Torino, incendio in acciaieria
un operaio morto, sei feriti gravi*
TORINO - Un incendio è scoppiato poco prima dell’1,30 nell’acciaieria della ThyssenKrupp, che si trova a Torino, in corso Regina Margherita. Il bilancio fornito dai vigili del fuoco è di un operaio morto e otto feriti, di cui due in modo meno grave. L’incendio è stato ormai domato e i vigili del fuoco stanno facendo le verifiche per accertare che non vi possano essere ritorni di fiamma. Sul posto si è anche recato un magistrato di turno. Le fiamme e l’esplosione sono avvenuti nel reparto trattamento termico dello stabilimento, dove i laminati di acciaio vengono portati ad alta temperatura e poi raffreddati in bagni d’olio per temperarli. Secondo una prima ipotesi, per cause non ancora note potrebbe essere traboccato dell’olio bollente ed avere investito gli operai che lavoravano a quella linea. Nello stesso complesso industriale della ThyssenKrupp si era verificato un grosso incendio circa quattro anni fa. Aveva preso fuoco una vasca d’olio e le fiamme erano state domate solo dopo alcuni giorni. In quell’ occasione, però, non vi erano stati feriti.
VIDEO: "UN’INFERNO DI FUOCO"
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Rogo.
Thyssen, è l’ora del carcere per i due manager tedeschi. Tredici anni fa 7 morti
Il procuratore di Saluzzo: imminente esecuzione della pena per Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz. Sconteranno almeno trenta mesi.
di Andrea Zaghi (Avvenire, sabato 13 giugno 2020)
Torino. Imminente esecuzione della pena. Potrebbe essere ad una svolta il calvario dei sette che morirono per un incendio nell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino quasi 13 anni fa: una delle più grandi tragedie dell’Italia industriale del dopoguerra, le cui ferite non si rimargineranno mai del tutto.
Dopo un lungo cammino giudiziario, ad oggi solo i manager italiani giudicati colpevoli sono finiti in carcere, mentre due dirigenti tedeschi, imputati e condannati, sono sfuggiti alla reclusione. Ieri però, Francesco Saluzzo, procuratore generale di Torino, ha annunciato che l’esecuzione della pena per i manager Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz «è imminente» e si tratterà di «carcere». Saluzzo ha deciso di parlare dopo che Eurojust (la struttura di collegamento delle magistrature europee), ha confermato che non esistono alternative alla carcerazione. Solo l’emergenza sanitaria ha rallentato il procedimento. Adesso Eurojust ha precisato che nulla più si frappone: occorre solo che l’ordine di esecuzione sia emanato. Dopo aver scontato almeno metà della pena (5 anni per l’ordinamento tedesco), sarà possibile per i due chiedere la libertà vigilata. L’arresto potrebbe scattare tra qualche giorno o, al massimo, un paio di settimane.
Tra il 5 e il 6 dicembre 2007, gli operai di turno alla linea 5 dello stabilimento della Thyssen trentacinque minuti dopo la mezzanotte riavviano un impianto, ma delle scintille, causate da un irregolare funzionamento, danno vita ad un incendio che si sviluppa subito con violenza per le condizioni di scarsa manutenzione dell’intera fabbrica e per la presenza di carta intrisa d’olio. Poi il disastro: da un tubo flessibile dell’impianto idraulico oleodinamico esce dell’olio ad alta pressione che esplode in un nube di fuoco che avvolge sette persone. È un dramma indicibile. Bruciano vivi Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone. Moriranno tutti nell’arco di venticinque giorni. Si salva solo Antonio Boccuzzi che riporta ustioni non gravi.
La città il mattino dopo è ammutolita. Scattano subito le indagini del procuratore Raffaele Guariniello che in tre mesi chiude l’inchiesta e manda a processo i due manager tedeschi e quattro dirigenti italiani. Il reato contestato è omicidio volontario con dolo eventuale. Per i magistrati, gli impianti che stavano per essere spostati a Terni, avevano ormai una scarsa attenzione da parte della dirigenza della fabbrica. Da qui l’incidente. Il processo che segue finisce con una serie di condanne. In appello tutto cambia: il reato si trasforma in omicidio e incendio colposi con colpa cosciente. Sentenza confermata comunque in Cassazione. Alla fine, gli italiani si costituiscono, i tedeschi tornano a casa. In Germania Espenhahn e Priegnitz ricorrono per evitare il carcere, che viene confermato dopo oltre quattro anni dai giudici tedeschi e sancito il 23 gennaio scorso dal Tribunale regionale superiore di Hamm che respinge l’ultimo ricorso dei due.
«La giustizia che volevamo noi non è questa, la vera giustizia ce la darà Dio» ha detto però ieri Rosina Platì, mamma di De Masi, che ha aggiunto: «Li vogliamo vedere in carcere davvero. Troppe volte ci hanno dato questa notizia e non sono mai entrati». Mentre Boccuzzi ha commentato: «È una ferita che oltre a non chiudersi si infetta continuamente». Torna in mente quanto detto dal Cardinale Severino Poletto in quei giorni: «Non ci sono aggettivi adeguati per commentare questo modo atroce di morire. È accaduto ciò che non dovrebbe mai accadere sul posto di lavoro», e poi ancora: «Siamo qui poveri di parole perché ripetitive; perché noi siamo incapaci di afferrare quanto grande sia il dolore».
Thyssen, giudici Essen: ok all’arresto dei manager
Ma i due hanno impugnato decisione e si attende Corte appello
di Redazione ANSA
L’ordine di carcerazione dei due manager tedeschi della Thyssenkrupp, emanato in Italia del 2016, è applicabile anche in Germania. Lo ha deciso il Tribunale regionale di Essen, che si è pronunciato in proposito il 17 gennaio sul caso di Harald Espenhahn, e il 4 febbraio su Gerald Priegnitz. Secondo quanto ha spiegato il portavoce dello stesso Tribunale all’ANSA, i due manager hanno impugnato la decisione, presso la corte di appello di Hamm. E non potranno essere arrestati prima della pronuncia.
In Germania i due manager non potranno comunque scontare una pena superiore ai 5 anni di carcere, e cioè il massimo previsto per il reato di omicidio colposo, ha chiarito ancora il portavoce. La Cassazione, in Italia, aveva condannato Espenhahn a 9 anni e 8 mesi, e Priegnitz a 6 anni e 10 mesi, in seguito al rogo del 6 dicembre 2007, negli stabilimenti di Torino, dove morirono 7 persone.
Thyssen: Cassazione, ’colpa imponente’ del management
Motivazioni conferma condanne per rogo con sette operai morti
di Redazione ANSA *
ROMA. E’ stata una "colpa imponente" quella commessa dall’ex ad della Thyssen Harald Espenhahn che insieme ad altri cinque manager del gruppo siderurgico ha provocato, per la totale e consapevole mancanza di adeguate misure di sicurezza, il rogo dello stabilimento di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 in seguito al quale morirono sette operai. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi del verdetto emesso lo scorso 13 maggio di conferma delle pene lievemente ridotte nell’appello bis.
Ad avviso della Suprema Corte, quella dell’ex ad e degli altri dirigenti, è una "colpa imponente" tanto "per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento prima che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione delle condotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all’interno" dello stabilimento di Torino "una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori". I supremi giudici affermano inoltre che quella commessa è stata una "colpa imponente" anche per "la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spegnimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento".
Thyssen: Cassazione conferma condanne per i sei imputati. Mamme vittime: "Finalmente giustizia"
Il pg aveva chiesto l’annullamento delle condanne
di Redazione ANSA *
TORINO La Cassazione ha confermato le condanne dell’appello bis nei confronti dei sei imputati per il rogo alla Thyssen nel quale, nel dicembre 2007, morirono 7 operai. La pena più alta è di 9 anni e 8 mesi inflitta all’ad Harald Espenhahn, quella più bassa, di 6 anni e 3 mesi per i manager Marco Pucci e Gerald Priegnitz. Condannati inoltre gli altri dirigenti Daniele Moroni a 7 anni e 6 mesi, Raffaele Salerno a 7 anni e 2 mesi e Cosimo Cafueri a 6 anni e 8 mesi. E’ stato così confermato il verdetto della Corte d’Assise d’Appello di Torino del 29 maggio 2015.
Parenti delle vittime, finalmente giustizia - "E’ una vittoria, una vittoria per noi e per tutte le vittime morte sul lavoro". Così le mamme, le sorelle e le mogli dei sette operai morti a causa del rogo dello stabilimento Thyssen di Torino, hanno accolto il verdetto della Cassazione. "Oggi ascoltando le richieste del pg abbiamo pianto di rabbia. Ora - dicono tutte insieme - possiamo andare dai nostri ragazzi al cimitero e dire che finalmente c’è stata giustizia e ci sono pene severe, anche se il nostro dolore è per sempre".
Il sostituto pg della Cassazione, Paola Filippi, aveva chiesto di annullare le condanne per tutti e sei gli imputati del processo Thyssen, per rideterminare le pene per i reati di omicidio colposo plurimo e per rivalutare il ’no’ alle attenuanti per quattro degli imputati.
Guariniello, ha ragione Renzi,processi lunghi "Al di là di quello che sarà l’esito mi viene da dare ragione a Matteo Renzi: lui dice che aspetta le sentenze, ma anche noi le aspettiamo". Così Raffaele Guariniello in merito al caso Thyssenkrupp. Da procuratore aggiunto a Torino, Guariniello chiuse le indagini sull’incendio in due mesi e 19 giorni. "Sono i processi - commenta - ad essere lunghi. In questo Renzi coglie un aspetto di verità".
Per un’Europa che non sia delle multinazionali
di Giorgio Airaudo (il manifesto, 25 aprile 2014)
Se i giudici della Cassazione accetteranno la richiesta del pg, la strage di lavoratori della Thyssen di Torino sarà giunta a giudizio definitivo con la conferma delle condanne e l’individuazione delle responsabilità già acclarate nei gradi di giudizio precedenti e purtroppo derubricata in appello dall’omicidio volontario all’omicidio colposo con colpa grave. Il giudizio definitivo non può lenire il dolore delle famiglie o colmare il vuoto per la perdita dei loro cari e dei compagni di lavoro. E non rimuove quell’onda di emozione che si propagò nell’intero paese per quelle morti operaie sul lavoro, di quasi l’intera squadra addetta alla linea di decapaggio N 5, unico superstite l’operaio Antonio Boccuzzi, in una fabbrica che stava chiudendo per le scelte di posizionamento internazionale della multinazionale tedesca.
Resta il rammarico per il tentativo di Raffaele Guariniello, ardito per il diritto vigente, ma di grande contemporaneità per come le imprese multinazionali globalizzate costruiscono oggi le loro decisioni di territorializzazione dei prodotti e i loro budget di spesa.
Attraverso l’accusa di omicidio volontario il procuratore di Torino ha cercato di responsabilizzare i manager, che devono tener conto della sicurezza nei luoghi di lavoro in qualunque delle loro decisioni, comprese le chiusure degli impianti, perché la vita umana non è meno importante dei fatturati e dei bilanci.
Non diciamo questo per spirito vendicativo, ma perché nelle pieghe di quella inchiesta si evidenzia come la scelta della dismissione avesse comportato anche la massimizzazione dei risparmi e lo sfruttamento di quegli impianti fino all’ultima utilità dell’impresa, scaricando sulla disponibilità dei lavoratori, ricattabili con gli ultimi salari disponibili prima della cessazione dell’attività, rischi inaccettabili.
Infine, questa vicenda segnala come serva un’altra Europa che metta al centro le persone oltre e prima della finanza e dei profitti, anche con leggi e diritti nei luoghi di lavoro che impediscano alle multinazionali di acquisire vantaggi competitivi risparmiando sulla sicurezza: se a Torino ci fossero stati gli impianti antincendio che erano in funzione in Germania, sette operai sarebbero ancora vivi.
Thyssen, non fu omicidio volontario
pene ridotte, i parenti occupano l’aula
La Corte d’Appello ha modificato il giudizio di primo grado, riducendo le pene: da 16 10 anni per l’ad Espenhahn, ora accusato di omicidio colposo. La rabbia dei familiari, disperazione e urla in aula
di SARAH MARTINENGHI e MEO PONTE *
Il rogo alla Thyssen non fu un omicidio volontario, ma omicidio colposo con colpa cosciente. E’ stata modificata questa mattina la storica condanna per dolo eventuale all’amministratore delegato Harald Espenhahn, al quale in primo grado furono inflitti 16 anni e mezzo di carcere, ridotti adesso a 10 anni. Urla e disperazione al verdetto, alla fine i familiari delle vittime hanno occupato l’aula.
La corte d’Assise d’appello presieduta dal giudice Gian Giacomo Sandrelli ha modifcato anche le altre pen: 7 anni agli altri dirigenti del consiglio d’amministrazione Gerald Priegnitz e Marco Pucci. Per il direttore dello stabilimento Raffaele Salerno, otto anni. Uno sconto di pena, peraltro già chiesto dall’accusa, è stato concesso al responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri (che in aula qualche settimana fa si era commosso leggendo delle dichiarazioni spontanee):8 anni. Per Daniele Moroni la pena era già stata più bassa in primo grado (10 anni e 10 mesi): ridotta a 9 anni.
La sentenza è stata accolta con urla di disperazione dai familiari delle vittime. In aula anche i parenti delle vittime dell’Eternit, l’altra grande tragedia dell’amianto che ha causato migliaia di vittime. Dai familiari delle vittime si sono levate grida "maledetti".
Dal pubblico fanno eco: "Questa è la giustizia italiana, che schifo". I parenti delle vittime del rogo alla Thyssenkrupp hanno deciso di occupare la maxi aula del Palazzo di Giustizia in cui è stata da poco letta la sentenza d’appello. L’iniziativa è una protesta contro le riduzioni di pena decise dalla Corte. "Non lo accetto - dice una ragazza - mio fratello e altri sei ragazzi sono morti e queste pene sono troppo basse". Nell’aula, che è ancora molto affollata, sono entrati dei carabinieri. Una donna ha lanciato insulti contro gli avvocati difensori. Parzialmente soddisfatto l’avvocato Ezio Audisio, legale dell’amministratore delegato della Thyssen Harald Espenhahn,"Sono soddisfatto per la parte in cui è stata accolta la tesi dell’insussistenza del dolo" dice prima di lasciare l’aula.
Una sentenza pilota, quella inflitta per l’incendio che scoppiò la notte del 6 dicembre 2007 lungo la linea 5 in cui morirono sette operai: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi. L’accusa portata avanti dal procuratore Raffaele Guariniello, e dai sostituti Laura Longo e Francesca Traverso aveva sostenuto che lo stabilimento di corso Regina era stato abbandonato dalla dirigenza in vista della chiusura e del trasferimento degli impianti a Terni. L’ad Espenhahn si sarebbe dunque rappresentato il rischio, e lo avrebbe accettato, che potesse capitare un infortunio, anche grave e mortale, preferendo non investire nella sicurezza per ragioni di risparmio economico. In particolare non erano stati messi gli impianti di rilevazione e spegnimento antincendio che la stessa assicurazione aveva indicato come interventi necessari dopo che un analogo incendio (per fortuna senza conseguenze) si era verificato in Germania nello stabilimento di Krefeld.
La sentenza del primo grado era arrivata il 15 aprile del 2011: la corte d’assise presieduta da Maria Iannibelli, aveva condannato Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, a 16 e sei mesi; Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi.
La difesa della Thyssen (il pool di legali è guidato da Ezio Audisio, e la Thyssen come persona giuridica è assistita dagli avvocati Franco Coppi e Cesare Zaccone) aveva puntato a sostenere che la responsabilità dell’incendio fu in parte degli operai, che esisteva un sistema di deleghe da parte di espenhahn verso i suoi collaboratori, che non vi era alcun obbligo di installazione di impianti di rilevazione fumo in quel tratto della linea, e che in ogni caso Espenhahn non avrebbe potuto immaginare la situazione di degrado e sporcizia dello stabilimento visto che in occasione delle sue visite questo veniva tirato a lucido.
Confindustria, meglio il silenzio
di Michela Murgia (il Fatto, 12.05.2011)
Non sono solo tardive, ma anche pelose le scuse del direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli per l’applauso riservato all’amministratore della Thyssen dalla platea dei confindustriali riunita a Bergamo sabato scorso. La naturalezza con cui è scattata la solidarietà di categoria a dispetto della sentenza di condanna non si cancella con una pezza messa lì nella speranza di spegnere la sacrosanta indignazione dei familiari delle vittime e dell’opinione pubblica. Meglio avrebbe fatto Galli a tacere piuttosto che dire che sì, quell’applauso era inopportuno, ma che va “capito, perché è spontaneo in una platea di imprenditori”.
Sulla base di cosa dovrebbe apparirci comprensibile il sostegno degli industriali a un’azienda condannata per l’omicidio volontario di sette dei suoi operai? Il tribunale che ha sancito le responsabilità della Thyssen ha applicato la stessa logica con cui si condanna per omicidio volontario anche chi ha causato la morte di qualcuno passando deliberatamente con il semaforo rosso. I vertici dell’Automobile Club d’Italia applaudirebbero mai un guidatore che ha ucciso un innocente ignorando un segnale di stop? Non ci apparirebbe grottesco il presidente dell’ACI se dicesse che quella condanna allontanerà gli automobilisti dalle strade d’Italia? Invece, l’indulgenza con cui gli stati generali della Confindustria hanno assolto a suon di applausi il comportamento omicida del loro associato fa temere che dove si condividono gli applausi si condividano anche i silenzi.
Risuona ancora quello che ha circondato la morte del venticinquenne siciliano Pierpaolo Pulvirenti, studente in Farmacia che un mese fa credeva di pagarsi le ferie estive con un lavoro interinale di venti giorni alla raffineria Sa-ras di Sarroch, di proprietà dei fratelli Moratti. Mandato a pulire una cisterna dopo appena un paio d’ore di addestramento, Pierpaolo è morto con i polmoni bruciati dal gas. Emma Marcegaglia allora disse che era “una grande tragedia”, commento più adatto a un’opera shakespeariana. Se i confindustriali distinguessero bene tra la definizione tutta teatrale di tragedia e quella più giuridica di omicidio, gli applausi forse verrebbero meno spontanei.
Confindustria, nessuno li può giudicare
Con l’applauso al manager Thyssen le imprese rivendicano l’impunità
di Giorgio Meletti (il Fatto, 10.05.2011
Non è stata una gaffe. Il fortissimo applauso che sabato pomeriggio, durante la convention confindustriale di Bergamo, ha salutato l’amministratore delegato ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, recentemente condannato a 16 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario, è stato cercato dalla presidente Emma Marcegaglia. E la platea dei seimila imprenditori ha risposto con entusiasmo.
C’è una continuità nella linea della Confindustria sulla sicurezza del lavoro, che risale almeno al predecessore di Marcegaglia, Luca Cordero di Montezemolo, che sabato scorso era in prima fila ad applaudire il manager condannato per omicidio. Ieri anche un altro ex presidente degli Industriali, Luigi Abete, è accorso in difesa della presidente attuale con un’argomentazione precisa: “Non si può applicare a situazioni purtroppo tragiche delle normative che vanno oltre l’effettiva responsabilità delle persone”. Il che significa appunto che i giudici di Torino avrebbero punito Espenhahn per un fatto non commesso.
Il 6 marzo 2008, quando il governo Prodi varò un nuovo decreto più severo in materia, Montezemolo tuonò: “Inasprendo le pene e basta non si salvano vite”. Il 21 maggio seguente, all’indomani della morte nella sua fabbrica dell’operaio 32enne Girolamo Di Maio, e mentre veniva eletta presidente di Confindustria, Marcegaglia ripetè : “La sicurezza sul lavoro non si ottiene inasprendo le pene”.
LA SENTENZA THYSSEN è considerata da molti imprenditori italiani una ferita, un colpo alla libertà d’impresa. Per questo Marcegaglia e i suoi strateghi hanno voluto fare di Espenhahn l’attrazione emotiva delle assise di Bergamo, il simbolo di una ribellione contro l’applicazione rigorosa del codice penale. Incurante del rischio di essere accomunati alla campagna anti-toghe di Silvio Berlusconi, e soprattutto del pericolo di indebolire le buone ragioni di Espenhahn accompagnandolo al processo di appello con l’etichetta di eroe dell’illegalità, come uno stalliere Mangano qualsiasi, Marcegaglia l’ha voluto invitare sul palco degli oratori. Lui ne ha approfittato per ricordare che la sua condanna per omicidio volontario (per aver provocato la morte di sette operai nel rogo del 6 dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino) mette in dubbio l’interesse dei capitali tedeschi per l’Italia. Ma soprattutto ha materializzato, davanti agli occhi di una platea spaventata, il pericolo di finire in galera per pagare ingiustamente la fatalità che ha ucciso qualche suo dipendente in azienda.
La questione è complessa, e sicuramente la sentenza Thyssen si presta a qualche seria discussione. Non prima però di aver letto le motivazioni, che ancora non sono state depositate. Nell’attesa, la Confindustria ha favorito una campagna d’opinione contro l’apparente incongruenza di condannare Espenhahn per omicidio volontario, che suona come se egli avesse deciso scientemente di uccidere i sette operai. La questione è giuridicamente complessa, ma viziata da una voglia di propaganda. Infatti nessun esponente del mondo imprenditoriale ha detto una parola sugli altri quattro manager della Thyssen (Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno, Marco Pucci e Cosimo Cafueri) condannati per lo stesso incidente e nello stesso processo a 13 anni e mezzo ciascuno per il classico omicidio colposo. Giustizia ingiusta anche quella? Nessuno commenta.
A BERGAMO la linea l’ha data il giornalista Oscar Giannino, incaricato di condurre i lavori a porte chiuse. É’ stato lui a scatenare l’ovazione per Espenhahn, presentandolo con queste parole: “La mia personale opinione è che questa svolta giudiziale della volontarietà omicidiaria apra una strada per la quale, cari imprenditori, vi sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti”.
Dopo la reazione dello stesso ministro leghista Roberto Calderoli (“Sono i morti che vanno ricordati, non chi ha violato le norme e ha fatto morire i suoi operai”) e delle famiglie delle vittime, secondo le quali quell’applauso “dimostra un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori”, la polemica è stata deviata. Giannino, dal suo blog ( www.chicago-blog.it ), ha chiarito che il rispetto per gli operai morti nel rogo della Thyssen non è in discussione, e che obiettivo dell’operazione Espenhahn era rimarcare che “per la prima volta in Italia è stata accolta da un giudice di primo grado la richiesta di una Procura di applicare agli incidenti sul lavoro la fattispecie dell’omicidio volontario”. La replica gli è arrivata da un suo lettore, Giuseppe: “Se liberismo deve essere, che lo sia fino in fondo, e le aziende si assumano in pieno la responsabilità dei danni che provocano”.
In realtà, per la Confindustria il liberismo è che i giudici non si impiccino troppo di quel che accade dentro le fabbriche. L’offensiva contro le leggi sulla sicurezza del lavoro è in corso da tre anni, e la beatificazione del condannato a 16 anni e mezzo ne è solo una nuova tappa.
THYSSEN
Confindustria applaude Espenhahn
l’Anm: "è un fatto pericoloso"
I familiari delle vittime si sono alzati in piedi e si sono imbavagliati all’apertura di un convegno sulla recente sentenza del processo contro i vertici dell’azienda *
Non si placa la polemica scatenata dall’applauso di sabato scorso per Herald Espenhahn, l’amministratore delegato di Thyssen Italia nel corso dell’assemblea di Confindustria. Espenhan è stato condannato in primo grado per omicidio volontario per i sette operai morti nel rogo dell’azienda. Nonostante la presa di distanza di alcuni presenti, non è chiaro se la "solidarietà" di quella platea fosse in relazione alla severità con cui la Thyssen è stata punita dai giudici o se rientri nel generale clima di delegittimazione dei magistrati di questo momento storico italiano. La condanna del gesto arriva pesantissima dal mondo del sindacato, più lieve da quello politico di governo. Alcuni esponenti del mondo industriale spiegano che si è trattato di malinteso.
"Anche solo un morto all’anno sarebbe troppo - ha detto Federica Guidi, già leader dei giovani industriali di Confindustria - e Confindustria si è spesa moltissimo perché sia garantito il massimo della sicurezza negli impianti. Quanto alla sentenza del Tribunale di Torino che ha condannato il manager per omicidio plurimo, invece, è stata molto severa e bisogna capire se serve per evitare gli incidenti sul lavoro".
"Il caso è chiuso - ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi - oggi la Cisl e la Uil hanno sottolineato quanto Confindustria e le organizzazioni sindacali stiano collaborando sui temi della sicurezza, anche alla luce di quella terribile tragedia".
Ma i familiari delle vittime - dopo che uno dei sopravvissuti, Antonio Boccuzzi, ha definito un tuffo al cuore la sensazione provata alla notizia degli applausi degli industriali - si sono alzati in piedi e si sono imbavagliati all’apertura di un convegno sulla recente sentenza del processo contro i vertici dell’azienda. "E’ difficile commentare l’applauso di Confindustria a favore di chi è stato condannato per l’omicidio dei nostri cari. E’ un applauso che strazia il cuore hanno detto - è uno strazio continuo per noi, ogni volta che sentiamo dire che non è colpa dell’ad, non è stato il dirigente, le pene sono troppo severe, i giudici si sono fatti influenzare, ecc. lasciando sottintendere che la morte dei sette ragazzi sia stata ’solo’ una fatalità o un ’costo’ che bisogna mettere in conto o peggio, sia responsabilità degli stessi operai".
Hanno definito "pericoloso" l’episodio Giuseppe Cascini, il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, e tutti i segretari dei principali sindacati nazionali, tra loro anche Maurizio Landini. "Applaudire un assassino è vergognoso. Una volta, simili comportamenti si chiamavano apologia di reato": ha detto il senatore Felice Casson, vicepresidente del gruppo Pd.
* la Repubblica, 09 maggio 2011
Thyssen, 16 anni e mezzo all’ad Colpevole di omicidio volontario
Il verdetto segna la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un’accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori. Risarciti anche enti locali e sindacati
di PAOLO GRISERI e SARAH MARTINENGHI *
La seconda corte d’assise di Torino, presieduta da Maria Iannibelli, ha condannato Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, a 16 e sei mesi; Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi. I giudici hanno dunque accolto le richieste dell’accusa, aumentando la pena al solo Moroni (per il quale i pm avevano chiesto 9 anni). I giudici hanno accolto in toto le richieste dei magistrati, confermando l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato e quella di cooperazione in omicidio colposo per gli altri manager.
La risposta Thyssen. Immediata la reazione dell’azienda, che in un comunicato ha definito la condanna di Herald Espenhahn "incomprensibile e inspiegabile". "Per l’ulteriore corso del procedimento - si afferma ancora nella nota - si rimanda alle dichiarazioni degli avvocati difensori". Per l’avvocato Cesare Zaccone, uno dei difensori appunto della Thyssen, "vedere cose di questo tipo è sconsolante. Faremo appello ma non credo che otterremo molto di più".
L’azienda è stata condannata a un milione di euro di sanzione pecuniaria, all’esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi e al divieto di farsi pubblicità per sei mesi. La multinazionale dell’acciaio è stata chiamata in causa come persona giuridica. La sentenza, per ordine dei giudici, dovrà essere pubblicata su una serie di quotidiani e affissa nel Comune di Terni, dove c’è la principale sede italiana del gruppo.
I risarcimenti. Per quanto riguarda le parti civili, la corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 euro alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all’associazione Medicina Democratica.
L’attesa. Prima di riunire il collegio in camera di consiglio per decidere la sentenza, la presidente della Corte di Assise di Torino, Maria Iannibelli, si era rivolta al pubblico chiedendo di tenere un rigoroso silenzio al momento della lettura della sentenza. La lettura è stato l’ultimo atto di un processo durato due anni e tre mesi, racchiusi in 87 udienze, per arrivare a una sentenza che segnerà la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un’accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori: l’omicidio volontario con dolo eventuale. E’ su questo reato (contestato solo all’amministratore delegato Harald Espenhahn ma che ha trascinato anche tutti gli altri imputati davanti a una corte d’assise con tanto di giuria popolare), che si è concentrata l’attenzione maggiore da parte dell’accusa e della difesa fin dall’udienza preliminare. Ed è questo reato che è stato riconosciuto dalla corte d’assise.
La decisione. Per i pm erano infatti state raccolte prove certe contro l’ad della Thyssen che portavano a ritenere che Espenhahn si sia "rappresentato", e "abbia accettato" il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale, ma ciò nonostante abbia preferito una "logica del risparmio economico" rispetto alla tutela della sicurezza in uno stabilimento in fase di dismissione e abbandonato a se stesso. Una fabbrica carente sia in pulizia che in manutenzione, eppure ancora sottoposta al torchio stressante della produzione, nonostante tutte le figure di riferimento, ovvero gli operai più specializzati, fossero ormai andati via da corso Regina.
Le richieste. Sedici anni e mezzo per Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, 3 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 anni per Daniele Moroni, tutti accusati di omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche. Erano state queste le richieste dei pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso al termine della lunga requisitoria (durata una decina di udienze) scritta e proiettata in aula con slides.
(Hanno collaborato Stefano Parola e Valeria Pini)
Thyssen, caschetti gialli per non dimenticare
Fini: Napolitano stella polare. Un’azione notturna di un gruppo dell’associazione Terra del Fuoco per annunciare la manifestazione dell’8 dicembre. Manifestazioni ufficiali e appelli in occasione della ricorrenza del rogo nell’acciaieria.
L’appuntamento è alle 15 in piazza Statuto
di DIEGO LONGHIN
Un elmetto giallo su tutti i monumenti della città per ricordare i morti della Thyssen, per non dimenticare il tragico rogo che nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 provocò la morte di sette operai dello stabilimento di corso Regina Margherita. Un’azione simbolica, che la scorsa notte ha coinvolto un gruppo dell’associazione Terra del Fuoco, per non far passare sotto silenzio l’anniversario e per rammentare ai torinesi cosa è successo tre anni fa. In tutto una ventina, compreso il Caval d’Brons e il Conte Verde di piazza Palazzo di Città, i monumenti presi di mira.
"Come associazione - racconta Oliviero Alotto di Terra del Fuoco - seguiamo i familiari delle vittime a tutte le udienze del processo. Non vogliamo lasciarli soli". Il caschetto giallo, simbolo della sicurezza sul lavoro, è un modo per annunciare la manifestazione che Terra del Fuoco sta organizzando: l’appuntamento è per mercoledì 8 dicembre alle 15 in piazza Statuto. Il corteo raggiungerà prima le ex concerie Fiorio di via San Donato, poi lo stabilimento Thyssen di corso Regina, e terminerà nell’area ex grandi motori, dopo un passaggio davanti al Santo Volto. Sempre Terra del Fuoco invita a sostituire alla propria foto su Facebook, nel profilo personale, un messaggio che parli di sicurezza sul lavoro, di diritti o un passaggio tratto dalla Costituzione. Le citazioni si possono scaricare dalla pagina del gruppo sul social network, "Anniversario Thyssenkrupp".
Sulla "tragedia assurda" che "deve costituire un ammonimento costante per rendere più intesa e incisiva l’opera di prevenzione e la repressione di condotte illecite che pongono a rischio la sicurezza dei lavoratori". è intervenuto ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini in un articolo pubblicato dal periodico "Sicurezza e Lavoro". Fini nell’articolo osserva che "la cultura della sicurezza sul lavoro in Italia sta finalmente cambiando", e cita le statistiche sugli incidenti mortali e le malattie professionali.
"Pur nella sua drammaticità il bilancio di quest’anno è meno negativo rispetto agli anni precedenti. E’ un risultato incoraggiante che tuttavia non deve farci dimenticare le tante vittime e i tanti feriti", dice. "Su questo argomento - conclude il presidente della Camera - la stella polare è costituita dall’impegno dimostrato costantemente dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella sua azione di denuncia e di sensibilizzazione sociale".
Ieri sera un flash mob in piazza Castello, a cui ha partecipato anche l’unico operaio sopravvissuto alla tragedia, Antonio Boccuzzi, ora deputato Pd, ha ricordato la tragedia. Oggi alle 9.30 messa e deposizione di una corona al cimitero Monumentale. Alle 11 scopertura di una lapide al murales di corso Valdocco, vicino a via Giulio. Tra gli appuntamenti è in programma un convegno al centro incontri della Regione, in corso Stati Uniti 23, aperto ai rappresentanti delle associazioni che si sono costituite dopo altre tragedie sul lavoro, dall’Eternit di Casale alle strage ferroviaria di Viareggio. Alle 19, al salone della circoscrizione 3 di corso Ferrucci 65/A, dibattito sempre sui tempi della sicurezza e della salute nei luoghi di lavori. Fino al 13, al Cit Turin, sempre in corso Ferrucci, restano aperte le mostre su "L’Italia che muore al lavoro" e "Le donne e la miniera".
* la Repubblica, 06 dicembre 2010:
http://torino.repubblica.it/cronaca/2010/12/06/news/thyssen_caschetti_gialli_per_non_dimenticare-9870918/?ref=HREC1-6
Sicurezza lavoro, monito di Napolitano
"Attendo riscrittura delle norme sui manager" *
TORINO - "Siamo in attesa di vedere la nuova scrittura delle norme" in materia di sicurezza sul lavoro. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, risponde così ai familiari delle vittime del rogo Thyssen che ieri hanno lanciato un appello chiedendo il suo intervento sul testo unico per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il capo dello Stato, al termine di una visita alla reggia sabauda di Venaria, ha spiegato di "conoscere la questione" della contestata norma sui manager del testo unico sulla sicurezza sul lavoro per "aver seguito da sempre la vicenda e era stata espressa subito preoccupazione per quella norma". Una prerogativa di legge che, tra l’altro, potrebbe influire sul processo Thyssen in corso a Torino.
"In ogni caso - ha spiegato - prendo atto che il ministro Sacconi si è dichiarato pronto a scrivere la norma per evitare interpretazioni che non sono state volute e che sarebbero pesanti anche agli effetti del processo Thyssen". Quindi, ha concluso il presidente, "siamo in attesa di vedere questa nuova scrittura della norma".
Il presidente Napolitano ha accolto l’appello dei parenti delle vittime del rogo della Thyssen e li incontrerà probabilmente domattina. Ieri i familiari, in occasione della ripresa del processo sulla morte dei sette operai nel rogo in fabbrica del 6 dicembre 2007, si sono rivolti al capo dello Stato con una lettera per sollecitare attenzione istituzionale e indicare una iniziativa legislativa che, a loro avviso, rischia di cancellare la possibilità di accertare le responsabilità dei vertici aziendali. Domani sarà consegnata un’altra lettera del consiglio di fabbrica dell’azienda.
* la Repubblica, 22 aprile 2009
Il presidente arriverà proprio oggi nel capoluogo piemontese
Intervenga per impedire che passi l’articolo 10 bis del testo"
Thyssen, i parenti della vittime a Napolitano
"No alla revisione del testo sulla sicurezza" *
TORINO - Non allentare le norme sulla sicurezza sul lavoro. E’ questo l’appello dei parenti delle vittime del rogo alla Thyssen di Torino, del 6 dicembre 2007, che hanno inviato in tal senso una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il presidente arriverà proprio oggi nel capoluogo piemontese, e i parenti delle vittime chiedono con la loro lettera di intervenire per impedire che passi l’articolo 10 bis del testo unico per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Si tratta di una norma che prevede di punire la condotta dei datori, in caso di infortunio, solo a determinate condizioni: tra queste, anche la condizione che non vi siano responsabilità degli operai coinvolti. La norma, così formulata, rischierebbe di avere conseguenze giudiziarie anche sulla punibilità degli imputati nel processo Thyssen, che è ripreso questa mattina a Torino.
A denunciare la formulazione dell’articolo 10 bis è stata ieri la Fiom, ma già nelle settimane scorse il pm Raffaele Guariniello aveva segnalato che la norma sarebbe in contrasto con l’articolo 40 del codice penale secondo cui "chi non fa di tutto per impedire un evento, avendo l’obbligo di farlo, è come se cagionasse l’evento stesso".
"E’ strano che vogliano introdurre una simile norma proprio ora che ci sono in corso i processi Thyssen e Eternit" hanno commentato alcuni parenti a margine dell’udienza. In aula, dove intanto è in corso il controesame dei periti, è stata esposta sui banchi, come sempre, la foto dei sette operai deceduti nel rogo del 6 dicembre 2007 con sotto la scritta: "non uccideteli una seconda volta".
* la Repubblica, 21 aprile 2009
Lodo Alfano per i top manager, il governo eclissa il processo Thyssen
di Massimo Franchi *
Sacconi vuole salvare i manager Thyssen da una probabile condanna per strage. Una norma inserita surrettiziamente al decreto correttivo con cui il ministro del Lavoro ha modificato il Testo Unico sulla sicurezza mette al riparo i vertici di tutte le aziende dalle responsabilità su tutti gli infortuni sul lavoro.
La denuncia arriva dalla Fiom Cgil. Ad accorgersi dell’articolo 10-bis introdotto nel decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 9 aprile sono stati i legali del sindacato: Elena Poli, Sergio Bonetto. Gli stessi che sono parte civile al processo Thyssen in corso a Torino e che vede imputati i vertici dell’azienda tedesca.
«L’articolo 10-bis va a ribaltare il senso delle responsabilità in caso di incidente sul lavoro - spiega Bonetto - . Per rimanere alla Thyssen finora la responsabilità della mancanza degli estintori è di chi aveva in potere di comprarli, che aveva il budget per farlo e quindi i manager al massimo livello italiano e tedesco. Se passerà questa norma si farà il contrario: la responsabilità sarà al livello più basso, quello più vicino all’evento. Se passerà questa norma, per il rogo di Torino al massimo a pagare sarà il responsabile dello stabilimento. I top manager italiani e tedeschi sarebbero non imputabili». La norma ha infatti applicazione immediata. «Si tratta di norme penali e quindi migliorando le condizioni degli imputati sono valide per i processi in corso e hanno anche valore retroattivo», completa la spiegazione Elena Poli.
La denuncia della Fiom arriva proprio nel giorno in cui il testo andrà alla Conferenza Stato Regioni. «Il Testo unico sulla sicurezza era uno dei pochi provvedimenti del governo Prodi che avevamo approvato. Chiediamo che lì venga modificato e, in caso contrario, facciamo appello al presidente della Repubblica, sempre sensibile a queste tematiche, perché blocchi l’ennesima porcata», sbotta Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom.
«E’ una norma salva-manager, un Lodo Alfano ancora più grave perché si parla di lavoratori - gli fa eco Giorgio Cremaschi -. La cosa più grave è che ora capiamo quello che è successo nei mesi scorsi in molte fabbriche. Ai capi reparto era stata fatta firmare una cosiddetta “presa di responsabilità”: in sostanza il testo diceva: “Se succede qualcosa, è colpa mia”. Noi eravamo tranquilli perché i nostri legali ci avevano detto che con il Testo Unico in vigore non aveva alcun valore. Ora capiamo che le aziende e Confindustria sapevano quello che stava scrivendo il governo e quella lettera ora inchioda i capi reparto e salva i manager».
L’articolo 10-bis modifica il cosidetto “Obbligo di impedimento”. «Nei reati commessi mediante violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro il non impedire l’evento equivale a cagionarlo alle seguenti condizioni: (...) Il comma D recita: “che l’evento non sia imputabile ai soggetti di cui agli articoli 56,57, 58, 59 e 60 del presente decreto legislativo per la violazione delle disposizioni ivi richiamate”. La traduzione la fanno gli avvocati. “Gli articoli citati - spiega Elena Poli - si riferiscono ai cosiddetti “preposti”. Si tratta dei capi-reparto, dei responsabili di stabilimento, ma anche dei progettisti, dei fabbricanti, degli installatori e pure dei medici che danno valutazioni sull’igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Insomma, tutti tranne i manager».
A rischio quindi non c’è solo il processo Thyssen, in corso a Torino, ma anche tutti i procedimenti che riguardano morti e infortuni sul lavoro.
* l’Unità, 20 aprile 2009
Processo Thyssen, sequenza animata ricostruisce il rogo
Fotografie, grafici e video animati per raccontare come scoppiò l’incendio alla linea 5
Una sequenza animata, una ricostruzione al computer, ma di forte impatto emotivo tanto che alcuni familiari hanno preferito non assistere. Il video mostra il vano tentativo degli operai di spegnere l’incendio e la successiva nuvola di fuoco, che il sei dicembre del 2007, poco prima dell’una, alla Linea 5 della Thyssenkrupp, causò la morte a sette di loro. E’ stato proiettato questa mattina durante la deposizione di Norberto Piccinini, consulente della procura che ha ricostruito quelle che a suo avviso sono le cause dell’incendio.
In primo luogo, ha spiegato Piccinini, una sorta di gabbia metallica di due metri per due e mezzo, posta sotto la spianatrice della linea, dove si erano accumulati alcuni millimetri d’olio. Poi le scintille provenienti dal piano superiore della linea dove il nastro d’acciaio stava strisciando, da una decina di minuti, contro le barriere laterali, contro le sporgenze di residui metallici createsi per incuria nel corso degli anni, provocando una sorta di cascatella incandescente. Quindi la carta di protezione delle bobine, abbandonata e accumulatasi nell’area che ha cominciato a prendere fuoco e quindi a propagarsi in quella che era diventata una vera e propria vasca d’olio. Di qui le fiamme persistenti che hanno provocato la rottura di un primo flessibile, a cui ne sono poi seguite altre, e la fuoriuscita dell’olio in gran parte nebulizzato a causa del calore, e spinto da una pressione di oltre 70 atmosfere. Si e’ creata cosi’ una nuvola incandescente che si e’ abbattuta sugli operai intervenuti nel frattempo per spegnere le fiamme. Dalla ricostruzione e dalle fotografie proiettate in aula si e’ anche osservato come la nuvola, del diametro di una decina di metri, sia rimasta sospesa da terra, ad un’altezza di circa un metro risparmiando ad esempio la parte inferiore del muletto che salvo’ la vita ad Antonio Boccuzzi.
Dalla deposizione degli altri periti e in particolare dell’ingegner Allamano e’ emerso che la linea 5 non aveva un sistema di centraggio automatico del rotolo d’acciaio, il cui costo e’ stato valutato in 20mila euro, aumentando cosi’ i rischi di sbandamento del nastro lungo la linea: ’’Le strutture di carpenteria della linea erano tutte segnate, perche’ il nastro sbandava e andava a grattare contro le strutture laterali’’.
Il processo riprenderà il 7 aprile, e non il 31 marzo come nel calendario fissato dalla Corte d’Assise, il processo per il rogo alla Thyssenkrupp. Lo slittamento è dovuto allo sciopero proclamato a livello nazionale dall’Unione delle Camere Penali, cui hanno aderito - come annunciato oggi - alcuni avvocati della difesa. I familiari delle vittime, uscendo dal palazzo di giustizia, hanno avuto, conversando con i giornalisti, delle parole di disappunto.
* la Repubblica, 25 marzo 2009
Thyssen, parenti e operai in aula
"Ho sentito l’odore di carne bruciata"
Drammatica la sesta udienza del processo per la morte dei sette operai. Ad essere chiamati come testi i parenti delle vittime e gli operai sopravvissuti. La prima ad essere sentita la madre di Rosario Rodinò: "Ridatemi mio figlio. Lui mi diceva che in caso di incidente sarebbero morti tutti". La sorella Concetta: "Mi hanno tolto la gioia di essere mamma". L’operaio Fabio Simonetta: "Ho sentito l’odore di carne bruciata
di Davide Banfo e Sarah Martinenghi *
Nuova drammatica udienza al processo Thyssen. Ad essere sentiti come testi nel processo per il rogo che causò la morte di sette operai i familiari delle vittime e un operaio sopravvissuto che ha raccontato di aver sentito l’odore di carne bruciata. La prima ad essere ascoltata è stata la madre di Rosario Rodinò. Toccante la sua testimonianza: "Voglio sapere perché mio figlio è morto. Ho firmato l’accordo con l’azienda ma rivoglio indietro vivo mio figlio".
"Eravamo orgogliosi - ha poi aggiunto Grazia Cascino - che nostro figlio fosse andato a lavorare in quella fabbrica, in cui mio marito ha lavorato per 40 anni. Dal giorno della tragedia invece ci sentiamo in colpa e non ci sopportiamo nemmeno più tra noi". "Voglio sapere perchè mio figlio è morto - ha ribadito più volte Grazia Cascino con la voce rotta dal pianto, rispondendo alle domande degli avvocati compreso quello delle difesa che le chiedeva se fosse stata risarcita - L’unica cosa che voglio è che mi ridiate mio figlio indietro. Sono sempre lì a casa che aspetto di sentire che con le chiavi apra la porta ed entri". La presidente della Corte, Maria Iannibelli, le ha rivolto la parola in questo modo: "Signora, se avessimo questo potere...". "Nell’ultima settimana - ha continuato Grazia Cascino - Rosario diceva che se fosse scoppiato qualcosa non si sarebbe salvato nessuno. E lui non si è salvato". La donna ha anche mostrato ai giudici una foto del figlio: "Guardate, era con le cugine nel settembre del 2007. Questi momenti non ci saranno più".
Toccante anche il ricordo di Laura Rodinò, sorella di Rosario. "Quando è successa la tragedia ero all’ottavo mese di gravidanza, aspettavo due gemelle e quando sono entrata in sala parto mi sono imposta di non soffrire, di non gridare perchè mio fratello aveva sofferto molto di più. Mi hanno tolto la gioia del diventare mamma". Con disprezzo e rabbia Laura ha inoltre mostrato agli avvocati della difesa la maglietta con una vecchia foto di una gita al mare in famiglia in cui c’è anche suo fratello. Breve l’intervento dell’altra sorella,
Concetta: "Questo Natale come l’hanno passato quelli che hanno causato la morte di mio fratello? Noi al cimitero".
Entrambe le sorelle hanno detto che dopo la tragedia i rapporti in famiglia sono cambiati. "Sono cambiati i rapporti anche con i miei figli -dice Concetta- e con mio marito bisticcio di continuo", mentre Laura dice che "la tragedia ha influenzato anche i rapporti con mio marito, prima facevamo di tutto, ci divertivamo tutti insieme, adesso non ho più voglia di fare nulla. Lui cerca di starmi vicino -prosegue- ma io sono scontrosa, arrabbiata, cattiva, ma non mi sento più cattiva degli assassini di mio fratello che per me era come un figlio e per colpa loro ci ritroviamo così".
Entrambe le ragazze hanno risposto con un certo nervosismo alla domanda dell’avvocato della difesa che chiedeva se loro, o i loro famigliari, avessero ricevuto un risarcimento dall’azienda per la morte del congiunto "era il minimo che potessero fare", hanno replicato. Poche le parole di Luigi Santino, fratello di Bruno Santino: "Nulla è più come prima. negli ultimi tempi diceva che non c’era più sicurezza. Eravamo sempre insieme"
Dopo i familiari è toccato ad alcuni operai presenti quella notte in fabbrica. Straziante il resconto di Fabio Simonetta, che lavorava alla linea 4, quella vicina alla linea del rogo. "Non si vedeva niente. C’erano fiamme alte fino al soffitto, fumo. E si sentiva odore di carne bruciata". "Ho visto - ha detto - Roberto Scola e Angelo Laurino straziati dalle fiamme, in uno stato orribile. Scola urlava ’portatemi via’. Provai a telefonare all’infermeria, poi cercai di spegnere l’incendio: afferrai la manichetta di un idrante ma si staccò". Simonetta fu tra coloro che portò fuori dal locale Scola e Laurino ("urlavano dal dolore, avevo paura a toccarli, non dimenticherò mai e sono in preda ai sensi di colpa perchè volevo fare di più") e poi, essendo rimasto intossicato dal fumo, venne portato a sua volta in ospedale, dove gli applicarono una maschera d’ossigeno per un’intera giornata. Quanto alle condizioni di lavoro, Simonetta ha detto che "c’erano incendi tutti i giorni". "In prima battuta dovevamo intervenire noi, poi chiamare la squadra di emergenza, composta da due colleghi".
La decisione della Corte di ascoltare subito i parenti arriva dopo le polemiche della scorsa udienza quando per un problema procedurale i familiari iscritti come testi erano stati costretti ad uscire. Nessun teste può infatti restare in aula e ascoltare testimonianze prima del suo turno. La presidente della Corte Maria Iannibelli ha previsto un fitto calendario di udienze sino a giugno. Nelle prime cinque udienze erano stati risolti alcuni problemi procedurali e affrontate diverse eccezioni come quella presentata dalla difesa dei manager tedeschi della multinazionale che sosteneva che due dirigenti non conoscessero l’italiano.
Torino, folla e tensione all’apertura del dibattimento. Alla sbarra 6 dirigenti del gruppo tedesco
Per la prima volta in materia di lavoro l’accusa è di omicidio volontario
Thyssen iniziato il processo
"Devono andare in galera"
Dichiarazioni ai giornali, sostituiti tre giudici popolari *
TORINO - "Li hanno ammazzati loro e devono andare in galera". Rosina Demasi, la mamma di una delle sette vittime del rogo della ThyssenKrupp del 6 dicembre 2007 a Torino esprime così il suo dolore fuori dalla maxi aula del Palazzo di giustizia dove stamattina è in programma la prima udienza del processo ai sei dirigenti dell’azienda per la tragedia dell’acciaieria torinese. "Mi spiace solo - aggiunge la donna - che molto probabilmente non avranno l’ergastolo". L’ergastolo è praticamente escluso, ma, per la prima volta, in materia di lavoro, si parla di omicidio volontario.
Il processo è iniziato con quasi due ore e mezzo di ritardo rispetto all’orario previsto a causa della sostituzione dei tre giudici popolari che nei giorni scorsi erano stati intervistati da un quotidiano. Il presidente della Corte Maria Iannibelli ha spiegato brevemente che i tre giudici popolari hanno "letto con sorpresa" un articolo che li riguardava e "hanno spiegato di non avere espresso né giudizi né parerì sul processo". "Ma per spirito di servizio - ha spiegato la presidente - hanno chiesto di astenersi per non creare intralci processuali". La loro domanda è stata accolta e sono stati subito sostituiti.
Per la prima volta sono in aula alcuni degli imputati, assenti nel corso dell’udienza preliminare, che si è chiusa il 17 novembre scorso. Si tratta di Raffaele Salerno, direttore dello stabilimento di corso Regina Margherita, e di Cosimo Cafueri, dirigente con funzioni di responsabile dell’Area ecologia ambiente e sicurezza dello stesso stabilimento di Torino.
Ci sono, invece, con le stesse magliette con le foto dei volti dei propri cari, i parenti delle sette vittime - Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone - insieme a numerosi amici e colleghi. Uno striscione listato a lutto delle rappresentanze sindacali della Thyssenkrupp è stato esposto all’ingresso del Palazzo di giustizia.
Tra i primi ad arrivare il procuratore vicario Raffaele Guariniello, che coordina l’accusa, e molti degli avvocati della difesa. Dalle prime indiscrezioni raccolte sembra che né la procura né la difesa ricuseranno i giudici popolari per le interviste rilasciate alla vigilia del processo. Folta anche la presenza di giornalisti e cineoperatori.
* la Repubblica, 15 gennaio 2009
Ansa» 2008-12-06 10:22
THYSSEN: CON UNA MESSA E’ INIZIATA LA GIORNATA DEL RICORDO
(ANSA) - TORINO, 6 DIC - Con una messa celebrata nella cappella del Cimitero Monumentale, è iniziata oggi a Torino la lunga giornata del dolore e del ricordo in memoria delle sette vittime del rogo nello stabilimento Thyssen Krupp di Torino avvenuto il 6 dicembre del 2007.
"Il loro sacrificio non è andato perso" ha sottolineato don Corrado Bettiga, il cappellano del cimitero torinese. Alla messa erano presenti i familiari di Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rocco Marzo, Antonio Santino, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi che hanno perso la vita sulla linea 5.
Presente anche Antonio Boccuzzi, oggi deputato del Pd, che quella notte si salvò. Hanno cercato di dare loro conforto la presidente della Regione Mercedes Bresso, il presidente della Provincia, Antonio Saitta, il sindaco Sergio Chiamparino e il prefetto Paolo Padoin, ma accanto a loro c’erano anche Piero Fassino, il segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando, la segretaria generale del sindacato Ugl Renata Polverini e l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano.
Oltre ai gonfaloni degli Enti locali, c’erano anche quelli delle società di calcio del Torino e della Juventus che era rappresentata dal suo presidente Giovanni Cobolli Gigli. Successivamente, nei pressi delle tombe di cinque delle sette vittime è stata scoperta una lapide della Città di Torino a ricordo degli operai morti in quella drammatica notte.
L’accusa è di omicidio colposo. Per l’ad Harald Estenhan omicidio volontario
Il processo si aprirà il 15 gennaio, riguarderà anche l’azienda nella veste di persona giuridica
Thyssen, imputati rinviati a giudizio
Guariniello: "Una sentenza storica"
Gli applausi dei parenti delle vittime: "E’ solo l’inizio, devono andare in galera" *
TORINO - Sono stati tutti rinviati a giudizio i sei imputati per il rogo alla ThyssenKrupp di Torino nel quale, il 6 dicembre del 2007, morirono otto operai. L’amministratore delegato, Harald Estenhan, risponderà di omicidio volontario con dolo eventuale. Lo ha deciso questa sera il gup Francesco Gianfrotta, che ha accolto tutte le tesi sostenute dall’accusa, rappresentata dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso.
Il processo si aprirà il 15 gennaio in Corte d’Assise e riguarderà, oltre ai sei imputati, anche l’azienda nella veste di persona giuridica. Gli altri cinque dirigenti e dipendenti rinviati a giudizio per omicidio colposo con colpa cosciente, sono Gerald Prigneitz, Marco Pucci, Giuseppe Salerno Daniele Moroni e Cosimo Cafueri.
"E’ una sentenza storica": così il procuratore aggiunto Guariniello ha commentato la decisione del gup. "Non è mai successo - ha detto - che si sia arrivati al rinvio a giudizio sia delle persone fisiche che delle persone giuridiche, riconoscendo in un caso anche l’omicidio volontario".
La decisione del giudice ha suscitato gli applausi dei parenti delle vittime, alcuni dei quali sono usciti dall’aula gridando "sì, sì" con le braccia alzate verso il cielo, altri "grazie Guariniello" e altri ancora "è solo l’inizio, devono andare in galera".
* la Repubblica, 17 novembre 2008
Thyssen, chiesto il rinvio a giudizio per sei dirigenti
Il rischio di un incendio c’era. E i dirigenti lo sapevano. Quello che è successo il 7 dicembre scorso alla Thyssenkrupp di Torino, quindi, era prevedibile. E per questo i pm Francesca Traverso e Laura Longo, che hanno affiancato nelle indagini il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, hanno chiesto il rinvio a giudizio per sei dirigenti della multinazionale tedesca.
D’altronde, che non si potesse continuare a produrre - e a quei ritmi - in uno stabilimento in dismissione era chiaro a tutti, per primi agli operai. Ma soprattutto lo sapevano i dirigenti, che la manutenzione era stata abbandonata. Nel febbraio del 2007, gli inquirenti hanno ricostruito che dopo un grave incendio scoppiato in una filiale della Germania, la casa madre convocò un meeting per parlare del problema, e per lo stabilimento di Torino furono disposti finanziamenti che però non vennero utilizzati.
Per questo, come ha spiegato in Aula il procuratore aggiunto Guariniello, ad essere chiamata in causa è anche l’azienda come persona giuridica, perchè la tragedia non si è verificata per «colpa della scelta di un singolo, ma di una politica aziendale». E nulla è successo per caso, ma i reati sono stati commessi «nell’ interesse e a vantaggio della società».
Insomma, il rischio c’era, a Torino si sapeva e in Germania pure. Ma nessuno ha fatto niente, tanto da lì a poco tutta la Thyssen si sarebbe trasferita a Terni. L’accusa più grave, omicidio volontario con dolo eventuale, è mossa all’amministratore delegato Harald Espenhahn. Per altri cinque dirigenti, invece, si parla di omicidio colposo con colpa cosciente. In Aula, ad ascoltare la requisitoria dei pm, c’erano anche i familiari di alcune delle vittime. Se ne sono andati, però, perché non ce la facevano «ad ascoltare il modo in cui sono morti i nostri cari».
* l’Unità, Pubblicato il: 13.10.08, Modificato il: 13.10.08 alle ore 12.59
Per il rogo che lo scorso 6 dicembre costò la vita a sette operai
Caso Thyssen, si apre il processo a Torino
L’udienza, aggiornata al 23 luglio, è strata dedicata alle richieste di costituzione di parte civile. Ai familiari delle vittime quasi 13 mln per la rinuncia. Sui cancelli del Tribunale alcuni striscioni di protesta con scritto ’Stop alla guerra dei padroni. Basta morti sul lavoro’’. Partecipa al forum
Torino, 1 lug. - (Adnkronos/Ign) - ’Giustizia e condanne severe per la Thyssen Krupp’, ’Stop alla guerra dei padroni. Basta morti sul lavoro’. Sono due degli striscioni che questa mattina campeggiavano sui cancelli del Palazzo di Giustizia di Torino dove si è aperta davanti al gup Francesco Gianfrotta, l’udienza preliminare del processo per le 7 vittime della Thyssen Krupp . A sostenere l’accusa contro 6 manager della multinazionale tedesca il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, da oggi procuratore capo vicario di Torino, insieme ai due sostituti Laura Longo e Francesca Traverso.
L’udienza, aggiornata al 23 luglio, è strata dedicata alle richieste di costituzione di parte civile da parte di Regione, Provincia e Comune di Torino, Fin Fiom, Uilm, di un’ottantina di lavoratori e di 7 addetti alla linea 4 che sono stati i primi a soccorrere i lavoratori morti a seguito dell’incendio sviluppatosi nella notte del 6 dicembre scorso sulla linea 5 dello stabilimento torinese
Non si sono invece costituiti parte civile i familiari delle vittime che ieri hanno raggiunto un accordo sul risarcimento che complessivamente ammonta a 12 mln e 970mila euro.
Suicida per l’assunzione mancata in un’azienda del gruppo
Non rinnovato il contratto interinale. Lascia la moglie e due figli
Luigi, 39 anni, precario
ottava vittima della Thyssen
L’ultima lettera: "Senza lavoro non riesco a vivere"
di MAURIZIO CROSETTI *
TORINO - Dicono che Luigi Roca avesse la faccia di chi per anni ha assorbito la tristezza, giorno dopo giorno, fino a disegnarsela sul volto, tra i lineamenti, come una ruga. Dicono anche che due settimane fa quella faccia invece e stranamente sorridesse: "Stavolta ho trovato il lavoro giusto, mi assumeranno, durerà". L’aveva detto al suo amico Vito, vicino di casa e sindacalista. Erano al parco giochi di Rocca Canavese, c’erano anche i bambini. Invece Luigi si è ucciso, perché era tutta un’illusione e la tristezza era ormai dentro la sua storia, non solo sul suo viso.
"Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità". L’"ottava vittima" della Thyssen, 39 anni, non ha mai lavorato nella fabbrica della morte. Ma la sua azienda, la Berco di Busano Canavese, faceva parte del gruppo tedesco. E il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone "da collocare", come si dice terribilmente in questi casi. Come se le persone fossero i pezzi di un incastro. Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un’età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. "Durerà". Lui, che non aveva un carattere facile, stavolta andava d’accordo con i colleghi e i superiori, non come quell’altra volta alla "Canavera e Audi", stampaggi industriali: lì, dopo quindici anni se n’era andato per colpa di un brutto screzio con un capo.
Perché Luigi aveva dentro una storia difficile e un’adolescenza inquieta. Ne era uscito meglio di suo fratello, che è in carcere. Aveva trovato una donna, Barbara, con la quale stava da dodici anni, si erano sposati ed erano nati Niccolò e Davide, 6 e 7 anni. Barbara Agostino, che fa le pulizie in un’azienda di stampaggio e adesso dice tra le lacrime: "Mio marito si è ucciso perché si sentiva umiliato. Chissà cosa deve avere provato, dentro, per decidere di farla finita. Se quell’azienda gli avesse rinnovato il contratto, ora non sarei una vedova con due figli piccoli da allevare".
Quindici anni in fabbrica, poi quattro a spasso, a chiedere e non ottenere mai. La paura di non rientrare più. Ma anche la forza di provarci ogni volta di nuovo, con le sue mani. Quelle che Luigi aveva usato per ristrutturare la porzione di vecchia cascina trasformata nella loro casa, in campagna, frazione Vallossino di Rocca Canavese. Aveva fatto il mutuo, per riuscirci, e finalmente era sicuro di poterlo pagare. L’aveva rivelato all’amico sindacalista, quel giorno al parco.
Due settimane fa. La faccia non più triste sarebbe durata solo sette giorni, fino a quando gli hanno detto che non sarebbe stato confermato. Lì è cominciato il crollo, silenzioso ma evidente. Nessun segno che facesse presagire l’epilogo, solo il ritorno della faccia di prima. L’avevano vista tutti. Non era bastato a capire. Luigi Roca non era mai stato nella fabbrica del rogo, laggiù a Torino, in corso Regina Margherita. Ma è come se ci fosse stato anche lui, la sera del 6 dicembre, quando gli altri 7 vennero sommersi.
Perché la precarietà del lavoro è un domino che abbatte quasi tutte le tessere che incontra, o almeno le più fragili, quelle meno in equilibrio ai bordi del tavolo. Lì stava Luigi da quattro anni, con i suoi 39 già addosso e la paura di non uscire mai più dal precariato. Per assurdo, la mazzata finale è giunta proprio dall’illusione di esserne fuori. "Era contento, fiducioso" dice Vito Bianchino, il sindacalista Cisl. "Luigi dedicava tutto se stesso alla moglie e ai figli. E un’azienda non può lasciare a casa a cuor leggero certe persone, le caratteristiche del lavoratore contano".
Buona salute, gran voglia di faticare, ottime motivazioni. Questo era il suo profilo. Incoraggiante. Si era tranquillizzato, aveva capito che anche di fronte alle possibili ingiustizie bisogna restare calmi e ragionare, senza reagire sempre d’istinto. Un percorso lungo e duro, che però Luigi aveva conquistato sulla sua pelle, cicatrici e dimissioni comprese. Era stato sul fondo e aveva cominciato a risalire. Fino a quando non l’hanno convocato in un ufficio per dirgli che no, arrivederci e grazie.
Così lui ha scelto l’albero in un bosco vicino a casa, ha preso la corda ma prima la carta e la penna. Tre lettere. Ai genitori ha chiesto perdono. Alla moglie Barbara ha scritto: "In questo tipo di vita serve una forza che io non ho. Non lo dico per giustificarmi, ma perché tutti possiate perdonarmi. Ho valutato le conseguenze del mio gesto ma non ce la faccio, ho perso lavoro e dignità". L’ultima lettera, per i due figli piccoli. "Non mi giudicate e comportatevi bene. Trattate bene la mamma e conservate di me la parte buona che vi ho lasciato".
(ha collaborato Antonello Micali)
* la Repubblica, 13 marzo 2008.
Torino, il dolore dei trentamila: «Giustizia per i nostri morti»
di Tonino Cassarà *
«Assassini, assassini come potrete dormire sonni tranquilli dopo aver condannato a morte quei ragazzi». L’immagine che più di ogni parola sa descrivere il dramma della atroce fine degli operai uccisi dal rogo dell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino, è quella del papà di Bruno Santino. Il suo volto è il simbolo del dolore. Le sue parole, che rompono il silenzio del corteo, raccontano la rabbia più profonda e chiedono giustizia per suo figlio morto a soli 26 anni in nome del profitto "dei padroni". «Bastardi - urla - il vostro futuro dovrà essere un inferno così come è stato per i nostri figli che avete fatto morire là dentro». È lui, abbracciato ad Antonio Boccuzzi, l’unico sopravvissuto della strage, ad aprire, dietro allo striscione di Fim, Fiom e Uilm, la manifestazione di Torino, nel giorno del lutto cittadino per ricordare le vittime e chiedere che non si muoia più per il lavoro.
Una manifestazione imponente e muta. D’altra parte, nessuna parola, nessuno slogan avrebbe saputo esprimere meglio la rabbia di quelle 30mila persone che all’unisono con il loro silenzio chiedono «giustizia per una strage annunciata». «Giustizia - dice Antonio Boccuzzi - per i miei amici, per le famiglie e per tutti i morti sul lavoro. Bisogna smettere di chiamare questi omicidi, morti bianche». Il corteo è partito alle dieci in punto, ma in Piazza Arbarello l’assembramento era iniziato molto prima. Capannelli si erano formati già prima delle nove. Gli operai hanno bisogno di parlarsi, di commentare quanto è successo alla ThyssenKrupp ma anche di raccontare dei pericoli che ci sono anche in altre fabbriche. Quando il corteo si muove ci sono anche le istituzioni: il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, i ministri Livia Turco e Paolo Ferrero, il sindaco Sergio Chiamparino, i presidenti della Regione Piemonte e del Consiglio regionale, Mercedes Bresso e Davide Gariglio, della Provincia, Antonio Saitta, i gonfaloni di comune, provincia e regione. Ci sono i segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm, i negozi abbassano le serrande, la gente ai lati delle strade applaude. Nino Santino, il papà di Bruno, piange e, accanto a lui, piangono l’altro figlio, Luigi, il nipote Gianluca, l’operaio Antonio Boccuzzi. Papà Santino sventola il giornale con le foto dei lavoratori che hanno perso la vita nella fabbrica e grida la sua rabbia contro l’azienda: «Assassini, bastardi. Dov’erano gli estintori? Avete sbagliato e pagherete, avete rovinato tante famiglie».
C’è anche Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera: «Umanamente - ha detto - c’è il disgusto, non basta più indignarsi per una strage che è continua, che avviene tutti i giorni, per un peccato sociale che è la mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro». Solo quando il corteo entra in Piazza Castello, davanti alla Prefettura, iniziano le urla contro tutti: contro le imprese, contro il sindacato e contro il presidente della Camera. A nome di Fim-Fiom-Uilm nazionali ha parlato Gianni Rinaldini, numero uno della Fiom: «Non sono morti bianche, siamo di fronte a un omicidio compiuto nei confronti dei lavoratori, una strage. È un’azienda che ha voluto spremere fino all’ultimo i lavoratori per ricavare profitti. È normale che ci sia tanta rabbia, bisogna muoversi per colpire i responsabili». Rinaldini ha ricordato che venerdì tutti i metalmeccanici italiani si fermeranno per quattro ore. Le categorie che non hanno potuto fermarsi perché devono dare il preavviso (come ferrovieri e autisti di bus e tram), hanno effettuato fermate simboliche di due minuti.
«È necessario rinnovare le relazioni sindacali - dice Giovanni Tosco, segretario Csil Piemonte - perché in situazioni come quelle attuali il sindacato si trova in una condizione a lungo non sostenibile. E se salta il sindacato è chiaro che quelli più danneggiati saranno gli operai. Per questo credo che i fischi vadano letti come una richiesta da parte dei lavoratori a fare di più. Ma a questo punto noi diciamo che spetta alla politica darci la possibilità di far rispettare le leggi che ci sono e vengono disattese».«Quella dei lavoratori è una rabbia giustificata - ha detto Rinaldini a proposito dei fischi - che esprime uno stato d’animo che va compreso. Sono lavoratori che hanno visto morire i loro colleghi nel fuoco. C’è una richiesta urlata di giustizia in un paese dove di giustizia per i morti di lavoro se n’è fatta ben poca». Sulla piazza scende un silenzio surreale quando Antonio Boccuzzi ha chiesto due minuti di silenzio. Poi il corteo si è sciolto, ma una parte molto consistente si è diretta verso l’Unione Industriale dove alcuni giovani dei centri sociali hanno lanciato qualche uovo, sassi e fumogeni. Gli operai non si sono però uniti a questa forma di contestazione e anzi ne hanno voluto prendere le distanze allontanandosi dai giovani.
Non è ancora chiaro quando si terrà la cerimonia ufficiale dei funerali nel duomo di Torino. Giovedì è la data più probabile, secondo chi sta molto vicino ai familiari delle vittime, ma solo se non sopraggiungeranno complicazioni da parte della magistratura. Restano gravissime, anche se stabili, le condizioni degli ultimi tre feriti sopravissuti all’incendio, che riportano ustioni tra l’80 e il 90% del corpo.
Lunedì, comunque, i responsabili della Thyssen dovranno riferire in un incontro al ministero della Salute a Roma, insieme a una delegazione sindacale e degli ispettori Asl. Al processo, i sindacati si costituiranno parte civile. La Thyssen Krupp ha intanto sospeso le attività dello stabilimento finché non si concluderanno le verifiche degli ispettori della Asl.
* l’Unità, Pubblicato il: 10.12.07, Modificato il: 10.12.07 alle ore 18.39
Tutta Torino si ferma per lutto Un corteo per chiedere giustizia
Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Bruno Santino: lunedì Torino si ferma per ricordare i suoi caduti. Un funerale simbolico, un corteo per chiedere giustizia. Aprirà uno striscione listato a lutto delle Rsu Fim, Fiom, Uilm della ThyssenKrupp e dietro i colleghi, i compagni di lavoro. Subito dietro, un altro striscione recita «Basta morti sul lavoro». Nessuno slogan, nessun grido. Partecipano allo sciopero il Comune, la Provincia e la Regione, tutti con il gonfalone listato a lutto. C’è anche Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera: «Umanamente - ha detto - c’è il disgusto, non basta più indignarsi per una strage che è continua, che avviene tutti i giorni, per un peccato sociale che è la mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro».
Presente alla manifestazione anche il presidente della Camera Fausto Bertinotti, che chiede «una svolta delle coscienze: il lavoro - ha detto - deve tornare al primo posto nello spazio pubblico in tutte le sue manifestazioni. Questa è la città dove negli anni Settanta nacque un modello sulla salute e sull’ambiente fondato sul controllo degli operai. Bisogna tornare - ha aggiunto - a questa cultura e dare potere alle Rsu affinchè possano intervenire con denunce, controlli e proposte». Vicino a lui ci sono il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero e il segretario di Rifondazione Franco Giordano. Molta la rabbia tra i colleghi e i parenti delle vittime. «Assassini, chi mi ridà mio figlio? - urla il padre di Bruno Santino - Dov’erano gli estintori? Assassini».
Proprio domenica il primo ministro Romano Prodi ha puntato l’indice contro le responsabilità degli imprenditori nelle morti bianche. Sono già tre i dirigenti della ThyssenKrupp di Torino indagati dalla magistratura, due tedeschi e un italiano. L’azienda si difende con un comunicato. Conferma piena fiducia nell’indagine della magistratura con la quale si dice pronta a dare piena collaborazione ma nega che nell’acciaieria siano stati riscontrati standard di sicurezza non elevati. Lunedì, comunque, i responsabili della Thyssen dovranno riferire in un incontro al ministero della Salute a Roma, insieme a una delegazione sindacale e degli ispettori Asl.
Al processo, i sindacati si costituiranno parte civile. L’inchiesta è condotta dai pm Laura Longo e Francesca Traverso e coordinata dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. Tra le accuse: omicidio colposo, disastro colposo e lesioni colpose in relazione all’incidente che ha provocato la morte di quattro operai e gravissime ustioni ad altri tre in queste ore tra la vita e la morte. Le indagini della magistratura puntano a individuare eventuali responsabilità penali e civili. Sulla vicenda viene mantenuto il massimo riserbo. L’obiettivo è chiarire le motivazioni del disastro.
I funerali delle quattro vittime dell’incendio alle acciaierie Thyssen saranno celebrati nel Duomo di Torino, a carico del Comune. Ancora nessuna indicazione sulla data della cerimonia funebre: occorre il «via libera» da parte della magistratura. Restano gravissime, anche se stabili, le condizioni degli ultimi tre feriti sopravissuti all’incendio, che riportano ustioni tra l’80 e il 90% del corpo.
Da lunedì, infine, si apre la raccolta fondi lanciata da Unicredit a favore dei familiari delle vittime. Si può dare il proprio contributo al conto corrente speciale dedicato (n° 41125701 - abi 02008 - cab 01046).
* l’Unità, Pubblicato il: 10.12.07, Modificato il: 10.12.07 alle ore 10.29
Indagati i vertici della Thyssen
Funerali in Duomo per gli operai
Ferrero: «Norme più severe e controlli»
Saranno celebrati in duomo a Torino e a carico del comune i funerali di Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Bruno Santino, i quattro oeperai morti nel rogo scoppiato mercoledì notte dentro l’acciaieria ThyssenKrupp di Torino Lo hanno deciso insieme il sindaco Sergio Chiamparino e l’arcivescovo della città, Severino Poletto. Ancora nessuna indicazione sulla data della cerimonia funebre: occorre ancora il «via libera» da parte della magistratura. A celebrare il rito sarà lo stesso cardinal Poletto. Domenica mattina lo stesso Poletto si è recato prima allle Molinette, al capezzale di Rocco Marzo, 54 anni. Poi l’arcivescovo si è trasferito all’ospedale Maria Vittoria dove al reparto rianimazione si trova il ventiseienne Giuseppe De Masi, con ustioni sul 95% del corpo. Per loro ci saranno preghiere nelle chiese torinesi, per il miracolo della loro guarigione. Dopo i quattro morti, restano infatti gravissime, anche se stabili le condizioni degli ultimi tre feriti sopravissuti all’incendio all’accieria Thyssen Krupp di Torino, oltre ai due visitati dal cardinale, c’è Rosario Rodinò, 26 anni, che però non si trova più a Torino, è stato trasferito al San Martino di Genova. Tutte e tre hanno ustioni tra l’80 e il 90% del corpo.
Dopo l’indice puntato ieri dal primo ministro Prodi verso le responsabilità degli imprenditori nelle morti bianche, sono già tre i dirigenti della ThyssenKrupp di Torino indagati dalla magistratura. Ed è molto probabile che i sindacati della fabbrica si costituiranno parte civile nel processo. L’inchiesta è condotta dai pm Laura Longo e Francesca Traverso e coordinata dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. Tra le accuse: omicidio colposo, disastro colposo e lesioni colpose in relazione all’incidente che ha provocato la morte di quattro operai e gravissime ustioni ad altri tre in queste ore tra la vita e la morte. Le indagini della magistratura puntano a individuare eventuali responsabilità penali e civili. Sulla vicenda viene mantenuto il massimo riserbo. L’obiettivo è chiarire le motivazioni del disastro.
Anche il calcio si ferma mentre sulla Rai pèiopvono pesanti critiche di sottovalutazione della tragedia e si chiede di modificare i palinsesti per onorare le vittime. Un minuto di silenzio verrà osservato prima del fischio d’inizio della partita Juventus-Atalanta.
Si muove anche il sistema bancario. Unicredit lancia attraverso le proprie banche una raccolta fondi a favore dei familiari delle vittime. I fondi saranno raccolti a partire da lunedì su un conto corrente speciale dedicato (n° 41125701 - abi 02008 - cab 01046) che è stato aperto in mattinata a Torino nella sede di UniCredit Banca in Via XX Settembre.
Il governo promette più severi controlli. Prodi risponde così alla richiesta del ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che propone un consiglio dei ministri straordinario per nuove norme sulla sicurezza sul lavoro. «Le leggi ci sono, bisogna farle rispettare». In effetti in base alla legge delega sulla sicurezza sui luoghi di lavoro approvata il primo agosto scorso le pene prevedono già fino a tre anni di arresto per chi non rispetta la sicurezza sul lavoro con il rischio della sospensione dell’ attività e 300 nuovi ispettori per combattere la piaga delle morti bianche e lo sfruttamento del lavoro nero. Ma Ferrero insiste per decreti attuativi e delegati: «Il governo - dice Ferrero - deve adottarli entro Natale».
Lunedì è lutto cittadino a Torino e il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha annunciato la sua partecipazione alla manifestazione di commemorazione e di protesta contro le morti bianche.
* l’Unità, Pubblicato il: 09.12.07, Modificato il: 09.12.07 alle ore 13.42
Nel registro della procura sarebbero iscritte due o tre persone. Contestato disastro colposo
omicidio e lesioni colpose. Ansia per i tre superstiti. In coma farmacologico Rosario Rodinò
ThyssenKrupp, primi indagati
per la strage nell’acciaieria
TORINO - Si aggrava di giorno in giorno il bilancio dell’incendio alla ThyssenKrupp di Torino, l’acciaieria che nella notte tra mercoledì e giovedì ha trasformato in torce umane sette operai. Finora sono morte quattro persone, e altre tre sono in fin di vita. Oggi sono state effettuate le prime iscrizioni nel registro degli indagati nei confronti della ThyssenKrupp.
Le indagini. Intanto il pm Raffaele Guariniello ha aperto due procedimenti penali paralleli come prevede la legge: "Uno riguarda le persone fisiche responsabili dei fatti, l’altro l’impresa". Secondo indiscrezioni nell’iscrizione nel registro degli indagati vengono contestate le ipotesi di accusa di omicidio colposo, lesioni colpose e disastro colposo. Al momento non è chiaro quante persone siano state indagate, ma secondo voci non confermate potrebbe essere due o tre. La procura ha anche chiesto al ThyssenKrupp tutto l’organigramma della società, compreso quello della capogruppo tedesca, per valutare ruoli e competenze. Le prime autopsie sulle vittime saranno eseguite lunedì e martedì prossimo.
Accertamenti in fabbrica. Nel frattempo proseguono gli accertamenti in fabbrica per capire con precisione il punto in cui si è verificata la tragedia. La procura ha sequestrato una sorta di scatola nera che riguarda l’apparecchiatura. Al vaglio anche la causa dell’incendio e se tutte le norme per la sicurezza sono state rispettate. Per questo motivo la procura ha controllato oggi tutti gli estintori dello stabilimento.
Gli estintori. Al momento dell’incidente alcuni operai hanno denunciato che 3 estintori su 5 non funzionavano. Obiettivo degli inquirenti è capire che uso ne venisse fatto da parte dell’azienda e degli operai. Pare infatti che alle volte, nei piccoli interventi, gli estintori fossero usati per metà e poi non più ricaricati. Una prassi, quest’ultima, che li rendeva inutilizzabili perché il materiale all’interno diventava scadente sul fronte della sicurezza.
Nel frattempo la Procura ha incaricato l’Asl di fare ogni accertamento sulla sicurezza dello stabilimento anche per il futuro: sono pertanto iniziati i primi controlli sugli oltre 300 estintori esistenti nello stabilimento. Trenta di essi sono stati portati nella sede dei vigili del fuoco dove verranno analizzati nel dettaglio perché contengono materiale liquido e gassoso. Agli altri è stata applicata una procedura che ne permette l’uso ma non la modifica in attesa degli accertamenti della magistratura.
La squadra antincendio. Altro aspetto da chiarire è l’operato della squadra antincendio e la sua formazione. Pare infatti che gli operai avessero la prassi di sbrigarsela da soli quando capitavano piccoli inconvenienti. Non è chiaro se la notte dell’incidente la squadra antincendio fosse presente al completo nello stabilimento o se ci fosse un solo componente che, come emergerebbe dalle prime indiscrezioni, era in un altro reparto.
Le vittime. Il primo a perdere la vita è stato Antonio Schiavone, 36 anni, che abitava a Envie (Cuneo) con moglie e tre figli piccoli, il più vicino alla linea 5 dell’impianto di trattamento termico dove si è sviluppato l’incendio. Stamattina, poco prima delle sette, è morto Roberto Scola, 33 anni, che era stato ricoverato all’ospedale Molinette, mentre nel pomeriggio, al San Giovanni Bosco, Angelo Laurino, 43 anni, è stato stroncato da un’insufficienza multiorgano. Entrambi avevano ustioni di terzo grado sul 95% del corpo.
Scola, viveva a Torino, era sposato aveva due figli molto piccoli (uno di 17 mesi e l’altro di quasi tre anni).Quando è arrivato al pronto soccorso del Cto era cosciente e terrorizzato all’idea di non rivedere più i suoi bimbi. Laurino, anche lui residente a Torino, aveva due figli, Fabrizio di 12 anni e Noemi di 14.
E questa sera al Cto di Torino, è morto anche Bruno Santino, 26 anni. L’operaio era stato trasferito in giornata dall’ospedale Maria Vittoria al centro grandi ustionati del Cto. A pregare tutto il giorno perché si salvasse il fratello Luigi, pure lui operaio alla ThyssenKrupp, ma non era di turno mercoledì notte.
I feriti. Rimane appeso a un filo il destino degli altri tre feriti gravissimi, di cui tre ricoverati a Torino ed uno a Genova. All’ospedale Maria Vittoria lotta tra la vita e la morte Giuseppe De Masi, 26 anni, che vive a Torino con i genitori ed ha una madre infermiera. Mentre alle Molinette è ricoverato Rocco Marzo, di 54, sposato a padre di due figli. A fine mese sarebbe dovuto andare in pensione. Tutti hanno ustioni di secondo e terzo grado su oltre il 90 per cento del corpo. Viene tenuto in coma farmacologico, all’ospedale Villa Scassi di Genova, Rosario Rodinò, 26 anni. Ha ustioni sul 90 per cento del corpo e le sue condizioni starebbero peggiorando.
* la Repubblica, 8 dicembre 2007
Acciaieria, facevano turni di 16 ore
Salgono a quattro le vittime del rogo.
I testimoni: gli estintori erano vuoti
di ALBERTO GAINO E GRAZIA LONGO
TORINO Le vittime per il fuoco alla ThyssenKrupp sono diventate quattro: bilancio sempre più inaccettabile. Ieri mattina è morto Roberto Scola, 33 anni e due figli piccoli. Nel pomeriggio non ce l’hano fatta neppure Bruno Santino, 26 anni, e Angelo Laurino, 43 (due figli anche lui). Gli altri tre feriti sono gravissimi. La parola, ora, tocca ia magistrati: la società è finita nel registro degli indagati ed è possibile, se le voci raccolte in procura saranno confermate dagli accertamenti, che i manager di primo livello della multinazionale tedesca siano chiamati a rispondere di accuse gravissime.
Raccontano i testimoni: «Alla acciaieria in smobilitazione si lavorava sino a sedici ore consecutive». E ancora: «La manutenzione vera e l’attenzione alla sicurezza è cessata con la decisione di chiudere lo stabilimento torinese». Peccato che ad ottobre fossero state dirottate da Terni importanti commesse e che lo spaventoso rogo di mercoledì sia scoppiato a causa della rottura di un lungo flessibile contenente olio. La prima mossa della magistratura è di aver alzato il tiro: la società è stata indagata sotto il profilo della responsabilità amministrativa. Lo consente una legge entrata in vigore a fine agosto che, oltre ad addossaresanzioni economiche importanti alle aziende «colpevoli», consente ai pm di far scattare misure in via cautelare misure decisamente più pesanti, fino al sequestro degli stabilimenti.
Il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, affiancato dai pm Laura Longo e Francesca Traverso, ha impostato il lavoro su due fronti: accertare le responsabilità dell’incendio e prevenirne altri in futuro. Il riflesso dei primi accertamenti sulle condizioni di sicurezza svolti in fabbrica da vigili del fuoco, ispettori dell’Asl e della polizia scientifica . Ma si vuol andar oltre e fare in fretta (2-3 giorni) per verificare se «ogni luogo» della grande e obsoleta acciaieria consente di lavorare in sicurezza ai poco meno 200 lavoratori rimasti (nel 2002 erano quattromila). Altrimenti è probabile che scatti il provvedimento più drastico. La procura ha pure chiesto ai servizi ispettivi dell’Asl di fornirle la documentazione sui controlli di questi ultimi anni nello stabilimento. I testimoni hanno parlato di estintori vuoti o quasi, e a tarda sera era ancora in corso l’accertamento disposto dai pm per verificare quanto dichiarato loro dai lavoratori. Punta di un iceberg di irregolarità che erano evidenti già nel 2002, al tempo dell’incendio domato in tre giorni: allora i vigili del fuoco ritennero che si dovesse investire 1,5 miliardi di euro per rifare l’intero stabilimento.
Mentre proseguono le indagini, le famiglie delle vittime insistono nel chiedere giustizia. «Mio marito è morto per un omicidio non per un infortunio sul lavoro» grida disperata Sabina Laurino, moglie di Angelo, 43 anni, padre di due ragazzi, Fabrizio e Noemi di 12 e 14 anni. «Lavorare in quella fabbrica, senza nessuna garanzia di sicurezza, è stata la sua condanna a morte - prosegue Sabina -. E adesso non solo sono rimasta senza il suo amore, ma dovrò conti su come allevare due figli adolescenti». Ancora accuse alla ThyssenKrupp: «Sono dei delinquenti e se la passano bene economicamente, non sanno che esiste gente come mio marito che la sera mangiava solo pane e salame per risparmiare. Mio marito mercoledì era andato a lavorare, non in guerra e invece è morto come una torcia umana senza neppure l’onore di un soldato».
Alla ricerca di una verità «che ripari in qualche modo il dramma che stiamo vivendo» è anche Egla Scola, giovane moglie di Roberto, 33 anni, che ha smesso di soffrire all’alba di ieri. «Io ho 24 anni e non lavoro, mi occupo di Gabriele e Samuele che hanno 1 anno e mezzo e 3 anni. Come faremo a tirare avanti?». Desolazione e rabbia anche tra i familiari degli altri tre operai che lottano tra la vita e la morte: Rocco Marzo, 54 anni, Giuseppe Demasi, e Rosario Rodinò, tutti e due di 26 anni. Ieri è venuta a visitarli anche il ministro alla Sanità Livia Turco: «È inammissibile che in fabbrica si muoia in questo modo».
Terzo operaio morto alla Thyssen
La vedova alla Turco: «Giustizia»
Altri due incidenti a Cassino e Avellino *
Sono tre finora i morti della tragedia successa mercoledì notte nelle acciaierie della ThyssenKrupp di Torino. Due operai che avevano riportato ustioni nel 90 percento del corpo sono spirati il giorno dopo. Roberto Scola, 32 anni, due figli, è morto venerdì mattina, poco prima delle sette, all’ospedale Cto di Torino dove era stato ricoverato con il 95% di ustioni su tutto il corpo.
Angelo Laurino, 43 anni, due figli, è morto in serata all’ospedale S.Giovanni Bosco, anche lui aveva oltre il 90% del corpo ricoperto di ustioni gravissime. Mentre restano gravi le condizioni degli altri cinque compagni di lavoro, con ustioni fra il 60 e il 90%, ricoverati in altri ospedali. «Vogliamo giustizia» ha urlato la moglie, Sabina Laurino, al ministro Livia Turco che era andata a trovarla mentre in corsia attendeva di sapere la sorte del marito, sorretta dalla figlia più grande Noemi di 14 anni e da una psicologa dell’ospedale.
Quando è arrivato al pronto soccorso del Cto, subito dopo l’incidente e quando nel rogo era già morto il primo operaio - Antonio Schiavone, 36 anni- , Roberto Scola era ancora cosciente, e terrorizzato all’idea di non rivedere più i suoi bimbi. Fin dall’inizio, tuttavia, le sue condizioni erano state definite disperate: solo le piante dei piedi non erano bruciate.
Antonio Bocuzzi, un suo collega di lavoro, aveva raccontato di averlo visto, torcia umana, correre e urlare fuori dalla fabbrica. La prima terapia possibile era reidratarlo: i medici hanno fatto flebo da 1600 cc di soluzione acqua e sale ogni ora. Non respirava, ma un ventilatore gli muoveva i polmoni che hanno respirato fumo in grandi quantità. Sul corpo non aveva fratture. Alle 6,45 è stato dichiarato morto.
Lutto cittadino lunedì a Torino durante lo sciopero e la manifestazione per l’incendio alla Thyssen Krupp. Al lutto partecipa anche l’Ascom torinese che oltre esprimere cordoglio ai famigliari della vittima, invita i commercianti torinesi a spegnere le luci e abbassare le serrande dei negozi per cinque minuti, a partire dalle ore 10, in concomitanza con la manifestazione indetta dai sindacati.
Lunedì sera inoltre, come annunciato dal vicesindaco e assessore comunale Tom Dealessandri, per esprimere il cordoglio di Torino non verranno accese le luci d’Artista che in questo periodo prenatalizio rallegrano il capoluogo piemontese.
Il pool che fa capo al procuratore aggiunto Raffaele Guariniello ha già ascoltato alcuni testi sull’incendio. Sono stati ascoltati alcuni operai che sono scampati al rogo. Sarebbe emerso un «contesto di approssimazione» su alcune misure di sicurezza. In particolare la presenza nel reparto di estintori scarichi e il non funzionamento di un telefono di emergenza, che ha costretto un operaio a prendere una bicicletta per andare a chiedere aiuto ad altri compagni di lavoro.
È anche emerso che c’ era una sorta di abitudine a cercare di rimediare da sè ai piccoli inconvenienti senza fare intervenire le squadre di manutenzione. I magistrati vogliono ora capire perchè si fosse instaurata questa prassi e se ciò accadesse per carenze organizzative anche come conseguenza del fatto che la società stava dismettendo l’ impianto. Per quanto riguarda le cause del rogo, sembra confermato che tutto sia nato per la rottura di un tubo in cui passa olio idraulico.
Nei confronti dei dirigenti della multinazionale tedesca ThyssenKrupp inoltre pende un procedimento penale al Tribunale di Torino per l’ incendio che nel marzo del 2002 devastò una parte dello stabilimento di Torino della Acciai Speciali Terni, lo stesso dove mercoledì notte è morto un operaio ed altri nove sono rimasti feriti. Dopo la sentenza di primo grado, con tre condanne e due patteggiamenti nel maggio del 2004, il procedimento è infatti fermo in Corte d’Appello dal 2005 in attesa che venga definito il dibattimento di secondo grado. Il rischio, sostengono in Procura, è che i reati possano andare in prescrizione. Il ministro Damiano, in visita a Torino si è detto stupito del fatto che l’incidente sia avvenuto in «una grande impresa, sindacalizzata: un tipo di impresa in cui queste cose non dovrebbero accadere». E ha assicurato ai lavoratori che alle acciaierie «si tornerà al lavoro solo dopo che tutto lo stabilimento sarà stato sottoposto a verifiche di sicurezza».
La pena più elevata, otto mesi di carcere, fu inflitta a Giovanni Vespasiani, presidente del comitato esecutivo; le altre condanne, di entità inferiore, riguardarono altri quattro dirigenti. La sentenza era stata emessa dalla gup Immacolata Iadeluca al termine di un rito abbreviato. L’accusa in aula era stata sostenuta dal pm Francesca Traverso, mentre le indagini furono coordinate dal procuratore Raffaele Guariniello. Il rogo si scatenò nel reparto di laminazione la mattina del 24 marzo. Per domarlo i vigili del fuoco dovettero lavorare oltre quaranta ore, «sparando» 20 mila litri di schiuma e 50 mila litri di azoto liquido. Il pm affermò che alla «Terni» non furono prese adeguate misure precauzionali. Durante le indagini fu anche vagliata la condotta del presidente del consiglio di amministrazione della Thissenkrupp, Helmut Adris, contro il quale, però non si è proceduto.
E si continua a morire di lavoro anche nei cantieri, nelle fabbriche metalmeccaniche, non solo negli altiforni. Altri due incidenti mortali nella giornata di venerdì, altre due morti bianche. Un meccanico dipendente di una ditta che stava effettuando dei lavori allo stabilimento Fiat di Cassino: si trovava nei pressi dell’ingresso 4 e stava riparando una bisarca quando è rimasto schiacciato dal peso del rimorchio. L’uomo aveva 50 anni. Due anni di meno invece, li aveva Giuseppe Mastrullo, il muratore che, sempre venerdì, è morto in un incidente sul lavoro a Bisaccia, in provincia di Avellino, dopo essere scivolato dall’impalcatura su cui stava lavorando.
«Troppe morti sono dovute a processi industriali vetusti o inadeguati», sostiene Angelo Venuti, segretario regionale Cisl-Vigili del Fuoco del Piemonte, che in seguito all’incidente della ThyssenKrupp punta l’indice contro «i risparmi sulle opere provvisionali e sulle misure di prevenzione, la mancata formazione sulle misure di prevenzione del rischio e gestione della sicurezza, e il carente addestramento alle misure di gestione dell’emergenza». «Siamo stanchi - scrive Venuti in una nota - di assistere ad incidenti, spesso mortali, che potevano essere evitati ’perdendò cinque minuti o spendendo qualche soldo in più per la manutenzione o ascoltando la segnalazione dei lavoratori. Serve più rispetto - conclude - per la vita umana e più dignità per il lavoro».
Resta l’amarezza e il lutto. Venerdì sera all’apertura della stagione della Scala, a Torino, è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare le vittime della strage più orribile: quella dei lavoratori che muoiono per portare a casa uno stipendio da fame. Quest’anno sono già poco meno di mille.
* l’Unità, Pubblicato il: 07.12.07, Modificato il: 07.12.07 alle ore 18.52
Salgono a due le vittime dell’inferno alla ThyssenKrupp. Roberto Scola, 32 anni, aveva due figli
Cinque suoi colleghi sono in fin di vita. Oggi incontro sindacati-azienda. Lunedì sciopero
Torino, incendio alle acciaierie
morto un secondo operaio
Primi accertamenti: Un estintore era vuoto e il telefono di emergenza non era attivo
TORINO - Nell’inferno alle acciaierie della ThyssenKrupp di Torino è morto un secondo operaio: aveva il corpo interamente ricoperto di ustioni. Roberto Scola, 32 anni, è morto intorno alle sette di stamane nel reparto rianimazione dell’ospedale Cto di Torino. Aveva due figli; quando è stato ricoverato le sue prime parole ai medici le ha riservate proprio a loro: era terrorizzato di non poterli più rivedere.
Salgono così a due le vittime dell’incendio che la notte scorsa ha distrutto la linea 5 laminati dell’acciaieria in corso Regina Margherita. L’altra vittima, Antonio Schiavone, 36 anni, di Envie nel Cuneese, era sposato e padre di tre figli di 4 e 6 anni, e di un machietto nato appena due mesi fa. Il bilancio potrebbe ancora aggravarsi. In ospedale restano cinque operai in fin di vita: hanno ustioni tra il 60 e il 90% del corpo. Un compagno di lavoro, ricordando quei tragici momenti, ha detto: "Sembravano torce umane".
Ieri, per tutta la giornata la fabbrica ha reagito con rabbia, anche perché la ThyssenKrupp - dove cinque anni fa aveva preso fuoco un treno di laminazione che aveva prodotto un incendio domato soltanto dopo tre giorni - per tutti era diventata la fabbrica "dei ragazzi", il 95 per cento dei 180 dipendenti rimasti ha meno di trent’anni.
Rabbia perchè "gli estintori erano semivuoti ma sigillati e quando si è tentato di usare gli idranti l’acqua non c’era". Tocca alla magistratura accertare le responsabilità insistono i delegati sindacali, ma certo la condizione di dismissioni (quel reparto doveva chiudere a febbraio) è giudicata la ragione dell’allentamento dell’attenzione sulla sicurezza. Le indagini della magistratura partono proprio dal confronto con l’incendio del marzo di cinque anni fa per accertare se le dinamiche possono essere state analoghe e soprattutto se l’azienda ha rispettato le prescrizioni fatte allora. Gli accertamenti hanno intanto confermato che il primo estintore usato dagli operai era vuoto e che il telefono di emergenza non era attivo.
Oggi le organizzazioni sindacali incontreranno i vertici dell’azienda e nel frattempo preparano un dossier con l’elenco dei problemi finora denunciati. Lunedì sciopero di otto ore a Torino e Terni, sede del gruppo siderurgico, mentre venerdì 14 astensione nazionale dal lavoro di due ore dei metalmeccanici.
* la Repubblica, 7 dicembre 2007.
INCIDENTE SUL LAVORO
Inferno di fuoco nell’acciaieria:
un morto e sei feriti gravissimi
Esplosione nello stabilimento della ThyssenKrupp di corso Regina. Operai investiti da incendio provocato dalla fuoriuscita di olio bollente. La procura ha aperto un’inchiesta.
TORINO. Tragedia nella notte nell’acciaieria Thyssenkrupp di Torino. Un operaio di 36 anni, Antonio Schiavone, di Envie (Cuneo) è morto e altri nove sono rimasti feriti, alcuni in condizioni disperate, in un incendio divampato, attorno all’1.30, nel reparto trattamento termico.
Secondo la ricostruzione, sarebbe scoppiato un incendio che ha coinvolto un macchinario per la lavorazione dell’acciaio e gli otto operai avrebbero cercato di spegnere le fiamme prima con un estintore poi con una manichetta dell’acqua. L’acqua, però, a contatto con l’idrogeno liquido e l’olio refrigerante del macchinario avrebbe provocato una fiammata che ha investito gli operai, uno dei quali, è morto sul colpo per le gravi ustioni. Lascia tre figli piccoli: due bimbe di 4 e 6 anni e un maschio, nato appena due mesi fa.
L’impianto oggi è fermo: i lavoratori non hanno voluto entrare in fabbrica. Molti di loro sono davanti ai cancelli, in attesa di notizie dei colleghi colpiti dalle fiamme. Intanto, la procura ha aperto un’inchiesta.
Le condizioni dei feriti
I lavoratori ustionati sono stati ricoverati uno rispettivamente alle Molinette, Mauriziano, Cto, due rispettivamente all’ospedale di Rivoli, al San Giovanni Bosco e al Maria Vittoria. Hanno riportato ustioni di terzo grado al 90% del corpo i due operai, entrambi di 26 anni, Bruno Santino e Giuseppe De Masi, ricoverati al Maria Vittoria. Grave anche Angelo Laurino, 34 anni, in rianimazione al San Giovanni Bosco da dove, invece, potrebbe essere dimesso in giornata un altro lavoratore, Maurizio Boccuzzi che ha riportato lievi ustioni al volto. Un altro ferito, Rocco Marzo, 54 anni, si trova, in stato di coma farmacologico, in rianimazione alle Molinette. È ricoverato in rianimazione e versa in gravissime condizioni.
L’uomo trasportato al Cto, invece, oltre alle ustioni estese sulla maggior parte del corpo, ha riportato anche gravi lesioni craniche ed è già stato sottoposto a un intervento chirurgico. Gravissimo anche il ventiseienne trasportato all’ospedale Mauriziano che in giornata sarà trasferito in un centro grandi ustionati fuori dal Piemonte. Sono invece lievi i danni riportati dai due lavoratori ricoverati all’Ospedale degli Infermi di Rivoli (Torino): intossicati dai fumi, sono rimasti alcune ore in osservazione in pronto soccorso.
Il precedente
Già quattro anni fa c’era stato un incendio nello stesso stabilimento. Aveva preso fuoco una vasca di olio e per domare le fiamme erano stati necessari diversi giorni. Allora non ci furono nè morti nè feriti.
I sindacati: «Non basta la compassione, bisogna fermare gli incidenti»
Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero dei lavoratori metalmeccanici per lunedì prossimo con una manifestazione che si concluderà davanti alla Prefettura. «Chiediamo che si passi dalle parole ai fatti. Non basta la compassione, bisogna che si fermino gli incidenti e i morti sul lavoro», afferma il segretario generale della Fiom torinese, Giorgio Airaudo a nome dei tre sindacati. La ThyssenKrupp aveva deciso a luglio di chiudere la fabbrica torinese e di concentrare tutta l’attività produttiva nello stabilimento di Terni, ma ancora sono al lavoro circa 200 dipendenti. Proprio in questo periodo la linea 5, dove è avvenuto l’incidente, secondo fonti sindacali, aveva avuto un’intensificazione del ritmo di lavoro e l’azienda aveva deciso di mantenerla attiva fino a giugno. Alcuni lavoratori coinvolti nell’incendio - sempre secondo i sindacati - erano in straordinario da quattro ore e, quindi, lavoravano da 12 ore consecutive.
Chiesto il lutto cittadino
Il presidente del consiglio comunale di Torino, Beppe Castronovo, ha chiesto al sindaco di proclamare il lutto cittadino nel giorno del funerale di Antonio Schiavone, l’operaio deceduto.
Chiamparino: «La sicurezza sul lavoro è una priorità nazionale»
Cordoglio, ma anche un fermo richiamo, sulla scia delle parole del presidente della Repubblica Napolitano, ad affrontare con più incisività il problema della sicurezza sul lavoro, sono stati espressi stamattina dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. «Esprimo il mio cordoglio e della città intera - ha dichiarato il sindaco - alla famiglia dell’operaio deceduto , con la speranza che il bilancio non diventi ancora più tragico e che i feriti possano riprendersi presto». «Confido - ha aggiunto - che il lavoro della magistratura possa portare presto a determinare le cause della tragedia. Ma ancora una volta un grave incidente conferma purtroppo che il problema della sicurezza sul lavoro, così come autorevolmente affermato dal presidente Napolitano, rappresenta una vera priorità nazionale».
Gariglio: «Intollerabile sequenza»
Il cordoglio di tutto il Consiglio regionale è stato espresso da Davide Gariglio, presidente dell’Assemblea piemontese, alla famiglia dell’operaio deceduto.
«Ancora una volta - commenta Gariglio - gli incidenti sul lavoro segnano drammaticamente la nostra vita quotidiana. È intollerabile una sequenza così alta di persone che nello svolgere la loro attività ci lasciano la vita, dobbiamo decidere di affrontare con strumenti più efficaci il problema della sicurezza sul lavoro. Confido che si faccia presto chiarezza sulla dinamica dell’incidente». Dopo quattro anni dall’ultimo incidente nello stabilimento «dobbiamo decidere di affrontare definitivamente il tema della sicurezza nei grandi impianti siderurgici. La speranza di tutti in queste ore - conclude il presidente Gariglio - che il bilancio già drammatico non diventi ancora più tragico».
Torino, incendio in acciaieria: un morto, sei feriti gravi *
Le fiamme sono divampate nella notte di mercoledì, attorno all’1 e 30. Lo stabilimento della ThyssenKrupp di Torino in poco tempo è diventato una trappola infernale per gli operai che stavano lavorando durante il turno di notte. Uno di loro, Antonio Schiavone, 34 anni, non ce l’ha fatta. È salito a 9 il bilancio dei feriti che hanno riportato vaste ustioni in varie parti del corpo e principi di intossicazione per avere respirato il fumo sprigionatosi dopo l’ incendio. Alcuni di loro sono in condizioni disperate. Due operai, entrambi 26enni, Bruno Santino e Giuseppe De Masi hanno riportato ustioni di terzo grado al 90% del corpo. Grave anche Angelo Laurino, 34 anni, che si trova in rianimazione all’ospedale San Giovanni Bosco, così come un suo collega in coma farmacologico.
Il pronto intervento di otto squadre dei vigili del fuoco ha evitato che fosse una strage: le fiamme, infatti, hanno devastato il reparto del trattamento termico, ma non si sono estese all’intero stabilimento. Oltre all’ incendio vi sarebbe stata anche una esplosione. I pompieri sono ancora al lavoro per verificare che non ci siano ritorni di fiamma.
Ancora non sono state chiarite le cause dell’incidente: nel reparto dove sono divampate le fiamme i laminati di acciaio vengono portati ad alta temperatura e poi raffreddati in bagni d’olio per temperarli. ««Confido che il lavoro della magistratura - ha affermato il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino - possa portare presto a determinare le cause della tragedia. Ma ancora una volta un grave incidente conferma purtroppo che il problema sulla sicurezza sul lavoro, così come autorevolmente affermato dal presidente Napolitano, rappresenta una vera priorità nazionale».
Secondo una prima ipotesi, a scatenare l’incendio potrebbe essere stato dell’olio bollente traboccato dalle vasche, che avrebbe così investito gli operai che lavoravano alla linea. A quanto si apprende, l’incendio sarebbe iniziato da una piccola fiammella che in un primo momento si sarebbe tentato di spegnere con un estintore. Ma l’estintore si è esaurito e si è tentato di spegnere l’incendio con una lancia ad acqua, che avrebbe avuto l’effetto di aumentare l’incendio.
La ThyssenKrupp detiene purtroppo un triste primato: quattro anni fa nello stesso stabilimento di Torino si era verificato un grosso incendio: aveva preso fuoco una vasca d’olio e le fiamme erano state domate solo dopo alcuni giorni. Ma in quell’ occasione, fortunatamente, non vi erano state vittime. Sul sito internet del gruppo tedesco che in Italia ha sede a Terni e a Torino e che opera nel campo della produzione e distribuzione degli acciai speciali, c’è un avviso che oggi suona come paradossale.
«Prevenire è meglio che spegnere» si legge in una nota pubblicata lo scorso 12 luglio. Nel comunicato, si legge del sistema antincendio a disposizione della ThyssenKrupp, sviluppato dopo che nel 2006 lo stabilimento tedesco di Krefeld era stato gravemente danneggiato. L’episodio, scrivono, «dimostra quanto serio sia il rischio di simili eventi all’interno di realtà come le nostre, dove le potenziali cause di incendio sono moltissime: da quelle elettriche (scintille, surriscaldamento di motori ecc.) alle esplosioni, fino alla distrazione umana (classico è l’esempio del mozzicone di sigaretta involontariamente gettato tra sostanze infiammabili)». Si illustra così il sofisticato sistema messo a punto per prevenire ogni focolaio e si sottolinea anche l’attività di formazione realizzata per gli operai. «Un brindisi vicino al nuovo laminatoio - raccontano l’ultimo giorno di corso quelli della ThyssenKrupp - ha concluso la giornata, in attesa di prossime occasioni di festa».
Oggi i lavoratori si sono rifiutati di entrare al lavoro e per questo l’acciaieria è rimasta chiusa. «Non torneremo al lavoro se prima non avremo garanzie sulla sicurezza in fabbrica. Al momento mancano», affermano i lavoratori, che stanno preparando un dossier sulle condizioni di lavoro nella fabbrica, con dati e testimonianze. Lunedì i sindacati confederali dei metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero. «Chiediamo che si passi dalle parole ai fatti - dicono - Non basta la compassione, bisogna che si fermino gli incidenti e i morti sul lavoro». A quanto riferito dai sindacati, la ThyssenKrupp aveva deciso a luglio di chiudere la fabbrica torinese e di concentrare tutta l’attività produttiva nello stabilimento di Terni, ma ancora sono al lavoro circa 200 dipendenti. Proprio in questo periodo la linea 5, dove è avvenuto l’incidente, secondo fonti sindacali, aveva avuto un’intensificazione del ritmo di lavoro e l’azienda aveva deciso di mantenerla attiva fino a giugno. Alcuni lavoratori coinvolti nell’incendio - sempre secondo i sindacati - erano in straordinario da quattro ore e, quindi, lavoravano da 12 ore consecutive.
I lavoratori metalmeccanici di tutt’Italia si fermeranno per due ore venerdì 14 dicembre per chiedere maggiore prevenzione e sicurezza sul lavoro. Le due ore di sciopero - spiega il segretario nazionale della Uilm Mario Ghini - sono in aggiunta alle otto ore di sciopero proclamate per la città di Torino per lunedì.
Omicidio, lesioni personali e incendio colposi sono le tre ipotesi di accusa formulate nel fascicolo aperto dalla magistratura. Il magistrato Laura Longo, sostituto procuratore del pool di Raffaele Guariniello, ha specificato che al momento non ci sono indagati e che già in giornata potrebbero essere ascoltati come testimoni alcuni operai che hanno assistito alla tragedia. Longo, che si è recata sul posto nella notte e vi è rimasta fino alle 6 di stamattina, ha dato disposizione di acquisire dall’azienda documentazione relativa alle misure antinfortunistiche e alla contrattualizzazione dei lavoratori impegnati sulla linea 5.
«Ancora una volta degli operai muoionomentre lavorano. Il ministro del Lavoro Damiano venga in Senato a riferire sul grave incidente di Torino», chiede Massimo Brutti (Partito Democratico) intervendo in aula in apertura dei lavori. «Il governo deve dire cosa intende fare per impedire che le cosiddette "morti bianche" continuino». «Il ministro del Lavoro Cesare Damiano è disponibile a riferire nell’aula del Senato sull’incidente in una acciaieria di Torino», ha annunciato il presidente del senato Franco Marini.
* l’Unità, Pubblicato il: 06.12.07, Modificato il: 06.12.07 alle ore 14.59
L’incidente all’1.30 nella ThyssenKrupp. Investiti dall’incendio provocato dalla fuoriuscita di olio bollente
Ricoverati in condizioni disperate. I sindacati: "Quei lavoratori erano alla linea 5 da 12 ore"
Torino, incendio in acciaieria
un operaio morto, sei in fin di vita
Uno degli intossicati: "Ho visto l’inferno. Antonio era avvolto nelle fiamme e gridava: Aiutatemi, muoio"
Due ore di sciopero nazionale dei lavoratori metalmeccanici proclamate venerdì 14 *
TORINO - Fiamme nell’acciaierie della ThyssenKrupp, a Torino. Un operaio è morto ed altri sei sono in fin di vita. Li ha investiti l’incendio provocato dalla fuoriuscita dell’olio bollente che serve per raffreddare i laminati. Già quattro fa aveva preso fuoco una vasca d’olio e le fiamme erano state domate solo dopo alcuni giorni. In quell’occasione, però, non vi erano stati feriti. Stamane all’alba, invece, il bilancio è stato ben più drammatico: è morto Antonio Schiavone, 36 anni, di Envie nel Cuneese, sposato e padre di tre figli di 4 e 6 anni, e di un machietto nato appena due mesi fa.
Versano in condizioni disperate Bruno Santino e Giuseppe De Masi, entrambi di 26 anni, ricoverati con i corpi quasi completamente coperti da ustioni. Grave anche Angelo Laurino, 34 anni, in rianimazione all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Prognosi riservata per Rocco Marzo, 54 anni, ustionato per l’80% del corpo, e per altri due colleghi tra cui Rosario Rodinò di 26 anni, mentre due lavoratori intervenuti in un soccorso ai compagni feriti, sono stati ustionati, fortunatamente in modo più lieve e lamentano segni di una leggera intossicazione dai fumi. Maurizio Boccuzzi, infine, ha riportato ustioni leggere ad una mano e al volto.
"Ho visto l’inferno", ricorda Giovanni Pignalosa, delegato della Fiom, uno degli operai rimasti intossicati dal fumo dell’incendio. "Antonio era avvolto nelle fiamme e gridava: Aiutatemi, muoio. Ma era impossibile avvicinarsi".
L’incendio è scoppiato all’una e mezza di notte nella linea 5, adibita al trattamento termico dei prodotti di laminazione. Pare che sia traboccato l’olio bollente usato per temperare i laminati. Gli operai hanno cercato in un primo momento di spegnere le fiamme con estintori e una manichetta dell’acqua. L’acqua però, a contatto con l’idrogeno liquido e l’olio refrigerante, pare abbia provocato una fiammata che ha investito gli operai. Quando sono arrivati i vigili del fuoco con decine di squadre, il reparto era competamente distrutto.
Secondo i sindacati , alcuni dei lavoratori coinvolti nell’incidente, erano al lavoro da 12 ore consecutive: avevano già accumulato 4 ore di strordinario. La ThyssenKrupp aveva deciso a luglio di chiudere la fabbrica torinese e di concentrare tutta l’attività produttiva nello stabilimento di Terni, ma ancora nello stabilimento in via regina Margherita sono al lavoro circa 200 dipendenti. Proprio in questo periodo la linea 5 aveva avuto un’intensificazione del ritmo di lavoro e l’azienda aveva deciso di mantenerla attiva fino a giugno.
Proclamato per venerdì 14 sciopero nazionale di due ore dei lavoratori metalmeccanici per chiedere maggiore prevenzione e sicurezza sul lavoro. Altre otto ore di sciopero sono state invece proclamate da Fim, Fiom e Uilm per la città di Torino e Terni, sede del gruppo metalmeccanico ThyssenKrupp. "Chiediamo che si passi dalle parole ai fatti. Non basta la compassione, bisogna che si fermino gli incidenti e i morti sul lavoro", ha detto il segretario generale della Fiom torinese, Giorgio Airaudo a nome dei tre sindacati. Domani mattina, i rappresentanti sindacali incontreranno i vertici dell’Unione industriale di Torino.
"Confido che il lavoro della magistratura possa portare presto a determinare le cause della tragedia", ha detto il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. "Ancora una volta un grave incidente conferma purtroppo che il problema della sicurezza sul lavoro, così come autorevolmente affermato dal presidente Napolitano, rappresenta una vera priorità nazionale".
* la Repubblica, 6 dicembre 2007.
la storia
Le Ferriere, la Fiat lo stato e i tedeschi
di Lo. C. (il manifesto, 07.12.2007)
Fiat sezione Ferriere, poi Teksid (sempre Fiat), quindi Ilva cioè Iri cioè stato italiano, infine Thyssenkrupp. 13 mila dipendenti all’inizio della corsa, 200 oggi, anzi meno dopo la mezza strage di ieri notte. Le Ferriere sono una delle fabbriche storiche di Torino. Nata nel dopoguerra, resta nelle mani degli Agnelli fino all’82 dopo aver cambiato nome nel ’77 in Teksid.
Si compone di tre filiere al momento della crisi dell’industria pesante, all’inizio degli anni Ottanta, quando l’azienda torinese inizia a scaricare pezzi di fabbrica sullo stato: il settore inox al 100% entra a far parte dello stesso gruppo a cui appartiene la Terni; gli acciai comuni al 49% Fiat e al 51% Iri e infine l’acciaio omogeneo (soprattutto lamiere per auto) dove la presenza Fiat si riduce al 20%.
Nel 1989 si costituisce l’Ilva, l’azienda pubblica in cui si sarebbero dovuti conferire soltanto i settori forti della siderurgia italiana, e cioè Torino, Terni e Taranto. Invece, uno alla volta entrano anche tutti gli altri stabilimenti, alcuni dei quali poco competitivi. Nel ’92 la società accumula un debito di 10 mila miliardi di lire e siccome l’Ue impedisce nuove sovvenzioni pubbliche, restano soltanto due possibilità: il fallimento, oppure la vendita.
Il primo passo è lo spezzettamento dell’Ilva e il secondo la vendita. Taranto finisce in mano di Riva per una manciata di milioni, Terni e Torino vengono acquistate da un pool di imprenditori con alcuni italiani come Riva, ma di cui Thyssen e Krupp detengono la maggioranza del capitale. Infine, i due giganti tedeschi si unificano nella Thyssenkrupp e acquisiscono l’intero pacchetto azionario delle fabbriche di Torino e di Terni. «L’unica garanzia chiesta ai tedeschi - ci racconta Antonio Romano, memoria storica delle Ferriere, dirigente Fiom oggi in pensione - fu il mantenimento dell’occupazione per 10 anni, rispettato fino al ’94 quando esplose la crisi e fu minacciata la chiusura di Terni».
Il resto è cronaca: la Thyssenkrupp, che voleva portare la produzione degli acciai speciali in Germania, fu costretta dalle dure lotte degli operai umbri e dalle mediazioni del governo e delle istituzioni a scendere a patti. Patti amari per i torinesi, con l’annuncio della chiusura delle ex Ferriere. Lo smantellamento degli impianti è andato avanti per tre anni, il personale più professionalizzato è stato messo fuori. Il reparto «esploso» ieri avrebbe dovuto chiudere a febbraio del 2008, ma una coda di commesse ha reso «necessaria» un’intensificazione della produzione tutta a carico degli ultimi operai rimasti, costretti a una insostenibile intensificazione dei ritmi e a un cumulo di straordinari, mente venivano meno le condizioni di sicurezza, con le macchine tirate fino al punto di rottura. Come è successo alle due di notte di ieri.
Tutti vittime
di Rosario Amico Roxas
Le vittime del rogo di Torino non sono soltanto i morti e i feriti (alcuni gravissimi), nel tragico bilancio bisogna includere anche tutti quegli operai che, adesso, rischiano il posto di lavoro.
Non si tratta di un lavoro pulito, sicuro, ma di un lavoro dove la precarietà non coinvolge il quotidiano, ma la vita stessa; in quell’inferno non è precario il salario, mai abbastanza commisurato ai rischi, ma diventa precario tutto, la vita, la famiglia, l’educazione e il mantenimento dei figli.
La fabbrica era in fase di dismissione, per cui i controlli sulla sicurezza non erano adeguati; ma questa non è un’attenuante, ma un’aggravante, perché implica la consapevolezza dei rischi possibili con le conseguenze puntualmente arrivate.
Il battage dei mass media adesso punta alla commozione, stimola l’emotività, per nascondere e mimetizzare i responsabili dei quali non si parla. Sembra proprio che non esistano responsabili, in attesa che venga organizzato lo “scaricabarile”, utile solamente a dilatare nel tempo ogni accertamento e collocare la tragedia annunziata nel novero degli eventi passati, con carichi penali coperti da prescrizioni di comodo.
E’ questo lo “Stato leggero”, che non si impiccia dei problemi produttivi in nome e per conto della concorrenza sul mercato, della competitività internazionale, dei margini di guadagno, dei bilanci aziendali, molti dei quali legalmente falsificati. Ispettori del lavoro retribuiti in nero dalle aziende come “consulenti” per la sicurezza, cioè controllati e controllori con il medesimo incarico.
Anche questa si chiama “libertà”; libertà dai vincoli, dagli obblighi, dai doveri; libertà dai rendiconti, a cui corrisponde, inversamente proporzionale, la libertà di lavorare per vivere.
Nessuno, ancora,ci ha detto a chi appartiene quella fonderia della morte, chi ha lucrato sulla strage, chi si è arricchito mantenendo i propri operai in quella condizione di temporanea sopravvivenza.
Alla tragedia va ad aggiungersi il dramma della disoccupazione preventivata, così gli operai che sono rimasti coinvolti nel rogo, lasceranno agli eredi le spettanze previste dagli infortuni sul lavoro, mentre per gli altri, quasi colpevoli di non essere rimasti inceneriti, si affaccia lo spettro della disoccupazione.
Si avvicina il Natale, ci siederemo intorno ad una tavola imbandita e ci scambieremo gli auguri; saranno trascorse due settimane, giusto il tempo per dimenticare.
Rosario Amico Roxas