Editorialazzu cu la cicoria

Crapari e crape: ’u spitale, il "depresso", "a fra’ che te serve?" e la pigliata pe’ fissa

Cronaca di un consiglio comunale che i tuttappostisti non avrebbero mai voluto tenere
mercoledì 9 novembre 2016.
 

Dall’«ospedale generale» al poliambulatorio c’è una differenza enorme. Oggi il Pd di San Giovanni in Fiore paga cogli interessi il prezzo del populismo indecente degli anni scorsi, fatto di promesse incontrollate e mai più mantenute.

A nulla servono i ripari come la “comparsata” di ieri del dg dell’Asp di Cosenza, il “depresso” Raffaele Mauro, e dello ieratico professor Riccardo Fatarella, dirigente generale del dipartimento della Regione Calabria Tutela della Salute.

Quando Antonio Barile era sindaco e Giuseppe Scopelliti commissario per il rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, i big del Partito democratico assicurarono che giunti al potere avrebbero restituito servizi sanitari e dignità al popolo locale, partendo dalla riattivazione della Chirurgia.

Da Mario Oliverio a Franco Laratta, da Pino Belcastro a Tonino Candalise, dalle carovane alle diligenze, dai sindacati ai guccioniani, dai comitati alle associazioni a scomparsa, il mantra fu uno, ripetuto all’ossessione: «ospedale generale». Il séguito è troppo evidente: di quelle fantasie propagandistiche non c’è nulla: l’ospedale chiuderà, ma non è un problema che tocca le alte sfere del Pd, quelle che pigliano dai 22mila ai 5mila euro mensili.

Oliverio vinse le elezioni regionali e non volle affatto la sanità. Preferì la Cittadella del teatro, con pupi e pupe. Dunque il governo Renzi inviò in Calabria Massimo Scura e Andrea Urbani, che secondo il dg Fatarella organizzarono la rete dell’assistenza ospedaliera sulla base del criterio, riporto letteralmente da una sua intervista, dell’«a fra’, che te serve?».

L’amministrazione locale traccheggiò il più possibile. Poi fu costretta a tenere un consiglio comunale ad hoc lo scorso 25 febbraio, a causa delle critiche continue tipo la «sassaiola» di Confessioni di un malandrino.

Allora il presidente dell’assemblea consiliare, Domenico Lacava, disse che c’erano le «condizioni giuridiche» per rilanciare finalmente l’ospedale di San Giovanni in Fiore. Si riferiva al verbale di una semplice riunione a Catanzaro. Il sindaco Belcastro e i sodali narrarono che sua sanità Scura aveva promesso una chirurgia in elezione h 24, che sarebbe iniziato l’adeguamento del pronto soccorso, che il laboratorio analisi sarebbe stato mantenuto e che in ospedale avremmo avuto letti nuovi e, soprattutto, il potenziamento dell’organico per l’emergenza.

Nella fattispecie la maggioranza si celebrò da sola, proprio come l’asino del proverbio, raccontando d’aver lavorato indefessamente per ottenere i riassunti servigi straordinari, impareggiabili e prodromici all’avvento di molto altro ancora, en attendant Godot.

Ieri i tuttappostisti hanno invece dovuto calare la maschera, peraltro davanti a una delegazione di disoccupati del Comitato cittadino per il lavoro dignitoso, visibile col proprio striscione, simbolo di una speranza collettiva che carovane e diligenze democratiche non condividono da un pezzo.

Dopo l’incensatura verbale al “depresso” Mauro e al diplomatico Fatarella, che spesso dice una cosa e poi ne fa un’altra - vedi l’“ammiucciarella” sulla Cardiochirurgia universitaria senza requisiti di legge -, i tuttappostisti hanno ammesso le gravi condizioni in cui versa l’ospedale e finalmente comunicato una proposta, che in buona parte ricalca quanto abbiamo scritto e raccomandato finora, nonché le osservazioni puntuali dei consiglieri Antonio Lopez e Angelo Gentile. Sono passati, perciò, dal «tuttappostu» permanente a un’elencazione di richieste imposta dalle pressioni degli ultimi mesi e dall’imminente referendum sulla riforma costituzionale: un cardiologo h 24, acquisto di mezzi diagnostici, radiologia h 12, almeno quattro anestesisti, trasferimento del 118, piattaforma per l’elisoccorso, somministrazione in ospedale delle terapie oncologiche, potenziamento dell’organico del Laboratorio analisi, dell’Adi e degli ambulatori di Neuropsichiatria e Ortopedia, attivazione della Lungodegenza, Ginecologia ambulatoriale con reperibilità, adeguamento strutturale del Pronto soccorso, passaggio con l’ospedale di Cosenza per le prestazioni più complesse e col distretto della stessa città.

Il “depresso” ha risposto picche, ripiegando sul solito discorso della tele-cardiologia, sullo sviluppo delle cure primarie - che sarebbe ideale ma con la Regione che ci ritroviamo resta retorica pura - e sul miglioramento della medicina del territorio. Non ha proferito verbo, però, sul problema delle risorse economiche del caso, inesistenti per l’inserimento, tra l’altro, di una norma nella Legge di stabilità per il 2017 che fa scattare l’obbligo del piano di rientro in capo alle aziende sanitarie con un disavanzo di appena 5 milioni di euro, che l’Asp di Cosenza supera in largo.

Il “depresso” ha aggiunto che grazie ad apposito accordo i farmaci oncologici arriveranno preparati da Crotone - sarebbe una procedura legale? - e che la chirurgia tiroidea, al contrario di quanto sostenuto in un’interrogazione dei parlamentari 5 stelle Dalila Nesci e Paolo Parentela, non necessita di terapia intensiva. Non vorrei deprimere nessuno, ma la giovanissima Federica Monteleone morì per un’operazione molto più semplice della tiroidectomia.

Fatarella ha riverberato e corroborato le tesi del “depresso” Mauro, col solito tono suadente e l’immancabile postura da celebrante messa. Tra parentesi, l’assemblea si è aggiornata al Dino’s Hotel, con cena istituzionale col "depresso" e forse qualche brindisi con selfie.

In consiglio Lopez ha contestato la consulenza da 800 euro al giorno al chirurgo delle tiroidi, che dal 5 settembre ha eseguito «la bellezza di zero interventi». La fregnaccia (della maggioranza) dell’équipe chirurgica del consulente non ha retto, e ieri i tuttappostisti hanno dovuto chiedere al “depresso” un’apposita integrazione coi chirurghi in sede, che, anticipiamo, non ci sarà. Assenti i Socialisti, i quali da un bel po’ intervengono soltanto con i comunicati del segretario, Giovanni Oliverio, a copertura delle panzane dei piddini.

Il vicesindaco Luigi Scarcelli ha sostituito Belcastro - assente per comprensibili ragioni personali - rammentando l’impugnazione del decreto commissariale n. 30/2016 grazie all’assistenza legale gratuita del professor Ettore Jorio, che però tiene un corso di formazione per i dipendenti del municipio. Scarcelli ha omesso di precisare che quell’impugnazione, che toccava in primo luogo a Oliverio “Pallapalla”, derivò dalla proposta di “La Voce di Fiore” di scrivere gratuitamente il ricorso. Lo schiaffo sarebbe stato plateale, sicché i Pallapalla’s impugnarono all’ultimo minuto.

A parte il riferimento di Candalise, pure questo ripreso da noi, al fatto che San Giovanni in Fiore è il comune più popoloso d’Europa al di sopra dei mille metri, il problema principale è stato saltato. La premessa di Candalise è corretta, ma è mancato lo sviluppo. Eppure il nostro “Zorro” e compagni ci hanno letto tanto.

Le norme di organizzazione dei servizi sanitari, ribadiamo, non possono essere uguali, senza distinzione tra zone montane e zone non montane. La Costituzione, che i tuttappostisti vorrebbero modificata secondo l’impianto di Bce, Renzi e Boschi, prevede che la legge disponga provvedimenti a favore delle zone montane. Ed è questa la chiave di volta per salvare l’ospedale dalla dismissione in atto, fermo restando che bisognerà impedire la vittoria del «sì» al referendum del 4 dicembre, che velocizzerebbe i tagli miliardari alla sanità e agli altri servizi fondamentali.

Di tagli, infine, i tuttappostisti filocosentini non hanno parlato neppure per un secondo, benché sino al 2018 superino, nelle previsioni del Documento di Economia e Finanza, i 10 miliardi di euro. E non hanno neppure preso in esame la possibilità di un rapporto con l’ospedale di Crotone, la cui Chirurgia sta dando risultati di rilievo e potrebbe anche essere collegata al presidio di San Giovanni in Fiore.

Evidentemente i tuttappostisti sono rimasti allo schema dei crapari e delle crape, per cui a loro giudizio sarebbero i primi e tutti gli altri i secondi.

Emiliano Morrone

emilianomorrone(at)gmail.com

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Leggi anche l’articolo sul consiglio comunale del 25 febbraio 2016


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