"Non giudico le donne
io processo l’omicidio"
Giuliano Ferrara: ma non diciamo che ho arruolato Benedetto XVI
di RICCARDO BARENGHI *
ROMA. La sua campagna contro l’aborto va avanti da settimane, anzi da mesi, anzi da anni. Ha appena ripubblicato sul suo Foglio due articoli scritti nell’89 sul Corriere della sera che, più o meno, dicono le stesse cose che dice oggi. Certo, mancava la moratoria, ossia l’ultima proposta che è ormai diventata una campagna politica che sta raccogliendo parecchie adesioni, nazionali e internazionali. L’ultima, se così si può dire, è quella del Papa, che proprio ieri, a proposito dell’aborto e della sacralità della vita, ha appunto nominato la parola moratoria.
Allora Ferrara, un bel colpo: come si sente ora che è riuscito anche ad arruolare il Papa?
«Ma non scherziamo, semmai è vero il contrario. Da molti anni io mi sono auto-arruolato, come laico devoto, nell’esercito del Papa. La Chiesa pensa queste cose dal tempo della lettera a Diogneto, nel II-III secolo, in cui emergono le differenze fondamentali tra cristiani e pagani. Questi ultimi gettavano via i feti, i cristiani no».
Però se Ratzinger usa il termine moratoria il merito è suo: è lei che l’ha inventato.
«Ma il Papa avrebbe comunque collegato l’aborto alla moratoria sulla pena di morte. Lui parla del valore sacro della vita, dunque il nesso è automatico. Ma la notizia non è il Papa, bensì che da un’esperienza laica, di non appartenenza confessionale, un qualunque cinquantenne che sta fuori dalle mura della Chiesa, sia venuta un’adesione forte, e non da ieri, alla visione della vita e del mondo che ebbero e hanno anche tanti laici perbene e seri e responsabili come Norberto Bobbio e Pier Paolo Pasolini».
Lei si schermisce Ferrara, però la moratoria è una sua idea...
«Ma no, non mi schermisco affatto. E’ che questa discussione dimostra come ormai il pensiero laico sia una sorta di superstizione. Gli interlocutori ripetono sempre la stessa cosa: “La 194 non si tocca”. Ma chi la vuole toccare... La moratoria non è una proibizione, è una scelta».
Una scelta che però lei vorrebbe venisse messa in qualche statuto, risoluzione, dichiarazione internazionale.
«Certo, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948. Dove dice che “ogni uomo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”, io vorrei che dopo la parola “vita” si inserisse questa frase: “dal concepimento alla morte”. E mi piacerebbe tanto che i promotori di questa iniziativa fossero un “cattolico adulto” come Prodi, una cattolica democratica come Bindi e una cattolica ex comunista come la Turco».
Dunque lei sostiene che la vita umana cominci già col concepimento, eppure molti non la pensano così. E non solo laici incalliti.
«Ma non è che lo penso io, è così. E’ la scienza che ce lo ha dimostrato, e prima della scienza ogni madre lo sapeva da sola, lo sentiva nel suo seno. Da quando, più di cinquant’anni fa, Watson e Crick hanno scoperto il Dna, sappiamo che nell’individuo esiste la vita fin dal concepimento. La catena cromosomica c’è già. Vogliamo prendere atto di questo, cioè del fatto che il feto è un bambino oppure vogliamo continuare a far finta di niente?».
Scusi Ferrara, ma sul serio lei pensa che un feto di poche settimane, non formato, con gli organi ancora solo accennati, senza cervello, sia un bambino?
«Non lo sostengo io, lo sostiene la scienza. Il feto è un bambino perché soffre, ha le gambe, muove i pugnetti... non è una macchia gelatinosa come ha sostenuto ieri uno scrittore sul suo giornale. Ha gli occhi e la bocca. E soprattutto ha la stessa nostra struttura cromosomica».
Lasciamo perdere la genetica, torniamo alla politica: dunque la sua moratoria cosa prevede?
«Certamente non voglio nessuna sanzione penale, nessun carcere per chi abortisce. Ma certo vorrei che uscissimo da questa indifferenza etica che accompagna il fenomeno dell’aborto. Vorrei che il mondo si rendesse conto che siamo di fronte a una tragedia di proporzioni allucinanti. E che ormai ha sconfinato nell’eugenetica».
Addirittura, lei vuol dire che le donne abortiscono se il bambino che hanno concepito non corrisponde ai loro gusti estetici?
«Ad ogni amniocentesi cresce l’idea che sia possibile selezionare la razza umana. Anche per motivi futili. E per ragioni sessiste: in India l’antica tradizione di sopprimere le femmine è ormai diventata una pratica di massa. Domani (oggi, ndr) pubblichiamo l’adesione del vescovo di Bombay: in quel grande Paese mancano all’appello 200 milioni di bambine mai nate. E lo stesso Didier Sicard, che oltre a essere un grande scienziato è anche un ugonotto, dunque non certo un clericale, denuncia che in Francia, ripeto in Francia, “c’è un’inquietante deriva eugenetica”».
Ma se dovesse essere approvato il suo emendamento alla Dichiarazione sui diritti dell’uomo, se la sua campagna dovesse prendere piede nel mondo, non pensa che una donna che sceglie di abortire comunque, non per una ma per mille ragioni, si sentirebbe messa all’indice, additata in pubblico, esposta alla gogna?
«Ma neanche per sogno. Io credo semplicemente che vada sostituito il principio secondo cui tu donna fai quello che ti pare del tuo corpo con quello che afferma che il diritto di uccidere non esiste. E qui non c’è alcuna differenza tra la pena di morte e l’aborto».
In altre e crude parole, una donna che abortisce è un’assassina?
«Ma non diciamo fesserie, bisogna aiutare le donne a scegliere la vita. L’aborto non è una loro tragedia personale, è una tragedia oggettiva. Ecco perché non si deve continuare ad ingannarle, non a caso la legge 194 è una legge di “tutela della maternità”. Io non faccio processi alle donne, anzi penso che vadano aiutate, comprese, fraternamente, mai umiliate. Ma vorrei che sapessero che la loro libertà in questo caso va oltre il limite del vita. Io non giudico loro, giudico l’omicidio».
* La Stampa, 8/1/2008 (7:48)
PAPA RATZINGER E L’INVESTITURA DI FERRARA
PROSEGUE IL DIBATTITO SULL’ABORTO
Papa: "Si tuteli la sacralità della vita"
Benedetto XVI dopo la moratoria dell’Onu: «Attacchi da deplorare»
ROMA. Il Papa auspica che la moratoria recentemente approvata dall’Onu sulla pena di morte «stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana».
Mentre in Italia va avanti l’idea di una moratoria sull’aborto lanciata da Giuliano Ferrara e fatta propria, a vario titolo, dai cardinali Camillo Ruini, Renato Raffaele Martino e Angelo Bagnasco, il Papa fa implicito riferimento all’idea rivolgendo un discorso di inizio anno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede.
«Non posso non deplorare ancora una volta gli attacchi continui perpetrati su tutti i continenti contro la vita umana», ha detto Benedetto XVI. «Vorrei ricordare, con molti ricercatori e scienziati, che le nuove frontiere della bioetica non impongono una scelta tra la scienza e la morale, ma esigono piuttosto un uso morale della scienza».
«D’altra parte - ha proseguito, ricordando l’appello di Papa Giovanni Paolo II in occasione del grande giubileo del 2000 - sono contento che, lo scorso 18 dicembre, l’assemblea generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione che chiede agli stati di adottare una moratoria sull’applicazione della pena di morte e auspico che questa iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana».
* La Stampa, 7/1/2008 (11:48)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Scusate se difendiamo Ferrara
di RICCARDO BARENGHI (La Stampa, 4/4/2008)
Ci dispiace dover difendere Giuliano Ferrara. Per due motivi, il primo è che le posizioni che sostiene sull’aborto non ci trovano d’accordo.
E tantomeno la sua decisione di presentarsi alle elezioni con un sola idea in testa, appunto quella della crociata antiabortista. Quando, come si dice con una frase fatta, i problemi del paese sono altri, molto più seri, molto più gravi, e di difficilissima soluzione. La seconda ragione è che proprio perché lui sostiene una posizione politica sbagliata (a nostro giudizio ovviamente), rischia di trasformarsi nell’unico bersaglio di una campagna elettorale che per il resto si trascina stancamente verso il giorno del redde rationem. Un bersaglio che diventa meccanicamente una vittima, e le vittime hanno sempre ragione anche quando hanno torto. Ma abbia ragione o torto, ha tutto il diritto di sostenere le sue idee in qualsiasi piazza, cinema o teatro del Paese senza che nessuno glielo impedisca.
L’altro ieri a Bologna, ieri a Pesaro, domani chissà dove: con questo andazzo finisce che Ferrara e la sua lista pro-life diventino i protagonisti della battaglia politica, paradossalmente proprio grazie a chi invece la pensa nel senso opposto. L’intelligente giornalista oggi sceso nell’agone politico non poteva sperare in uno spot elettorale migliore di questo. Ma il resto del mondo, altrettanto intelligente, spera che invece questa storia cessi di esistere: ci manca solo che la campagna elettorale finisca nel più grottesco dei modi possibili.
Peccato che quelli che gli tirano uova, pomodori e ortaggi vari, tanto intelligenti non siano. Più che altro ricordano quei cretini di epoche passate che passavano il tempo facendo finta di far politica. Per carità, in democrazia si può e si deve discutere, polemizzare anche aspramente, contestare anche duramente (Ferrara ne è teorico e maestro), ma non si può oltrepassare il limite che la stessa democrazia impone. Ossia consentire all’avversario di poter parlare, tantomeno colpendolo fisicamente con oggetti o alimenti. Costringendolo a smettere il suo discorso, provocando interventi della polizia, dando vita a scontri di piazza di cui francamente non si sentiva affatto il bisogno.
Tanto più che la materia del contendere, ossia il diritto delle donne ad abortire, non è in pericolo. Non lo è perché nessuno, a destra, al centro e a sinistra, lo mette in discussione. Perfino Casini difende la legge 194. Persino la Chiesa alla fine del conti non ha un vero interesse a scendere in campo sul serio in una crociata del genere. Parla, dice, lancia moniti ma non si getta nella mischia, tanto che la lista di Ferrara non sembra aver ricevuto una grande appoggio Oltretevere: le gerarchie vaticane sono più realiste di quel che si crede e puntano sui cavalli che possono vincere. I loro interessi sono molto, ma molto più vasti e concreti, anche per loro l’aborto diventa secondario rispetto alla posta in gioco. Ossia il governo del Paese.
È dunque stupido e troppo facile prendersela con Ferrara. Che ci vuole, lui sta lì, parla, provoca, dice cose abnormi, ha bisogno di farsi vedere, di suscitare scandalo, di mobilitare gente che lo difenda (e magari lo voti). Proprio perché in realtà quasi nessuno lo voterà, tanto che non riuscirà neanche a superare il muro del 4 per cento per entrare alla Camera, una meteora che fischia e se ne va (Celentano). Peccato che in Italia ci siano ancora ragazze e ragazzi che non capiscano neanche il gioco più elementare e abbocchino come pesci a un amo senza esca. E allora vai con pomodori e uova, vai con insulti e scontri, vai col casino per il casino. Senza neanche rendersi conto che se capitasse a loro, se un giorno o l’altro si trovassero su un palco a esprimere opinioni legittime quanto discutibili - come tutte le opinioni - non sarebbero felici di diventare bersagli di contestazioni verbali e fisiche.
Strillerebbero come aquile, protesterebbero sventolando il loro sacrosanto diritto di parlare, si appellerebbero a questo mondo e a quell’altro, evocherebbero il fascismo che resuscita. Provare per credere.
Quel filo-abortista di Ferrara
di Alessandro Robecchi *
E’ veramente strabiliante che tutti i giornali (manifesto compreso) si ostinino a definire il probabile partitino di Giuliano Ferrara come una «lista antiaborista». Per completezza di informazione e correttezza semantico-politica, vorrei far notare che l’ipotetica formazione del direttore del Foglio è a tutti gli effetti una lista a favore dell’aborto e della sua incontrollata diffusione, meglio se illegale.
Se la legge 194 ha praticamente debellato la piaga dell’aborto clandestino e ha più che dimezzato gli aborti italiani, attaccarla con toni da crociata non è altro che una squillante e vergognosa battaglia a favore dell’aborto.
Riconoscendogli una certa arguzia, molti sostengono che Ferrara sia abile a rovesciare le frittate a suo favore, ma è forse venuta l’ora di riposizionare la frittata per il verso giusto: attaccare una legge che funziona (pur a stento e faticosamente) non è altro che un attentato alla sofferenza di chi affronta scelte drammatiche. La burbanzosa leggerezza con cui si trattano temi tanto spinosi per edificare l’ennesimo partitino privato dovrebbe almeno indurre a prudenza su parole e simboli.
Spiace per Ferrara e per la sua arguzia, ma in Italia lo slogan «Aborto-no-grazie» è stato realizzato proprio dalla legge 194 e non dal fuoco di sbarramento Vaticano. Quanto all’altro nome in ditta, «Lista per la vita», c’è da sbalordire.
Per anni, da quando è iniziata la mattanza irachena, Giuliano Ferrara ha esercitato in modo acritico e feroce la sua soave apologia della guerra. Ora che gli iracheni morti sono oltre un milione, fregiarsi della parola «vita » in un simbolo elettorale suona come feroce sberleffo.
Della vita, della morte, del dolore della gente bisogna parlare sottovoce, con rispetto. Invece si sbraita, entrando come un elefante in una cristalleria cristalleria. Si dice che a Ferrara piaccia parlar chiaro. Lo faccia anche questa volta e chiami la sua lista per quello che è: propaganda filo-abortista.
Da "il Manifesto" del 14 febbraio 2008
DE PROFUNDIS.... *
“Assistiamo, da tempo, ad una vera e propria offensiva della Chiesa tesa a riproporre i suoi valori tradizionali.. Ormai dimenticato o rinnegato il Concilio, il potere ecclesiastico pretende di possedere il monopolio dell’etica. E pretende quindi non solo di proporlo (il che è del tutto legittimo) ma di imporlo (il che legittimo non è) a tutta la società.
Chi, come la sottoscritta, ricorda le grandi battaglie per i diritti civili che segnarono gli anni che sono alle nostre spalle, non può non rilevare un’altra drammatica contraddizione che segna i nostri tempi. Allora, quando affrontammo prima le leggi e poi i referendum sul divorzio e sull’aborto, i laici ebbero al loro fianco una parte importante, sul piano numerico e culturale, del mondo cattolico e delle loro organizzazioni. Oggi quelle voci non sembrano esserci più. Anzi, è avvenuto il contrario. E l’offensiva del cardinal Ruini e delle gerarchie contro la laicità dello Stato ha trovato una sponda anche in un settore, certo minoritario ma molto motivato e aggressivo, del pensiero laico. Valga per tutti il sostegno offerto al cardinal Ruini dal “Foglio” di Giuliano Ferrara, prima per l’astensione nel corso del referendum sulla fecondazione assistita, oggi a sostegno della campagna contro la legge sull’aborto”.
Così scrive Miriam Mafai sulle colonne del quotidiano La Repubblica di Giovedì 3 Gennaio 2008.
Sempre su La Repubblica , tre giorni dopo, il 5 Gennaio, Michele Serra scrive:
“Leggo con stima e sollievo le autorevoli voci laiche (come Umberto Veronesi su questo giornale e Gian Enrico Rusconi sulla Stampa) che a vario titolo replicano all’offensiva “devota” su aborto e molto altro. Sono voci che provengono da un campo duramente sconfitto negli ultimi anni: non una delle impostazioni di legge che dispiacessero al Vaticano, da quella sulla fecondazione assistita a quella sulle unioni civili, ha potuto sopravvivere all’avvampante moralismo e all’azione congiunta dei devoti di entrambi gli schieramenti. Per dirla con una battuta, non si muove foglia che la Cei non voglia. In questo quadro, fa davvero specie notare come i toni dei vincitori, a partire da quelli di molti vescovi, siano spesso querimoniosi e vittimistici, come se a parlare fosse una povera minoranza soccombente ed esclusa, naufraga nel mare del laicismo imperante. Questa capacità di passare da vittime non essendolo ha qualcosa di perfettamente diabolico. Se solo credessi nel diavolo”.
Volutamente riporto queste citazioni nella loro lunga stesura originale, perché sono abituato ad ascoltare la voce e il pensiero degli “altri”. Non dico “laici”, ritenendomi io stesso un laico (seppur prete) ed essendo laico anche il Dio in cui credo. Solo che facessero proprio lo stile e lo spirito di quel Cristo che pretendono di rappresentare e di predicare, i nostri vescovi ed i cardinali (che evangelicamente parlando nostri non sono) avrebbero di che interrogarsi per mettere in crisi la loro attuale gestione della Comunità-Chiesa e le loro pretese egemoniche.
Il Dio della Bibbia e di Gesù Cristo è un Dio Laico, “che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. E’ un dio laico che parla ed agisce anche tramite il pagano re di Persia, Ciro e l’asino di Balaam. E’ un Dio laico che per parlare agli uomini si fa uomo lui stesso, nascendo fuori del tempio, fuori della casta sacerdotale, fuori della città santa.
Dunque la Mafai lamenta la scomparsa di tempi in cui laici e cattolici, insieme, sapevano lottare per conquistare spazi di libertà comune, una libertà senza aggettivi nella quale il rispetto non faceva rima con dispetto né la proposizione con l’imposizione.
E’ tristemente e drammaticamente vero.
Purtroppo, in questi ultimi venti anni, all’interno della chiesa, si è fatto razzia di ogni voce dissenziente e di ogni presenza scomoda: vescovi rimossi, teologi zittiti, seminari normalizzati, sacerdoti epurati e quant’altro; tutto grazie alla ferrea, ottusa e intransigente politica dell’allora prefetto della Congregazione per la Fede, attuale papa Benedetto e col beneplacito di papa Giovanni Paolo II°. In venti anni la chiesa è stata desertificata e sterilizzata di ogni germe di profezia e di ogni fermento.
Quella “libertà” che si reclamava per la chiesa veniva sistematicamente bandita al suo interno.
A ragione il teologo Vito Mancuso nel suo ultimo saggio (“L’anima e il suo destino” - Raffaello Cortina editore) lamenta che “oggi in teologia, soprattutto in Italia, vige imperante il principio di autorità, secondo cui è così perché ‘sta scritto così’ ”... E prosegue: “Oggi in teologia, soprattutto in Italia, per lo più non si pensa, si obbedisce, nel senso che anche quando si pensa, spesso lo si fa come vuole l’autorità, per fondare, spiegare e difendere ciò che è già stato stabilito dall’autorità. Un pensiero, diciamo così, pilotato”.
Questa, purtroppo, la realtà. Una gerarchia “tuttofare” e “tuttopensare” da una parte e, dall’altra, un “popolo di Dio” relegato “in un ruolo di platea passivamente e silenziosamente consenziente, cinghia di trasmissione dei voleri dell’episcopato e del Vaticano fin nelle aule comunali, regionali e parlamentari” (Eugenio Scalari).
Siamo di fronte ad un panorama desolante. Ho davanti a me la scena tragica di cui parla il profeta Ezechiele al capitolo 37: “La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt’intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere? ”.
Questo interrogativo mi ossessiona ma mi da anche speranza.
Quanto, infine, alla ineccepibile denuncia di Michele Serra ci sarebbe solo da aggiungere che lo stravolgimento “diabolico” non è frutto di furbizie strategiche, bensì l’approdo finale di quel fondamentalismo religioso che, partito dai lidi dell’Islamismo asiatico, è approdato ormai anche presso le sponde del Tevere. Il che rende il problema ancora più tragico. Perché, come non chiamare fondamentalismo questa pretesa di identificare tout-court religione e fede, natura e ragione, etica e giurisdizione? Là dove, eliminata la necessaria conflittualità tra i due termini dei binomi, i primi divorano irrimediabilmente i secondi?
Aldo Antonelli
Antrosano 8 Gennaio 2008
«La legge non si tocca ma rivediamo i limiti»
Turco: al lavoro il Consiglio della Sanità
ROMA-«La 194 è completa e lungimirante. Non va cambiata perché dice già tutto. Né linee guida regionali né mozioni parlamentari possono dare risposta al dibattito attuale », sostiene con vigore il ministro Livia Turco. Ma qualcosa di pratico per imprimere una svolta con azioni concrete è già in cantiere. E al Corriere annuncia di aver chiesto al Consiglio Superiore di Sanità un parere sui limiti oltre i quali l’aborto non andrebbe praticato.
Di cosa si tratta ministro? «Il massimo organismo scientifico istituzionale dovrà decidere sulla base delle conoscenze e delle evidenze mediche se è possibile estendere a tutto il territorio nazionale specifiche indicazioni sulle capacità di vita autonoma del feto ».
Dunque raccomandazioni che serviranno agli operatori dei servizi pubblici per stabilire in base all’età gestazionale della donna i termini oltre i quali l’interruzione volontaria di gravidanza «terapeutica», oltre i 90 giorni, non va praticata. Oggi la legge non fissa confini precisi, ma nella realtà ospedaliera non si può abortire oltre la 24ma settimana. Per la prima volta verrà messa nero su bianco quale è la soglia da non oltrepassare. Al presidente del Css, Franco Cuccurullo, il ministro pone altri due quesiti che si collegano al primo. Un parere su come dovrà essere utilizzata nell’ambito della 194 la pillola abortiva Ru486, in arrivo a marzo. E una raccomandazione sulle cure ai neonati prematuri.
Ministro, almeno due ospedali italiani, la Mangiagalli e il San Paolo di Milano, non vanno oltre la 22ma settimana, che nella maggioranza dei casi è il termine valido per escludere la vita autonoma del feto e quindi consentire l’aborto. Il Css terrà conto di queste esperienze?
«Certamente sì. I due precedenti saranno un riferimento. Si parte dalla buona pratica clinica »
E’ la risposta al presidente della Lombardia Formigoni che ha annunciato linee guida regionali?
«Formigoni deve accettare il fatto che la legge 194 è nazionale e che le Regioni non possono regolarsi secondo il fai da te. Le linee guida sarebbero uno strumento per cambiare surrettiziamente, quindi non alla luce del sole ovvero in Parlamento, una legge garantista ed efficace. Gli aborti sono la metà rispetto al 1978».
Alla luce del sole ha agito Ferrara, col suo digiuno per la moratoria
«Una moratoria sarebbe moralmente iniqua. Non riconosce il principio della responsabilità femminile. Prescinde dalla relazione madre-figlio. Prescinde, infine, dalle persone e proclama principi astratti, che creano confusione. I piani vengono confusi. La moratoria deve riguardare le leggi eugenetiche di Paesi dove l’aborto è un sistema di contraccezione. Non l’Italia».
Verrà fissata una soglia precisa?
«Sì, una soglia oltre la quale la gravidanza non va interrotta. Sarà un limite di riferimento, si deciderà sempre caso per caso. Credo che gli operatori si sentiranno rassicurati e garantiti. Da parte di un politico è una grande assunzione di responsabilità ».
La RU486 a marzo verrà registrata, si annunciano nuove polemiche. Come si prepara a ribattere?
«L’uso della pillola rientrerà nella legge 194, sarà data solo in ospedale sotto controllo medico. Ho chiesto un parere sulle modalità di impiego in modo da sgombrare il campo da ogni dubbio».
Neonati prematuri di peso estremamente basso, tra la 22ma e la 25ma settimana: una commissione è al lavoro da un anno. Non bastava?
«Non si può aspettare. Servono protocolli per definire gli ambiti temporali e le modalità di assistenza più idonei a garantire l’assistenza più appropriata a madre e bambino ».
Margherita De Bac
* Corriere della Sera, 08 gennaio 2008
E Giuliano Ferrara, promotore della moratoria: «Così si inizia bene»
«La 194 è una conquista, ma sì al dialogo»
Veltroni: «Legge da difendere, ma non ci spaventa il dibattito sulla prevenzione» *
ROMA - La legge 194 che regola le interruzioni di gravidanza è «una conquista di civiltà che deve essere difesa», ma «non mi spaventa una discussione di merito, che tenga a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l`aborto non è un diritto assoluto, ma è sempre un dramma da contrastare e da prevenire». Lo afferma il segretario nazionale del Pd, Walter Veltroni, in una lettera di risposta al Foglio che, con il suo direttore Giuliano Ferrara, ha lanciato un invito per un incontro col Pd sulla campagna per una moratoria sull’aborto.
«QUESTIONI NON STRUMENTALI» - Veltroni puntualizza subito di ritenere «certamente utile questo incontro, le cui modalità saranno presto definite. Non ritengo infatti banali né strumentali le questioni poste, che interrogano le coscienze, pongono problemi di natura morale. E credo giusto che anche una sede politica trovi modi e forme di discussione e confronto, non soltanto al suo interno».
FERRARA: «INIZIAMO BENE» - Pronta la replica di Ferrara secondo il quale «un dialogo così impostato parte bene e può essere condotto senza strumentalismi politicanti e senza secondi fini di qualsiasi genere, al solo scopo di capire meglio che cosa ci sia da fare tre decenni dopo il varo in tutto il mondo delle legislazioni che decisero di tutelare tragicamente la maternità e la salute delle donne minacciate dalle pratiche dell`aborto clandestino».
* Corriere della Sera, 08 gennaio 2008