Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore Charitas dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane... Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
DA RICORDARE:
Alla Costituente, su 556 eletti, 21 erano donne:
9 NEL GRUPPO DC, SU 207 MEMBRI - LAURA BIANCHINI, ELISABETTA CONCI, FILOMENA DELLI CASTELLI, MARIA IERVOLINO, MARIA FEDERICI, ANGELA GOTELLI, ANGELA GUIDI CINGOLANI, MARIA NICOTRA, VITTORIA TITOMANLIO;
9 NEL GRUPPO PCI, SU 104 MEMBRI - ADELE BEI, NADIA GALLICO SPANO, NILDE IOTTI, TERESA MATTEI, ANGIOLA MINELLA, RITA MONTAGNANA TOGLIATTI, TERESA NOCE LONGO, ELETTRA POLLASTRINI, MARIA MADDALENA ROSSI;
2 NEL GRUPPO PSI, SU 115 MEMBRI - BIANCA BIANCHI, ANGELINA MERLIN;
1 NEL GRUPPO DELL’UOMO QUALUNQUE: OTTAVIA PENNA BUSCEMI.
Federico La Sala
Fonte: 25 Giugno: salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
PIERO CALAMANDREI (Wikipedia)
LA LEZIONE DI CIAMPI: LA COSTITUZIONE, LA NOSTRA “BIBBIA CIVILE”
Nel pantheon spazio alle donne
di Roberta Agostini, Cecilia D’Elia, Titti Di Salvo, Valeria Fedeli, Pia Locatelli, Marinella Perroni
(l’Unità, 19 novembre 2012)
È difficile stabilire un pantheon una volta per tutte. soprattutto in un’epoca di fluidità e leggerezza del pensiero e dei riferimenti culturali, in un’epoca in cui sono più i singoli a dettare le leggi dei riferimenti simbolici, piuttosto che le grandi organizzazioni collettive e i movimenti di massa. C’è un pantheon privato, di cui fanno parte i propri beniamini, uomini e donne illustri, campioni dello sport, e rock star. Ma anche persone incontrate nella vita. E ciascuno ha il proprio pantheon e se lo compone e cambia come vuole.
Il pantheon di un’area politica, sociale e culturale invece è il frutto di una ricerca, dell’ascolto della memoria, della materialità di un percorso storico e dei suoi conflitti, ma anche dell’analisi del presente e del futuro. Del guardare i propri compagni di strada e i propri avversari. Non è un lavoro facile e implica delle responsabilità.
Siamo impegnate nel centrosinistra, ognuna con la propria storia e collocazione, immaginiamo il centrosinistra come un movimento di massa, connesso da tante identità e sapori. Pensiamo che il centrosinistra debba rendere l’Italia un Paese non ostile alle donne, dunque ripensato nella sua organizzazione, nei suoi apparati formativi e nel welfare, che non è un lusso da tagliare ma la condizione per crescere. Riconosciamo di condividere un sentire e una memoria di ciò che ci ha portato qui.
Il pantheon dà il nord - come ha scritto Barbara Spinelli - fornisce una bussola. Il pantheon restituisce armonia a una comunità sociale. Non regole di ingaggio da rispettare, ma opzioni di memoria e di sentimento, valori irrinunciabili e storie di vite reali, di impegno e di sacrificio. Talvolta di martirio.
Il pantheon l’emozione di riconoscersi in uno spazio pubblico e di riconoscere un debito nei confronti di qualcuno per come siamo in questo spazio pubblico. Una genealogia, insomma, e forse preferiamo questo termine che restituisce umanità e dunque anche maggior grandezza alle scelte e alle vite delle figure a cui pensiamo.
Una genealogia che riconosce le figure e le avanguardie che hanno reso «nostri» valori e principi come quello della laicità, dei diritti, della libertà delle scelte, dell’autodeterminazione, della conoscenza e della cultura, dell’amore per la diversità, dell’identità europea, della lotta contro ogni forma di disuguaglianza.
Per questo non è solo italiana, e soprattutto non è solo maschile. E’ tempo che l’Italia e il centrosinistra riconoscano il debito che hanno verso tante donne. Non vogliamo offrire un elenco esaustivo e completo, ma una traccia, un filo di riconoscenza che renda di uomini e donne la bussola del centrosinistra.
Siamo in debito con Anna Kuliscioff, la dottora dei poveri, per la sua denuncia del monopolio dell’uomo, con Teresa Noce e Lina Merlin, donne della costituente e pioniere dei diritti delle donne lavoratrici e madri; con Maria Montessori, che ha restituito ai bambini la dignità di esseri umani; con il «no» di Franca Viola, che per prima ha rifiutato un matrimonio riparatore, e di Rosa Parks, che non si alzò per cedere il suo posto a un bianco; con Nilde Iotti ragazza della Costituente e prima donna presidente della Camera; con Giglia Tedesco e Maria Magnani Noya, che hanno lavorato al nuovo diritto di famiglia, rivoluzionando i rapporti tra i coniugi; con Tina Anselmi che ha avuto il coraggio di sfidare i poteri forti.
Siamo in debito con il femminismo della fine del secolo scorso che ha liberato il destino di tutte; con Hannah Arendt, con la sua riflessione sulla politica e la sua feroce analisi del totalitarismo, male che l’Europa non deve mai dimenticare; con Elsa Morante e Natalia Ginzburg. Con l’arguzia di Miriam Mafai e la mitezza di Adriana Zarri.
Con la radicalità di Simone Weil, con Simone de Beauvoir che ha dichiarato libero il secondo sesso. Sicuramente voi che leggete ne aggiungereste di altre o lascereste andare qualcuna. Non volevamo scolpire per sempre nel marmo il nostro pantheon, ma riconoscere che i pensieri, le azioni, le intuizioni prendono origine e forma dentro genealogie fatte di uomini e di donne.
Se il Paradiso è in questa terra
Le riflessioni sulla preghiera della teologa Adriana Zarri
di Umberto Galimberti (la Repubblica 26.01.2013)
«Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze». Queste parole di Nietzsche le sento risuonare in ogni pagina del libro di Adriana Zarri, Quasi una preghiera.
Quasi perché siamo soliti chiamare “preghiera” l’invocazione, o la richiesta di grazie, o quelle noiosissime nenie che recitano formule senz’anima, senza partecipazione, senza canto. Queste «formule scritte da altri e assunte da noi senza che spesso riusciamo ad aggiungere nulla di nostro» non sono per Adriana Zarri vere preghiere perché «non consentono un libero e personale esprimerci e parlare col Signore».
Ma perché questa preghiera possa sorgere e scaturire spontanea e sincera con tutta la partecipazione del cuore bisogna ribaltare quella concezione teologica che descrive la terra come «valle di lacrime» o come «esilio», perché, scrive la teologa, monaco ed eremita, Adriana Zarri, se la terra è «la creazione bella e buona predisposta dal Signore per noi», se non è «un deserto, ma un giardino: il giardino dell’Eden», se «il Signore non ci ha messi in esilio, ma ci ha collocati nella nostra patria, nella casa che aveva amorevolmente preparato per noi», allora a questa patria, a questa casa, a questo giardino a questa terra dobbiamo essere fedeli e «pregare Dio per questa terra in senso proprio, questa terra di terra, per questo cielo d’aria e non per quello metaforico popolato dagli angeli, per questo cielo nostro, questo cielo di nuvole e di vento, percorso dalle ali degli uccelli».
Così risuona nelle parole di Adriana Zarri l’invocazione di Nietzsche: «Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra», ma risuonano anche le «sovraterrene speranze» a cui Nietzsche invita a non credere.
Eppure la fedeltà alla terra di Adriana Zarri fa la sua comparsa anche nelle «sovraterrene speranze» se appena ascoltiamo l’invocazione della sua ultima preghiera: «E questo nostro dolce mondo, ti prego, Dio, fallo risorgere tutto, così com’è, perché è così com’è che noi lo amiamo, ed è così com’è che noi lo attendiamo quando “i cieli nuovi” e “le terre nuove” che ci hai promesso risorgeranno dal gran rogo finale. Ti prego, non dimenticartene, Signore, perché io aspetto di trovarle di là. Se non ci fossero ne resterei delusa, e in paradiso non può esserci delusione».
Possiamo leggere questo libro di Adriana Zarri, che prega il Signore con il canto che si leva dalla contemplazione delle sue creature e delle sue bellezze, che il succedersi delle stagioni offre nella loro varietà, in sintonia con la variazione che caratterizzala la gamma dei nostri sentimenti, come un libro lirico, mistico, non dissimile dalla mistica francescana.
Ma Adriana Zarri non è solo questo. Perché da teologa ha anticipato il Concilio Vaticano II, e da voce libera e forte ha avuto il coraggio di ribaltare quella visione che il cristianesimo, dimentico del Vangelo, ha ereditato da Platone, il quale ha disprezzato la terra e il mondo sensibile per il mondo delle idee collocate sopra il cielo. Questa tradizione greca e non cristiana è stato ripresa da Agostino che ha deprezzato la città terrena per esaltare quella celeste, e da allora in poi la terra è diventata valle di lacrime e di dolore: il dolore che redime.
Quasi una preghiera, prima di essere un libro lirico o mistico, è un libro teologico, dove ciò che si chiede è di abbandonare il dualismo platonico e poi cristiano che oppone la terra al cielo, lasciando l’uomo senza quella patria, quella casa, quel giardino che il Signore aveva amorevolmente preparato per lui.