[...] In questi giorni, ci siamo chinati sulle nostre diverse tradizioni religiose che, in modo differente, testimoniano un messaggio di pace dalle radici antiche. Abbiamo intrecciato il nostro dialogo con uomini e donne di cultura laica e umanista. Abbiamo vissuto una scuola di dialogo.
Oggi ci siamo raccolti nella preghiera secondo le diverse tradizioni religiose, convinti del valore dell’invocazione a Dio nella costruzione della pace. Abbiamo mostrato come la preghiera non divide, ma unisce: abbiamo pregato gli uni accanto agli altri, non pregheremo mai gli uni contro gli altri [...]
DIALOGO TRA RELIGIONI IL TESTO INTEGRALE DELL’APPELLO DI PACE 2006
Pubblichiamo il testo integrale dell’appello di pace 2006, firmato ieri sera dai rappresentanti religiosi, a conclusione dell’incontro interreligioso di Assisi (4-5 settembre), promosso nel XX anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata da Giovanni Paolo II nell’ottobre 1986.
Abbiamo ripreso questo testo dal sito dell’agenzia SIR www.agensir.it *
Mercoledi 06 Settembre 2006
Uomini e donne di differenti religioni, ci siamo ritrovati ad Assisi, città di Francesco, santo della pace, in un momento difficile del nostro mondo, così carico di tensioni, conflitti, minacce terroristiche. Abbiamo ricordato l’iniziativa audace e profetica di Giovanni Paolo II che, nel 1986, in piena guerra fredda, invitò a Assisi i leader religiosi del mondo a pregare per la pace. Fu l’inizio di un cammino di dialogo, di preghiera e di pace, che ora è tornato ad Assisi. E’ un cammino che ha liberato energie di pace e ha continuato a fare sperare tanti in un futuro di pace.
In questi giorni, ci siamo chinati sulle nostre diverse tradizioni religiose che, in modo differente, testimoniano un messaggio di pace dalle radici antiche. Abbiamo intrecciato il nostro dialogo con uomini e donne di cultura laica e umanista. Abbiamo vissuto una scuola di dialogo.
Oggi ci siamo raccolti nella preghiera secondo le diverse tradizioni religiose, convinti del valore dell’invocazione a Dio nella costruzione della pace. Abbiamo mostrato come la preghiera non divide, ma unisce: abbiamo pregato gli uni accanto agli altri, non pregheremo mai gli uni contro gli altri. Abbiamo rivolto la nostra attenzione a tante situazioni di conflitto e di dolore, che coinvolgono migliaia di persone, tante famiglie, tanti popoli. Ne abbiamo condiviso la sofferenza. Non vogliamo dimenticarle né rassegnarci al loro dolore.
I problemi sono tanti nel mondo di oggi. Ma, per questo non ci rassegniamo alla cultura del conflitto, secondo cui lo scontro sarebbe l’esito inevitabile del prossimo futuro di intere comunità religiose, di culture e civiltà.
Siamo uomini e donne credenti, non siamo ingenui. Il secolo che è trascorso ci ha mostrato come guerre mondiali, la Shoah, genocidi di dimensioni non immaginabili, oppressione di massa, ideologie totalitarie, hanno rubato milioni di vite umane e non hanno rinnovato il mondo come promettevano. Per questo diciamo: nessuno scontro è un destino inevitabile, nessuna guerra è mai naturale.
La pace è irrinunciabile, anche quando appare difficile o disperato perseguirla. Vogliamo aiutare ogni uomo e ogni donna, chi ha responsabilità di governo, a rialzare gli occhi oltre il pessimismo, e scoprire come la speranza è vicina se si sa vivere l’arte del dialogo. Le religioni abituano i credenti a cercare di realizzare valori alti che sembrano, a molti, poco facilmente praticabili. Non possiamo rinunciare a ridurre l’abisso tra i ricchi e i poveri e a cercare la pace in ogni modo. Questa è la speranza che comunichiamo e proponiamo qui dal colle di Assisi, chiedendo ai fedeli delle nostre comunità di pregare e di operare per la pace.
Crediamo nel dialogo, paziente, veritiero, ragionevole: dialogo per la ricerca della pace, ma anche per evitare gli abissi che dividono culture e popoli e che preparano gravi conflitti. Tutti noi, esponenti di religioni diverse, abbiamo affermato il valore del dialogo, del vivere in pace, mentre lo abbiamo praticato lungo questi giorni in spirito di amicizia, come modello e esempio ai fedeli delle nostre comunità. La guerra non è inevitabile. Le religioni non giustificano mai l’odio e la violenza. Chi usa il nome di Dio per distruggere l’altro si allontana dalla religione pura.
Chi semina terrore, morte, violenza, in nome di Dio, si ricordi che la pace è il nome di Dio. Dio è più forte di chi vuole la guerra, di chi coltiva l’odio, di chi vive di violenza.
Per questo la nostra speranza è quella di un mondo di pace. Niente è perduto con il dialogo, tutto è possibile con la pace! Mai più, allora, la guerra. Dio conceda al mondo il dono meraviglioso della pace!
* www.ildialogo.org, Mercoledì, 06 settembre 2006
Lettera delle Comunità Islamiche del nord est al Presidente della Conferenza Episcopale Triveneta , Patriarca Card. Angelo Scola *
Riceviamo da Kamel Layachi , presidente del Consiglio Islamico di Vicenza la lettera che di seguito pubblichiamo e che le Comunità Islamiche e gli Imam del nord est hanno indirizzato al Presidente della Conferenza Episcopale Triveneta , Patriarca Card. Angelo Scola in risposta al messaggio di augurio rivolto alle Comunità islamiche del nord est in occasione del mese sacro del Ramadhan 2006 . (Per il testo di questa lettera clicca qui). Di seguito anche i nominativi delle Comunità e imam che hanno aderito all’iniziativa. Questa lettera dimostra, una volta di più, come il dialogo fra cristiani e musulmani sia oramai patrimonio comune ed una necessità imprescindibile del proprio essere credenti.
Per informazioni contattare Kamel Layachi allo 3339668584 oppure via mail layachi_kamel@yahoo.it.
Il testo della lettera
In nome di Allah , il Misericordioso , il Clementissimo
Comunità e centri Islamici del Nord Est Identità - Cittadinanza - Partecipazione
Mercoledì, 18 ottobre 2006
S.E.Rev.ma Card. Angelo Scola Presidente Conferenza Episcopale Triveneta
Loro Eccellenza , Vescovi del Nord Est
Le Comunità islamiche e gli Imam dei centri culturali Islamici del Triveneto esprimono il loro vivo ringraziamento e gratitudine per il messaggio di augurio rivolto , in occasione del mese sacro di Ramadhan 2006 , dalla Conferenza Episcopale Triveneta ai Musulmani del Nord Est d’Italia . Il messaggio letto e diffuso in vari centri di preghiera della Comunità islamica è stato molto apprezzato dai fedeli Musulmani e ha riacceso speranze di intesa , di dialogo e di pace . Questa iniziativa vostra , conferma per noi Musulmani ciò che il Corano ci ha insegnato : ’’ troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono , in verità siamo nazareni , perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia’’ ( Versetto 82 Sura V ) . In questa felice occasione , gli imam e i dirigenti della Comunità Islamica del Nord Est rinnovano la loro piena e convinta disponibilità a fare crescere l’albero del dialogo , della convivenza e dell’amore fraterno . Siamo più che mai convinti che la somma dei valori spirituali e morali che uniscono Cristiani e Musulmani di buona volontà ci aiuterà a dare vita nel prossimo futuro ad altre iniziative costruttive e a rafforzare quelle già attuate. Siamo certi che la visita del Papa Benedetto XVI a Verona prevista per il 19 ottobre 2006 e che avviene alla vigilia della quinta giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico darà una spinta maggiore e una marcia in più al nostro comune cammino verso la pace e il mutuo rispetto .
O Dio , a Te la gratitudine degna della Tua Maestà e della Tua imponente sovranità , O Dio , donaci la fede , l’amore e la pace , purifica i nostri cuori dall’odio e dal rancore e guidaci verso la strada della verità , O Dio , Ti chiediamo i mezzi per godere della Tua misericordia , per meritare il Tuo perdono e il Tuo Paradiso , O Dio , donaci la saggezza che occorre per amare la pace , donaci l’amore per andare oltre la pace & Solo con il Tuo aiuto Signore costruiremo un giusto futuro .
Con stima,
Le Comunità Islamiche e gli Imam del Nord Est .
Hanno aderito a questo messaggio
Per Il Consiglio Islamico di Vicenza -Onlus - Imam Kamel Layachi
Per il Consiglio Islamico di Verona - Onlus- Imam Mohamed Abdessalem Guerfi
Per il Consiglio Islamico di Treviso e Provincia - Onlus -
Per la Comunità Islamica di Padova e Provincia Imam Mostafa Jabal
La Comunità Islamica di Santa Giustina ( Provincia di Belluno )
Per la federazione Cheikh Amadu Bamba del Veneto ( Comunità Senegalese nel Veneto ) Presidente Diop Tala
Per la Comunità Islamica del Trentino Alto Adige ( Trento , Bolzano , Rovereto , Cles , Riva del Garda ) Imam Abulkheir Bregheiche
Per il Centro culturale islamico di Trieste e della Venezia Giulia Imam Salah Igbaria
Per la Comunità Islamica in Friuli ( Udine e provincia ) Imam Erbeh Mohammed
www.ildialogo.org, Giovedì, 19 ottobre 2006
Convegno di Studi DIRITTI UMANI E RELIGIONI: IL RUOLO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
Venezia 4/6 Dicembre
Università Cà Foscari di Venezia - CIRDU Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Diritti Umani
Nel complesso rapporto tra religioni e diritti umani la situazione contemporanea presenta aspetti inediti, da quando le grandi religioni mondiali hanno riacquistato influenza nella sfera pubblica, contribuendo alle principali questioni planetarie. Nonostante le variabilità geopolitiche e culturali, la nuova congiuntura solleva un problema comune: in che misura il fatto religioso attivo nel mondo contemporaneo aiuta od ostacola l’identificazione e la fruizione dei diritti umani? In questo ambito sorge il tema della libertà religiosa e del suo significato.
Alcune domande faranno da sfondo: che apporto le grandi religioni hanno dato e danno ai diritti umani?
Come si intende la libertà religiosa in Oriente e in Occidente? In che senso tale libertà è un bene per ogni società? Si estende o si riduce il rispetto della libertà religiosa?
Analisi mirate esamineranno:
la vicenda storica della libertà religiosa
il suo posto nel sistema dei diritti umani e le istituzioni di tutela
la sua situazione in India, Tibet, Cina, Russia, Giappone, Europa centro-orientale e nell’area islamica, con ulteriori approfondimenti nel campo delle discriminazioni per motivi religiosi.
Auditorium Santa Margherita
Dorsoduro 3689 -Venezia
http://www.unive.it/media/allegato/centri/CIRDU/progr_CIRDU_4-12-2008.pdf
Giovedì 4 dicembre ore 15,00
Presiede Vittorio Possenti, Università Ca’ Foscari Venezia
Saluto del Rettore
Prolusione
“Libertà per se stessi, libertà per gli altri”:
la vicenda storica della libertà religiosa
Pier Cesare Bori, Università di Bologna
La libertà religiosa: suo significato e posizione
entro il sistema dei diritti umani
V. Buonomo, Università Lateranense, Roma
17,00-17,30 Pausa
Situazione della libertà religiosa nel Consiglio Onu
sui diritti umani
R. Pisillo Mazzeschi, Università di Siena
Dibattito
19,00 chiusura della sessione
Venerdì 5 dicembre ore 9,15
Presiede Giovanni Vian, Università Ca’ Foscari Venezia
SITUAZIONE DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
NEL CONTESTO EUROPEO
Ortodossia e linguaggio sui diritti umani in Russia.
Nuovo legame tra religione e politica
Giovanni Codevilla, Università di Trieste
Religione, società e diritti umani nel contesto
centro-orientale
G. Barberini, Università di Perugia
10,45-11,15 Pausa
Religione, società e diritti umani nel contesto
centro-orientale
G. Cimbalo, Università di Bologna
Intervento
Considerazioni sulla questione del Tibet
G. Goisis, Università Ca’ Foscari Venezia
Dibattito
12,30 chiusura della sessione
Venerdì 5 dicembre ore 15,30
Presiede Adalberto Perulli, Università Ca’ Foscari Venezia
IL RUOLO DELLA RELIGIONE IN ASIA
IN ORDINE AI DIRITTI UMANI
La libertà religiosa in Giappone
M. Raveri, Università Ca’ Foscari Venezia
La libertà religiosa in India; fondamentalismo hindu,
reazioni islamiche e cristiane, neobuddhismo
A. Rigopoulos, Università Ca’ Foscari Venezia
17,00-17,30 Pausa
La libertà religiosa in Cina
R. Cavalieri, Università Ca’ Foscari Venezia
Dibattito
19,00 chiusura della sessione
Sabato 6 dicembre ore 9,15
Presiede Mario Nordio, Università Ca’ Foscari Venezia
DIRITTI UMANI E RELIGIONE:
IL PUNTO DI VISTA GIURIDICO
La tutela della libertà religiosa nel sistema ONU
e nei sistemi regionali
L. Zagato, Università Ca’ Foscari Venezia
Discriminazione sul lavoro per motivi religiosi
A. Perulli, Università Ca’ Foscari Venezia
10,45-11,15 Pausa
Il diritto alla libertà religiosa nel contesto islamico
I. Zilio Grandi, Università di Genova
Intervento
Islam, laicità, secolarizzazione
B. de Poli, Università Ca’ Foscari Venezia
12,00 Conclusioni
12,30 chiusura del convegno
PER LA PACE, IL DIALOGO, E LA RICONCILIAZIONE - COME AD ASSISI, A LORETO: SULLA SCIA GORAGGIOSA ("non abbiate paura) di Giovanni Paolo II - W O ITALY !!!
Anche dal Medioriente per pregare insieme e testimoniare il grande valore della condivisione
«Eurhope»: a Loreto il volto giovane della pace
All’ombra della Santa Casa l’XI edizione del raduno che ricorda l’incontro dei ragazzi del Vecchio Continente con Wojtyla nel1995
Da Loreto Giacomo Ruggeri (Avvenire, 10.09.2006)
Farsi casa perché Dio possa abitare il cuore dell’uomo. Da stranieri a ospiti, da nomadi a pellegrini con la consapevolezza che accogliere significa svelarsi e condividere. È ancora vivo il ricordo del 10 settembre 1995 quando Giovanni Paolo II volle incontrare i giovani d’Europa nella spianata di Montorso a Loreto: nacque Eurhope e con esso il centro di spiritualità per i giovani intitolato a Papa Wojtyla. Ieri sera e per tutta la notte nella Basilica dedicata alla Vergine Lauretana erano tanti i giovani a pregare; non è stato solo ricordato un evento, ma si è rinnovato l’impegno ad essere tessitori di riconciliazione. «Ci sono qui presenti stasera dei ragazzi con delle bandiere - ha detto monsignor Gianni Danzi, arcivescovo prelato di Loreto salutando in modo particolare i giovani dell’Agorà del Mediterraneo - e non c’è una bandiera unica per tutti, ma tante diversità. È bello vedere che sotto la bandiera turca c’è un turco, sotto la bandiera libanese un ragazzo libanese eppure tutte queste bandiere fanno l’unione, perché il libanese è vicino al palestinese, l’israeliano e vicino al siriano».
Paesi che sono conosciuti purtroppo quasi solo per il versante della guerra ma che nella loro forza più giovane stanno lavorando per il dialogo e la riconciliazione. Parole che si sono tramutate in realtà ed esperienza nelle parole dei frères Leandro e Cristiàn della comunità di Taizé. E il ricordo di frère Roger, ad un anno della morte, riecheggia nella loro testimonianza. «Molti giovani aspirano ad un’unità interiore per scoprire veramente chi sono - hanno raccontato a Loreto i monaci di Taizé -. Quando abbandoniamo questa ricerca dell’unità, l’essenziale è come velato e viviamo una frustrazione. L’individualismo non è la strada che porta alla felicità: è soltanto nella condivisione con gli altri che possiamo scoprire noi stessi». Taizé, questa parabola di riconciliazione nel cuore dell’Europa non vuole essere la meta finale per coloro che la frequentano. «Ogni persona - hanno proseguito Leandro e Cristiàn - hanno bisogno di trovare una patria per il loro cuore. E questa non è Taizé, ma Dio. In italiano c’è quella bellissima parola che non esiste in altre lingue: essenzialità. In una situazione dove non ci sono tutte le comodità che normalmente riempiono la vita dei giovani oggi, si può scoprire una dimensione più essenziale dell’esistenza».
Maria, quale icona per eccellenza della fedeltà a Dio, continua a rendere docili i cuori dei tanti giovani che si pongono in atteggiamento di ricerca e serio cammino di discernimento vocazionale. Ma fra tante incertezze presenti nella società, quali aiuti e consigli per riscrivere ognuno il proprio «Eccomi». «Il sì al fondo del nostro cuore - hanno ricordato ai giovani i frères di Taizé - non viene fuori quando siamo obbligati, ma quando ci sentiamo capiti ed amati come siamo, da qualcuno che vede i nostri difetti ma vede anche e soprattutto in noi qualcosa di più profondo, un cuore fatto per il dono di sé. Questo sì a Dio, che viene dal più profondo del cuore umano - hanno proseguito - è quindi innanzitutto un sì all’amore, alla vita. Poi si concretizza in diverse maniere: formando una famiglia o prendendo il cammino della vita sacerdotale o religiosa».
In una cultura dell’immediato e fruibile, pensare e pregare per ciò che ha sapore del «per sempre» non è semplice coltivare i semi del Vangelo. Ma dalla comunità d’oltralpe di Taizé non tarda il monito che incoraggia i giovani: «Molti giovani oggi hanno sperimentano innanzitutto le rotture dell’amore - raccontano Leandro è Cristiàn - e quindi fanno fatica a credere che una continuità in una scelta di vita sia possibile. La Chiesa non è forse chiamata ad essere il luogo dove si scopre il volto di un Dio compassionevole e fedele? E quando si parla della Chiesa - concludono i frères - si parla ovviamente di tutti noi, chiamati a testimoniare con la nostra esistenza che un sì a Dio per tutta la vita, sulle orme della Vergine Maria e di tanti santi, può essere una realtà oggi».
NUOVA DELHI
Leader religiosi a confronto sulla pace
di Agenzia ZENIT del 4 - 9- 2006 *
NUOVA DELHI, lunedì, 4 settembre 2006 (ZENIT.org ).- Circa 800 leader religiosi di più di 100 Paesi hanno partecipato all’VIII Assemblea Mondiale delle Religioni per la Pace a Kyoto, in Giappone.
“In un momento in cui la religione viene pilotata da estremisti, i leader religiosi si sono riuniti a Kyoto per dimostrare al mondo intero il potere delle comunità religiose nell’illuminare il sentiero verso la pace quando lavorano insieme”, ha detto William Vendley, Segretario generale di Religions for Peace.
“La Dichiarazione di Kyoto offre una nuova visione di sicurezza condivisa che pone giustamente le comunità religiose al centro degli sforzi per affrontare la violenza in tutte le sue forme”, ha aggiunto.
Il tema della conferenza del 26-29 agosto è stato “Affrontare la violenza e promuovere la sicurezza condivisa”.
L’Arcivescovo Vincent Concessao di Nuova Delhi, in un’analisi pubblicata dal servizio informativo dei Vescovi indiani, ha scritto della conferenza: “L’enfasi è stata posta sulla parola ‘condivisa’. Indicava che la pace è indivisibile. O ne godono tutti o nessuno. In un villaggio globale come il nostro pianeta, non ci possono essere isole di pace”.
“I delegati - ha aggiunto - sono stati determinati nel mobilitare le loro comunità religiose a lavorare insieme e con tutte le sezioni della società per porre fine alla guerra, combattere per costruire comunità più giuste, promuovere l’educazione alla giustizia e alla pace”.
ZI06090404
*
www.ildialogo.org, Martedì, 05 settembre 2006
VOCABOLARIO MINIMO DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO. Per un’educazione all’incontro tra le fedi. Recensione al libro di Brunetto Salvarani, Vocabolario minimo del dialogo intrerreligioso, EDB 2008. Seconda edizione aggiornata e aumentata
di LAURA TUSSI
La pedagogia del dialogo si esplica in percorsi comunitari militanti e pratiche dialettiche di conduzione anagogica verso il cambiamento tra identità e differenza quale metabletica implicita nelle transizioni maieutiche di pluralismi religiosi e nelle interdipendenze di alternative cultuali, quali istanze proteiformi contemporanee presenti nelle società occidentali, nell’ambito di una costante dialettica maieutica di incontro e confronto secondo empatia e passione tra uomini e donne di differenti pratiche teologiche e di fede, dove incontrare l’altro nella sapienza. L’”alfabeto dialogico” si dipana e propaga nell’ascolto e nella conoscenza in un orizzonte ecumenico globale a contatto con posizioni interreligiose e confini multietnici e pluriculturali in limitrofe concezioni di decentramento solidale, dove dall’omologia teologica si prospettano divergenze ideologiche e teleologiche, immaginando teorie egualitarie nella concezione di uguaglianza tramite il pensare le differenze, tra equità di opposizioni e contrasto tra posizioni. Dunque “dialogo interreligioso” e racconto intrabiografico, quale prospettiva dialettica costante e connubio dialogico militante tra pluralismi teologici in rievocabili e riattualizzabili ierofanie e fenomenologie teofaniche manifeste come eventi rapsodici nella civiltà occidentale. Il dialogo è il presupposto comunicativo tra esseri umani, una modalità relazionale e trasmissiva di contenuti, nozioni e semplici messaggi, come espressione di idee, di valori ed anche sentimenti, emozioni e stati d’animo. Il dialogo diventa però opera di cammino comunitario, di percorso ecumenico, quale intento volutamente costruttivo, quando implica atteggiamenti di accoglienza, nel confronto, nell’interscambio proficuo di identità diverse, in relazioni dialogiche di dinamicità dialettica, nel contenere in sé la diversità di cui l’altro si fa portatore. Accogliere, ma anche tollerare e (perché no?) anche sopportare l’entità altra, la differenza altrui, quale vessillo e memoria che l’”altrui” identità ha effigiata ed impressa nel suo essere “altro” da noi. Il dialogo, il confronto, l’interscambio, la condivisione, oltre che a costituire nobili intenti etici, di corretto vivere comunitario, implicano il rapporto con la diversità, nel tollerarla, assimilarla, riconoscerla ed accettarla, farla propria, pur mantenendo le distinte identità degli interlocutori, i caratteri imprescindibili di ogni cultura, di ogni credo, di ogni ideale politico, nel confronto dialettico tra memorie, storie di vita, narrazioni di esperienze, individuali e collettive, dove le ideologie, le fedi, le culture hanno aperto un solco, lasciato un’impronta, depositato un seme da cui germogliano prolifiche idee, innovativi contenuti, fecondi valori. La dinamicità dialettica del confronto sottintende atteggiamenti di umiltà, a scanso di equivoci di prepotenza o di imposizione sull’altro, e implica la deposizione, disposta all’ascolto, della propria precipuità e recondita ipocrisia individualistica, alimentando propositi costruttivi rispetto al rapporto con le alterità. L’autore considera un’auspicabile “pedagogia del dialogo”, necessaria e di augurabile attuazione in una società multiculturale, multietnica, multiconfessionale. Il cammino di confronto tra le grandi religioni sfocia e progredisce nella concezione ecumenica del concetto di fede: una grande comunità interconfessionale, il mondo intero, in cui si confrontano e coesistono le differenti culture, i credi, i rituali, le cerimonie, per cui dietro a questi aspetti fenomenologici della pratica di culto, sussiste un’unica e imprescindibile entità creatrice del cosmos, un unico Padre, grande e globale, universale punto di riferimento per l’umanità tutta. Questo concetto di matrice prettamente rinascimentale -sviluppato da Pico Della Mirandola e Cusano- e illuministico (Montaigne ed altri) dovrebbe abolire per sempre lo spettro delle lotte interconfessionali e le guerre civili e fratricide, combattute in nome di un simbolo conteso o di uno specifico credo, quale vessillo prepotente e prevaricatore di un’identità su un’altra. Oltre alla pedagogia del dialogo, necessita un’educazione all’interiorità , alla memoria, non solo collettiva, ma anche individuale, un ripensarsi come soggetti portatori di fede e di fedi e di credi, mettendosi in discussione, rivedendo la propria storia di vita, ricostruendo le tappe di formazione dei percorsi del proprio sé e della costituzione delle nostre idee e della nostra identità in base alle relazioni con gli altri da noi. Solo recuperando una dialettica dell’interiorità, potremo ripartecipare la nostra identità precipua e solida e costruita con fatica dialettica e più consapevole, insieme all’altro da noi. E’ necessario un primo ripiegamento su se stessi, un ritornare a ripensarsi, un conoscersi di stampo socratico, per far fronte alle avvincenti seduzioni delle logiche del pensiero unico, portatore di schiaccianti mitomanie dell’effimero, con gli esproprianti dettami del mercato e del consumismo capitalista, in metropoli deturpate ed esacerbate da un erroneo progresso. Proprio qui, al centro del mondo industrializzato, dovrebbero risorgere le piazze, le agorà, per incontrarsi tutti, insieme, cattolici, islamici, ebrei ed altri...e costruire il futuro in un pluriverso di idee, culture e fedi, a confronto, nel microcosmo ecumenico dell’agorà e nel macrocosmo del mondo intero, dell’universalità.
LAURA TUSSI
Documenti
Messaggio del Papa per il 20° anniversario dell’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 4 settembre 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio che Benedetto XVI ha inviato al Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino, in occasione del ventesimo anniversario dell’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace, in corso ad Assisi dal 4 al 5 settembre 2006. (www.ildialogo.org, Mercoledì, 06.09.2006)
Al Venerato Fratello
Mons. Domenico Sorrentino
Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino
Ricorre quest’anno il ventesimo anniversario dell’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace voluto dal mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 1986, in codesta Città di Assisi. A tale incontro, com’è noto, egli invitò non solo i cristiani delle varie confessioni, ma anche esponenti delle diverse religioni. L’iniziativa ebbe larga eco nell’opinione pubblica: costituì un messaggio vibrante a favore della pace e si rivelò un evento destinato a lasciare il segno nella storia del nostro tempo. Si comprende pertanto che il ricordo di quanto allora accadde continui a suscitare iniziative di riflessione e di impegno. Alcune sono state previste proprio ad Assisi, in occasione del ventesimo anniversario di quell’evento. Penso alla celebrazione organizzata, d’intesa con codesta Diocesi, dalla Comunità di S. Egidio, sulla scia di analoghi incontri da essa annualmente realizzati. Nei giorni stessi dell’anniversario si terrà poi un Convegno a cura dell’Istituto Teologico Assisano, e le Chiese particolari di codesta Regione si ritroveranno nell’Eucaristia concelebrata dai Vescovi dell’Umbria nella Basilica di San Francesco. Infine, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso curerà costì un incontro di dialogo, di preghiera e di formazione alla pace per giovani cattolici e di altre provenienze religiose.
Queste iniziative, ciascuna col suo specifico taglio, pongono in evidenza il valore dell’intuizione avuta da Giovanni Paolo II e ne mostrano l’attualità alla luce degli stessi eventi occorsi in questo ventennio e della situazione in cui versa al presente l’umanità. La vicenda più significativa in questo arco di tempo è stata senza dubbio la caduta, nell’Est europeo, dei regimi di ispirazione comunista. Con essa è venuta meno la "guerra fredda", che aveva generato una sorta di spartizione del mondo in sfere di influenza contrapposte, suscitando l’allestimento di terrificanti arsenali di armi e di eserciti pronti ad una guerra totale. Fu, quello, un momento di generale speranza di pace, che indusse molti a sognare un mondo diverso, in cui le relazioni tra i popoli si sarebbero sviluppate al riparo dall’incubo della guerra, e il processo di "globalizzazione" si sarebbe svolto all’insegna di un pacifico confronto tra popoli e culture nel quadro di un condiviso diritto internazionale, ispirato al rispetto delle esigenze della verità, della giustizia, della solidarietà. Purtroppo questo sogno di pace non si è avverato. Il terzo millennio si è anzi aperto con scenari di terrorismo e di violenza che non accennano a dissolversi. Il fatto poi che i confronti armati si svolgano oggi soprattutto sullo sfondo delle tensioni geo-politiche esistenti in molte regioni può favorire l’impressione che, non solo le diversità culturali, ma le stesse differenze religiose costituiscano motivi di instabilità o di minaccia per le prospettive di pace.
Proprio sotto questo profilo, l’iniziativa promossa vent’anni or sono da Giovanni Paolo II assume il carattere di una puntuale profezia. Il suo invito ai leaders delle religioni mondiali per una corale testimonianza di pace servì a chiarire senza possibilità di equivoco che la religione non può che essere foriera di pace. Come ha insegnato il Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, "non possiamo invocare Dio come Padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni uomini creati ad immagine di Dio" (n. 5). Nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento dell’esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cfr Rm 1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri umani come fratelli. A nessuno è dunque lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri esseri umani. Si potrebbe obiettare che la storia conosce il triste fenomeno delle guerre di religione.
Sappiamo però che simili manifestazioni di violenza non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo. Quando però il senso religioso raggiunge una sua maturità, genera nel credente la percezione che la fede in Dio, Creatore dell’universo e Padre di tutti, non può non promuovere tra gli uomini relazioni di universale fraternità. Di fatto, testimonianze dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore si registrano in tutte le grandi tradizioni religiose. Noi cristiani ci sentiamo in questo confermati ed ulteriormente illuminati dalla Parola di Dio. Già l’Antico Testamento manifesta l’amore di Dio per tutti i popoli, che Egli, nell’alleanza stretta con Noè, riunisce in un unico grande abbraccio simboleggiato dall’ "arco sulle nubi" (Gn 9,13.14.16) e che in definitiva, secondo le parole dei profeti, intentde raccogliere in un’unica universale famiglia (cfr Is 2,2ss; 42,6; 66,18-21; Ger 4,2; Sal 47). Nel Nuovo Testamento poi la rivelazione di questo universale disegno d’amore culmina nel mistero pasquale, in cui il Figlio di Dio incarnato, in uno sconvolgente atto di solidarietà salvifica, si offre in sacrificio sulla croce per l’intera umanità. Dio mostra così che la sua natura è l’Amore. È quanto ho inteso sottolineare nella mia prima Enciclica, che inizia appunto con le parole "Deus caritas est" (1 Gv 4,7). Questa affermazione della Scrittura non solo getta luce sul mistero di Dio, ma illumina anche i rapporti tra gli uomini, chiamati tutti a vivere secondo il comandamento dell’amore.
L’incontro promosso ad Assisi dal Servo di Dio Giovanni Paolo II pose opportunamente l’accento sul valore della preghiera nella costruzione della pace. Siamo infatti consapevoli di quanto il cammino verso questo fondamentale bene sia difficile e talvolta umanamente disperato. La pace è un valore in cui confluiscono tante componenti. Per costruirla, sono certo importanti le vie di ordine culturale, politico, economico. In primo luogo però la pace va costruita nei cuori. Qui infatti si sviluppano sentimenti che possono alimentarla o, al contrario, minacciarla, indebolirla, soffocarla. Il cuore dell’uomo, peraltro, è il luogo degli interventi di Dio. Pertanto, accanto alla dimensione "orizzontale" dei rapporti con gli altri uomini, di fondamentale importanza si rivela, in questa materia, la dimensione "verticale" del rapporto di ciascuno con Dio, nel quale tutto ha il suo fondamento. È proprio questo che il Papa Giovanni Paolo II, con l’iniziativa del 1986, intese ricordare con forza al mondo. Egli chiese una preghiera autentica, che coinvolgesse l’intera esistenza. Volle per questo che fosse accompagnata dal digiuno ed espressa nel pellegrinaggio, simbolo del cammino verso l’incontro con Dio. E spiegò: "La preghiera comporta da parte nostra la conversione del cuore" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1986, vol. II, p. 1253). Tra gli aspetti qualificanti dell’Incontro del 1986, è da sottolineare che questo valore della preghiera nella costruzione della pace fu testimoniato da esponenti di diverse tradizioni religiose, e ciò avvenne non a distanza, ma nel contesto di un incontro. In questo modo gli oranti delle varie religioni poterono mostrare, con il linguaggio della testimonianza, come la preghiera non divida ma unisca, e costituisca un elemento determinante per un’efficace pedagogia della pace, imperniata sull’amicizia, sull’accoglienza reciproca, sul dialogo tra uomini di diverse culture e religioni. Di questa pedagogia abbiamo più che mai bisogno, specialmente guardando alle nuove generazioni. Tanti giovani, nelle zone del mondo segnate da conflitti, sono educati a sentimenti di odio e di vendetta, entro contesti ideologici in cui si coltivano i semi di antichi rancori e si preparano gli animi a future violenze. Occorre abbattere tali steccati e favorire l’incontro. Sono lieto pertanto che le iniziative programmate quest’anno in Assisi vadano in questa direzione e che, in particolare, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso abbia pensato di farne una specifica applicazione per i giovani.
Per non equivocare sul senso di quanto, nel 1986, Giovanni Paolo II volle realizzare, e che, con una sua stessa espressione, si suole qualificare come "spirito di Assisi", è importante non dimenticare l’attenzione che allora fu posta perché l’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica. Proprio per questo, fin dalle prime battute, Giovanni Paolo II dichiarò: "Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose..." (Insegnamenti, cit., p.1252). Desidero ribadire questo principio, che costituisce il presupposto di quel dialogo tra le religioni che quarant’anni or sono il Concilio Vaticano II auspicò nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (cfr Nostra aetate, 2). Colgo volentieri l’occasione per salutare gli esponenti delle altre religioni che prendono parte all’una o all’altra delle commemorazioni assisane. Come noi cristiani, anch’essi sanno che nella preghiera è possibile fare una speciale esperienza di Dio e trarne efficaci stimoli nella dedizione alla causa della pace. È doveroso tuttavia, anche in questo, evitare inopportune confusioni. Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla.
Per la sua iniziativa audace e profetica, Giovanni Paolo II volle scegliere il suggestivo scenario di codesta Città di Assisi, universalmente nota per la figura di San Francesco. In effetti, il Poverello incarnò in modo esemplare la beatitudine proclamata da Gesù nel Vangelo: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9). La testimonianza che egli rese nel suo tempo ne fa un naturale punto di riferimento per quanti anche oggi coltivano l’ideale della pace, del rispetto della natura, del dialogo tra le persone, tra le religioni e le culture. È tuttavia importante ricordare, se non si vuole tradire il suo messaggio, che fu la scelta radicale di Cristo a fornirgli la chiave di comprensione della fraternità a cui tutti gli uomini sono chiamati, e a cui anche le creature inanimate - da "fratello sole" a "sorella luna" - in qualche modo partecipano. Mi piace pertanto ricordare che, in coincidenza con questo ventesimo anniversario dell’iniziativa di preghiera per la pace di Giovanni Paolo II, ricorre anche l’ottavo centenario della conversione di San Francesco. Le due commemorazioni si illuminano reciprocamente. Nelle parole a lui rivolte dal Crocifisso di San Damiano - "Va’, Francesco, ripara la mia casa..." -, nella sua scelta di radicale povertà, nel bacio al lebbroso in cui s’espresse la sua nuova capacità di vedere ed amare Cristo nei fratelli sofferenti, prendeva inizio quell’avventura umana e cristiana che continua ad affascinare tanti uomini del nostro tempo e rende codesta Città meta di innumerevoli pellegrini.
Affido a Lei, venerato Fratello, Pastore di codesta Chiesa di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, il compito di portare queste mie riflessioni a conoscenza dei partecipanti alle varie celebrazioni previste per commemorare il ventesimo anniversario di quello storico evento che fu l’Incontro Interreligioso del 27 ottobre 1986. Voglia recare a tutti anche il mio saluto affettuoso, partecipando loro la mia Benedizione, che accompagno con l’augurio e la preghiera del Poverello di Assisi: "Il Signore vi dia pace!".
Da Castel Gandolfo, 2 settembre 2006 BENEDICTUS P.P. XVI
Mecca - Il cuore cosmopolita dell’Islam
di Mai Yamani ( trad. M.G. Di Rienzo)*
La Mecca, la capitale di tutti i musulmani, è un punto focale di pellegrinaggio (l’annuale hajj) e preghiera. E’ anche un centro di scambio culturale, di mutuo transito fra gruppi e di coesistenza pacifica. Questa tradizione aperta e cosmopolita è stata evidente per più di un migliaio di anni, sino all’annessione forzata della Mecca (capitale anche del regno Hijaz) fatta dagli uomini di al-Saud e dai loro partner wahabiti nel 1932.
L’Hijaz è la più vasta e la più popolata regione del paese, nonché quella che presenta la maggior varietà culturale e religiosa, perché è stata la tradizionale area ospitante per i pellegrini, molti dei quali vi si fermarono, e contrassero matrimoni misti. La repressione del modello culturale dell’Hijaz divenne immediatamente la punta di diamante degli sforzi sauditi/wahabiti di imporre un’ortodossia conformista ai musulmani ovunque. Vale la pena di ricordare ciò che è andato perduto. Sino all’inizio del 20° secolo, la Grande Moschea della Mecca ospitava i “circoli di conoscenza”, che provvedevano un’occasione unica di dialogo fra musulmani provenienti da diversi retroterra etnici e da tutte le differenti branche dell’Islam. Asiatici, malesi, indiani, persiani, egiziani, turchi (invero tutti i rappresentanti dell’umma, della comunità mondiale musulmana) venivano non solo per compiere il pellegrinaggio, ma come studenti e sapienti in cerca di conoscenza. La Mecca era il luogo in cui l’Islam si rinnovava ed arricchiva.
I nuovi conquistatori sauditi/wahabiti guardavano a questa convivenza culturale e religiosa di differenze come al caos, alla degenerazione e all’eresia. Perciò propagandarono con la forza la loro ristretta visione dell’Islam in nome dell’unità nazionale e della purificazione religiosa. Gli interessi politici del regime ebbero la precedenza rispetto alla vitalità dell’umma. Il desiderio ultimo dei leader sauditi/wahabiti era di imporre la loro grigia e dogmatica ideologia politico-religiosa all’intero mondo islamico. Avendo conquistato la Mecca, il regime confidava di poter rimodellare l’Islam a sua immagine e somiglianza. Quest’esagerata ambizione fu presto sostenuta da un potente elemento extra, che permise all’ideologia saudita/wahabita di disporre di un’incredibile quantità di mezzi: il denaro del petrolio. Scuole religiose e moschee in tutto il mondo, dal Kosovo a Jakarta, ricevettero generose donazioni saudite e divennero obbedienti alle strutture del wahabismo. La sete globale di petrolio e la stretta relazione con gli Usa sembravano aver scolpito nel marmo questo dominio ideologico.
Ma gli eventi dell’inizio del 21° secolo sembrano aver crepato il marmo. Gli attacchi agli Usa nel settembre 2001 hanno identificato il wahabismo con il nichilismo terrorista e scatenato la furia dell’America, spesso indiscriminata, sui paesi musulmani. Gli Usa, naturalmente, hanno rivestito il responso militare di alti scopi, il bisogno di impiantare la democrazia, o la “libertà”, nel medio oriente musulmano. Il risultato non voluto dei frenetici assalti americani è stato il potenziamento dei musulmani sciiti, prima con la caduta dei sunniti talebani in Afghanistan, poi con la caduta del regime sunnita di Saddam Hussein in Iraq, dove gli alleati sciiti dell’Iran ora detengono influenza politica significativa. I delegati dell’Iran in Libano, il partito Hezbollah, hanno raggiunto un momento chiave di questo processo, grazie all’effettiva sconfitta degli obiettivi israeliani nella guerra del luglio/agosto 2006.
La presa del regime sunnita saudita/wahabita, un tempo potentissima, si è indebolita a livello internazionale ed interno. All’inizio l’Arabia Saudita, assieme ai governi sunniti in Egitto e Giordania, criticava Hezbollah per aver funto da detonatore per la guerra con Israele, ma questa posizione è divenuta subito non difendibile: i civili libanesi soffrivano, ed Hezbollah, nonostante le pesanti perdite di uomini e di armi, è sopravvissuto al massacro israeliano. In effetti, la “vittoria” di Hezbollah ne ha fatto l’avanguardia dell’autoaffermazione musulmana, con i wahabiti forzati nel retroscena, a brontolare lamentele non ascoltate da nessuno. Paradossalmente, la nuova reputazione di Hezbollah nel mondo arabo suggerisce che, contrariamente alla visione convenzionale, la politica dell’Islam non può consistere semplicemente di un bilanciamento di potere fra sciiti e sunniti. Dirò di più: sebbene le distinzioni culturali giochino ancora un ruolo importante, gli scismi settari nel mondo musulmano vengono espressi molto di più dai governi e dai gruppi di guerriglieri che a livello popolare. I decisori sauditi si sono guadagnati il favore di Washington con l’opposizione ad Hezbollah, ma questo conta ben poco. Il modello saudita/wahabita di politiche negative e settarie sta crollando sotto l’onda dell’opinione pubblica islamica.
Le politiche di al-Qaida sorgono dall’originale discorso di divisione del wahabismo. Ciò ha avuto conseguenze non solo sul wahabismo ufficiale, ma anche sulla sua stessa creazione deformata. La violenza incontrollata di al-Qaida, come si mostra nella sua guerra settaria contro gli sciiti in Iraq, rende all’organizzazione impossibile guadagnare sostegno popolare. Sebbene la retorica di al-Qaida faccia appello agli spossessati sunniti in Iraq e ovunque, il modello di Hezbollah, più calcolato e sofisticato (l’operare come partito politico, organizzazione militare e provveditore di servizi sociali) è molto più unificante ed attrattivo per l’arabo della strada. Il percepibile indebolimento del sistema saudita/wahabita sta conducendo al rilascio di energie sociali precedentemente represse nella popolazione saudita, che potrebbero condurre a forme ancora non identificabili di attivismo. Mentre il regime si arrocca fra i suoi bastioni wahabiti ed erode le basi popolari della sua legittimazione, le tendenze popolari all’asserzione delle distinzioni culturali si sono fatte più nette. La repressione non potrà più a lungo garantire un ordine, e la legittimazione potrà essere rinnovata solo attraverso l’adozione di riforme, religiose come politiche.
In momenti storici come questo, nuovi gruppi emergeranno mentre il vecchio sistema si dissolve. La situazione suggerisce che la tradizione cosmopolita della Mecca entri in risonanza con gli arabi e con i musulmani molto di più delle ideologie settarie di chi li governa. Forse questo momento rappresenta un richiamo alla Mecca, la capitale dell’Islam, a rinnovare l’aperta ed inclusiva tradizione dell’Hijaz. L’Arabia Saudita avrebbe l’occasione di avere veramente un ruolo guida, ripristinando i “circoli della conoscenza” nella Grande Moschea. Dopo tutto, i leader sauditi/wahabiti sono una minoranza nel loro stesso paese e nel più vasto mondo musulmano: potrebbero muoversi da una strategia di sopravvivenza alla ristrutturazione delle istituzioni politiche e religiose, di modo che esse riflettano ed accolgano le differenze.
Ripristinare le perdute tradizioni della Mecca dev’essere un atto legato al cambiamento interno: gli imam e le moschee dell’Arabia Saudita devono rappresentare l’umma, i sistemi di educazione religiosa devono aprirsi per coprire lo spettro di tutte le scuole islamiche di pensiero, e favorire una cultura della tolleranza e della creatività. Il monopolio dei principi al-Saud deve finire. Questo non significa far diventare la Mecca capitale politica, ma un modello di inclusione culturale e religiosa. Nel frattempo, l’occidente dovrebbe guardare con attenzione agli sviluppi nella “culla dell’Islam” e prestare ascolto alle locali richieste di riforme. I riformatori che vengono imprigionati, o che sono costretti al silenzio, vanno sostenuti. L’occidente dovrebbe incoraggiare la libertà di espressione e di culto. Sembra che sia l’occidente che il mondo musulmano abbiano a lungo dimenticato il contributo della Mecca alla civiltà. E’ giunto il tempo di ricordarlo, a beneficio di entrambi.
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www.ildialogo.org, Giovedì, 07 settembre 2006
A CASTEL GANDOLFO PACE APPARENTE TRA ISLAM E VATICANO
di Agenzia ADISTA N.69 del 07-10-2006 *
33562. ROMA-ADISTA. L’obiettivo principale sicuramente è stato raggiunto: la crisi diplomatica e d’immagine che Benedetto XVI aveva aperto con il contestato discorso su "Fede, ragione e università" è grosso modo rientrata, mentre il dialogo tra il Vaticano e l’Islam è "ripreso", anche se rimane difficile definire in cosa consista questa ripresa. L’incontro del papa a Castel Gandolfo con i rappresentanti diplomatici di 22 Paesi "a maggioranza musulmana" e con 17 esponenti dell’Islam italiano è stato il punto più alto dell’offensiva mediatica lanciata dalla Santa Sede per ricucire la ferita di Regensburg e la conferma che, se la diplomazia vaticana è stata colta di sorpresa dalla rabbiosa reazione in molti Paesi islamici, non ha però sottovalutato il problema e lo ha affrontato con decisione e creatività.
La quarantina di esponenti del mondo musulmano hanno preso posto nella Sala degli Svizzeri del Palazzo di Castel Gandolfo disposti in due file ai lati della stanza ed hanno ascoltato pazientemente un nuovo - questa volta, calibratissimo - discorso del papa, senza la possibilità di dibattito o anche solo di domande. Il discorso è stato seguito da un giro di saluti e strette di mano con ognuno, compiuto sotto l’occhio attento della telecamera.
Al Jazeera e Cnn hanno trasmesso in diretta l’evento, permettendo al pubblico mondiale di giudicare autonomamente un discorso papale senza il filtro delle "semplificazioni" mediatiche denunciate da molti esponenti vaticani come la vera causa della tempesta di Ratisbona.
Ma che l’incontro si sia ridotto ad un monologo non è l’unica incongruenza: come ha notato Magdi Allam sul Corriere della Sera, sette dei 22 ambasciatori presenti erano cristiani e cinque di loro erano donne, "elegantemente vestite all’occidentale"; e molti dei rappresentanti diplomatici convocati non risiedono nemmeno a Roma. Insomma, se si voleva dare avvio ad un dialogo diplomatico, quello di Castel Gandolfo è stato un primo passo molto corto.
Nel discorso di Castel Gandolfo Ratzinger ha citato a piene mani non solo il suo predecessore, Giovanni Paolo II, ma anche la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, definita la "Magna Charta" del dialogo islamo-cristiano. L’intento è quello di sottolineare quanto Benedetto XVI si metta in una prospettiva di "continuità" e non di rottura rispetto alla paziente opera di tessitura iniziata con il Concilio Vaticano II e portata avanti da Wojtyla, superando un’impressione radicata nel mondo islamico ed illustrata esemplarmente dalla vignetta mostrata da Al Jazeera: Ratzinger che abbatte con un colpo di fucile la colomba della pace liberata da Giovanni Paolo II.
A Castel Gandolfo, ad ogni modo, il Vaticano sembra aver già operato un significativo cambiamento di rotta: la Segreteria di Stato ha infatti invitato i rappresentanti dei governi, non intellettuali o imam. Una scelta criticata da numerosi commentatori, da Magdi Allam - che vede una "contraddizione" tra la richiesta di una maggiore separazione tra Stato e Chiesa nell’Islam e l’elevazione di semplici rappresentati di Stati a "rappresentati dell’Islam", per risolvere oltretutto una questione principalmente religiosa - a Renzo Guolo - che invita il Vaticano a non limitarsi a questi soli interlocutori.
Il problema dell’approccio "culturale", spiega il gesuita Samir K. Samir, è però un altro: c’è stato, in Vaticano, "un errore di valutazione politica, geostrategico e culturale, nel senso di una sopravvalutazione delle capacità culturali dell’interlocutore". Un punto su cui si è soffermato anche mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia che tiene le fila dell’organizzazione del prossimo viaggio del papa in Turchia: "Ci sono scuole islamiche di teologia, ma ho l’impressione che non siano al livello di quelle nostre. Così avviene che non c’è un vero dialogo, solo conoscenza reciproca. Nell’Islam c’è pochissima attività teologica. La differenza è che noi cristiani abbiamo un Magistero orientativo e lì invece non c’è e sono i singoli teologi che decidono".
La vera grande assente in tutta questa vicenda è stata la diplomazia vaticana. La crisi di Regensburg ha colto la Segreteria di Stato nel bel mezzo del passaggio di consegne tra il card. Angelo Sodano e il card. Tarcisio Bertone. Quest’ultimo, insieme al suo neo-nominato ’ministro degli Esteri’, mons. Dominique Mamberti, non era presente a Castel Gandolfo - singolare, come fa notare Robert Mickens, per un incontro con ben 22 ambasciatori. Per il neo-promosso Mamberti va anche annotato un primo, piccolo, smacco: l’assenza all’incontro del rappresentante del Sudan - dove lui era nunzio - che arriva proprio in un momento particolarmente delicato, con la crisi del Darfur nuovamente al centro dell’attenzione internazionale.
A tutt’oggi, due viaggi su tre di Benedetto XVI sono stati segnati da un crisi diplomatica: prima con gli ebrei, in occasione della visita ad Auschwitz, poi con i musulmani. Evidentemente, come si è scritto da più parti, lascia a desiderare il processo di revisione dei discorsi papali. Forse per timore di contraddire il papa teologo. (alessandro speciale)
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www.ildialogo.org, Martedì, 03 ottobre 2006