Materiali di maphiologia

Esce sabato 14 ottobre "Pensieri in libertà", il libro di Franco Laratta dedicato al problema della mafia in Calabria. Pubblichiamo, in anteprima, l’autorevole contributo del professor Gianni Vattimo contenuto nel volume

mercoledì 11 ottobre 2006.
 

Che cosa si può fare per la Calabria? La forma della domanda indica con chiarezza una particolare visione della politica, molto diffusa al Sud, secondo cui lo Stato deve provvedere per necessità a un’area tradizionalmente depressa e segnata dal violento conflitto tra i poteri legittimati e le forze mafiose nel territorio, salvi i loro frequenti matrimoni. Sarebbe più giusto chiedersi che cosa si può fare in Calabria, dal momento che non è possibile, oggi, intendere le sorti della cosa pubblica come se fossero di sola pertinenza politico-istituzionale. Le ultime vicende di Locri, a partire dall’omicidio di Francesco Fortugno, ci hanno mostrato, per l’ennesima volta, l’impotenza degli apparati istituzionali e della politica in Calabria e, assieme, una corale richiesta di giustizia e cambiamento proveniente dai giovani e dalla società civile. Negli anni Sessanta, ma anche dopo, la situazione non era troppo diversa: le battaglie per i diritti, la sicurezza e lo sviluppo, finite nella rapida caduta dei loro «eroici furori», avevano come protagonisti molti ragazzi impegnati nel sociale, poi emigrati perfino all’estero. Gli economisti che si sono interrogati sugli effetti concreti di speciali misure d’assistenza statale sistematicamente riservate alla Calabria ne hanno rilevato, quasi unanimi, la sostanziale inutilità e le aberrazioni prodotte nella coscienza politica degli individui. In altri termini, molti provvedimenti a sostegno del reddito si sono di fatto rilevati dannosi, a giudizio di chi li ha indagati, e hanno giovato all’idea dell’onnipotenza della politica, peraltro già abbastanza radicata. Specie in Calabra, i fondi per la disoccupazione, i redditi minimi d’inserimento, le assunzioni di massa negli uffici pubblici e l’abuso della discrezionalità amministrativa, ancora vigente, hanno corroborato quella mentalità d’assoluta dipendenza dal potere, contro il quale «mai conviene andare», di troppi calabresi. Ora, i dati sul benessere in Europa, anche se letti in controluce, documentano uno stato più che allarmante di degrado e arretratezza della nostra regione, dove, oltretutto, non esistono servizi adeguati né sufficienti garanzie in ambito sanitario, nei trasporti, nella sicurezza pubblica, nella tutela dei diritti. Se, poi, si considerano le istituzioni formative, occorre osservare quanto è ancora problematico il loro collegamento col mondo del lavoro, come denunciato a più riprese e livelli dal rettore dell’Università della Calabria, Giovanni Latorre. In Calabria, il problema fondamentale è il lavoro. La politica è chiamata, anzitutto, a favorire delle condizioni per cui si possa avviare e mantenere un’impresa produttiva, senza subire il ricatto della mafia o del potere esecutivo. Fra cultura e turismo, agricoltura ed enogastronomia tipica, con tutti gli annessi e connessi, ci sarebbe davvero l’imbarazzo della scelta. Non aggiungiamo qualcosa, quindi, rispetto alle retoriche elettoralistiche di molti professionisti della politica. E il rischio, a questo punto, è giusto quello di sprofondare nel già visto, con qualche banale scusante di rito. Giovani, legalità e investimenti nella produzione culturale in senso lato potrebbe essere lo slogan o il principio di un’altra politica in Calabria, in cui non serve inventare novità, dato che le risorse della regione non sono state mai pienamente impiegate. Nella mia recente esperienza di candidato sindaco a San Giovanni in Fiore, ho potuto osservare il grave isolamento dell’area interna calabrese. I tentativi di sollevare gli animi fornendo, almeno, delle alternative ad una certa consuetudine nel sociale e a una drammatica passività individuale nel politico sono destinati, pare, al fallimento inevitabile. Le resistenze nascono, il più delle volte, dal sospetto che si possa turbare, comunque, uno stato di relativa stabilità e certezza, al di là del quale, è opinione diffusa, potrebbe spuntare l’impegno personale e l’onere d’una scelta di tipo politico. È una sorta di circolo vizioso: meglio delegare a chi ha creato un presente schiacciante ma, tutto sommato, indispensabile. Certamente, e realisticamente, fornire ai giovani degli stimoli per superare la barriera dell’indifferenza politica può rappresentare un buon inizio per costruire una Calabria più autonoma e migliore. In primo luogo, perciò, bisogna intervenire a un livello che potremmo definire minimo. In questa prospettiva, la scuola, attore politico in disparte, ha un ruolo essenziale. Deve crederlo e non cedere.

Gianni Vattimo


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