FILOSOFIA: FORME DI VITA. Una nuova immagine della natura umana e dei rapporti sociali....

LOGICA E ANTROPOLOGIA. Cosa ne è della natura umana, oggi? Il tema dell’ultimo numero della rivista "FORME DI VITA" - a cura di pfls

Rilanciare una sorta di filosofia analitica «delle origini»: una filosofia materialista, anche se di un tipo di materialismo diverso da quello del cognitivismo.
sabato 31 marzo 2007.
 

I nessi tra logica e antropologia in «Forme di vita»

L’ultimo numero della rivista edita da Derive e Approdi torna al progetto originario della filosofia analitica, ossia alla proposta di una descrizione materialistica degli aspetti biologici dell’esistenza umana, a partire dai fenomeni del linguaggio

di Pietro Perconti (il manifesto, 30.03.2007)

Tanto è vero che le riviste specializzate sono uno dei principali strumenti per l’avanzamento della ricerca scientifica, tanto è palese che, sfortunatamente, in genere non servono anche la causa della divulgazione del sapere.

Sembra che ogni anno vengano pubblicati circa venticinque milioni di saggi scientifici su circa duecentomila testate specializzate: non si fatica a credere che ciascun articolo, spesso dedicato a un minuscolo argomento ritenuto interessante soltanto a poche persone già avvertite, abbia un numero di lettori che può essere contato sulle dita di una mano.

Tra le poche riviste a essere in grado di avanzare ipotesi culturali di ampio respiro, «Forme di vita» dedica il suo ultimo numero (edito da DeriveApprodi) a problemi di Logica e antropologia, rivolgendosi a chiunque sia interessato a comprendere cosa ne è della natura umana nel periodo attuale, caratterizzato da trasformazioni tecnologiche e scientifiche particolarmente significative.

In un articolo comparso alcuni mesi fa sul domenicale del Sole 24 Ore, Diego Marconi osservava come la filosofia di orientamento analitico, che fino a poco tempo fa contava su Ludwig Wittgenstein come su uno tra i propri punti di riferimento, sembra ormai averlo completamente rinnegato.

La ragione del distacco da Wittgenstein risiede nell’incompatibilità tra alcune sue idee e il programma di ricerca delle scienze cognitive, divenuto ormai l’orizzonte di riferimento della maggior parte dei filosofi analitici.

Per esempio, mentre Wittgenstein riteneva che l’impresa filosofica non dovesse in generale mettere capo all’elaborazione di teorie e tanto meno di teorie compromesse con le scienze naturali, i cognitivisti non fanno che elaborare e vagliare ipotesi teoriche su ogni aspetto della conoscenza naturale e artificiale.

Ancora: mentre Wittgenstein riteneva che la soluzione dei problemi filosofi dovesse passare per una valutazione del modo in cui essi vengono formulati linguisticamente, per le scienze cognitive il linguaggio non ha un ruolo così speciale nella conoscenza umana. Anzi, molti cognitivisti ritengono che non si possa comprendere come funziona il linguaggio verbale finchè non si prendono in considerazione i processi cognitivi non linguistici che lo rendono possibile.

Preso atto di ciò, il gruppo di filosofi che si riunisce intorno a «Forme di vita», tra cui Massimo De Carolis, Felice Cimatti, Paolo Virno, Stefano Catucci,ha pensato che è venuto il momento di ispirarsi sistematicamente alle intuizioni di Wittgenstein e di rilanciare una sorta di filosofia analitica «delle origini»: una filosofia materialista, anche se di un tipo di materialismo diverso da quello del cognitivismo.

Quest’ultimo, infatti, sarebbe affetto da una profonda difficoltà a trattare gli aspetti pubblici della vita umana, come per esempio i fatti di linguaggio e la normatività. La dimensione pubblica in cui sono immersi gli esseri umani ha, dice De Carolis, una forma del tutto differente rispetto a quella delle altre specie animali. Ogni animale vive in una propria nicchia ecologica, in gran parte esclusa ai membri delle altre specie. Negli esseri umani, tuttavia, il rapporto con l’ambiente assume le forme di una «apertura al mondo» in cui gli aspetti sociali e la loro influenza sulla strutturazione della psiche individuale non si lasciano ridurre al metodo naturalistico delle scienze cognitive.

Per comprendere la natura umana e la sua «antropologia» occorre dunque prendere in considerazione da quale logica profonda è prodotta la visione ecologica tipica degli esseri umani. E proprio in questa prospettiva la rivista si propone di esaminare il ruolo che diversi operatori logici, come la negazione, svolgono nel produrre il tipo di rappresentazione che contraddistingue il commercio umano con il mondo.

Complessivamente siamo davanti a una sorta di «materialismo logico», come sostiene Paolo Virno, ossia una posizione che ricava dalla base logica della metafisica la specificità ecologica della società umana.

Secondo gli autori della rivista, la sfida lanciata alle scienze cognitive è segnata da una ragione politica: esse infatti rifletterebbero un atteggiamento di tipo individualistico, anzi un «individualismo programmatico» tipico «dell’assetto economico del mondo moderno». Se le cose stanno in questo modo, allora «forse non è un caso che sia proprio il quotidiano della Confindustria che sia diventato il principale paladino, fra i grandi quotidiani, delle scienze cognitive».

È una tesi, tuttavia, un po’ forzata. È vero che le scienze cognitive riflettono una certa immagine delle persone umane, fatta di continuità con il resto della natura, rifiuto del dualismo tra anima e corpo ed enfatizzazione degli aspetti interni della vita individuale. Ma l’insieme delle loro assunzioni non implica affatto una particolare visione politica. Non a caso, Noam Chomsky, ossia uno dei teorici più influenti nel panorama delle scienze cognitive, è anche uno degli intellettuali marxisti più attivi nel mondo.

Il fatto è che l’immagine della natura umana propagandata dalle scienze cognitive è collocata a un livello tale di astrazione da consentire sia a Chomsky di trarne alimento per le sue idee radicali sia ad altri di coltivare le loro differenti opinioni politiche in modo altrettanto coerente con la loro adesione al cognitivismo.

D’altra parte l’individualismo tipico delle scienze cognitive è ormai da parecchi anni avvertito come un limite anche all’interno di quello stesso programma di ricerca, tanto che lo studio degli aspetti sociali della cognizione è oggi di fatto il cuore pulsante del panorama del cognitivismo contemporaneo.

Ma, al di là dei singoli passaggi della discussione, la rivista solleva una questione decisiva. Le scienze cognitive non propongono soltanto una serie di evidenze parziali. Al contrario, stanno delineando una nuova immagine della natura umana e dei rapporti sociali, benchè non sia chiaro quanto ciò accada in modo deliberato e consapevole e quanto per inerzia. In ogni caso rivelare al più presto questa nuova immagine, discuterla e apprezzarne le conseguenze sulle nostre vite è essenziale per comprendere che genere di influenza la scienza contemporanea avrà sul nostro futuro.


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