i documenti storici ci dicono che i Saraceni hanno, ad un certo punto, nella seconda metà del IX secolo, conquistato la Planitiae Sancti Martini per intero e si siano attestati a Sant’Agata, oggi Oppido, dalla parte settentrionale della zona tirrenica, e a Gerace (a NordEst, dalla parte ionica) ma non il centro dell’Aspromonte, meno che mai le zone più elevate. In questo modo, i Saraceni hanno quasi chiuso in un cerchio l’Aspromonte, lasciando però delle sacche di resistenza (il castello di Santa Cristina che non viene conquistato e gran parte della montagna dove si manifesta quella forte guerriglia, secondo le più accreditate teorie militari bizantine del tempo). Questo accerchiamento fu operato con l’esclusione delle creste, intorno all’Aspromonte è il “muro” (ideale, non di pietre o mattoni) con cui i Saraceni avrebbero (quasi del tutto) circondato il monte?
Prima di cominciare ad esporre, in varie parti separate data la complessità dell’argomento, questa indagine, è importante premettere che l’espressione Chanson d’Aspremont serve a indicare una serie di opere che si sono influenzate tra di loro e hanno avuto anche titoli diversi:
1) Chanson d’Aspremont;
2) Karlamagnus Saga;
3) I Cantari d’Aspramonte;
4) L’Aspramonte. Romanzo cavalleresco inedito e La canzone d’Aspromonte.
Fino a un secolo fa si sapeva pochissimo di queste opere e dei loro possibili collegamenti, anche perché i manoscritti erano chiusi nelle biblioteche d’Europa ed erano poco noti alla stessa comunità dei medioevalisti. La Chanson ha cominciato ad essere sempre più nota a partire dalla pubblicazione, nel 1919, a cura di Louis Brandin, del manoscritto della Wollaton Hall. Questa pubblicazione è, tuttavia, senza presentazione critica del testo, anche se è servita da testo di controllo per tutti gli altri manoscritti presenti in altre biblioteche o pubblicati a stampa, dopo di allora.
Ai fini di una discussione della Chanson d’Aspremont che risulti veramente utile alla cultura calabrese, a mio avviso, occorre cominciare con il considerare le opere sopra in elenco nell’ordine in cui esse sono presentate: prima le versioni propagandiste anglo-normanne e franco-normanne, descritte nei loro scopi politici e nelle differenze di natura sociologica che vi si possono riscontrare; poi la Karlamagnus Saga che serve altri obiettivi politici; quindi, le opere in Italiano del XIV e XV secolo; e ancora altre opere in qualche modo connesse a queste.
Gli obiettivi della ricerca sono i seguenti:
1) enumerare le varie parti della storia e cercare di interpretare i motivi politici dell’assenza o della presenza di ciascuna parte di questa storia: a) la resistenza e la conquista saracena di Risa (Reggio), cioè la storia che ha tra i protagonisti la figura di Galiziella; b) la resistenza in Aspromonte e la sconfitta di Aumont, figlio di re Agolant, cioè la storia della battaglia per la conquista della torre di cui sopra; c) la guerra per la liberazione di Risa;
2) tentare una interpretazione del personaggio di Galiziella collegandolo sia ai presedenti letterari (la Camilla di Virgilio), sia ai successivi recuperi letterari (Boiardo, Ariosto e Tasso);
3) tentare, da alcune piccole modifiche interne ai versi, esempio la sostituzione con altra parola del termine “barone” riferito agli uomini di Carlomagno o di Girart, di fornire una interpretazione sociologica delle forze in campo cristiano secondo le varie versioni della Chanson;
4) infine, avanzare un’ipotesi di dove fosse la torre costruita dai Saraceni e di dove si sia svolta la battaglia per la liberazione dell’Aspromonte, battaglia nella Chanson descritta come vinta da Girart della Fratte, ma di fatto vinta da guerriglieri dell’Aspromonte che ci tengono ad essere protagonisti nella liberazione della loro terra.
Tutti questi obiettivi saranno raccontati in altrettante, e forse più numerose, puntate di questa storia. Nella presentazione di questa storia, i nomi dei personaggi più noti saranno forniti, per non ingenerare confusione, in una sola versione (usando esclusivamente i soli Galiziella, Aumont, Agolant, Girart, Naime, Balan, Sobrin, etc.) e non nelle tante versioni di questi nomi che vengono francesizzati, inglesizzati, italianizzati, etc. (a meno che non si faccia una citazione diretta dal testo e, in quel caso, il nome sarà scritto esattamente nel modo trascritto).
Ed ora, Signuri mei, cca ‘a dassu, e n’atra vota vi la cuntu
*Giuseppe Gangemi, professore di Scienza dell’Amministrazione all’Università di Padova
* "in Aspromonte". Scritto da Pino Gangemi il 23 luglio 2013. Pubblicato in Aggiornamenti, Arte e storia, Copertine, Cultura (ripresa parziale, senza immagini).