Eros, civiltà, e ... amore ("charitas")

Nella "caverna a luci rosse" di Platone ... A Milano l’otto marzo una mostra di immagini tratte dal Fondo Riservata Erotica della Biblioteca Nazionale Braidense. "Nell’Enfer dei libri maledetti sfilano le porno-eroine di carta". Un "commento" di Francesco Merlo - a cura di pfls

giovedì 8 marzo 2007.
 

Eros

Nell’Enfer dei libri maledetti sfilano le porno-eroine di carta

di Francesco Merlo *

È inutile presentarsi qui con il sorriso d’ordinanza o fingere la spensieratezza in questa mostra del libro erotico che si apre a Milano l’otto marzo (l’otto marzo!) e non è, come vorrebbero i dotti curatori della Biblioteca Nazionale Braidense, «un’antologia del piacere», ma la documentazione di una malattia, l’archivio storico di un’ossessione, anche se nessuno di questi libri può spiegare e contenere quell’Eros-Priapo che neppure gli dei dell’Olimpo volevano tra di loro perché non si fidavano di una divinità infantile che non vuole crescere, di una smania che disarticola ogni calcolo di equilibrata, misurata armonia. Insomma Eros-Priapo non è divinamente corretto. Dunque gli dei cercarono di confinarlo in un’appartata dimora di licenziosa e scurrile promiscuità, un ghetto senza barriere interne di alcun tipo: la pornografia. E benché, ancora oggi, molti fingano di non sapere nulla di quel ghetto, in realtà non c’è uomo che non abbia affrontato con un libro «la guerra dei cinque contro uno», delle cinque dita contro il sesso, per dirla con le parole della Réligeuse in chemise.

Intanto, proprio come lo scrivere, la masturbazione è attività solitaria, un piacere individuale e una prova di autonomia, «il pericoloso supplemento» della penna diceva Rousseau, perché ogni lettera vergata è «carezza che resuscita i morti» aggiungevaBaudelaire, e il gioco di parole «mi sfrucuglia / mi gorgoglia / e al salame fa venir voglia» cantava l’anonimo, e le iperboli letterarie producono «un’erezione da cosacco», e tutta l’arte della retorica serve a dar sollievo, secondo Apollinaire, «al ritmo ferroviario dell’Orient Express». È la tecnica delle parole che incontrano parole, membro, affare, aggeggio, toccatina, self-pollution, semen extra vas, masturbazione, stupro, manustrupazione, fatica viziosa, funesto tornaconto, nell’universo nascosto e tuttavia ben frequentato della pornografia, un po’ come i locali degli anni del proibizionismo americano gestiti da delinquenti ma riempiti da tutti, da uomini con ghette e da donne di classe, da donnine e da omuncoli.

E non di lettura qui si tratta perché pochissimi leggono per intero Ciò che piace alle donne, Le fellatorese La sega degli dei. Sono infatti libri necessari solo a quell’«affilo per stasera il mio coltello» del racconto di La Fontaine, che è la parte “in chiaro” dell’oscenità. Mentre l’uomo, che con una mano dialoga con la sua anima e con l’altra regge La Papessa di Giovambattista Casti o Il contadino pervertito di Rétif de La Bretonne, ne è la parte oscura che non può essere messa in mostra neppure in questa bella Mostra denominata Enfer che la Biblioteca Braidense apre a Brera appunto l’otto marzo.

L’otto marzo? Sembra uno sberleffo, un cattivo gusto festeggiare la donna con un carnevale, un rodeo di immagini, di associazioni psicologiche, di realtà dissociate e improbabili, una palestra di acrobazie linguistiche, affabulatorie orientate al riso sguaiato, liberatorio solo nel senso dello svuotamento di sé. Ma forse l’otto marzo merita questo sberleffo della Braidense, perché la retorica delle mimose ha reso grottesca anche l’utopia del sesso liberato, con questa idea che il sesso sia l’identità di una persona, per cui liberando il sesso si libera la persona, come se si potesse vivere con il ginocchio liberato, o gli occhi liberati e la testa frastornata e confusa, la testa tradita. Come può la testa consegnare l’anima al ginocchio, ai testicoli, alla vulva?

E come può l’erotismo consegnarsi al libro erotico? Come si può credere che Eros-Priapo abbia accettato la ghettizzazione? Chi, tanto per fare un esempio, volesse davvero mettere in mostra l’erotismo settecentesco italiano più che al Batacchi e al Casti, che spiccano nella collezione della Braidense, dovrebbe ripartire dalla dimenticata letteratura, anche giuridica ed ecclesiastica, sul cicisbeo, curioso fenomeno che proprio nel paese della gelosia religiosamente supportata dalla monogamia, dalla santità del matrimonio, dall’ideadell’onore, santifica,legalizza e arricchisce di modernità per più di un secolo la pratica dell’adulterio.

Piuttosto che nell’ Ortolano delle monache o ne L’ossessa, l’erotismo di quel secolo sta nelle figura del cavalier servente, che diventa un membro della famiglia, assiste e partecipa al risveglio e ai lavacri della signora, alle operazioni cosmetiche, dall’acconciatura al ritocco dei nei, e partecipa alla tavola familiare, sempre in mezzo tra moglie e marito, sbriga commissioni, ed è sempre presente alle feste, abilissimo nel conversare, nello spendere e consumare, in un trionfo della futilità e dell’effimero, fra tazze di cioccolato e nuvole di cipria, ma con considerazioni keynesiane ante litteram da parte degli economisti illuminati come Pietro Verri, acuto intellettuale e cicisbeo instancabile che per anni servì la sorella di Cesare Beccaria, Maddalena, anche dopo il matrimonio di lei con il marchese Giulio Cesare Isimbardi al quale strappò persino il diritto ad esercitare i piaceri maritali, «il pane del cicisbeo», il concubinato. Ed è interessante notare che al marchese Isimbardi, che opponeva una resistenza passiva non all’adulterio ma al suo riconoscimento ufficiale, Pietro Verri nelle lettere al fratello Alessandro indirettamente risponda dandogli non del cornuto ma dell’imbecille che non capiva i vantaggi dell’essere cornuto.

Ma facciamo un esempio più vicino. È vero che in questa Mostra si sfiora appena il Novecento, ma insomma c’è molto meno erotismo in Emmanuelle Arsan e in Melissa P, che pure sono state aggiunte al catalogo, di quanto ce n’è in Alberto Moravia che è forse il solo ad avere svelato di che sangue grondi il sesso d’Italia. Se Machiavelli capì il potere italiano, Moravia capì il sesso, che è lo squallore degli Indifferenti, la morbosità di Agostino, la ferocia animalesca della Ciociara. La letteratura italiana del secondo Novecento è un florilegio di amori infelici nel casino. Da Vittorini a Pavese a Buzzati è tutto un innamorarsi «come un babbeo» della puttana, un’oscillazione fra grazia e disgrazia che fa impazzire d’amore per sublimi sgualdrine che, nello scorrere delle pagine, diventano sempre più sublimi e sempre meno sgualdrine, perché come cantava De André «in via del Campo ci va un illuso / a pregarla di maritare / a vederla salir le scale / fino a quando il balcone ha chiuso». Dolcistilnovisti e dermosifilopatici, gli uomini italiani sono pieni di pathos e di blenorragia perché, come aveva capito Marinetti, «il gran chiaro di luna romantico bagna la facciata del bordello».

Altro che spensieratezza, rivolta e rivoluzione del libro erotico! In realtà parla solo di maschi, e di maschi soli, questa mostra di Milano, del loro rifugiarsi nel libro di genere, ben lontano dalla donna concreta, dal suo erotismo reale, dalla banalità del suo mistero. È vero che alla fine valgono, questi scrittori di genere erotico, galante, libertino e pornografico, quanto i cardinali e i preti che immaginano le donne come costolette da friggere sulla graticola biblica dei luoghi comuni maschili, e quanto i poeti romantici dell’altra metà del cielo, o i campioni di Sanremo, o i sociologi femministi e le sociologhe femministe delle quote riservate, o i politici marpioni che demagogizzano sulla fecondazione assistita, ma davvero non ci sarebbe alcun motivo di festeggiare la faticosa banalità di essere donna cantando la donna-fantasma della pornografia che, nelle sue varie versioni, di sottomessa, autoritaria, fatale, infernale, educanda, sino alla «macchina da fottere» di Bukowski e alla «liberata» delle femministe, è l’eguale contrario di quella raccontata da Borgese (Le belle, Sellerio), la donna che, un attimo prima di suicidarsi gettandosi dalla finestra, si aggiusta pudicamente la gonna sulle gambe. La donna di cui si parla nella mostra di Milano è soprattutto la peccatrice che va a finire nel taccuino delle tariffe, la Berta, la Turca, l’alternativa, sui divani del Grottino, ai «surrogati snervanti», che sono la verità di questi libri, la ragione per la quale sono stati scritti e poi avidamente letti e scrupolosamente collezionati.

La masturbazione, insomma, è la regina assoluta del libro di genere erotico, della pornografia, di Internet, ma anche, udite udite, del bordello e della prostituzione femminile. E di fatti masturbatio, che è latino, deriva probabilmente da mastropeuein che è greco e significa procacciare prostitute: amore mercenario e «mano amica», la «puttana del mancino» secondo Marziale, sono le sequenze di una medesima deformazione, della stessa impasse, entrambi rimedi autocentrati, con la masturbazione nel ruolo di protagonista, e non solo perché è più diffusa e più antica come scrisse Freud: «Sono arrivato a pensare che è l’unica grande abitudine, il bisogno primitivo».

Non esiste fenomeno che, nella storia dell’umanità, abbia subito la stessa prolungata furia repressiva, ben più del libro proibito che pure le è “compare”, sino alla morte, alla galera, al taglio dell’arto, alla ferocia del manicomio, alla persecuzione collettiva, a partire dalla scoperta scientifica, da parte di Leeuwenhoek nel 1677, di quelli che sulle prime chiamò animalculi: ogni goccia un oceano di uomini preformati, e tra i quali inizialmente persino distinse il maschio e la femmina. Insomma partì, come spesso accade, dalla scienza la crociata contro la masturbazione - «falso godimento» «nervosismo immaginativo» «suicidio e omicidio» - con la partecipazione fanatica del prete, del pastore, del ministro del culto, del medico, dei genitori, degli educatori, dei precettori e dei maestri, dell’intera opinione pubblica, con una violenza che arriva sino a oggi visto che non c’è nulla di più sprezzante dell’insulto «segaiolo», parola alla quale dovrebbe obliquamente associarsi anche il significato di raffinato lettore di libri, quelli appunto in mostra a Brera.

E basta entrare, fosse pure una volta, in un bordello di Parigi o di New York per scoprire che la prostituzione femminile è fondata sulla masturbazione maschile. I famosi sex shop, le case di piacere, i bordelli dei quartieri a luci rosse d’Europa alternano, infatti, spettacoli dal vivo e saloni privati dove si esercita la prostituzione a lunghi corridoi in più piani dove, con casualità strategica, si aprono cabine singole nelle quali ci si rinchiude per masturbarsi in santa pace, non più con uno dei libri in mostra a Milano, ma davanti a un televisore che proietta filmini classificati per genere, e il cliente può sceglierne uno o abbandonarsi a un furibondo zapping. Sono corridoi affollati, come la Rinascente a Milano, di varia umanità, di quegli stessi uomini che frequentano gli uffici postali e i supermarket o le redazioni dei giornali, ma non hanno la semplicità del ragazzino sincero che non si vergogna; loro temono il contagio e non dicono apertamente la verità che è la seguente: «Quando non ho la ragazza mi smanetto, spesso con l’aiuto di un libro o di un film».

E, in quei corridoi, tra la folla dei clienti si aggirano numerosi inservienti, uomini di colore, immigrati, con i guanti e la mascherina sul viso, una scopa e un secchio. Hanno il compito di pulire per terra, tra un cliente e l’altro. Una bella rivista francese, Nova, qualche tempo fa, ne raccontò e ne fece parlare uno. In Francia li chiamano clinér, deformando la parola inglese, negli Stati Uniti sono i bus-boys. Fanno probabilmente il lavoro più infimo del mondo, e oggi forse dovrebbero essere proprio loro i protagonisti inconsapevoli, i testimoni della riedizione di una di quelle famose indagini sul sesso degli anni Sessanta, e dunque di un nuovo, amaro Rapporto Master e Johnson (ricordate?) sulla libertà sessuale, sul bisogno primitivo di libri o di filmini erotici.

E un giorno anche questi filmini finiranno nel Fondo “Riservata Erotica” della Braidense, ma è bene non credere all’allegria, o al presunto ruolo ribelle, di chi colleziona queste opere che, come i libri che le hanno precedute, non sono mai state opere spensierate e neppure eversive o rivoluzionarie, né tanto meno libere, libertine o, figuriamoci!, liberate. Meriterebbe un settore della storiografia il collezionismo, e varrebbe la pena lavorare sulle biografie oltre che sulle biblioteche. Il collezionista più famoso fu certamente sir Henry Spencer Ashbee, e basta qui ricordare che lo schifiltoso British Museum non avrebbe mai accettato la raccolta più vasta e preziosa di “libri infami” se tra essi non vi fossero state anche tutte le prime edizioni e traduzioni del Don Chisciotte. Pochissimo invece si sa di Camillo Bianchi che nel 1902 lasciò alla Braidense i libri ora in mostra a Milano. Si sa solo che abitava in via Montenapoleone ed era certamente un uomo raffinato. Ma i collezionisti di libri erotici, specie se italiani, sono in genere uomini tristi, che hanno avuto un rapporto tragico con il sesso, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, sulla soglia di un collasso psichico e affettivo, di una catastrofe emotiva, di quello splash che ciascun uomo si porta dentro nella sua personale zona proibita, ciascuno con il suo carico di mistero e di normalità.


LA MOSTRA E IL CATALOGO

Si intitola L’Enfer della Braidense, i libri del Fondo Riservata Erotica la mostra che aprirà giovedì 8 marzo alla Biblioteca Nazionale Braidense diretta da Roberto Di Carlo L’inaugurazione, alle 18, in via Brera. 28 a Milano. La mostra (aperta fino al 21 marzo) raccoglie una scelta di testi erotici del fondo del collezionista Camillo Bianchi, che contiene un migliaio di titoli dal Cinquecento fino al Novecento.

Tra gli autori, l’Aretino, Casanova, De Sade e Diderot. La casa editrice Franco Angeli pubblica nella collana Storia dell’editoria il catalogo del fondo a cura di Anna Rita Zanobi e Giovanna Valenti (222 pagine, 20 euro) che sarà presentato all’inaugurazione.[...]

* la Repubblica/Domenica, 04.03.2007, pp. 36-37 - senza le foto.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  PERVERSIONI di Sergio Benvenuto. UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO

-  DONNE: IL CORAGGIO DI PRENDERE LA PAROLA. “Né puttane né madonne, siamo donne”. Una storia mai archiviata.

-  "Deus caritas est": la verità recintata!!! Caro BENEDETTO XVI ... Messa in latino? Ma quale latino?! Faccia come insegna CONFUCIO. Provveda a RETTIFICARE I NOMI. Segua FRANCESCO!!! E ri-mediti sulla ’sollecitazione’ (Un "Goj") di Luigi Pirandello ... a Benedetto XV.

-  A FREUD, GLORIA ETERNA!!!

-  DICO, PACS, FAMIGLIE, POSSUMUS, NON POSSUMUS... EPITTETO, DIONISO, E IL CROCIFISSO. UN "CANTO" DI FIDUCIA E DI SPERANZA: UNA SPLENDIDA "ANALISI" DI BARBARA SPINELLI


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