Socio-logia?! No. Polemo-logia!

MERCATI SENZA FRONTIERE. LA "GLOBALIZZAZIONE" DELL’INSICUREZZA. Illegalità planetaria e violenza armata si alimentano a vicenda, si rafforzano reciprocamente e traggono vigore l’una dall’altra. Una pagina dall’ultimo libro di Zygmunt Bauman - a cura di pfls

L’«apertura» della società aperta ha acquisito un nuovo significato, che Karl Popper, al quale si deve l’espressione, non avrebbe mai immaginato.
venerdì 20 aprile 2007.
 
[...] «Mercati senza frontiere» è la ricetta per l’ingiustizia e per il nuovo disordine mondiale che rovescia la famosa formula di Clausewitz, condannando la politica a diventare la continuazione della guerra con altri mezzi. La deregulation, che sfocia nell’illegalità planetaria, e la violenza armata si alimentano a vicenda, si rafforzano reciprocamente e traggono vigore l’una dall’altra; come avverte un altro adagio di antica saggezza, inter armas silent leges (quando parlano le armi, le leggi tacciono) [...]

«Per i popoli più deboli globalizzazione significa trovarsi davanti a forze che non controllano né capiscono»: l’analisi di Zygmunt Bauman

Povertà liquida

«La "società aperta" di Popper oggi non è più opportunità, ma destino contrastato al quale non si può sfuggire»

di Zygmunt Bauman (Avvenire, 20.04.2007)

«Se vuoi la pace, cura la giustizia», asseriva la saggezza antica; e a differenza della conoscenza, la saggezza non invecchia. L’assenza di giustizia sta sbarrando la strada alla pace oggi come duemila anni fa. Le cose non sono cambiate. Ciò che è cambiato è che la «giustizia» oggi, a differenza dei tempi antichi, è una questione planetaria, che si misura e si valuta con confronti planetari; e questo per due ragioni.

La prima è che, in un pianeta attraversato in tutte le direzioni da «autostrade dell’informazione», nulla di quanto vi accade da qualunque parte può di fatto, o almeno potenzialmente, rimanere in un «fuori» intellettuale. La sofferenza umana di località distanti e modi di vivere remoti, e la dissolutezza di altri luoghi distanti e altri modi di vivere remoti entrano nelle nostre case attraverso le immagini elettroniche nella stessa vivida, straziante, vergognosa o umiliante maniera della miseria e dell’ostentata prodigalità degli esseri umani che incontriamo vicino alla casa nelle nostre. Le ingiustizie a partire dalle quali sono stati forgiati i modelli di giustizia non rimangono più confinate alle immediate vicinanze, non c’è più bisogno di andarle a cercare nella «privazione relativa» e nei «differenziali salariali» rispetto ai vicini della porta accanto, o agli amici che occupano il gradino successivo della scala sociale.

La seconda ragione è che, in un pianeta aperto alla libera circolazione delle merci e dei capitali, qualunque cosa accada in un posto comporta ricadute su come la gente vive, spera o si aspetta di vivere in tutti gli altri posti. Niente può essere considerato davvero materialmente «esterno». Niente è veramente, o può rimanere a lungo, indifferente a qualsiasi altra cosa, intatto e senza contatto. Il benessere di un luogo ha la sua parte di responsabilità nella sofferenza di un altro luogo. Nel succinto sommario di Milan Kundera, un’«unità dell’umanità» come quella portata dalla globalizza zione significa principalmente che «non c’è possibilità di fuga, in nessun posto e per nessuno». Come ha fatto notare Jacques Attali nella Voie humaine, i quarantanove Paesi più poveri, dove vive l’11% della popolazione mondiale, ricevono complessivamente soltanto lo 0,5% del prodotto globale. Mettete assieme tutti e due i tipi di «apertura» - intellettuale e materiale - e capirete perché qualsiasi danno, privazione relativa o indolenza congegnata giunga ovunque corredato dalla beffa dell’ingiustizia: il senso del torto che è stato perpetrato, un torto che chiede a gran voce di essere riparato, ma che prima di tutto costringe le vittime a vendicarsi delle proprie avversità...

L’«apertura» della società aperta ha acquisito un nuovo significato, che Karl Popper, al quale si deve l’espressione, non avrebbe mai immaginato. Come prima, questa espressione indica una società che ammette francamente la sua incompletezza e quindi smania di occuparsi delle proprie possibilità, ancora non intuite, né tanto meno esplorate; ma indica anche una società impotente, come mai prima d’ora, a decidere il proprio cammino con un minimo grado di certezza, e a tutelare l’itinerario scelto una volta presa la decisione.

L’«apertura», un tempo prodotto prezioso ancorché fragile di una capacità di farsi valere coraggiosa e faticosa al tempo stesso, oggi è associata prevalentemente a un destino cui non ci si può opporre; agli effetti collaterali, non pianificati né previsti, della «globalizzazione negativa»: una globalizzazione selettiva di commercio e capitali, sorveglianza e informazione, violenza e armi, delitti e terrorismo, tutti unanimemente concordi nel rifiuto del principio della sovranità territoriale e nella mancanza di rispetto per qualsiasi confine statale. Una società «aperta» è una società esposta ai colpi del «destino».

Se l’idea della «società aperta» in origine stava a indicare l’autodeterminazione di una società libera che aveva a cuore la s ua apertura, adesso ai più fa venire in mente la terrificante esperienza di una popolazione eteronoma, sventurata e vulnerabile, messa di fronte a forze che non controlla né capisce a fondo. In un pianeta globalizzato negativamente è impossibile ottenere la sicurezza all’interno di un solo Paese o di un gruppo scelto di Paesi: non con i loro mezzi soltanto, e non a prescindere da quanto accade nel resto del mondo. E neanche la giustizia, condizione preliminare di una pace duratura, può essere raggiunta, né tanto meno garantita, all’interno di un solo Paese.

L’«apertura» è essa stessa causa prima di ingiustizia e quindi, per vie traverse, di conflitti e di violenza. «Mercati senza frontiere» è la ricetta per l’ingiustizia e per il nuovo disordine mondiale che rovescia la famosa formula di Clausewitz, condannando la politica a diventare la continuazione della guerra con altri mezzi. La deregulation, che sfocia nell’illegalità planetaria, e la violenza armata si alimentano a vicenda, si rafforzano reciprocamente e traggono vigore l’una dall’altra; come avverte un altro adagio di antica saggezza, inter armas silent leges (quando parlano le armi, le leggi tacciono).

*

l’anticipazione

L’insicurezza del mondo globalizzato

Il sociologo britannico Zygmunt Bauman sviluppa un nuovo capitolo della sua riflessione sulla «modernità liquida» nel suo ultimo saggio «Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido», in uscita per Laterza (pagine 132, euro 14,00). Il testo, del quale anticipiamo in queste colonne ampi stralci del primo capitolo, si sofferma in particolare sulla condizione di insicurezza vissuta da ogni abitante, ricco o povero, del pianeta globalizzato.


Rispondere all'articolo

Forum