Anche se può apparire sterile polemica, è proprio vero che in campagna elettorale si fanno tante belle chiacchiere sulla presenza di donne in politica. Tutti pronti a dire, auspicare, favorire ma quando è il momento di chiudere il cerchio le donne rimangono stranamente fuori. Una sola donna, Livia Turco, ha un ministero con portafoglio, le altre in totale cinque ministeri senza tasche che sanno tanto di contentini. Se poi diamo un’occhiata a viceministri e sottosegretari, ci accorgiamo che le donne sono un numero così sparuto da non avvertirne la presenza. Traiamo la seguente conclusione: la politica è irrimediabilmente maschile e le donne in politica sono spesso usate per facciata. Le ragioni dell’esclusione possono essere molteplici (a cominciare da quelle storiche, la politica nell’antichità era sorella della guerra...) che non approfondisco per mia ignoranza. Però, nessuna incisiva azione positiva volta a favorire l’eguaglianza sostanziale è stata mai fatta. Da una parte si oppone quella corrente del femminismo che vede in queste azioni una dichiarazione di inferiorità. Dall’altra gli uomini che, accogliendo questa concezione, hanno mantenuto lo status quo, lasciando le donne ai margini della politica. Sebbene riconosca che le azioni positive (chiamamoli pure favoritismi o porte riservate) non siano una bella cosa, ritengo tuttavia che rappresentino un passo obbligatorio per riequilibrare adesso in modo forzoso una situazione che poi in futuro dovrà essere naturale. In altri termini: occorre garantire con regole precise la presenza femminile oggi, perché in futuro non occorra più pensarci. Altrimenti il rischio è quello di mantenere una disuguaglianza che è presupposto da una parte di strumentalizzazioni e false promesse, dall’altra di una politica maledettamente maschilista. Occorre abbattere la barriere all’entrata, in modo che le donne possano esprimersi e dimostrare le loro capacità.
Vincenzo Tiano
Nuovo Cencelli al maschile
di Valeria Ajovalasit* (l’Unità, 18.05.2006)
Siamo franche e dirette come sempre: questo governo Prodi ci ha deluse. Dove sono le competenze innovative, le esperienze maturate nel sociale, le riflessioni più avanzate della cultura di genere? E dove sono i numeri assicurati sino a poche ore prima dalla dichiarazione ufficiale relativi a una presenza decentemente europea di donne nel nuovo esecutivo?
Eppure Arcidonna con la sua prima lettera aperta, pubblicata da l’Unità lo scorso anno , aveva stimolata in Prodi una risposta inequivocabile di adesione e di impegno. Eppure proprio le elettrici hanno fatto la differenza nel durissimo agone elettorale e nel risicato esito dello stesso.
Le ragazze e le donne meridionali in particolare hanno saputo spingersi in prima linea contro clientele, patriarcato e mafia. In Sicilia è il corpo femminile di Rita Borsellino che guida e interpreta il riscatto, la forza del cambiamento e la speranza del Sud.
Siamo deluse, anzi arrabbiate dal continuo spreco di energie intelligenze e progetti di cui donne e giovani generazioni sono portatrici, utili solo in campagna elettorale e poi invisibili nei luoghi della decisione e del potere.
Presidente Prodi, tra le sue ministre il portafoglio lo assegna soltanto ad una!
Sono forse meno affidabili le donne, oppure il manuale Cencelli ancora oggi in vigore, deve per forza imporsi contro la domanda espressa dal Paese, oltre che contro le direttive europee e la Conferenza delle Nazioni Unite di «Pechino + 10»?
La risposta è che purtroppo continuiamo a essere, in Italia, ancora indietro di decenni.
Abbiamo condiviso la sua ammirazione, presidente Prodi, per i governi africani che vedono tante donne protagoniste e abbiamo davvero creduto che l’obiettivo della democrazia paritaria fosse da lei condiviso, come continuava ad affermare. Certo non speravamo che si realizzasse subito integralmente la lezione spagnola o dei paesi nordici. Ma ciò che vediamo oggi è al di sotto delle più pessimistiche previsioni.
La gravità della situazione italiana (crescita zero, scarsa competitività, alto tasso di disoccupazione in particolare femminile, precarizzazione, arretratezza del sistema formativo e degli investimenti per la ricerca, ecc.) impone alla coalizione di centrosinistra il ricorso ad esperienze innovative, ben lontane dalla auto conservazione delle oligarchie prettamente maschili dei partiti.
Più autonomia, Presidente, più fiducia nelle energie nuove e vivaci, gioverebbe a chi deve guidare l’Italia in questa fase difficilissima.
Abbiamo votato per una alternativa al berlusconismo nei programmi, nei metodi e nei soggetti protagonisti a livello esecutivo e legislativo, che ci salvasse dalla deriva populista e dal declino economico e sociale. Adesso il sogno, la serenità e la fiducia rischiano di svanire troppo presto, in assenza di fatti significativi di rottura con il recente passato.
Davvero, Presidente Prodi, lei crede che questo è il migliore governo possibile? Davvero lei crede che questo Paese possa risollevarsi senza ricorrere a piene mani a tutto il suo capitale umano e non solo a metà di esso?
*Presidente nazionale Arcidonna