Sinistra al semaforo
di Furio Colombo (l’Unità, 30.08.2007)
Vorrei dedicare all’assessore Graziano Cioni di Firenze, importante figura della sinistra in Italia, le parole di una canzone italiana che al principio dell’altro secolo era popolare anche fra le signore bene, popolare come «Balocchi e profumi». La so perché la cantava mia madre con una buona voce da soprano leggero: «A Natale non badare, spazzacamino / ogni bimbo ha un focolare / e un balocco vicino / tu però non ti accostare / resta in giardino / i bambini non toccare / va a spazzare il camino».L a canzone, di tempi in cui alcuni borghesi non si vergognavano di essere un po’ socialisti, prevedeva la risposta del lavoratore abusivo citato nella canzone: «Tu mi scacci, lo so, perché il volto più bianco non ho, ma lo spazzacamino tiene il cuor come un altro bambino».
Pensandoci bene devo dedicare le parole di questa canzone (era sostenuta da una bella aria strappalacrime che purtroppo qui non sono in grado di trascrivere) a tutte le figure della sinistra italiana che volentieri, spontaneamente, e qualche volta con impeto da neoconvertiti alla luce di verità non più negabili, sostengono che:
le tasse di Prodi-Padoa-Schioppa sono effettivamente un furto senza precedenti nel mondo e bisognerà «restituire» (attenzione alla parola, significa riconoscere che parliamo di maltolto) ciò che spetta ai cittadini. Tener presente che i Paesi con le mitiche tasse bassissime non sono mai citati e confrontati realmente (tasse, incentivi per le imprese, favori, interventi pubblici, scuole, ospedali, spese militari);
affermano tuttavia, fra una sparata e l’altra di Bossi, che non si devono discriminare né la Lega né Tremonti da un serio discorso sulle riforme (Bossi è il fucile e Tremonti, ovviamente, è il fiscalista del progetto «sciopero fiscale»);
dicono con autorità che bisogna finalmente proteggere i più deboli (cioè gli esclusi da ogni beneficio) nel mondo del lavoro attraverso il giusto espediente di privare di ogni beneficio i lavoratori che se li erano conquistati con lotte e scontri sociali neanche tanto facili negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Intanto il resto del Paese - come ha poco dopo rivelato la infelice operazione «Mani pulite» - viveva nella austerità. E se quei lavoratori, allora accampavano tanti diritti, adesso sono abbastanza vecchi e dopo 35 o 40 anni di lavoro (quasi sempre senza barca e senza seconda casa) sono andati in pensione, si fa dell’ironia sul fatto che un sindacato «conservatore» di pensionati pretende di dettare legge alle nuove dinamiche del lavoro.
Ma adesso i «coraggiosi» (questo è il termine per gli audaci di sinistra e centrosinistra che hanno trovato una identificazione originale nel ripetere con passione e convinzione ciò che ha già detto la Lega, ciò che si ascolta nelle assemblee degli imprenditori padri e - in seconda convocazione - gli imprenditori figli, ciò che scrivono gli editorialisti di ispirazione «moderna»), adesso i coraggiosi puntano dritto ma contro Rom e lavavetri. Conoscete nemici peggiori? È futile una sinistra che vede i lavavetri come gli spazzacamini, e pensa ai Rom più come a poveri che a ladri di bambini. Eccoci dunque pronti a spezzare le reni ai lavavetri.
Anzi, hanno pensato, facciamo di più. Facciamo di Firenze, città di sinistra, il simbolo e il modello della caccia ai lavavetri. E facciamo bandiera della sinistra la «sicurezza» ai semafori. Finalmente lotta di liberazione dai poveri, dai Rom, dai mendicanti, dai lavavetri. Mentre nostri connazionali bianchi e agiati alzano un po’ il gomito (dopotutto siamo in ferie), guidano un po’ spericolato (dopotutto siamo italiani) e ti spazzano via un ragazzino o una ragazzina sedicenne al giorno (dopotutto c’è sempre il perdono e un mazzo di fiori da recare sul posto); mentre nostri connazionali bianchi e laboriosi sono impegnati a vendere a bravi risparmiatori padani fondi di investimento in cui sono accuratamente incluse le somme ricavate da «cartolarizzazioni mondiali» che possono provocare in ogni momento un crollo prima di azioni, poi di Borsa, poi di banca, poi di risparmi (e tanti esperti, pacati, pensierosi e tranquilli sono impegnati a «esaminare le varie ipotesi»), il lavavetri non ha scampo. Lo becchi al semaforo e gli dai tre mesi di carcere. Come è noto, tutti gli importanti e irrisolti delitti italiani di ragazze inseguite, tormentate e uccise dal fidanzato laureando, originano dalla piaga del lavavetri.
Con quel loro ostinato appostarsi ai semafori e quella loro deliberata volontà di usare (male) spugna e straccio anche sui vetri puliti, provocano una tale esasperazione che poi si spiega se un povero italiano credente (che verrà comunque perdonato) va a casa e fa una strage di italiani grandi e piccoli, moglie, figli e neonati inclusi.
Tutto ciò sarebbe uno scherzo, benché un po’ pesante, se non ci fossero alcune ragioni che disorientano e umiliano non solo chi credeva di essere a sinistra. Ma anche una comune «classe media» di sentimenti umani che altrove si chiamerebbe soltanto «liberal». Provo a elencarle così.
Primo. C’è qualcosa di blasfemo - certo di stupido - nell’agitare la parola e «il valore» della sicurezza a proposito di lavavetri, a Firenze nell’estate in cui mezza Italia è messa a fuoco da cittadini italiani, il più delle volte incensurati, che non si fermerebbero a occuparsi dei vostri vetri sporchi. Hanno missioni di malavita alquanto più grandi. E molto ben coordinate.
Secondo. C’è qualcosa di blasfemo - e anche di stupido - nell’agitare la parola e il «valore» della sicurezza a proposito di lavavetri, a Firenze nel giorno (lo stesso giorno) in cui il presidente della Regione Calabria Loiero riceve una ulteriore minaccia di morte (la sesta).
Terzo. C’è qualcosa di stupido - politicamente stupido - in una sinistra ricca delle bandiere della uguaglianza, della legalità, dei diritti umani e civili, quando questa sinistra cerca di rubare e usare come bandiera lo straccetto della presunta insicurezza dei cittadini sia perché quella bandiera è saldamente nelle mani di Borghezio (che non ha nessuna intenzione di mollarla perché non ne ha un’altra); sia perché - portino pazienza tutti coloro che fingono di non saperlo - l’Italia della insopportabile immigrazione è il Paese meno insicuro d’Europa (per non parlare di Usa e America Latina) tranne che nel seno delle buone famiglie e delle simpatiche coppie italiane dove va forte la strage delle donne (solo italiane, solo per mani di bravi cittadini italiani).
L’evidenza triste è che il sistema omologato delle informazioni, una volta impiantato da Berlusconi nel cuore della televisione pubblica e privata, dei giornali, degli editorialisti, dei corsivisti (fa eccezione il fronte dei vignettisti, forse perché, come dimostra Forattini dai giorni della sua conversione, la destra non può ridere), continua a mettere in luce con successo il lato falso delle notizie. Molti italiani che non leggono l’inglese credono davvero che l’Italia sia il Paese più tassato o che le imprese, in Italia, siano davvero perseguitate (quanto ai manager che sanno l’inglese, gli conviene far finta di non saperlo, se no avrebbero difficoltà a spiegare la cattiva sorte americana di Ford, General Motors e Chrysler nel Paese del liberismo, il fallimento della Swiss Air nella mitica Svizzera delle banche, la pesante disoccupazione nei Paesi di bassissima tassazione).
Ed ecco che subito si arruolano «i coraggiosi», entusiasti e vivaci seguaci di fatti mai accaduti e di notizie non vere e si battono per nuove tasse (niente tasse) e nuovo lavoro (niente garanzie, se mai raccomandazioni o essere nati figli di). Molti italiani credono davvero - perché lo dicono Borghezio, Gentilini e il Bossi del fucile purificatore - che il nostro pericolo, terrorismo globale e terrorismo stradale, sono gli immigrati, cioè i lavavetri.
Cioni ci crede perché purtroppo nell’Italia di oggi non fa una gran differenza guardare Canale 5 o la Rai. Non abbiamo detto che la sicurezza non è né di destra né di sinistra (benché sia una evidente sciocchezza, se si parla di eventi stradali)? Crede nella sicurezza, arresta i lavavetri. Cioni dunque, in preda a una terribile crisi di buona fede, prende alla lettera gli spot berlusconiani, e arresta i lavavetri. Finalmente una sinistra moderna. Ci dicono due giorni dopo i quotidiani: «Non si vedono più lavavetri a Firenze».
Grande vittoria della sinistra, anche se ottenuto lungo la scorciatoia della destra, che non è uguaglianza ma abolire l’immagine della diseguaglianza. E non è giustizia ma evitare ogni constatazione di ingiustizia. Ricordate l’inizio del «Siddarta» di Hesse? «Fecero scomparire tutti i poveri e i malati dalle strade perché il principe non li vedesse».
L’assessore Cioni ha vinto. Con un prezzo un po’ alto. Liquidare nella sua città la sinistra.
P.S.
L’assessore Cioni, nel compilare il suo editto senza se e senza ma non ha potuto tener conto di due esperienze, verificate personalmente, che gli giro, insieme ai versi della canzone di mia madre.
Varie volte ho visto bravi cittadini italiani farsi lavare accuratamente il vetro, indicando con precisione punti ancora insoddisfacenti per prolungare l’operazione. Poi, appena il semaforo lo consente con uno strappo sull’acceleratore, sgommano via facendo il segno del dito, senza pagare.
Due volte, in reputati e pubblicizzati distributori di benzina e Diesel, mi è stato detto, durante l’estate: «Il parabrezza? Se lo faccia pulire dal lavavetri. Noi non lo facciamo più».
colombo_f@posta.senato.it
La vera emergenza
di Claudio Fava *
Ci voleva il presidente dell’Associazione degli Industriali siciliani per farci capire che, nel Paese reale, l’emergenza mafiosa non sono i lavavetri ma i mafiosi: con un gesto senza precedenti Ivan Lo Bello ha comunicato che caccerà dalla sua associazione gli imprenditori che pagano il pizzo a Cosa Nostra. Sono bastate due righe d’agenzia per ribaltare il suggerimento di consociativismo mafioso che l’ex ministro dei Trasporti Lunardi propose qualche anno fa ai siciliani spiegando che alla mafia non c’è rimedio, e che dunque conviene abituarsi a conviverci. Un rimedio dunque c’è: basta non pagare. Ci perdonerà l’assessore Cioni di Firenze, ma ci sembra lontanissima, parole da un altro pianeta, anche la sua fiera intervista di qualche giorno fa.
Quella con cui annunciava la crociata contro gli stracci e i secchi dei maghrebini agli incroci della città. Se parliamo di sicurezza (e di rischi: quelli veri), il Paese reale oggi non sono i semafori di Firenze ma la periferia di Catania. Al signor Vecchio, presidente dei costruttori edili, hanno fatto quattro attentati in otto giorni: bombe, incendi, saracinesche divelte... L’ultimo, due giorni fa, dopo che era già stata disposta dal prefetto la protezione ventiquattrore su ventiquattro nei suoi confronti: una tanica piena di benzina lasciata davanti al deposito di un suo cantiere. Come dire: lo Stato può pure tentare di proteggervi con scorte e vigilanza, ma se noi mafiosi vogliamo farvi saltare in aria l’azienda, non ci ferma nessuno. Dal canto suo, il signor Vecchio ha fatto sapere, per la quarta volta (con una lettera aperta che l’Unità ha pubblicato ieri in prima pagina), che alle cosche lui non pagherà un centesimo.
In altri tempi, tempi non troppo remoti, a un imprenditore così tenace nel rivendicare la propria dignità di cittadino e di uomo, avrebbe fatto subito eco il saggio ammonimento degli altri imprenditori: non fare l’eroe, paga, campa tranquillo, pensa ai figli,che tanto per recuperare i piccioli ti basta evadere un poco di tasse... Andò più o meno così sedici anni fa con l’imprenditore Libero Grassi a Palermo. Grassi non pagò, andò il televisione e davanti a qualche milione di italiani spiegò che se si fosse piegato a quel miserabile ricatto mafioso non avrebbe più avuto la forza di guardare in faccia i figli. Due giorni dopo il presidente della sua associazione di categoria gli fece sapere, a mezzo stampa, che era un fesso, che a Palermo pagavano tutti e che quel baccano non serviva nemmeno al buon nome della Sicilia. Per Grassi fu una condanna a morte: isolato, umiliato, a completare il lavoro ci pensarono un paio di ragazzotti assoldati dalla cosca che pretendeva il pizzo. Lo ammazzarono sotto casa scaricandogli una pistola in testa, così gli altri avrebbero imparato da che parte stare.
Non tutti hanno imparato, non tutti si sono rassegnati. Il presidente degli industriali siciliani, che non fa solo accademia ma rischia anche le proprie aziende e la propria pelle, è uno che non s’è rassegnato. E che ha deciso di portare solidarietà al signor Vecchio senza chiacchiere ma nell’unico modo possibile: mandando a dire ai mafiosi che in Sicilia, tra quelli che non pagheranno più il pizzo, non ci sarà solo il costruttore catanese.
Certo adesso arriveranno i primi pelosissimi distinguo. Qualche commerciante si agiterà dicendo che lui il pizzo non sa cosa sia. Qualche collega di Lo Bello argomenterà che sì, certo, adesso denunciamo, però lo Stato, signori miei, dov’è lo Stato? che fanno a Roma? e cosa c’entriamo noi poveri cristi siciliani? Qualche gioielliere palermitano continuerà a pensare quello che ha sempre pensato: lui non paga il pizzo, al massimo fa un regalo, ecco, un regalino ogni tanto a certi amici, che così non gli fanno più rapine, risparmia sulla vigilanza e tiene la saracinesca alzata fino alle dieci di sera. E a Firenze qualcuno continuerà a lustrarsi con lo sguardo con gli strofinacci sequestrati durante la giornata ai lavavetri. Come se fossero kalashnikov e non scopette.
* l’Unità, Pubblicato il: 02.09.07, Modificato il: 02.09.07 alle ore 13.01
La paura dei lavavetri
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 02.09.2007)
In pochi giorni, anzi poche ore, il fastidio profondo causato dai lavavetri ha preso il posto in prima pagina sui giornali, nelle discussioni cittadine, nello scontro di culture fra governo e opposizione di ben altre turpitudini italiane.
È bastato che il municipio di Firenze approvasse un’ordinanza che punisce fino a tre mesi di carcere chi importuna l’automobilista ai semafori coi suoi servizi, ed ecco che altre notizie come d’incanto son svanite: a cominciare dalle cartoline recapitate in carcere a Riina e Provenzano («La pace è finita!»), dalla faida sanguinosa seminata dalla ’ndrangheta in Germania, per finire con la minaccia di un politico di primo piano, Umberto Bossi, di ricorrere all’illegalità (scioperi fiscali, fucili) se le tasse continueranno a esser pesanti.
D’un tratto, nulla sembra più criminoso del lavavetri, del posteggiatore abusivo, del venditore ambulante, e in particolare del nomade. Nulla più malfido del loro modo di presentarsi, d’imporsi, di vestirsi, di abitare. Non mancano le diatribe anche dotte sulla cultura della sinistra e quella di destra, sul Dna dell’una e dell’altra, su quel che fino a ieri le separava e oggi pare invece unirle. O sui difetti indecorosi del solidarismo cattolico, che Rosy Bindi e Romano Prodi anacronisticamente perpetuerebbero. La società sembra d’altronde compatta, dietro i sindaci che promettono azioni dure per compiacere le paure che si diffondono. Probabilmente sarebbe compatta nel difendere la pena di morte, se nella politica non permanesse una scintilla, almeno, di ambizione pedagogica. Mentre son denigrati i pochi che dubitano (Marco Travaglio, Furio Colombo, Marco Revelli), che considerano parecchio esagerati gli allarmismi e i vituperi: questi pochi son trattati come fossero molti, e vengono considerati arcaici, schiavi di stereotipi di sinistra e di ideologie defunte.
Quel che conta è fare subito qualcosa di spettacolarmente repressivo che però non costi inimicizie di lobby troppo potenti: lavavetri o nomadi sono ottimi, essendo senza difesa. Ancora una volta, come accade da tempo, chi dà spettacolo di simili severità selettive vien onorato con l’aggettivo Coraggioso, perché sfida quei molti che in realtà son pochi. Gli altri sono pavidi asserviti a un Dna.
Certo urge ordine nelle città, e la piccola criminalità lo diceva Beccaria va perseguita come la grande se si vuol debellare la cultura dell’impunità. Ma quest’accanirsi eccitato sugli Ultimi e i poveri ha qualcosa di molto sospetto, è un velo che copre indecenze più inquietanti e assai più scandalose latitanze dello Stato. Achille Serra, fino a ieri prefetto di Roma, lo ha detto chiaramente, venerdì in una cerimonia di commiato al Campidoglio. Ha rammentato che Roma è «sufficientemente sicura», per poi aggiungere con una certa ironia: «Oggi si protesta per i lavavetri, ma l’augurio che faccio a Roma è che siano sempre questi i problemi con i quali occorrerà confrontarsi». Il che è come dire: né Roma né Milano né Bologna né Firenze sono paragonabili a quel che era una parte di New York prima che il sindaco Giuliani introducesse la tolleranza zero. Invocare Giuliani perché ci sono molti nomadi non solo è un’esagerazione menzognera. È un diversivo, utile per dissimulare impotenze o pavidità in altri campi.
Ma non è solo l’esagerazione o il ricorso ai diversivi a colpire. Colpisce la perdita di memoria, su quel che è stata la questione della povertà e del nomadismo nella storia d’Europa. La storia di come nacque la questione sociale e di come la carità medievale finì col degradare, producendo simultaneamente la secolarizzata assistenza pubblica ma anche la grande esclusione e la pratica di punire-bandire i poveri senza lavoro. I poveri un tempo santificati e poi criminalizzati, che in alcune disposizioni medievali venivano chiamati «inutili al mondo» e che nel Seicento inglese furono soprannominati deserving poors (poveri che lo meritano). Anche questa degenerazione è parte delle radici d’Europa, e specialmente delle sue radici cristiane. È narrata da grandi storici come Bronislaw Geremek ex dissidente e poi ministro degli Esteri polacco, o da studiosi della questione sociale come Robert Castel (Le Metamorfosi della Questione Sociale, Parigi 1995).
È tra la fine del Medio Evo e l’inizio del Rinascimento che il povero senza lavoro diventa figura equivoca, impaurente. Lo si vuole assistere e al tempo stesso allontanare, recludere. L’esclusione degli Ultimi (soprannumerari, Inutili al Mondo) conosce l’acme nel momento in cui la civiltà sembra più raffinarsi: nel Rinascimento, quando si cominciano a sognare utopie di società e città ideali. I massacri di San Bartolomeo, che uccisero duemila protestanti a Parigi e diecimila in Francia, hanno sullo sfondo l’utopia cinquecentesca di una società perfetta, armoniosa, fondata sull’amore e la fede indivisa (Denis Crouzet, La nuit de la Saint-Barthélemy: un rêve perdu de la Renaissance, Fayard, 1994).
Quando Marco Revelli mette in guardia contro queste fantasie igienico-repressive («Guai agli ultimi!», così si conclude un suo articolo sul Manifesto del 29 agosto) non è un vecchio stereotipo che mette in scena. Mette in scena quel che è stato l’itinerario d’Europa, il suo sprofondare e il suo risollevarsi. Ricorda che il vero stereotipo non è l’assistenza inclusiva del diverso, ma l’illusione (tanto forte anche nel comunismo) di poterlo allontanare dagli occhi bandendolo. Giacché è così, bandendo gli Ultimi, che nell’800 e ’900 è nata apparendo insolubile senza violenza rivoluzionaria la Questione Sociale. L’esclusione degli Inutili al Mondo non nasce oggi, ha radici nel Medio Evo e diventa organizzazione carceraria a seguito di grandi crisi, come la peste nei primi del ’500. È in quelle occasioni che secondo Geremek sorge la figura doppia del povero assistito ma anche colpevole, senza tetto o come si diceva allora: «dimorante dappertutto».
L’emarginazione-reclusione dell’Inutile al Mondo ha nella storia europea molti scopi. Ha uno scopo religioso, soprattutto a partire dalla Controriforma: è una guerra santa contro i pericoli del tempo che sono il vagabondaggio e la mendicità, considerati come «disordine dei poveri». Gli ospizi del ’500 e ’600 (Pitié-Salpêtrière, Bicêtre, Compagnia del Santo Sacramento a Parigi) vogliono rifar ordine. Ha uno scopo politico assecondato dalla Chiesa: il povero è classe pericolosa, va rinchiuso o raddrizzato nella migliore delle ipotesi. Ha scopi igienici, infine. Quando gli odierni fautori della mano dura usano la parola decoro, sono i miti neoplatonici dell’armonia perfetta che resuscitano, senza saperlo. Decoro non è semplicemente ordine, ha una connotazione estetica, mescola il bello a vedersi e il bello morale, l’aspetto e il comportamento. È significativo che il ministro Amato accenni a questa mescolanza di concetti, dispiacendosene ma senza denunciarla con forza. Quando parla di «percezione di insicurezza» promettendo d’attenuarla, sul Corriere della Sera del 30 agosto, cita d’un sol fiato piccola illegalità, «attività svolte a danno della gente per bene», e «ostilità e diffidenza verso chiunque sia malvestito o malmesso e ci venga vicino».
La storia d’Europa, le sue radici cristiane, sono anche qui. E sono la resistenza a tale degrado, sono la speranza che gli Ultimi non siano trattati come criminali e la povertà non appaia un crimine. È una resistenza che nasce sia dentro il cristianesimo nel ’500 (Filippo Neri difensore degli zingari che Papa Ghisleri Pio V vorrebbe bandire da Roma in quanto empi; Vincenzo de’ Paoli della Compagnia del Santo Sacramento che si ribella agli ospizi-prigioni) sia nella società secolarizzata (sommosse di artigiani e operai, poi nell’800 socialismo). In tutto questo Italia e Roma sono state spesso all’avanguardia: nella crudeltà e non crudeltà.
Si comprende dunque la difesa di legge e ordine: ma a condizione che ci sia un po’ di senso storico, se si vuole che la questione sociale non s’infiammi di nuovo. Scommettendo sull’inclusione, sulla trasformazione di lavori illegali in lavori legali, anche se queste misure non riscuotono subito successo («Fare serie politiche di integrazione significa perdere consensi», dice su La Stampa lo storico Franco Cardini). I critici dell’esclusione punitiva sono accusati di non aver senso della realtà, ma la realtà non è solo la paura, e soprattutto non è l’uso che si fa della paura per ottenere nervosi consensi unanimi. La realtà sono gli eventuali racket ed è anche la vita degli Inutili al Mondo. Un’inchiesta di Emilio Radice su la Repubblica, nel gennaio di quest’anno, racconta come essi vivono, abitando non case, non camere, ma «posti testa»: pochi centimetri quadrati di cemento affittati da italiani a 200, 300, anche 500-600 euro al mese, in appartamenti dove si coricano a turno decine di Ultimi. Sono più istruttive inchieste del genere che tanti editoriali inneggianti al coraggio della pura e molto popolare repressione.
La lettera al Corriere
Mi dimetto da intellettuale di sinistra
L’intervento di Alberto Asor Rosa sul caso lavavetri
Caro Direttore,
trovo indecente l’ordinanza del Comune di Firenze sui lavavetri di strada, non perché rappresenta un’offesa alla morale rivol u z i o n a r i a , ma perché è una cialtronata. Sarebbe come se, in presenza di una g r a v i s s i m a e m e r g e n z a igienica, le autorità preposte andassero in giro ad ammazzare l e mosche con i giornali arrotolati. Mi spiego.
Le condizioni delle città italiane sono mediamente fra le peggiori d’Europa. Roma è la città più sporca dell’emisfero occidentale (se si esclude Napoli). Il centro storico di Firenze ha preso l’aspetto e le abitudini di un suk arabo (oddio, che lapsus!). Bologna non riesce a risollevarsi dalla grigia, spenta aura guazzalocchiana. Milano, un tempo capitale morale e culturale d’Italia, sembra un sobborgo di Rogoredo. Napoli, appunto, è sommersa dall’immondizia. Ovunque, ogni giorno, ci si deve confrontare con degrado e speculazione del territorio e dell’ambiente, di cui spesso le amministrazioni locali sono complici. Questo sì che sarebbe un tema interessante per una grande inchiesta: il confronto, su valori ben accertati (pulizia, servizi, trasporti, traffico, sanità, ecc.), tra le più importanti città italiane e, poniamo, Parigi, Londra, Berlino, Zurigo, Bruxelles e Madrid. Vediamo sul serio a che punto le cose sono. Perché allora cominciare a prendersela proprio con i lavavetri di strada? Per due motivi, credo. Innanzitutto, perché quando io vado a caccia di mosche a casa mia con il giornale arrotolato (retaggio, me ne rendo conto, di abitudini antiche, sorpassate dalle alte tecnologie contemporanee), meno tali fendenti che il mio cane spaventato corre in un’altra stanza: lui crede che sia scoppiata la Terza Guerra Mondiale.
Nello stesso modo si comportano i sindaci di casa nostra (come me; non come il mio cane). Menano fendenti sulle mosche: così il pubblico si distrae e non pensa ad altro. In secondo luogo, perché l’ordinanza costituisce un piccolo ma significativo passo avanti nella realizzazione di quella ormai onnipresente costituzione materiale, che sta alla base del PUCD = Partito Unico del Conformismo Dominante. Per forza che la maggioranza, la grande maggioranza, sta con l’ordinanza del Comune di Firenze: mettete insieme la quasi totalità dell’elettorato di centrodestra con la maggioranza di quello di centrosinistra, e avrete questa spaventosa miscela di conformismi, questo incontro di volontà armate, che, invece di confrontarsi e scontrarsi, come sarebbe giusto, beatamente si incontrano e si sommano sui principi fondamentali, il più importante dei quali dice: per favore, preferirei non essere disturbato. Resta solo da chiarire quale sarà il prossimo soggetto disturbante (ma non c’è che l’imbarazzo della scelta: il Pucd, perciò, ha possibilità infinite davanti a sé). Naturalmente - voglio dirlo proprio solo alla fine, perché tanto so che i miei interlocutori sono del tutto insensibili a questo tipo di argomento -, a me fa impressione anche che, nella catena infinita dei problemi, i nostri amministratori comincino esattamente dagli ultimi (ultimi in tutti i sensi: in ordine di importanza; e dal punto di vista della miserabilità della condizione umana dei soggetti interessati). Ma questo è un riflesso condizionato d’ordine morale: cosa d’altri tempi, e non mette neanche conto parlarne.
P.S. So benissimo che Pierluigi Battista è abituato alle distinzioni e alla complessità dei problemi; perciò mi stupisco che da qualche tempo a questa parte usi categorie troppo generali, la cui correttezza mi pare ormai poco fondata. «Intellettuali di sinistra»? Mi pare che la categoria non esista più: almeno da quando si è totalmente svuotata o perlomeno fortemente indebolita e confusa quella di «politici di sinistra». Comunque io ne sono uscito volontariamente da almeno un decennio, da quando ho scoperto che stare nello stesso contenitore con altri intellettuali che si definivano in qualche modo di sinistra, non era più commendevole. Quindi, faccio da me. Del resto, come è noto, chi fa da sé fa per tre. O almeno lo spero.
* Corriere della Sera, 01 settembre 2007
Con questa sinistra
meglio lasciar perdere
di GIANNI VATTIMO (La Stampa, 5/9/2007)
Non so se valga la pena, come ha suggerito qualcuno (Alberto Asor Rosa), dimettersi da intellettuale di sinistra a causa dei provvedimenti che alcune amministrazioni comunali, anche uliviste, hanno annunciato contro i lavavetri - questi lavoratori abusivi che sembrano costituire una delle più gravi minacce per la sicurezza collettiva nelle città. Non che la cosa non meriti attenzione; ma se c’era da dimettersi, le occasioni in questi ultimi mesi, da quando la sinistra è diventata «di governo» erano ben altre e anche più gravi. Più che di dimettersi, nei confronti di questo ultimo sussulto di tipo «law and order» della cosiddetta sinistra nostrana, vien voglia semplicemente di «lasciar perdere» o, evangelicamente, lasciare che i morti seppelliscano i loro morti, continuando l’epocale dibattito sulle elezioni primarie del non ancora nato partito democratico, o sulla presenza di ministri alla manifestazione del 20 (dicesi 20!) ottobre prossimo. E, a proposito di morti, per fortuna solo feriti, non varrebbe la pena dedicare un pensiero ai militari italiani feriti in Afghanistan in una delle varie «missioni di pace» in cui il governo ci ha impegnati? O ricordare che tra i temi della manifestazione (eventuale) del 20 ottobre non c’è solo il protocollo sul welfare, ma anche il problema della base Usa a Vicenza, i diritti civili (Dico, fecondazione assistita), e altre quisquilie che pure fanno parte del programma di governo?
Di lasciar perdere viene voglia perché il nostro dibattito politico, compresa questa ultima fiammata di legalitarismo - tolleranza zero, Firenze come la New York di Giuliani - mostra emblematicamente la povertà intellettuale (si può ancora dire?) a cui si è ridotta la retorica «riformista» della ex sinistra italiana. Certo che la sicurezza delle strade cittadine è un’esigenza sacrosanta, e del tutto bi-partisan; ma persino il riformista-capo, Romano Prodi, trova che ha poco senso partire dai lavavetri, ultima misera ruota di un carro che trasporta ben altre clamorose illegalità. Niente «benaltrismo», d’accordo; niente «ma la colpa è della società ingiusta in cui viviamo». Ma un pensierino anche a questo aspetto della faccenda, una sinistra non del tutto immemore della propria storia dovrebbe pur farlo. Si ammette da tutti che la legalità non può essere assicurata solo dalla presenza di un carabiniere a ogni angolo di strada, che è invece, anzitutto, una questione di educazione civica. Ma quale senso collettivo della legalità può sussistere in un Paese dove la giustizia penale e soprattutto civile non garantisce più niente, dove se violi una norma devi solo: a) usare i soldi illegalmente guadagnati per pagarti un grande avvocato che trascini la tua causa fino alla prescrizione; b) o comunque aspettare fino al prossimo condono che ti ridarà la tua verginità giuridica in attesa di una nuova violenza ? Il «riformismo» e la concretezza «bersaniana» dei nostri governanti hanno di sicuro le loro ragioni. Ma, come molti dicono, non scaldano i cuori. Nessuno è disposto a farsi in quattro per le liberalizzazioni bersaniane.
Alla indispensabile retorica politica che dovrebbe scaldare i cuori, la fu sinistra italiana sostituisce quest’altra retorica molto più vacua e ideologicamente neutra: la sicurezza, la famiglia, il valore della «vita», qualunque essa sia, anche con gravi handicap che una bioetica meno bigotta potrebbe aiutarci a evitare. Ma intanto persino i nostri «alleati» - Usa, Nato - ci prendono sempre meno sul serio, nonostante lo sforzo e i soldi che buttiamo nelle cosiddette missioni di pace. Se qualcuno dice che l’Italia non ha una politica non ha probabilmente tutti i torti. E il civismo è anzitutto un affare politico. Un paese dove non si discute di pace e di guerra (residui ideologici del passato!) ma solo di lavavetri e di (imminente) persecuzione legale di chi va a prostitute non ha, e non avrà per molto, cittadini amanti, o anche solo rispettosi, delle leggi.
Microcriminalità, sicurezza e politiche del centrosinistra.*
TOLLERANZA ZERO?
La recente, ridicola, se non fosse drammatica, ordinanza del Sindaco di Firenze contro i lavavetri e la ancora più recente richiesta dei Sindaci di Bologna e ancora di Firenze di attribuire poteri di polizia ai Sindaci, accompagnate dalle continue iniziative "securitarie" promosse dai Sindaci del Centro Sinistra, dimostrano ancora una volta come sia in atto un tentativo della sinistra di accreditarsi rispetto al concetto di sicurezza, normalmente ritenuto patrimonio della destra.
Ci pare necessario fare chiarezza su questo primo punto: l’istanza di sicurezza dei cittadini, di per sé, non è concetto né di destra, né di sinistra, ma esprime semplicemente la condivisibile richiesta di una vita possibilmente tranquilla; ciò che deve costituire la differenza tra destra e sinistra, invece, è il contenuto del concetto di sicurezza ed i modi per ottenerla. Ed è qui che, invece, si stanno verificando cedimenti inaccettabili da parte della sinistra in generale, e dei Sindaci eletti da quello schieramento, in particolare.
E’ recente la preoccupata dichiarazione, sul punto, del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino, Caselli, che ha affermato ’le differenze politiche si stanno affievolendo. Si fa a gara nellŽappiattirsi sulle posizioni con venature populistiche, ad accantonare ad esempio la difesa dei diritti sociali nel nome supremo della sicurezza, ad assecondare le paure e le insicurezze della gente e le sue percezioni esasperate’.
E’ profondamente errato cavalcare la difesa della sicurezza ad ogni costo, come strumento per acquisire consenso popolare, occorre ribadire con forza che, se siamo d’accordo che vi sia uno sforzo da parte dello Stato per garantire maggior sicurezza a tutti i cittadini, mai si potrà accettare che, per quella ragione e per quello scopo, si limitino le libertà individuali di alcuni cittadini, ovviamente i meno tutelati ed i meno abbienti.
L’ordinanza del Sindaco di Firenze è emblematica del suo scopo elettoralistico: per dimostrare che il Sindaco è in sintonia con quei cittadini che hanno subito aggressioni da parte di lavavetri, si arriva ad affermare che il mestiere di lavavetri è vietato sino al 31 ottobre 2007, con il che affermando implicitamente che, prima dell’ordinanza e dopo il 31/10, l’attività poteva e potrà essere liberamente svolta, senza necessità di licenza alcuna!
L’ordinanza, dunque, non può che essere stata emessa in un tentativo di captatio benevolentiae della pubblica opinione.
Comunque, a parte il discorso sulla veramente dubbia legittimità di quell’ordinanza, rispetto alla quale sarà possibile l’impugnazione avanti il TAR, ciò che ci preoccupa vivamente come Giuristi Democratici è la filosofia sottesa a questo tipo di provvedimenti; occorre un’inversione di tendenza, che vada incontro alle esigenze dei cittadini, senza porre in pericolo i diritti di nessuno e senza ricorrere a strumenti tanto inefficaci, quanto vessatori; ed in questo senso, crediamo che le forze della Sinistra debbano operare un serio esame di coscienza e riappropriarsi di quella difesa dei diritti sociali che dovrebbe costituire, come in passato, il loro fiore all’occhiello.
06/09/2007
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI -Pubblicato da: Redazione | 06/09/2007 20:19 |
Il procuratore capo di Firenze: "E’ un illecito amministrativo, non è punibile penalmente"
Domenici: "Doveroso rispetto, ma stiamo riflettendo su nuova ordinanza"
Lavavetri, chiesta l’archiviazione
Il sindaco: "Andremo avanti comunque" *
FIRENZE - Il mestiere girovago di lavavetri è un illecito amministrativo, quindi non può essere oggetto di illecito penale. E’ con questa motivazione che il procuratore capo di Firenze Ubaldo Nannucci ha chiesto l’archiviazione per i lavavetri bloccati dopo il controverso provvedimento del Comune, che ha previsto contro di loro una sanzione fino a 206 euro o una pena fino a tre mesi d’arresto. Il sindaco Leonardo Domenici però non si arrende e ha annunciato che è in arrivo una nuova ordinanza.
Questa mattina Nannucci ha depositato al Gip del tribunale di Firenze la richiesta di archiviazione. Oltre ad esprimere il suo parere sull’ordinanza, il procuratore capo ha parlato dell’ipotesi avanzate dall’assessore comunale alla sicurezza Graziano Cioni e dal primo cittadino sull’esistenza di un racket dei lavavetri. "Ho scritto al comando provinciale dei carabinieri e alla questura per sapere se per caso avessero segnalato qualche tipo di condotta che meritasse la definizione di racket", ha dichiarato. "Mi è stato riferito che non c’è stata nessuna segnalazione di questo tipo".
Il sindaco di Firenze ha espresso "doverosa attenzione e rispetto" per l’atto di Nannucci, ma ha annunciato che porterà avanti il suo progetto e che l’amministrazione comunale "sta riflettendo sulle osservazioni del procuratore e sta mettendo a punto una nuova ordinanza".
Dal punto di vista politico, un plauso all’atto di Nannucci è arrivato da Rifondazione comunista. "Prendiamo atto con soddisfazione che con la richiesta di archiviazione Nannucci ha pienamente dato ragione a chi, come il Prc, ha sempre sostenuto che non si poteva, in punta di diritto, configurare in alcun caso nei confronti dei lavavetri un reato penale", hanno dichiarato le capogruppo in Comune e in Regione Anna Nocentini e Monica Sgherri. Per il consigliere di Forza Italia Jacopo Bianchi, invece, "la decisione del procuratore dimostra quanto questo problema debba essere risolto a livello nazionale".
Intanto il provvedimento fiorentino ottiene il consenso del 79% degli italiani. A rilevarlo è un’indagine effettuata da Publicares (Gruppo Swg), che segnala che l’accordo è particolarmente unanime tra gli elettori di destra (89% di consensi) e di centrodestra (88%). Anche quelli di centrosinistra e di sinistra comunque approvano il divieto dell’attività, rispettivamente nel 78 e nel 63% dei casi.
* la Repubblica, 10 settembre 2007.