Oms, carni lavorate cancerogene: dall’hot dog al prosciutto
Alimenti come i wurstel vanno inserite nel gruppo 1 delle sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta come il fumo e il benzene. *
Le carni lavorate come i wurstel ’’sono cancerogene’’, e vanno inserite nel gruppo 1 delle sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta come il fumo e il benzene. Lo afferma l’International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’Oms. Meno a rischio quelle rosse non lavorate, inserire fra le ’probabilmente cancerogene’.
La decisione è stata presa, si legge nel documento, dopo aver revisionato tutti gli studi in letteratura sul tema. "Il gruppo di lavoro ha classificato il consumo di carne lavorata nel gruppo 1 in base a una evidenza sufficiente per il tumore colorettale. Inoltre è stata trovata una associazione tra consumo e tumore allo stomaco. La possibilità di errore non può invece essere esclusa con lo stesso grado di confidenza per il consumo di carne rossa".
LA LISTA OMS DELL CARNI CANCEROGENE
Carni in scatola, hot dogs, prosciutto: sono solo alcuni esempi di carni trattate, considerate cancerogene per l’uomo dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Sono invece considerate ’probabilmente cancerogene’ le carni rosse: questa categoria, spiega l’Oms, ’’si riferisce a tutti i tipi di carne di muscolo di mammifero, come ad esempio manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra’’. Le carni trattate o lavorate sono quelle indicate come più pericolose per l’uomo, essendo state inserite dall’Oms nel gruppo 1 per rischio cancerogeno.
Le carni lavorate, spiega l’Oms, includono le carni che sono state trasformate ’’attraverso processi di salatura, polimerizzazione fermentazione, affumicatura, o sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione’’. La maggior parte delle carni lavorate contiene maiale o manzo, ma le carni lavorate possono anche contenere altri tipi di carni rosse, pollame, frattaglie o prodotti derivati dalla carne come il sangue. Esempi di carni lavorate includono dunque, avverte l’Oms, gli hot dogs, prosciutto, salsicce, carne in scatola, preparazioni e salse a base di carne.
La notizia della ’’condanna’’ da parte dell’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, IARC, era uscita sulla stampa inglese ma L’Organizzazione Mondiale della Sanita’ aveva nei giorni scorsi comunicato che ’’nessun materiale embargato’’ era stato condiviso o violato.
Secondo le indiscrezioni pubblicate alla vigilia dal Daily Mail arriverebbe una bocciatura anche alla carne rossa fresca, che potrebbe essere inserita nella "enciclopedia dei cancerogeni" ed etichettata come "lievemente meno pericolosa" rispetto ai lavorati industriali.
Che alcune carni come quelle rosse o quelle piu’ grasse siamo rischiose per la salute non e’ certo una novita’. Non si contano le prese di posizione da parte della comunita’ scientifica e medica. Questa sarebbe invece la prima classificazione ufficiale da parte della piu’ alta istituzione sanitaria mondiale fra le sostanze che causano i tumori.
"La decisione della International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’Oms di inserire carni lavorate e carni rosse nella lista delle sostanze cancerogene - commento ’a caldo’ di Carmine Pinto, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) - è un invito a tornare alla dieta mediterranea.
La Iarc conferma dati che conoscevamo da tempo - spiega Pinto - ovvero che la presenza di conservanti o di prodotti di combustione in questi alimenti è legata ad alcuni tipi di tumore. Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità, non esiste una ’soglia di esposizione’ oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo.
Il messaggio principale è invece un invito a tornare alla dieta mediterranea, che ha dimostrato invece di poter diminuire il rischio di tumore".
Secondo uno studio Aiom il 9% degli italiani nel 2010 mangiava carne rossa o insaccati tutti i giorni, il 56% 3-4 volte a settimana.
Per il ministero della Salute il cancro del colon-retto, quello di cui si è trovata la maggiore associazione con il consumo di carne lavorata, è in assoluto il tumore a maggiore insorgenza nella popolazione italiana, con quasi 55.000 diagnosi stimate per il 2013.
La dieta mediterranea come "patrimonio culturale immateriale dell’umanità"
Vince la scienza e ora torniamo alla nostra dieta mediterranea
di Umberto Veronesi (la Repubblica, 27 ottobre 2015)
LA conferma che la carne rossa, soprattutto se lavorata, è da considerare una sostanza cancerogena è una notizia che va interpretata positivamente. Segna infatti una vittoria della scienza sulla malattia e non certo dei vegetariani sui carnivori. Non sarà infatti con la sognata pillola antitumore che risolveremo l’endemia del cancro sul pianeta, ma identificando ad una ad una le cause di ogni tumore, per eliminarle.
Troppo spesso il cancro è ancora oggi uno spettro che si materializza al solo evocarlo, vissuto intimamente come una maledizione o una iattura. Ricondurlo a un fenomeno umano che ha un inizio, cioè una causa, uno sviluppo e quindi anche una fine, cioè la guarigione, è fondamentale per tutti: malati, familiari, medici. L’annuncio che viene diffuso oggi dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il più autorevole organismo a livello mondiale in materia, segna dunque una pietra miliare per la prevenzione, la cura e la cultura del cancro.
È una tappa che in molti, come me, si aspettavano da tempo. Da oltre vent’anni anni io sostengo, sulla base dei primi studi epidemiologici che lo Iarc ha ora messo insieme ed analizzato, che esiste un legame causa-effetto fra consumo di carne e tumore del colon. All’inizio sono stato criticato, anche duramente, e sono stato accusato di essere un visionario, influenzato dalle mie convinzioni etiche di animalista. Ma non ero intellettualmente solo: eminenti ricercatori a livello europeo hanno sviluppato i lunghi e complessi studi di popolazione necessari a stabilire la cancerogenità di una sostanza o un alimento, tanto che già nel Codice Europeo contro il Cancro - dieci raccomandazioni di prevenzione per ridurre del 20% la mortalità per cancro in europa entro l’anno 2000 - diffuso dalla Commissione Europea per la prima volta nell’87, figurava al punto tre l’invito a mangiare più vegetali e cereali e al punto quattro la raccomandazione di limitare il consumo dei grassi contenuti principalmente nella carne.
Se dunque la cancerogenità della carne da oggi non è più in dubbio, la discussione si apre ora sulla quantità che la rende pericolosa. Medici e ricercatori a livello internazionale si sono impegnati ad evitare gli allarmismi che potrebbero spingere a pensare che una singola fetta di salame possa essere causa diretta di un tumore al colon. Nessuno afferma che sia così. L’invito è piuttosto ad una riduzione progressiva del consumo di insaccati e carne rossa, a favore di un aumento del consumo di pesce, verdura, frutta, cereali, grassi di origine vegetale. La nostra dieta mediterranea, in sostanza. Più vegetali e meno carne dovrebbe diventare non un diktat scientifico antimalattia, ma una politica per il benessere, adottata nelle scuole, nelle mense aziendali, nei ristoranti, per penetrare a poco a poco nelle famiglie e diventare cultura. Come oncologo sono fondamentalmente d’accordo con questo approccio educativo. Ma come uomo e cittadino di questo pianeta, la penso diversamente.
Il mio mondo ideale è un mondo in cui non si uccidono gli animali per ingoiarli e dunque in cui il consumo di carne è uguale a zero. Primo perché amo gli animali e dunque non li mangio. Non capisco coloro che si scandalizzano all’idea di mangiare il proprio gatto o il proprio cane, ma consumano a cuor leggero le costolette di agnello, un cucciolo delizioso e indifeso che viene massacrato strappandolo dal seno materno a pochi mesi di vita.
Ritengo che gli esseri viventi facciano parte dell’equilibrio del Pianeta e i loro diritti vadano rispettati. Prima di tutto quello alla vita. Secondo, perché la carne non è un alimento sostenibile in un universo dove oggi vivono 7 miliardi di esseri umani e oltre 4 miliardi di animali da allevamento e fra poche decine d’anni, se il trend demografico continua con le attuali caratteristiche, vivranno 9 miliardi di uomini e la domanda di carne aumenterà dagli attuali 220 milioni di tonnellate a più di 460 milioni. Si prospetta l’incubo di avere più capi di bestiame che uomini sulla Terra, con una percentuale di questi esseri umani che moriranno comunque ancora di fame Come diceva Einstein, niente può aumentare le possibilità di sopravvivenza dell’uomo sulla terra quanto la scelta vegetariana.
CIBO E CULTURA.
SUL NODO (che ormai ci soffoca, in tutti i sensi!), NON E’ MALE RINGRAZIARE L’OMS PER IL SUO GRIDO DI ALLARME E INSIEME FARE UN PO’ DI AUTOCRITICA E RENDERE OMAGGIO ALLO SPIRITO MEDITERRANEO, ALL’IMMORTALE ...
Renato Carosone - Tu Vuò Fa’ L’Americano
Oms: "Salsicce, prosciutto e carni rosse trattate possono causare il cancro"
L’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità nelle tabelle di rischio accomuna gli insaccati al fumo e all’amianto. Nel mirino wurstel, carni in scatola, ma anche la carne rossa ’fresca’, seppure a un livello più basso. "Il rischio aumenta con l’aumento delle quantità consumate". Gli oncologi contro gli allarmismi. Coldiretti: "In Italia prodotti ’doc’ e sani". Lorenzin: "Consumare carne fresca e adottare stili di vita sani". Veronesi: "Va eliminata del tutto" *
CONSUMARE salumi, insaccati e ogni genere di carne lavorata può causare il cancro e probabilmente anche mangiare carne rossa: l’allarme arriva dall’Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, parte dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità. Il rapporto dell’Iarc, redatto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra una dieta che comprenda le proteine animali e il cancro, conferma dunque le attuali raccomandazioni "a limitare il consumo di carne". Lo studio, anticipato nei giorni scorsi dal Daily mail e oggi pubblicato su Lancet Oncology, include la carne di maiale tra la carne rossa, insieme a quella di manzo, vitello, agnello, pecora, cavalli e capre.
Al giudizio finale, si legge nel documento, si è arrivati dunque dopo aver revisionato tutti gli studi in letteratura sul tema. "Il gruppo di lavoro ha classificato il consumo di carne lavorata nel gruppo 1 in base a una evidenza sufficiente per il tumore colorettale. Inoltre è stata trovata una associazione tra consumo e tumore allo stomaco. La possibilità di errore non può invece essere esclusa con lo stesso grado di confidenza per il consumo di carne rossa". Gli esperti hanno concluso che per ogni porzione di 50 grammi di carne lavorata consumati al giorno il rischio di cancro del colon-retto aumenta del 18%. Ma lo stesso legame è stato osservato con i tumori del pancreas e alla prostata.
Quali sono le carni lavorate. Le carni lavorate come i wurstel sono dunque ritenute cancerogene e vanno inserite nel gruppo 1 delle circa 115 sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta, come il fumo, l’amianto, l’arsenico e il benzene. Meno a rischio le carni rosse non lavorate, inserire fra le ’probabilmente cancerogene’. Le carni lavorate, spiega l’Oms, includono le carni che sono state trasformate "attraverso processi di salatura, polimerizzazione fermentazione, affumicatura, o sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione". La maggior parte delle carni lavorate contiene maiale o manzo, ma le carni lavorate possono anche contenere altri tipi di carni rosse, pollame, frattaglie o prodotti derivati dalla carne come il sangue. Esempi di carni lavorate includono dunque, avverte l’Oms, gli hot dogs, prosciutto, salsicce, carne in scatola, preparazioni e salse a base di carne.
"Per una persona, il rischio di sviluppare cancro all’intestino a causa del consumo di carne processata resta piccolo, ma aumenta in proporzione alla carne consumata", ha dichiarato il dottor Kurt Straif, capo dello Iarc Monographs Programme. La carne rossa, in cui sono inseriti manzo, agnello e maiale, è invece classificata come "probabile" cancerogeno nel gruppo 2A, dove si trova anche il glifosato, ingrediente attivo di molti diserbanti. Il rapporto cita, come malattie connesse, il cancro non solo all’intestino, ma anche al pancreas e alla prostata.
Invito a tornare alla dieta mediterranea. La decisione dell’Oms di inserire carni lavorate e carni rosse nella lista delle sostanze cancerogene è "un invito a tornare alla dieta mediterranea, ha commentato Carmine Pinto, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), che invita a evitare gli allarmismi. "La Iarc conferma dati che conoscevamo da tempo - spiega Pinto - ovvero che la presenza di conservanti o di prodotti di combustione in questi alimenti è legata ad alcuni tipi di tumore. Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità, non esiste una ’soglia di esposizione’ oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo. Il messaggio principale è invece un invito a tornare alla dieta mediterranea, che ha dimostrato invece di poter diminuire il rischio di tumore".
Più drastico il commento dell’oncologo Umberto Veronesi, che da decenni ha scelto di non mangiare carne. Il mio consiglio da vegetariano da sempre è quello di eliminare del tutto il consumo di carne, e questo per motivi etici e filosofici. Detto ciò, lo studio dell’Organizzazione mondiale della sanità Oms sulla cancerosità della carne rossa e trattata non ci coglie di sorpresa", ha detto Veronesi, precisando come tutti gli studi che vanno nella direzione di identificare nuovi possibili fattori di rischio per il cancro sono comunque un "grande passo avanti". "L’identificazione certa di una nuova sostanza come fattore cancerogeno è sempre e comunque una buona notizia in sé, perchè aggiunge conoscenza e migliora la prevenzione".
Secondo uno studio Aiom il 9% degli italiani nel 2010 mangiava carne rossa o insaccati tutti i giorni, il 56% 3-4 volte a settimana. Per il ministero della Salute il cancro del colon-retto, quello di cui si è trovata la maggiore associazione con il consumo di carne lavorata, è in assoluto il tumore a maggiore insorgenza nella popolazione italiana, con quasi 55mila diagnosi stimate per il 2013.
No alle carni "bruciacchiate". Già nel 2007 gli oncologi italiani lanciavano l’allarme sulla cancerogenicità delle carni rosse nelle parti "bruciacchiate", sicuramente le più saporite ma le più tossiche, perché contengono idrocarburi. I principali fattori di rischio di sviluppare neoplasia, "sono il forte consumo di carni rosse soprattutto se cotte alla brace, cibi affumicati, salati o conservati", dicono gli oncologi. Leader incontrasti del barbecue sono gli statunitensi: Ogni anno attira più del 70% della popolazione. Seguono gli australiani (60%), i francesi (55%), i tedeschi (50%). Gli italiani che si dedicano a questo tipo di cucina figurano al quinto posto (38%), di poco superiori agli inglesi (32%). In particolare la Confederazione italiana agricoltori (Cia) ha stimato oltre 24 milioni di grigliate fatte in casa, in particolare di carne suina (42%) e di manzo (38%).
Come funzionano le liste dell’Iarc. Le liste compilate dallo Iarc raggruppano le sostanze sulla base del livello di cancerogenità dimostrato in studi scientifici. L’ingresso nella lista richiede che siano disponibili i risultati di studi di laboratorio e, se disponibili, anche di studi epidemiologici sull’uomo. Attenzione però: se una sostanza viene inserita nel gruppo 1, che comprende elementi pericolosissimi come fumo, alcol, smog, arsenico, benzene e via di questo passo, non vuol dire che mangiare un wurstel sia nocivo come fumare un pacchetto di sigarette. Gli studi, infatti, vengono eseguiti ad altissimi dosaggi o con durate d’esposizione molto lunghe, difficilmente replicabili nella vita reale. "Prima di preoccuparsi - sottolinea infatti l’Airc, l’associazione italiana per la ricerca sul cancro - è importante sapere non solo in che lista si trova una certa sostanza ma quali sono i dosaggi e le durate d’esposizione oltre le quali il rischio diventa reale e non solo teorico".
Alcol, benzene, la naftalina usata come antitarme negli armadi ma anche farmaci come la ciclosporina, impiegata per impedire il rigetto nei tumori: tutte queste sostanze hanno in comune l’appartenenza alla classe 1. Il gruppo 1 contiene i carcinogeni umani certi e comprende al momento 117 agenti; il gruppo 2A comprende carcinogeni probabili per l’uomo e contiene 74 agenti; il gruppo 2B riunisce i carcinogeni possibili, per un totale di 287 sostanze; il gruppo 3 comprende le sostanze non classificabili come carcinogene (al momento sono 505); il gruppo 4, infine, raggruppa sostanze probabilmente non carcinogene per l’uomo (in questa categoria c’è una sola sostanza, il caprolactam, un precursore del nylon). E’ la stessa Airc quindi a specificare: "Quando leggiamo che una sostanza o un agente è stato inserito in una delle liste dello Iarc, non è il caso di farsi prendere dal panico. E’ necessario capire quali sono i reali margini di rischio ed entro che dosi e limiti vale la pena di preoccuparsi davvero".
Codacons: "Valutare se sospendere le vendite". Il Codacons ha deciso di presentare un’istanza urgente al Ministero della salute e un esposto al Pm di Torino Raffaele Guariniello, affinché siano valutate misure a tutela della salute umana. "L’Oms non lascia spazio a dubbi" spiega il Presidente Carlo Rienzi. "Il principio di precauzione impone in questi casi l’adozione di misure anche drastiche. Per tale motivo chiediamo al Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, di valutare i provvedimenti da adottare a tutela della popolazione, compresa la sospensione della vendita per quei prodotti che l’Oms certifica come cancerogeni".
Coldiretti: carni italiani sono più sane. Le carni Made in Italy sono piu sane, perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione "doc" che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali tanto da garantire agli italiani una longevità da primato con 84,6 anni per le donne e i 79,8 anni per gli uomini. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che il rapporto Oms è stato eseguito su scala globale su abitudini alimentari molto diverse come quelle statunitensi che consumano il 60% di carne in piu’ degli italiani. "Non si tiene peraltro conto - sottolinea la Coldiretti - che gli animali allevati in Italia non sono uguali a quelli allevati in altri Paesi e che i cibi sotto accusa come hot dog, bacon e affumicati non fanno parte della tradizione italiana. Il consumo di carne degli italiani con 78 chili a testa - precisa la Coldiretti - é ben al di sotto di quelli di Paesi come gli Stati Uniti con 125 chili a persona o degli australiani con 120 chili, ma anche dei cugini francesi con 87 chili a testa. E dal punto di vista qualitativo la carne italiana - continua la Coldiretti - è meno grassa e la trasformazione in salumi avviene naturalmente solo con il sale senza l’uso dell’affumicatura messa sotto accusa dall’Oms".
Ministro Lorenzin: "Consumare carne fresca". Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin interviene sulla ricerca dell’Oms parlando a Tagadà su La7: "Occorre guardare a quale è stata la nostra linea fino adesso: promuovere la dieta mediterranea, che è corretta dal punto di vista dei nutrienti e prevede una piramide", in cui viene inclusa anche la carne rossa, che va però "prediletta fresca. Queste - ha ribadito - sono raccomandazioni dell’Oms ma al momento se tutti adottassero stili di vita sani, in primis la dieta mediterranea, avremmo un crollo dell’incidenza di malattie importanti come il diabete".
Chi nutrirà il pianeta?
di Giorgio Nebbia *
Alla fine dello scorso aprile, alla vigilia della solenne inaugurazione dell’EXPO 2015 di Milano, la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia ha riunito presso il suo Museo dell’Industria e del Lavoro (MusIL), un centinaio di studiosi invitandoli a chiedersi come si presentano, in Italia e nel mondo, le “agricolture”. “Agricolture” al plurale perché sono tante le forme in cui viene praticata la più importante attività umana, quella che assicura agli oltre settemila milioni di terrestri il cibo, ma anche molte altre materie prime essenziali.
Lo storico Pier Paolo Poggio, direttore della Fondazione Micheletti, ha curato la pubblicazione del libro, appena apparso col titolo: Le tre agricolture: contadina, industriale, ecologica (Jaca Book, Milano), che raccoglie le relazioni presentate al convegno sopra ricordato. Non c’è dubbio che a “nutrire il pianeta” contribuiscono tante diverse forme di coltivazione del suolo: dalla cerealicoltura della Valle Padana, agli oliveti pugliesi, agli agrumeti della Sicilia, dalle monocolture a mais del Nord America o della canna da zucchero del Brasile o della palma dell’Indonesia, dalle innumerevoli comunità agricole dei villaggi contadini sparsi in Africa, Asia, America Latina, ai giovani che abbandonano le città per mettersi a produrre mele “biologiche”.
Chiamateli agricoltori o imprenditori o contadini, sono le centinaia di milioni di persone che zappano con poveri strumenti, o si spostano con moderni trattori, o lavorano nelle fabbriche in cui i prodotti agricoli e zootecnici sono conservati e trasformati, sono loro che permettono a (quasi) tutti noi di trovare ogni giorno sulla tavola il pane fresco e la carne e la frutta. In molti paesi esiste ancora una agricoltura contadina che coltiva la terra in armonia con i cicli naturali ma che può soddisfare soltanto il fabbisogno alimentare delle piccole comunità locali, sempre più sostituita dalla agricoltura industriale, così come l’artigianato è stato soppiantato dalla grande manifattura di prodotti di serie e il piccolo negozio è soppiantato dai supermercati.
Il successo dell’agricoltura industriale, con alte rese per ettaro, è assicurato dall’uso intenso di macchine, di energia, di concimi artificiali, di sementi geneticamente modificate, di pesticidi, ed è presentato come l’unico mezzo “moderno” con cui è possibile sfamare la crescente popolazione mondiale, sempre più urbanizzata e lontana dai campi e dai pascoli. Questo successo economico e finanziario oscura le trappole in cui la transizione ha fatto cadere l’umanità. Le monocolture e l’impiego di pesticidi alterano la biodiversità che è condizione essenziale per la stabile successione delle coltivazioni; il crescente impiego di concimi artificiali provoca l’immissione nell’atmosfera di ossidi di azoto, uno dei “gas serra”; la zootecnica contribuisce all’immissione nell’atmosfera di metano, altro “gas serra”, per cui l’agricoltura industriale contribuisce in maniera crescente al riscaldamento globale e alle conseguenti modificazioni climatiche che sempre più spesso distruggono i fertili campi.
La coltivazione intensiva del suolo e l’abbandono delle terre meno produttive alterano il moto superficiale delle acque e provocano allagamenti e frane che colpiscono in primo luogo proprio l’agricoltura stessa. La pasta e l’olio, la frutta e le carni diventano “manufatti”, standardizzati nella qualità; la diversità biologica è sostituita dalla fantasia dei nomi, delle etichette, dalle mode gastronomiche e così aumentano sprechi e rifiuti. Si può quindi amaramente dire che l’agricoltura industriale, nel secolo ormai della sua esistenza, dopo aver distrutto l’agricoltura contadina sta distruggendo se stessa con i guasti ambientali e sociali.
Nell’introduzione al volume prima ricordato Pier Paolo Poggio ricorda che la salvezza, umana e ambientale del pianeta, è realizzabile con una agricoltura ecologica che veda “i contadini” appropriarsi del meglio della tecnologia attraverso il suo utilizzo selettivo e intelligente, producendo cibo con una “economia circolare”, per usare un termine oggi di moda, come hanno fatto sempre nel corso della storia.
Alla fine dei lavori del convegno di Brescia i partecipanti hanno redatto un “manifesto” in cui auspicano l’avvento di una economia agricola rinnovata, ecologica, appunto, capace di assicurare un reddito dignitoso, un lavoro soddisfacente, la sperimentazione di nuove forme di convivenza sociale e un rapporto consapevole con l’ambiente di vita e naturale. Una trasformazione legata ai prodotti e ai produttori di ciascun territorio, al servizio degli abitanti delle campagne e delle città, volta a limitare gli sprechi materiali ed energetici.
Una agricoltura ecologica può e deve raccogliere e superare l’eredità sia dell’agricoltura contadina sia di quella industriale, una transizione in cui è fondamentale il ruolo delle giovani generazioni e delle donne. La sua affermazione, passando da situazioni di nicchia a fenomeno socialmente rilevante, le consentirà di svolgere un ruolo prezioso di rigenerazione sul piano culturale, ambientale ed economico, rimettendo al centro dell’operare umano il valore del saper fare e della manualità, il valore del lavoro e del suo senso, il valore delle cose e delle relazioni, il valore dei tempi dell’attesa.
Abbastanza curiosamente simili concetti sono stati espressi da Papa Francesco parlando ai “Movimenti popolari”, per lo più piccoli contadini sparsi in tutto il mondo, riuniti sotto una bandiera che chiede “Terra, casa, lavoro”. “La passione per il seminare, ha detto il Papa, per l’irrigare con calma ciò che gli altri vedranno fiorire sostituisce l’ansia di occupare gli spazi di potere e di vedere risultati immediati”. Forse sarà questa la vera “modernità” per nutrire il pianeta.
L’articolo è stato inviato contemporaneamente aLa Gazzetta del Mezzogiorno