Logos-terapia

DOPO AUSCHWITZ. Dialogo tra un teologo e uno psicologo: Pinchas Lapide e Viktor Frankl. "Entrambi ebrei, entrambi sopravvissuti ai lager: e l’Olocausto sempre lì, con i suoi interrogativi" (Marco Roncalli).

venerdì 27 gennaio 2017.
 


INEDITI

Due ebrei reduci dai lager uniti nel ricordo di Paolo VI

«Ad Auschwitz è morto il Padre eterno, sì. Ma quale? Il nonno con la lunga barba bianca, il contabile delle buone azioni...» Lo psichiatra Viktor Frankl e il rabbino Pinchas Lapide faccia a faccia sui grandi temi della religione

di Marco Roncalli (Avvenire, 29.12.2006)

Vienna, agosto 1984. Lo psichiatra e neurologo Victor Frankl - proprio lui: il fondatore della logoterapia e dell’analisi esistenziale - e Pinchas Lapide, teologo dell’ebraismo nonché studioso delle religioni, avviano un dialogo sul senso della vita e all’esperienza religiosa. I due sanno aprirsi reciprocamente, considerando l’uno le prospettive dell’altro. Senza rinunciare all’autocritica, nella vera tolleranza (quella che «proviene dalla comprensione dei limiti del proprio sapere e dal rispetto per improvvise ispirazioni»), Frankl e Lapide affrontano i grandi temi: il dolore e l’amore, la sofferenza e la colpa, il senso della vita e la salvezza. Domande e risposte sull’esistenza che tuttavia non possono ignorare i loro percorsi e l’esperienza che li lega.

Entrambi ebrei, entrambi sopravvissuti ai lager: e l’Olocausto sempre lì, con i suoi interrogativi. Così, tra psicoterapia e teologia, scienza e fede, il colloquio si dilata e viene fissato su un registratore, forte di pensieri anche diversi o contrastanti, ma uniti dallo stesso desiderio di verità.

Nastri registrati e sbobinature resteranno per vent’anni nell’archivio di casa Frankl, fra il materiale non ordinato, sino alla loro scoperta fortuita da parte di Elly Frankl e Alexander Batthyany, curatori insieme a Karlheinz Biller e a Eugenio Fizzotti dell’«opera omnia» del padre della logoterapia.

Ancor più sorprendente il rinvenimento di una prefazione dei due protagonisti al dialogo ritrovato già in bozze di stampa. Pubblicato nell’originale tedesco e in traduzione spagnola alla vigilia del congresso internazionale svoltosi l’anno scorso a Vienna per il centenario della nascita di Frankl, il libro esce in questi giorni anche in Italia con il titolo «Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo» (a cura di Eugenio Fizzotti, Claudiana, pp. 108 , euro 10).

Sono pagine dense e sorprendenti per approfondire la religiosità, che secondo Frankl è espressione della ricerca di senso e, come tale, non è indagabile, o l’atteggiamento della logoterapia nei confronti della religione, o la neutralità di Frankl nel riconoscimento di ciò che motiva l’uomo religioso, senza valutarne psicologicamente le convinzioni o formulare giudizi sulle espressioni della sua ricerca. E non solo per la memoria di fatti e protagonisti del Novecento conosciuti dai due (spicca ad esempio un bellissimo ricordo a due voci di Paolo VI).

Nel colloquio intimo con Lapide infatti Frankl espone - come raramente ha fatto - le sue personali opinioni sulla fede. Quelle di un credente, che di fronte alle disgrazie subite (tre anni nei campi di concentramento di Theresienstadt, Auschwitz, Kaufering e Türkheim) non è disposto a rinunciare alla propria fede. Non parla più solo da psichiatra e da neurologo, e nemmeno a nome della logoterapia: ma come singolo individuo.

Ponendosi con Lapide, come documentano gli stralci presentati in questa pagina, dinanzi alla domanda religiosa sul senso della totalità del mondo. Sino a ripetere con lui: «Non è forse un pezzo di fede in Dio, quella che anche dopo Auschwitz, anzi, soprattutto dopo Auschwitz, non ha perso affatto validità?».


LA STORIA IN QUESTIONE

L’Olocausto che bruciò gli dei

«Lungi dal mettere in crisi la fede, credo che la Shoah abbia contribuito alla sana sfoltita delle nostre rappresentazioni infantili di Dio»

di Viktor Frankl e Pinchas Lapide

-  LAPIDE: «Vede: il Dio in cui credo è il Dio della libertà, nel doppio senso della parola: egli stesso è libero, vale a dire che non si attiene alle nostre regole e ci ha dato il terribile dono della libertà di rispondergli con un sì o con un no; può essere, come lei scrive, il Dio inconscio in noi, e se urliamo e facciamo rumore non percepiamo la sua voce che parla in sordina dentro di noi. Egli ci ha dato questa libertà. Di conseguenza, frasi come: "Perché Dio permette che accada questo o quello?" non sono meno degli antropomorfismi dell’intera teodicea. Allora Dio, in fondo, è il capo supremo della polizia che sta in cielo, che può acconsentire o vietare, permettere o garantire. Credo che queste immagini di Dio, appartenenti piuttosto all’infanzia dell’umanità, siano morte ad Auschwitz, e non credo sia il caso di rimpiangerle. Dio, il nonnetto con la lunga barba bianca, è sicuramente morto ad Auschwitz. Dio, il vecchio contabile che, giorno per giorno, registra le buone e le cattive azioni degli esseri umani, lo hanno bruciato lì. Il dio delle battaglie, che marcia sempre insieme al battaglione più forte, è sepolto nello stesso mausoleo in cui giace il dio di quelli che vogliono sempre avere ragione e sanno sempre tutto. Credo che Auschwitz abbia contribuito a una sana sfoltita delle nostre rappresentazioni di Dio. "Dio è morto", così ha detto Nietzsche prima di scivolare nell’oblio della mente. Se con questo intendeva quelle rappresentazioni di Dio in parte provenienti dall’infanzia, in parte semplicemente infantili, del Dio che riempie lo spazio vuoto del cielo, esaudendo le preghiere e dispensando successi, allora aveva proprio ragione. Anzi, di più! Dobbiamo ringraziare quelli che criticano la religione, perché ci hanno liberato da parecchie forme di malcelata idolatria, costringendoci ad aprire il varco verso un’immagine superiore, più matura di Dio».

-  FRANKL: «È un’autoriflessione critica, nel vero senso della parola...».

-  LAPIDE: «Potremmo chiamarla così, forse. In tal caso, Auschwitz per me sarebbe un interrogativo ancor sempre valido dell’antropodicea: dov’era l’essere umano, quando ne bruciavano milioni? Dov’era il ritratto vivente di Dio che aveva dato le Tavole dei Comandamenti? L’Europa battezzata, educata per ben 60 generazioni all’amore verso il prossimo e verso il nemico secondo l’insegnamento del rabbino di Nazareth, dov’era quando i suoi fratelli di carne furono uccisi con il gas come parassiti? È una domanda che attende ancora una risposta. Ma profanare Dio, costringendolo a fare il tappabuchi per colpa della disumanità dei bipedi verso gli esemplari della loro stessa specie, è pura blasfemia. Nel suo libro Il messaggio di Gesù (Berna, 1959), il teologo evangelico Stauffer, che era stato molto vicino al partito nazista, individua solo 4 esempi storici di amore veramente praticato verso il nemico: Gesù, suo fratello Giacomo, Stefano martire e un altro, del quale racconta: il 20 ottobre 1958 la Magistratura di Wojewod apre il processo contro Erich Koch, il famigerato sterminatore degli ebrei polacchi. Il gerarca imputato viene condotto dalla prigione di Varsavia in tribunale. Il primo giorno del processo, Koch dichiara: "Se sono ancora vivo lo devo soltanto a una grande donna, il medico del carcere, dottoressa Kaminska: la dottoressa è ebrea". Tutto questo mi ricorda con intensità il discorso che lei, per incarico dell’associazione medica viennese, tenne il 25 marzo 1949 in onore dei soci morti tra il 1938 e il 1945 - parole che riportavano i ricordi, a quel tempo ancora freschi, dell’inferno di Auschwitz - un discorso completamente affrancato da impulsi di ritorsione, di vendetta, persino di risentimento».

-  FRANKL: «In quell’occasione dissi che il mio compito era quello di testimoniare davanti a loro in che modo dei medici viennesi patirono e morirono nei campi di concentramento e di offrire una testimonianza di medici autentici - che hanno vissuto e sono morti da medici, incapaci di starsene impassibili a guardare chi soffre, ma che sapevano di persona come si soffre, sapevano professare la vera sofferenza, sapevano soffrire in tutta onestà. Tra le ultime cose che avevano detto non c’era una parola d’odio - dalle loro labbra uscirono solo parole di struggimento e di perdono - perché ciò che essi odiavano, e anche noi odiamo, non sono certo gli esseri umani. Gli uomini vanno perdonati, mentre va odiato il sistema - che condusse gli uni alla colpa e gli altri alla morte. Non è forse meglio non far troppo causa agli altri? Fintanto che giudichiamo e accusiamo, non arriveremo mai alla fine. Allora non ricordiamoci solo dei morti, ma perdoniamo anche i vivi. Così come una stretta di mano simbolica ci unisce ai morti al di là delle fosse e dell’odio e pronunciamo la frase "onore ai morti", aggiungiamo pure "e pace a tutti i vivi di buona volontà"».

-  LAPIDE: «Chi legge queste righe, da essere umano qual è, non può fare a meno di restarne colpito e commosso. Sono sicuro che tutti i lettori concorderanno. Eppure mi chiedo che cosa ci sia in me che vibra quando ascolto queste frasi e leggo il libro, nel quale lei con obiettiva lucidità riesce a descrivere le proprie sofferenze, le bestialità del campo di concentramento, senza neanche una punta d’odio. Ho il sospetto che a commuoversi sia la scintilla divina che c’è in me, il soffio di Dio che mi nobilita e mi conferisce umanità. È il Dio che c’è in me e vuole fare di me un essere umano completo, quello che io non sono ancora per nulla. Per quale motivo noi cerchiamo Dio lassù tra le stelle, in tutti i possibili "ismi", in ogni parte del mondo esterno, dove sta sicuramente, ma non lo cerchiamo nel più profondo del nostro intimo, là dove ha una voce che lei chiama coscienza, e che risveglia la preghiera in me, mi fa pregare, ne suscita l’impulso, là dove mi richiama all’amore, perché possa diventare Io? Perché divagare, quando questo Dio brucia lentamente dentro di me come una scintilla, aspettando solo che io lo faccia ardere? Non è forse un pezzo di fede in Dio, quella che anche dopo Auschwitz, anzi, soprattutto dopo Auschwitz, non ha perso affatto validità?».

-  FRANKL: «Sì, che dire... Posso solo darle pienamente ragione. Non conosco altre persone capaci di esprimerlo così meravigliosamente con parole come fa lei».


"Meditate che questo è stato" (Primo Levi)

SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211, DELLA REPUBBLICA ITALIANA


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