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IL NUOVO SUDAFRICA: UN ARCOBALENO DI LINGUE, IN MOVIMENTO. Prima fiera internazionale del libro di Cape Town, Un articolo di Itala Vivan - a cura di Federico la Sala

Un articolo tratto dall’ultimo numero della rivista “Leggendaria” dedicato all’Africa
giovedì 29 giugno 2006.
 


Nuovo Sudafrica, corpi liberati in cerca di storie

di Itala Vivan (Liberazione, 24.06.2006)

Un articolo tratto dall’ultimo numero della rivista “Leggendaria” dedicato all’Africa a ridosso della Prima fiera internazionale del libro di Cape Town. E a Roma da oggi una settimana di incontri con gli scrittori e le scrittrici di quei paesi*

Data la sua lunga e tormentata vicenda coloniale e postcoloniale iniziata nel 1652, sino al recente e terribile periodo dell’apartheid dal 1948 al 1990, il Sudafrica, terra percorsa da stirpi diverse e abitata oggi da genti di provenienza la più varia - africani, asiatici, europei - ha una storia letteraria di grande complessità ma anche di straordinaria ricchezza. La complessità nasce dall’intrecciarsi delle lingue e delle culture non di rado disparate l’una rispetto all’altra; la ricchezza è frutto dell’apporto di sontuose e antiche tradizioni africane orali, dal sovrapporsi, nei secoli, della scrittura coloniale di lingua afrikaans e inglese, dai contributi delle popolazioni venute dall’Asia - indiani, malesi, e altri - e infine dal processo di contatto, ibridazione e reciproche influenze che tutto ciò ha provocato e che offre oggi un panorama vario, un autentico arcobaleno di scritture e di lingue. Ma se tante e così profonde sono le differenze, che cosa unisce i mille rivoli delle letterature di questo paese?

Oggi il processo di ricostruzione del sé culturale, oltre che istituzionale e sociale, in atto in Sudafrica rivela la forte tenuta di un tessuto di fondo che unisce le genti e le stirpi, come i loro prodotti letterari, in una trama ben più stretta di quanto non si sarebbe potuto supporre anche fino a vent’anni fa, quando l’apartheid imperversava e i discorsi discriminatori e divisivi avevano di fatto il sopravvento. Nella intensa diversità che caratterizza le forme e le modalità di espressione letteraria orale e scritta è tuttavia sempre presente la consapevolezza implicita, magari anche inespressa o taciuta, di un discorso comune che si riallaccia alla storia, al passato che appartiene a tutti anche se è stato giocato con ruoli assai differenziati e se trova radici in memorie non sempre condivise. L’osservatore è colpito dallo sforzo, visibile in tutti i settori del paese, in tutti i protagonisti del discorso letterario, volto a far emergere le storie individuali e di gruppo per restituire ai corpi liberati dal peso e dalle strettoie della perversa frammentazione dell’apartheid, nonché della secolare oppressione del colonialismo antecedente, una molteplicità di immaginari che contribuiscano a un immaginario comune, anche se non collettivo.

Una volta smantellato l’ordine geopolitico di segregazione spaziale che frantumava il territorio in una dozzina di luoghi “etnici”, le homelands, con i bianchi al centro - collocati in quel che si definiva Repubblica Sudafricana - e i neri alla periferia nelle aree riservate, e tutti, secondo una folle classificazione, rinchiusi nei loro recinti, ecco che le schegge e i brandelli lacerati del territorio sudafricano si ricomposero in un tutto unico aperto a cittadini eguali di un solo Stato basato su principi di eguaglianza. Con quella stessa ricomposizione, siglata con le prime elezioni democratiche del 1994 e con la Costituzione varata nel 1996, le varie lingue del Paese ripresero anch’esse dignità e divennero lingue ufficiali: le lingue xhosa, zulu, sotho, tsonga, tswana, ndebele, venda, swazi e pedi, insieme all’afrikaans e all’inglese, acquisirono un medesimo status e una eguale dignità accanto alle molte altre lingue parlate in Sudafrica, come khoi, san, ebraico, gujarati, tamil, hindi, arabo, portoghese, tedesco, francese, greco e italiano. Anch’esse, le lingue, furono corpi viventi liberati dal nuovo ordine e immessi in una consapevolezza egualitaria che dichiarava rispetto e prometteva protezione e sviluppo.

Il processo di democratizzazione toccò anche le scritture letterarie, liberandole dalla costrizioni e dagli imperativi che sino al 1990 avevano impresso il loro marchio sulla produzione sudafricana e anche sciogliendole dall’incubo etnico. La resistenza culturale e politica, che aveva legato a sé gli scrittori sino al 1990, dominando il discorso letterario non solo per un imperativo morale, ma anche per un profondo bisogno di sopravvivenza e di giustizia, perse la propria ragione d’essere. Se dagli anni Sessanta in poi v’era stata la scrittura dal carcere e dall’esilio, se negli anni Settanta era fiorita la letteratura di protesta e negli anni Ottanta la letteratura popolare e proletaria, ora si smarrì l’impegno politico totalizzante e ci si rivolse alla contemporaneità travolgente del Nuovo Sudafrica, all’urgenza del cambiamento.

I temi dell’attualità coinvolgono ora tutti gli scrittori e ne suggeriscono le scelte, non in modo compulsivo ma lasciandoli liberi di orientarsi in modalità, linguaggi e invenzioni strutturali e tematiche. Ma come nel paese intero si rileva una tendenza a incorporare il passato abbracciandolo tutto come proprio, così nella scrittura il filone della storia affiora dovunque prepotentemente, offrendosi alla coscienza del paese per poterne diventare completamente parte. Si tratta di riconoscere dignità di esistere alle molte storie cancellate e disperse nei secoli o anche solo nei decenni trascorsi, e di raccontarle insieme alle storie coloniali rivisitate e assunte come elementi costitutivi di un passato comune. Come i monumenti e i simboli di ieri non sono stati distrutti con ira, ma anzi, vengono conservati e immessi nel panorama nazionale - si pensi al Voortrekker Monument, o al sacrario dedicato alla lingua afrikaans, entrambi rimasti intatti, o anche a città, piazze e vie che si chiamano ancora con i nomi coloniali o addirittura ricordano gli artefici dell’apartheid - così le frammentate tradizioni di ieri vengono abbracciate in un solo sguardo che proietta sul presente la propria attenzione. Gli scrittori africani escono dall’ombra, nascono nuovi autori anche in lingue africane, senza più sentirsi o doversi mostrare “etnici”, senza dover nascondere nulla di sé, anzi, esaltando le caratterizzazioni e le diversità, gli orientamenti e le specificità visti come elemento unificante e non di divisione.

E’ una travolgente esperienza di libertà, questa, che si rivela benefica per la creatività degli artisti e che nel tempo darà frutti cospicui. Ma già ora, a soli dieci anni dalla fine dell’apartheid, si individuano novità interessanti e si profilano situazioni impreviste, mentre un abbondante flusso di scritture in varie lingue scorre in un Sudafrica che vanta una lunga e importante tradizione letteraria. Se la politica della Repubblica del Sudafrica si immerge profondamente nel continente cui appartiene, impegnandosi nelle emergenze e nelle situazioni di crisi, ma anche suggerendo tematiche di rinnovamento e rinascimento, la letteratura accetta complessivamente di chiamarsi ed essere africana, inglobando in questa sua africanità le componenti postcoloniali di stampo europeo e gli apporti asiatici. Nel divenire veramente africana, questa nuova letteratura sa anche aprirsi a sollecitazioni internazionali e magari offrirsi con un profilo cosmopolita, come spesso accade oggi, in un’epoca in cui coesistono i globalismi e i regionalismi, le internazionalizzazioni e i localismi più spinti. Il mondo ha riconosciuto l’eccellenza della letteratura sudafricana conferendole nel giro di pochi anni ben due premi Nobel, che sono andati a Nadine Gordimer e John Coetzee, maestri indiscussi, noti e apprezzati a livello mondiale. Ma oltre a questi, molti altri sono gli scrittori sudafricani che vengono letti e tradotti anche in Italia, ove si è acceso un vivissimo interesse unito ad ammirazione per la cultura di un paese che è stato artefice di un esemplare cambiamento pacifico grazie anche alla forza delle sue tradizioni, al radicato senso di unità e di giustizia che la letteratura della resistenza aveva testimoniato in passato e che l’indagine sulla storia e la ricerca delle storie conferma ancora oggi.

Oggi, nel 2006, volgiamo lo sguardo indietro a ricordare la splendida poesia della stagione di Soweto, fiorita dopo la rivolta giovanile che trent’anni fa a partire dal 16 giugno 1976 scosse le township sudafricane e impresse una svolta alle politiche della lotta contro l’apartheid, rivelando la presenza di una nuova generazione di resistenti, di combattenti. Era una poesia rapida e vibrante, fatta per essere recitata in pubblico, nell’arena di comunità riunite intorno a uno sciopero o a una bara, dopo una retata o un massacro della polizia di allora. Poesia che riprendeva gli antichi ritmi orali e risuonava dell’eco bellicosa della tradizione africana, e che infiammò gli animi di coloro che riuscirono a udirne il battito rapido e pulsante, gli accenti di accesa rivolta, i singhiozzi di angoscia. Oggi questa poesia sembra lontana, e i suoi autori sono trascurati, anche quando sono ancora in vita, come quel Sipho Sepamla che cantava Ti amo, Soweto, e affermava orgogliosamente, «Questa terra è mia/Perché io sono la terra/La terra si chiama come me». La guerra è finita, si sono deposte le armi, anche le armi della poesia.

* Gli incontri: Chiude Thoko Nkoma

Un numero speciale di “Leggendaria” interamente dedicato all’Africa, alla sua storia e alle sue storie: per conoscere, interrogarsi e “decolonizzare la nostra mente” come affermano le curatrici Anna Maria Crispino e Monica Luongo. Un numero ricchissimo che esce in edizione bilingue (italiano/inglese) ed è stato presentato alla prima Fiera Internazionale del libro africano che si è svolta a Cape Town dal 17 al 20 giugno. Verrà presentato qui a Roma il 27 giugno alle ore 18 presso la Casa internazionale delle donne nell’ambito dell’iniziativa “Leggere l’Africa” promossa dal Comune, dall’Assessorato alle politiche culturali e dalle Biblioteche di Roma.
-  La rassegna si apre domani nella Biblioteca Elsa Morante di Ostia con un gruppo di autori e autrici di origine africana che scrivono nella nostra lingua come Amara Lakhous e Igiaba Scego;
-  domenica 25 giugno presso la Biblioteca Franco Basaglia è di scena la Nigeria raccontata in “Sozaboy” (Baldini Castoldi Dalai) da Ken Saro-Wiwa, vittima del regime militare del suo paese.
-  Lunedì 26 alle ore 18 presso l’Auditorium Goethe-Institut si affronteranno le questioni aperte del colonialismo e postcolonialismo con la partecipazione de Abdourahman A. Waberi autore del romanzo “Gli Stati Uniti d’Africa” (Morellini). Dopo l’incontro (il 28 giugno presso il Goethe-Institut) di Itala Vivan con i Circoli di lettura del Premio Biblioteche di Roma sul tema “Letterature d’Africa” la chiusura è affidata la sera di venerdì 30 alla storyteller sudafricana Thoko Nkoma erede della straordinaria tradizione orale dei griot.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

A NELSON MANDELA, UN OMAGGIO SOLARE: "INVICTUS".


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