GIURISTE D’ITALIA

Appello per il NO al referendum del 25 e 26 giugno sulle modifiche al testo della Costituzione
sabato 17 giugno 2006.
 

La controriforma costituzionale colpisce al cuore il nesso tra libertà, uguaglianza e differenza GIUDIT: PER IL NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE (www.womenews.net, venerdì 16 giugno 2006)

La Costituzione disegna lo spazio pubblico nel quale può darsi azione politica di donne e uomini, e in cui lo stesso patto fondativo può essere attuato e allo stesso tempo innovato. Questo è già avvenuto nella storia del nostro Paese. Ancora oggi la lotta per i diritti e per il diritto si radica nel processo di attuazione della Costituzione. Per il suo carattere aperto e progettuale, la legge fondamentale apre la via alla sua continua rilettura. Attraverso questa operazione l’intero ordinamento si modifica, alla luce delle interpretazioni progressive del dettato costituzionale. E’ stato questo il senso di una lunga stagione storico-politica, nella quale nuovi soggetti sono stati ammessi al godimento di diritti prima riservati a pochi, nuovi diritti sono stati elaborati. E’ stato questo il senso di una stagione significativa come quella che ha visto il protagonismo della giurisprudenza nella interpretazione costituzionalmente orientata di vecchi codici e vecchie norme. Nell’ambito dello stesso percorso, la Corte costituzionale ha abrogato norme odiose come il delitto d’onore e il delitto di adulterio che puniva solo la donna, e ha aperto la strada alla legge sull’aborto. Nell’ambito dello stesso percorso il Parlamento ha approvato le leggi sul divorzio e sull’interruzione di gravidanza, la legislazione di tutela della maternità, le leggi di parità. L’interpretazione della legge civile e penale si è aperta a contenuti nuovi. Se una grande parte dell’esperienza femminile resta ancora poco rappresentata nel diritto, lo stupro comincia finalmente a essere visto e trattato come un reato grave contro il corpo-mente delle donne. La violenza domestica comincia finalmente a essere vista e trattata come un reato grave, che comporta l’oppressione sistematica della libertà femminile, e vittimizza sempre anche le/i bambine/i, che se non subiscono direttamente violenza, la vedono e la introiettano come parte della loro esperienza. Questo processo è stato possibile grazie alla compattezza della Carta costituzionale, che tiene insieme la prima e la seconda parte della legge fondamentale.

La legge costituzionale oggi sottoposta a referendum non modifica ma stravolge la seconda parte della Costituzione, in primo luogo riducendo la democrazia a rapporto tra popolo e leader. Il Parlamento diventa un luogo secondo e sostanzialmente subordinato al governo. Il Parlamento può essere sciolto dal governo ma non gli dà la fiducia. Dunque il governo e il primo ministro non sono responsabili dei loro atti di fronte al Parlamento. Non si tratta solo di una inaccettabile deviazione rispetto al principio di separazione dei poteri, che deve basarsi sulla comunicazione e l’equilibrio tra i diversi poteri dello Stato. E’ la riduzione della pluralità, rispecchiata nella rappresentanza parlamentare. E’ la sovversione dell’idea che ogni movimento progressivo può trovare legittimazione in un sistema democratico fondato sul libero confronto di tutte le opinioni, che devono trovare mediazioni alte. Questo è, nella sua essenza, l’idea originaria di governo proposta dalla Costituzione.

La controriforma oggi sottoposta a referendum è figlia di una impostazione radicale quanto primitiva dei rapporti tra i poteri dello Stato, cioè l’idea berlusconiana che chi vince comanda. Da questa stessa tesi proviene la sistematica delegittimazione della giurisdizione e del controllo di legalità sull’operato dei pubblici poteri. Se questa tesi uscisse vittoriosa dal referendum, non vi sarebbe più uno spazio pubblico nel quale esprimere un agire politico orientato alla trasformazione, che sempre ha bisogno di dialogo e comunicazione, per far valere il portato di uno sguardo diverso sulla realtà.

La c.d. devolution, che compromette la redistribuzione tra aree geografiche, è figlia dell’altrettanto primitiva idea leghista che chi è ricco ha il diritto di spendere per sé. In questo senso la controriforma costituzionale è coerente con la versione più rapace del liberismo, secondo cui precarietà, incertezza e discriminazione sono il destino - giusto o inevitabile, non importa - della grande maggioranza di ragazze e ragazzi, di uomini e donne, native/i e migranti, che vivono in questo Paese.

La libertà femminile, così come si è venuta elaborando nel pensiero dei femminismi, non ha niente a che vedere con l’egoismo dei forti. Non nega ma include la relazione, la solidarietà, il prendersi cura di chi ha di meno o è più debole e dipendente. E’ molto evidente il nesso tra la controriforma della seconda parte della Costituzione e la messa in questione dei principi affermati nella prima parte. Basta pensare al ripudio della guerra sancito dall’art. 11 della Costituzione, che già negato e contraddetto dalla sciagurata prassi della partecipazione a guerre travestite da missioni umanitarie o di pace, non avrebbe alcuna possibilità di essere effettivo in una ordinamento che si limitasse a legittimare la legge del più forte, nell’economia, nella politica e nelle relazioni internazionali.

Come giuriste che hanno a cuore la libertà femminile e la libertà di tutti, non possiamo che guardare alla controriforma costituzionale come a qualcosa che colpisce al cuore il nesso inscindibile tra libertà, uguaglianza e differenza. La differenza sessuale o di genere è poco rispecchiata nella Costituzione, e tuttavia non ha bisogno di un riconoscimento esplicito. Può vivere nel processo di attuazione/rinnovamento dei principi costituzionali, che tuttavia richiede uno spazio pubblico democratico, plurale, dove possa liberamente esplicarsi l’agire politico di donne e uomini.


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