Agli uomini non interessa né la verità, né la libertà, né la giustizia.
Sono cose scomode e gli uomini si trovano comodi nella bugia
e nella schiavitù e nell’ingiustizia.
Ci si rotolano come maiali.
(Oriana Fallaci)
“Giustizia e Libertà”... e Verità!
ONORE A ORIANA FALLACI
ALLA DONNA LIBERA e ORGOGLIOSA, CITTADINA-SOVRANA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA ITALIANA E DELLA LIBERA EUROPA, MA NON ALLA DONNA E ALLA CITTADINA ACCECATA E RABBIOSA, ICONA DEL ‘TALEBANISMO’ OCCIDENTALE!!!
“C’è una forte suggestione simbolica - lo ha già notato ieri Magdi Allam - nella coincidenza tra la morte di Oriana Fallaci e gli attacchi islamici al Papa per il suo discorso di Ratisbona. Una suggestione che appare legata a un episodio preciso accaduto durante una delle celeberrime interviste della Fallaci, quella all’imam Khomeini nel remoto 1979. Quando cioè, di fronte al nuovo padrone dell’Iran che aveva accettato di incontrarla solo a patto che lei si coprisse il capo con il velo, Oriana, giunta alla sua presenza, se lo levò d’impeto dandogli seccamente del «tiranno ».” .... così inizia l’articolo, “A proposito di Oriana”, di Ernesto Galli Della Loggia (Corriere della Sera, 17.09.2006)*.
E così, poco oltre, prosegue: “Quell’impertinente donna italiana, sfidando un supposto precetto della religione islamica, anticipava simbolicamente le decine e decine - chissà, forse, nel segreto dei loro cuori le migliaia e migliaia - di donne della medesima religione, che approdate nella libera Europa ...". Tutto questo va benissimo per Oriana ... e per l’Europa, ma che centrano “gli attacchi islamici politici al papa” con Oriana?! Se consideriamo la forte “suggestione simbolica” dell’incontro di Oriana Fallaci con Khomeini, un’altra e ben diversa è la considerazione da fare: come al ’papa’ della religione islamica - così al papa della "libera" Chiesa cattolico-romana, la questione che pone il suo gesto di donna all’uno e di donna laica-cristiana all’altro è l’affermazione e la richiesta del riconoscimento della propria libertà e, tout court, all’uno e all’altro - sul piano umano e culturale, politico, giuridico e teologico - il diritto alla sovranità e al sacerdozio della donna - in tutti e due i campi - islamico e cattolico-romano!!! Opposti ‘talebanismi’: nell’uno e nell’altro campo - armati entrambi contro le donne (in nome di “mammasantissima” e del loro “dio”), il problema è ancora tabù, e il riconoscimento “dell’uguaglianza delle persone (tra uomo e donna, tra eterosessuale e omosessuale) e della loro dignità” non è ancora nemmeno all’ordine del giorno, ed è affrontata nelle loro Università - con la loro “fede” e con la loro “ragione” - in un modo assolutamente .... pre-evangelico e pre-islamico!!!
Cosa c’entra la libera Europa, con la Chiesa ’cattolica’?! Tentiamo di non nascondere i nostri nodi sotto i nostri “chador” - solo così potremo dialogare meglio con noi stessi e noi stesse, e con gli altri e con le altre!!! Distinguiamo: e non buttiamo via il bambino (Gesù - il messaggio evangelico) con l’acqua sporca (il ’cattolicesimo’ - il van-gélo dell’universalismo imperialista-romano)!!! Queste le sfide su cui non possiamo e dobbiamo “non mollare” - non su altre....
Togliersi il velo imposto, e sulla testa!, equivale, simbolicamente - se vogliamo, all’uscita dallo “stato di minorità” di Kant e ... al diventare maggiorenni e maggiorenne, adulti ed adulte - a tutti i livelli!!! E sicuramente Oriana Fallaci era una persona “adulta” - che sapeva pensare con la propria testa! Cerchiamo di capirla e di esserne fieri - e non nascondiamo la nostra stessa paura di crescere, dietro la sua rabbia! Ella veniva da una realtà e da un’età illuminata: per noi - con il nostro papa Benedetto XVI - ancora all’epoca di Costantino, l’illuminismo è ancora inimmaginabile. “Sapere aude!: abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza”(Kant), come “Non abbiate paura”(K. Wojtyla) , sono indicazioni che i padri-padroni delle varie religioni integralistiche non concepiscono nemmeno nell’anticamera del loro pre-istorico cervello - ognuno è ancora e solo il Santo Pastore e il Santo Padrone del proprio gregge - guai a chi osa uscire dall’ovile!!!
Al di là delle illusioni e della cecità, indotte dalla rabbia, l’orgoglio di “fiorentinaccia” (Zeffirelli) pone e poneva Oriana Fallaci - sicuramente - più vicino alla sensibilità e all’orizzonte culturale, politico e teologico di Dante, che non agli orizzonti e agli ‘occidenti’ tenebrosi dei vari ‘talebani’ di Occidente come di Oriente! In principio - e al fondamento - della vita di Oriana Fallaci - “l’antica staffetta di Giustizia e Libertà”, c’è stata e c’è la libertà e la giustizia - non la sottomissione alla legge del “tiranno”! Non dimentichiamolo - e non ... trucchiamo (o, peggio, usiamo) le sue stesse carte contro di Lei, sì da mettere (anche dopo la morte) Oriana contro Oriana. Evitiamolo! Onore a Oriana Fallaci, e che possa vivere in pace, nella giustizia e nella libertà - per l’eternità! (17.09.2006).
Federico La Sala
Mentre Ratzinger è sotto attacco
A PROPOSITO DI ORIANA
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA (www.corriere.it, 17.09.2006)
C’è una forte suggestione simbolica - lo ha già notato ieri Magdi Allam - nella coincidenza tra la morte di Oriana Fallaci e gli attacchi islamici al Papa per il suo discorso di Ratisbona. Una suggestione che appare legata a un episodio preciso accaduto durante una delle celeberrime interviste della Fallaci, quella all’imam Khomeini nel remoto 1979. Quando cioè, di fronte al nuovo padrone dell’Iran che aveva accettato di incontrarla solo a patto che lei si coprisse il capo con il velo, Oriana, giunta alla sua presenza, se lo levò d’impeto dandogli seccamente del «tiranno ».
In quel gesto, che si concentrava sul particolare dello chador e ne faceva il centro dello scontro, era anticipato il senso di quanto da lì a non molto sarebbe divenuto il motivo dominante del rapporto difficile tra l’Occidente e l’Islam: l’urto delle mentalità e delle culture, l’urto tra due concezioni antitetiche dell’eguaglianza tra le persone (tra uomo e donna, tra eterosessuale e omosessuale) e della loro dignità.
Quell’impertinente donna italiana, sfidando un supposto precetto della religione islamica, anticipava simbolicamente le decine e decine-chissà, forse, nel segreto dei loro cuori le migliaia e migliaia - di donne della medesima religione, che approdate nella libera Europa sarebbero, un giorno, arrivate in qualche caso a preferire la morte piuttosto che sottostare a obblighi e consuetudini mortificanti per il loro corpo e la loro autonomia.
Con l’intuizione di chi per mestiere è chiamata a interpretare i segni dei tempi, la Fallaci capì che lì, su quell’apparentemente innocuo pezzo di stoffa, tra lei e l’imam si giocava una partita importantissima, che era poi la stessa che più tardi si sarebbe giocata tra le due culture: e di quel pezzo di stoffa fece la bandiera da agitare in faccia all’avversario. Capì - a quell’intuizione rimanendo fedele come pochi - che il futuro ci avrebbe sempre più richiesto la consapevolezza irrinunciabile della nostra identità, anche a costo di sfidare l’incomprensione e l’ira dell’altra parte. Sono l’incomprensione e l’ira che oggi si abbattono su Benedetto XVI.
Semplicemente per aver espresso, ha osservato uno studioso come Giovanni Filoramo intervistato dall’Unità, «un giudizio legittimo rispetto a un’altra religione, sulla quale ha dato una valutazione teologica ». Per aver cioè ribadito - oh quale sconvenienza inaudita per un pontefice cattolico! - la propria convinzione circa l’ unicità e superiorità della Cristologia; e che forse c’è qualche differenza tra una fede che pone Dio in una dimensione di arbitrio assoluto e un’altra che invece lo associa intimamente al Logos, alla ragione. I toni irati e intimidatori che oggi si rovesciano sul Papa sono analoghi a quelli levatisi ieri a proposito delle vignette su Maometto o l’altro ieri a proposito dei «Versetti Satanici» di Salman Rushdie.
Essi servono solo a confermare quanto sia difficile il rapporto tra la nostra cultura, che tra molte altre cose conosce da secoli, anche in campo religioso, la filologia, la critica dei testi, la discussione libera, e una cultura, invece, che non avendo né larga né lunga esperienza di ciò, scambia tutto permalosissimamente per bestemmia e per offesa. Una cultura che, dando quasi a vedere di non saper rispondere in altro modo, subito minaccia, esige pentimenti, assalta e promette morte. Guai però a farsi spaventare. Ci sono sfide - ci ricorda oggi l’antica staffetta di Giustizia e Libertà Oriana Fallaci - alle quali c’è una sola risposta possibile e ragionevole: «non mollare». (17 settembre 2006)
Montalcini, Montessori, Fallaci, donne del secolo
Rita Levi Montalcini, Maria Montessori e Oriana Fallaci. Ecco le tre donne più importanti del secolo secondo un’indagine svolta, in occasione dell’8 marzo, dal giornale online «Quinews.it» su 500 donne italiane, di cui il 50 per cento universitarie.
Al primo posto, con il 35 per cento delle preferenze, Rita Levi Montalcini, la scienziata che fra un mese compie 100 anni. È ricordata per aver vinto il Premio Nobel per la Medicina, nel 1986, e per essere senatrice a vita. Piace per la sua «intelligenza», il suo essere donna «semplice», «non presuntuosa» e «per nulla saccente». Il suo «impegno» umanitario è la cosa che più viene apprezzata dalla intervistate.
Al secondo posto, Maria Montessori, che raccoglie il 30 per cento delle preferenze. Viene ricordata per aver «influenzato» e «segnato» la psicologia e la pedagogia, italiana e non solo, del ’900, come la «prima» e più «importante artefice» dei «metodi per il recupero dei soggetti portatori di handicap», per l’educazione dei bambini delle scuole materne e di quelle elementari, e per essere stata la «prima» donna «laureata» in medicina.
Infine, al terzo posto c’è Oriana Fallaci, che con il 18 per cento delle preferenze è considerata una «grande» scrittrice e giornalista. Molte delle intervistate la ricordano come la «prima» donna ad andare al fronte come «inviata speciale». È ricordata anche per la «caparbietà», «l’intelligenza» e per le «decise», anche se «non del tutto condivise» battaglie «contro l’Islam».
Nell’indagine, al quarto posto, con il 7 per cento delle preferenze, si colloca la «straordinaria» letteraria Grazia Deledda vincitrice del Nobel per la Letteratura nel 1926. Al quinto, con il 6 per cento delle simpatie, si piazza «l’indimenticabile» Anna Magnani, personaggio «popolano», «sensibile» e «generoso».
* l’Unità, 07 marzo 2009
Ansa» 2008-07-30 13:46
FALLACI, CODE A FIRENZE PER ROMANZO POSTUMO
FIRENZE - Persone in coda davanti alle principali librerie di Firenze, già prima dell’apertura, per acquistare ’Un cappello pieno di ciliege’, il romanzo postumo di Oriana Fallaci pubblicato da Rizzoli e messo in vendita da oggi. Vetrine e scaffali interamente dedicati alla scrittrice e giornalista fiorentina sono stati allestiti nelle librerie del centro, come Edison, Feltrinelli e Melbookstore, dove il nuovo romanzo di Oriana Fallaci viene esposto a fianco dei suoi precedenti successi editoriali.
Soddisfatti i direttori delle librerie che nelle prime ore della mattinata hanno venduto subito decine e decine di copie del romanzo a dimostrazione dell’interesse già manifestato nei giorni scorsi con numerose richieste di informazioni sul giorno di pubblicazione dell’opera.
(di Elisabetta Stefanelli)
Una cassapanca, tramandata dall’ava Ildebranda, con dentro gli ultimi cimeli di una famiglia, fu distrutta da un bombardamento su Firenze in una notte del 1944. Conteneva oggetti salvati per caso dal tempo e dalla storia: "un liuto privo di corde, una pipa d’argilla, una moneta da quattro soldi emessa dallo Stato pontificio, un vetusto orologio che stava nella mia casa di campagna e che ogni quarto d’ora suonava i rintocchi della campana di Westminster". Oriana Fallaci bambina era riuscita a vedere e toccare quelle poche cose e ne aveva serbato memoria, una memoria che, insieme alle voci della madre e del padre nei loro racconti delle storie di famiglia, si è trasformata in un atto d’amore.
L’atto d’amore è il romanzo a cui la grande scrittrice e giornalista ha dedicato le forze degli ultimi anni, a partire da quell’11 settembre che le aveva lasciato dentro l’idea della morte e forse per questo la necessità di ricostruire, indietro nel tempo, la storia della sua famiglia, come racconta in La Rabbia e l’Orgoglio. Fino a quando poi non aveva scoperto di essere malata. Da qui nasce ’Un cappello pieno di ciliege’, il volume monumentale affidato alle mani del nipote Edoardo dopo la sua scomparsa, che esce oggi nelle librerie italiane per i tipi di Rizzoli. E’ una saga familiare di quasi novecento pagine e di grande fascino, che parte nel 1773 "quando Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena era granduca di Toscana e sua sorella Maria Antonietta regina di Francia", per rimettere insieme un affollato albero genealogico, avanti e indietro nel tempo, con qualche minima digressione nell’oggi, e qualche salto indietro al 1348 dove si perdono le tracce della famiglia. "E tutti quei nonni, nonne, bisnonni, bisnonne, trisnonni, trisnonne, arcavoli e arcavole, insomma tutti quei miei genitori, diventano miei figli. Perché stavolta ero io a partorire loro, a dargli anzi ridargli la vita che essi avevano dato a me", racconta Oriana. Un romanzo che in tutta la sua complessità e intensa bellezza, nella sua carica di forte emozione, come confessa la stessa Fallaci nel prologo, è il frutto di anni di ricerche, di viaggi, di notti negli archivi nella rincorsa della memoria e nella consapevolezza della fine, una fine, anzi una "non nascita", rischiata ogni volta che quegli antenati pensavano di prendere strade diverse, di innamorarsi di altri e di non permettere il corso dei cromosomi che portarono fino a lei.
E’ una storia dell’Italia rivoluzionaria di Napoleone, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, di uomini come Carlo dagli occhi chiari che fugge alla famiglia dalle abitudini penitenziali per andare a piantare viti nella Virginia di Thomas Jefferson. Ci sono uomini e donne fortemente religosi, ma anche quella che forse è stata la tenutaria di un bordello, intellettuali e contadini, ci sono donne di carattere come "la leggendaria arcavola senese che aveva avuto il coraggio di aggredire Napoleone", e rivoluzionari. Ma poi "la ricerca si mutò in una saga da scrivere, una fiaba da ricostruire con la fantasia. Sì fu a quel punto - scrive ancora Oriana Fallaci - che la realtà prese a scivolare nell’immaginazione e il vero si unì all’inevitabile poi all’inventato: l’uno complemento dell’altro, in una simbiosi tanto spontanea quanto inscindibile". Finisce come finì nella realtà, con la morte. Non la sua, quella di Oriana, ma quella di un’antenata, Anastasia Ferrier, "leggenda vissuta senza un certificato di nascita, non esiste nemmeno un certificato di morte".
» 2008-07-24 10:47 ORIANA FALLACI RACCONTA LA SUA FAMIGLIA CON UN CAPPELLO PIENO DI CILIEGE ROMA - "La vigilia della catastrofe (l’11 settembre 2001) pensavo a ben altro: lavoravo al romanzo che chiamo il-mio-bambino (...). Un bambino molto difficile, molto esigente, la cui gravidanza è durata gran parte della mia vita d’adulta, il cui parto è incominciato grazie alla malattia che mi ucciderà, e il cui primo vagito si udrà non so quando. Forse quando sarò morta": così scriveva Oriana Fallaci nella ’Rabbia e l’Orgogliò e così ora accade.
Esce postumo, il 30 luglio, ’Un cappello pieno di ciliege’, firmato dalla grande giornalista scomparsa: è Rizzoli a pubblicare il romanzo di quasi novecento pagine con una prima tiratura di 350.000 copie. E’ l’epopea della sua famiglia, una saga - come ha scritto di suo pugno l’autrice sulla cartellina che racchiudeva il dattiloscritto - che copre gli anni tra il 1773 e il 1889.
E’ una storia dell’Italia rivoluzionaria di Napoleone, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II attraverso le avventure di uomini come Carlo che voleva piantare viti e olivi nella Virginia di Thomas Jefferson; Francesco nostromo, negriero e padre disperato; Giovanni assassino mancato del traditore Carlo Alberto; Giobatta sfigurato nel volto e nell’anima da un razzo austriaco durante la battaglia di Curtatone e Montanara.
Un racconto visto anche con occhi di donne indomite come la Caterina che alla fiera di Rosia indossa un cappello pieno di ciliege per farsi riconoscere dal futuro sposo Carlo Fallaci, o come una bisnonna paterna di Oriana, Anastasia, figlia illegittima, ragazza madre, pioniera nel Far West e forse tenutaria di un bordello a San Francisco. E’ il racconto di destini intrecciati e profondamente romanzeschi: dopo anni di ricerche, l’autrice ha visto la cronaca familiare trasformarsi in ’una fiaba da ricostruire con la fantasia’: "La realtà prese a scivolare nell’immaginazione e il vero si unì all’inventabile poi all’inventato... E tutti quei nonni, nonne, bisnonni, bisnonne, trisnonni, trisnonne, arcavoli e arcavole, insomma tutti quei miei genitori, diventarono miei figli. Perché stavolta ero io a partorire loro, a dargli anzi ridargli la vita che essi avevano dato a me".
Nel luglio del 2006, quando si rese conto che la sua malattia si era aggravata, Oriana Fallaci chiamò a New York il nipote Edoardo Perazzi e gli consegnò, con indicazioni precise per la pubblicazione, il dattiloscritto del romanzo, perfettamente compiuto nelle quattro parti che lo costituiscono. Oggi Rizzoli adempie la volontà della scrittrice presentando Un cappello pieno di ciliege, completato da una sezione finale di Note di edizione, dalla riproduzione di pagine dal dattiloscritto originale e da un albero genealogico ricostruito sulla base delle vicende del romanzo. In questa sorta di autobiografia familiare, quasi un viaggio dell’autrice alla ricerca delle proprie radici, entrano anche molti elementi autobiografici in senso stretto. Il cancro, evocato fin dalle prime righe, ritorna più volte: il ’mal dolent, anzi molt dolent’ (come veniva chiamato in Catalogna), colpisce Maria Isabel Felipa, madre di Montserrat, la trisnonna della madre di Oriana.
"...Nella sua perfidia il mal dolent - si legge nel Cappello pieno di Ciliege (pag.205)- include qualcosa di positivo: un’attesa di solito abbastanza lunga dell’inevitabile traguardo chiamato Morte. Un’anticamera dell’aldilà, se vuoi. Un intervallo o un limbo nel quale la Morte in arrivo cammina col rallentatore sicché, aspettandola e osservandola mentre viene a noi piano piano, si ha tutto il tempo di fare due cose. Apprezzare la vita cioé accorgersi che è bella anche quando è brutta, e riflettere bene sia su noi stessi che sugli altri: vagliare il presente, il passato, quel po’ di futuro che ci rimane. Io lo so. E forse Maria Isabel Felipa non s’accorse che la vita è bella anche quando è brutta: una tale ammissione richiede una sorta di gratitudine che lei non aveva. La gratitudine per i nostri genitori e nonni e bisnonni e trisnonni e arcinonni, insomma per chi ci ha dato l’opportunità di vivere questa straordinaria e tremenda avventura che ha nome Esistenza".
Ansa» 2008-04-16 17:41
FIRENZE RISCOPRE LA ’SUA’ ORIANA FALLACI
FIRENZE - Civettuoli cappellini, occhiali, macchine da scrivere, fogli di carta zeppi di appunti, libri pubblicati in varie lingue, dipinti dove si riconoscono le strade bianche e le colline toscane, e poi tantissime fotografie, perché "Oriana era una persona schivissima, ma amava farsi fotografare". Firenze riscopre la ’sua’ Oriana Fallaci, la giornalista e scrittrice nata nel capoluogo toscano nel 1929 e lì tornata per morire, nel settembre 2006, dopo una vita vissuta senza mai compromessi. Una sorta di ’riconciliazione’, quella di Firenze e della Toscana con la Fallaci, che negli ultimi anni aveva fatto discutere per le sue posizioni ferocemente non convenzionali, a proposito dell’attacco alle Torri gemelle di New York, al Social forum, alla costruzione della moschea di Colle Val D’Elsa.
La città e la Regione scelgono di far pace a partire da una mostra multimediale che ripercorre le tappe di una ’fiorentina di razza’ (questo il titolo dell’esposizione): dopo un’anteprima a New York e poi tappe a Milano e Roma ora la mostra approda a Firenze. L’ esposizione, che si chiudera’ l’11 maggio, si compone di due parti: la prima a Palazzo Medici Riccardi, sede della Provincia, dove il visitatore si immerge nelle origini fiorentine di Oriana, nella sua storia familiare e personale, la giovinezza antifascista e i primi passi da giornalista. "Oriana - ha ricordato il nipote Edoardo Perazzi, curatore della mostra insieme ad Alessandro Nicosia - scrisse per 10 anni a Firenze e cominciò la sua carriera con un equivoco: voleva andare alla ’Nazione’, ma sbagliò piano del palazzo e capitò al ’Mattino dell’Italia centralé, dove rimase per 8 anni".
La seconda parte dell’esposizione è a Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio regionale, dove l’esposizione si concentra sulla Oriana più matura, corrispondente di guerra e scrittrice. Tra gli oggetti in mostra il suo vecchio registratore a bobine, la sua intervista a Kissinger in versione audio, lo zaino mimetico che l’accompagnò in Vietnam con le indicazioni per il recupero della salma, la storia d’amore con Panagulis. L’ultima sala è dedicata alla Fallaci recente, con gli interventi sul Corriere della Sera dopo il 2001. "Una scelta oculata e non da fifoni - ha precisato Perazzi -: volevamo concentrarci di più sull’amore di Oriana per Firenze che non tanto sulle polemiche degli ultimi anni". Particolarmente soddisfatti della mostra il presidente della Provincia, Matteo Renzi, e quello del Consiglio regionale, Riccardo Nencini. "La mostra - ha affermato Renzi - è un gesto di riconoscenza del territorio verso la parte meno conosciuta della Fallaci". "Una persona - ha sottolineato Nencini - assolutamente deviante, spigolosa ma bella". Nencini ha anche annunciato che verrà a Firenze a visitare la mostra una delle giornaliste che la Fallaci amava di più, Christiane Amanpour, e che parte dei cimeli rimarrà in dote alla Fondazione del Consiglio regionale, e parte andrà al Fondo della Biblioteca lateranense a Roma.
ORIANA FALLACI, INTERVISTA CON LA STORIA
MILANO - "Una mostra su di me? E perché no? Sarebbe divertente". Questa risposta di Oriana Fallaci, sorridente a poche settimane dalla morte, è stata riferita da Alessandro Cannavò, giornalista del Corriere della Sera, proprio nel giorno in cui la rassegna dedicata alla Fallaci si inaugura davvero, nelle sale di Palazzo Litta a Milano. Una mostra - voluta dal Ministero dei Beni Culturali e da Rcs Media Group e allestita sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica - che da un lato è un modo di rivedere un’ epoca storica attraverso gli occhi di Oriana Fallaci, dall’altro é anche un modo di parlare di lei, raccontando le sue prese di posizione, le sue idee rispetto ai grandi fatti del mondo di cui si è occupata nel corso del suo lavoro, anche quelle che hanno fatto discutere, che hanno diviso l’opinione pubblica.
Del resto, la mostra si intitola Intervista con la Storia, che fa pensare a un modo di rappresentare la storia, ma sempre con gli occhi dell’intervistatore. Il titolo è rubato al suo libro del 1974, quello in cui raccoglie le interviste realizzate per ’L’Europeo’ con diversi personaggi dell’epoca, da Henry Kissinger a Golda Meir, a Indira Gandhi e ad Alekos Panagulis.
Nata dal progetto di Alessandro Cannavò, Alessandro Nicosia (presidente di Comunicare Operando) e Edoardo Perazzi, nipote della giornalista, la mostra è la terza in ordine di tempo fra le iniziative intraprese per ricordarne la figura a un anno dalla morte: la prima è stata l’ inaugurazione, da parte dell’Istituto Italiano di Cultura, della mostra La Mia America il 28 giugno scorso a New York, sua città d’adozione, con la proiezione del documentario ’Oriana e l’ Americà. La seconda è del giorno successivo, sempre a New York presso la Public Library, con la Giornata di studio Ricordare Oriana Fallaci. La mostra milanese resterà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 10 alle 20 (l’ingresso è gratuito) da sabato 15 - anniversario della morte - al 18 novembre.
Dal 14 dicembre la rassegna sarà allestita a Roma nel complesso monumentale del Vittoriano. E’ divisa in 12 sezioni. ’Oriana parla’ è la prima, in cui il visitatore viene investito da immagini della giornalista intervistata in diverse occasioni. Tutte riprese televisive di anni recenti e passati, recuperate dai tecnici delle teche della Rai. Seguono ’Firenze e la vita’, ’le prime grandi inchieste’, ’la corsa alla luna’, ’il Vietnam’, ’nei punti caldi del mondo’, ’i libri’ (ne ha scritti 14), ’star tra le star’, ’un uomo’, ’Libano e Golfo’, ’le grandi interviste’, ’La Rabbia e l’ Orgoglio, ’l’amore per la scritturà. Vi si possono vedere fotografie e lettere originali, oggetti personali, copie di giornali con sue interviste, manoscritti, dattiloscritti, le sue macchine per scrivere. Il catalogo è edito da Rcs Libri.
"Possiamo sentirci più o meno vicini al mondo delle passioni della Fallaci - ha scritto il ministro dei Beni culturali, Francesco Rutelli che oggi pomeriggio sarà a Milano per l’inaugurazione - ma il suo lascito culturale e la sua vicenda umana e professionale costituiscono un patrimonio unico se si vuole comprendere una parte importante della storia e del costume del nostro Paese e delle dinamiche che profondamente segnano il mondo contemporaneo".
* ANSA» 2007-09-13 19:10
Oriana Fallaci: la mia verità negata sulla morte di Pasolini, La stampa 12 maggio Oriana Fallaci è a New York e non avrebbe voglia di parlare di Pier Paolo Pasolini, della sua morte, delle inchieste e delle speculazioni successive, delle rivelazioni recenti, tardive e incomplete di Pino Pelosi. Tantomeno vorrebbe farlo per telefono. Però poi acconsente, «perché Pasolini era amico mio e di Alekos Panagulis». La stessa ragione per la quale, trenta anni fa - lei che era già «la Fallaci», quella del Vietnam, delle interviste ai potenti, dello scontro con Yasser Arafat, lei che non si occupava di cronaca - decise di misurarsi su un omicidio. Per lo smisurato affetto di una donna straordinaria verso uno straordinario uomo. E acconsente per un motivo insospettabile: «Vede, la mia scarsa stima del cosiddetto sistema giudiziario non è incominciata quando i magistrati si sono messi a fare politica, ossia ad applicare gli interessi dei loro partiti, la loro ideologia politica, al Codice Penale. E’ incominciata proprio per l’esperienza che ho avuto dopo la morte di Pasolini».
L’edizione dell’Europeo del 14 novembre 1975 fu nobilitata da un breve e fulminante articolo di Oriana Fallaci. Cominciava così: «Esiste un’altra versione della morte di Pasolini: una versione di cui, probabilmente, la polizia è già a conoscenza ma di cui non parla per poter condurre più comodamente le indagini. Essa si basa sulle testimonianze che hanno da offrire alcuni abitanti o frequentatori delle baracche che sorgono intorno allo spiazzato dove Pier Paolo Pasolini venne ucciso... Pasolini non venne aggredito e ucciso soltanto da Giuseppe Pelosi, ma da lui e da altri due teppisti, che sembrano assai conosciuti nel mondo della droga...». Oriana l’aveva scritto di getto, all’ultimo minuto, col giornale già quasi in stampa. Oggi ricorda:
«Ho vissuto molto intensamente la morte di Pasolini perché era un amico. Aveva scritto una bella prefazione a un libro di Alekos Panagulis, un libro di poesie, “Vi scrivo da un carcere in Grecia” (1974, ndr)». Era il tempo in cui Alekos e Oriana vivevano insieme. Lui era stato imprigionato e torturato per l’opposizione al regime dei colonnelli, e da poco graziato. Chiese a Oriana di presentargli Pasolini e il sodalizio si allargò. «Nacque un rapporto frequente, andavamo spesso a cena», dice lei. L’ultima, di cui Oriana narra nell’«Apocalisse» e alla quale Alekos mancò per via d’uno sciopero aereo, fu in un ristorante lungo la via Appia. Parlarono dell’omosessualità, dell’esclusiva riservata ai rapporti eterosessuali: la procreazione. Fu allora che Pasolini abbandonò per un istante la sua dolcezza: «Devo spiegarti perché odio, perché detesto, perché aborro il tuo libro “Lettera a un bambino mai nato”. E perché mi nausea ascoltare ciò che stai sostenendo. Io non voglio sapere che cosa c’è dentro un ventre di donna. Io inorridisco a sapere che cosa c’è dentro un ventre di donna. Una volta anche mia madre tentò di spiegarmi che cosa c’è dentro un ventre di donna. E ci litigai. Io che amo tanto mia madre». Poi Pasolini carezzò la mano di Oriana. Ci sono molte cose che Oriana ricorda di Pasolini. Sono le cose per le quali si convinse a scrivere dell’assassinio, a scoprire tutto meglio e prima; a sopportare un’incriminazione e una condanna (per reticenza, quattro mesi di reclusione) che a pensarci oggi ci si immalinconisce. New York, 1966. Pasolini scoprì l’America e andò a far visita a Oriana in un grattacielo della Cinquantasettesima strada. «Mi disse: sono stato tutta la notte a “cercare” - e quando lui diceva “cercare” io so cosa intendeva - e a passeggiare nel Bronx. E mi ricordo che io balzai in piedi. “Che hai fatto?! Dove?! Ma lo sai cos’è il Bronx?!”. Ora il Bronx è meglio ma a quel tempo andare nel Bronx era come andare in un ghetto di Calcutta. E lui, camminando su e giù per il living room con un sorriso quasi beato mi fece il ritratto della sua morte. Mi disse:
“Sai, io sono un gattaccio torbido che una notte morirà schiacciato in una strada sconosciuta...”».
La mattina in cui seppero del massacro di Ostia, Oriana e Alekos occupavano un appartamento all’Excelsior di Roma. «Si restò senza fiato», racconta. Si mise al lavoro. Rintracciò il testimone (o “la” testimone o “i” testimoni: «Io non rivelerò mai, mai, mai il nome della persona o delle persone da cui ho saputo che ad ammazzare Pasolini non era stato Pelosi da solo. Io sono una persona d’onore. Giurai di non fare il loro nome e non lo farò mai, morirò col mio segreto punto e basta») e scrisse una verità alla quale soltanto oggi pare si voglia prestare attenzione: Pelosi non poteva aver fatto tutto da solo. Lo diceva la logica. Lo dicevano le indagini di Oriana Fallaci per l’Europeo. Oggi lo dice Pelosi stesso. Lo dice (al Corriere della Sera di martedì 10 maggio) Torquato Tessarin, ex direttore di produzione di Pasolini. E’ stato uno dei pochi, forse il solo, a ricredersi: «Voglio chiedere pubblicamente scusa a Oriana Fallaci, l’unica ad aver scritto che Pasolini fu ucciso da tre persone». Trent’anni fa Tessarin dichiarava la Fallaci pazza ed esaltata, «visionaria come lo era stata nelle corrispondenze dal Vietnam».
Lei ora non se ne cura: «Io non so chi sia questo ex direttore di produzione e attore e regista che mi ha chiesto scusa sul Corriere. Non ho la minima idea di chi sia. Di quelli che componevano il piccolo mondo intorno a Pasolini ricordo soltanto il nome di un tale che chiamavano “Cavallo pazzo”. Non so se “Cavallo pazzo”, il quale pronunciava delle bestialità irripetibili, degli improperi vergognosi nei miei riguardi, sia questo direttore di produzione.
Tutti del resto facevano a gara a chi era più bravo a insultare in modo più sconcio, più rozzo. Fu una rara, rara prova di inciviltà in un paese che l’inciviltà la conosce bene. Ma il punto non è quello che dicevano i cavalli pazzi. Il punto è il modo in cui si comportarono la polizia e poi la magistratura».
La polizia, spiega la grande scrittrice, «prese a perseguitarmi. Mi mandava, soprattutto all’ufficio dell’Europeo di via Boncompagni, vicino a via Veneto, degli strani individui che, si capiva, avevano il compito di trarmi in inganno, di tendermi trappole per farmi dire che avevo mentito e scritto cose non vere». Niente a paragone della magistratura: “Se lei mi chiede qual è l’immagine che io ho del magistrato, non è quella del signore con la barba bianca, gli occhiali e la toga nera dignitosamente assiso in tribunale. E’ quella del magistrato che per primo mi interrogò dopo gli articoli dell’Europeo, che mi convocò in procura e io andai da bravo cittadino - ho l’ingenuità dei bravi cittadini - non pensai di portarmi l’avvocato, andai, dissi, sentiamo, forse è interessato a quello che noi dell’Europeo abbiamo scritto. E trovai questo barbuto, maleducatissimo, che si dava un mucchio di arie, seduto dietro la scrivania squallida di una stanzuccia squallida, che mi trattava come una delinquente, sgarbato, aggressivo». Voleva sapere i nomi dei testimoni ai quali Oriana Fallaci si riferiva nei reportage. Lei si appellò al segreto professionale, allo statuto dei giornalisti, alla norma deontologica che impone di tutelare le fonti, specialmente se rivelarne l’identità può metterle in pericolo. Era certamente quello il caso, e la Fallaci lo ripeté al processo, sia in primo che in secondo grado. Ma non le evitò la condanna e nemmeno le procurò la solidarietà, dovuta e sacrosanta, dell’Associazione della stampa. Non si tratta soltanto dell’ingiustizia: «Io so cosa significa essere condannati ingiustamente: è una delle cose più ributtanti che esistano». Si tratta anche di una questione di dignità. La tracotanza del pubblico ministero, l’aria di sufficienza di giudici maldisposti, l’alterigia e la villania degli avvocati a lei contrari. Le provò su di sé e «dopo quella duplice esperienza, davanti all’ingiustizia della giustizia non mi sono più stupita: il mio battesimo l’ho fatto in seguito alla morte di Pasolini». Paradossalmente, ciò che più le è rimasto nella memoria di quelle udienze è l’immagine catastrofica e offensiva di un cancelliere donna: «Una ragazzaccia volgarissima, con questi capelloni tutti scarmigliati e con una maglietta, invece della toga - come io credevo che dovesse avere un cancelliere - una maglietta senza maniche, una t-shirt, con un grande topolino disegnato sul davanti. Vedere questo topolino seduto su uno scranno, a giudicare un cittadino trattato come fosse alla gogna, lo trovai mostruoso. Mi inorridì».
Questa sciatteria insieme con le prevaricazioni e i vilipendi subiti la spingono oggi a riparlare di Pasolini: «Questa faccenda mi interessa soltanto nella misura in cui ha aperto la strada della mia disistima per il giornalismo, la polizia, la legge. Soprattutto della legge, soprattutto dei magistrati, del sistema giudiziario e di chi lo amministra». La pena è stata amnistiata ma ad Oriana Fallaci importa poco. Ritiene che lo Stato le dovrebbe delle scuse, la rifusione dei danni morali e materiali. E in fondo le interessa relativamente riporsi la solita domanda: perché? Perché ci fu tanto accanimento contro di lei, e soltanto contro di lei, non contro altri dell’Europeo? E perché non si spesero altrettante energie per dimostrare che Pelosi non era un assassino solitario? Se l’è chiesto per un po’. Poi «mi sono guardata bene dal continuare a rimuginare sulle loro miserie morali e mentali. Ma è una domanda che io ora pongo a voi: perché gli dava tanto fastidio che l’Europeo avesse detto questa verità? Perché l’hanno rifiutata? Perché per rifiutarla se la sono presa con la Fallaci e basta? Sono domande senza risposta, per me sono come il dogma della verginità della Madonna». Ci si potrebbe rituffare nelle teorie dei complotti, nei grovigli politici, e in fondo questo era il sospetto di Tommaso Giglio, direttore dell’Europeo in quegli anni. Si potrebbe ragionare sul fatto che anche adesso sono in pochi a trovare la voce, e comunque è una voce flebile, per dire che pure quella volta la ragione era di Oriana Fallaci. Si potrebbero sostenere tante tesi, ma senza troppi appigli. Forse è sensato e sufficiente tornare all’inizio di questo articolo, ripetere che nel 1975 Oriana Fallaci era già Oriana Fallaci. Già quella del Vietnam, quella delle interviste ai potenti messi spalle al muro. La Oriana Fallaci detestata perché scriveva quello che nessuno sopportava leggere: in che direzione stava girando il mondo. O, per dirlo con parole sue: «Già a quel tempo e da parecchio tempo ormai ero il bambino di quella fiaba di Grimm, il bambino che dice: “Il re è nudo”». * * * «Ucciso da due motociclisti?», La stampa 12 maggio Pier Paolo Pasolini fu ucciso a Ostia nella notte del 2 novembre 1975. Il 14 dello stesso mese, l’Europeo pubblicò il primo degli articoli con cui Oriana Fallaci raccontò che Pino Pelosi aveva complici e non aveva fatto tutto da solo. L’articolo era titolato così: «Ucciso da due motociclisti?». Nel testo si leggeva: «A un certo punto la porta della baracca si spalancò e Pasolini uscì correndo verso la sua automobile. Riuscì a raggiungerla e si apprestava a salirci quando i due della motocicletta lo agguantarono e lo tirarono fuori». La settimana successiva un altro «pezzo», molto lungo, intitolato «Il testimone misterioso». Questo era l’inizio: «Nossignori, l’intervista col ragazzo-che-sa non appare col nome del ragazzo-che-sa. Non daremo il nome di quel ragazzo. Non ne forniremo neppure i dati somatici, nella speranza che ciò serva a non farlo riconoscere...». Anche l’intervista era firmata da Oriana Fallaci, e riferiva di un lungo colloquio di Mauro Volterra, collaboratore dell’Europeo, col «testimone misterioso». Un piccolo capolavoro, tutto in romanesco: «E io come faccio a fidamme? Tu ormai me conosci come faccia...».