In principio era il Logos (non il "Logo")!!! Pratiche di resistenza contro le parole del sistema ....

NESSUNO E’ COME DIO, E DIO E’ COME NESSUNO. "Le mappe del possibile. Per una estetica della salute". Un libro di Ubaldo Fadini, recensito da Andrea Sartini - a cura di pfls

Sotto il segno del pensiero di Blanchot e Deleuze, un’analisi della relazione fra filosofia e letteratura
venerdì 15 febbraio 2008.
 

Pratiche di resistenza contro le parole del sistema

Sotto il segno del pensiero di Blanchot e Deleuze, un’analisi della relazione fra filosofia e letteratura nel saggio di Ubaldo Fadini «Le mappe del possibile», di recente uscito per Clinamen

di Andrea Sartini (il manifesto, 14.02.2008)

In alcune pagine straordinarie dedicate all’opera di Musil, Blanchot scrive che per restare fedeli a quanto di irrappresentabile la vita presenta occorre scrivere racconti che ci rendano attenti «non alle cose che accadono, ma, in quelle, alla successione infinita degli eventi possibili, alla potenza originaria che non crea nessun risultato fermo». Questo passo del critico francese può essere utilizzato per avvicinare l’ultimo lavoro di Ubaldo Fadini (Le mappe del possibile. Per un’estetica della salute, Clinamen, euro 13), dove si delinea, a partire da un’analisi del rapporto tra filosofia e letteratura, quella che potremmo definire una pratica di resistenza contro le parole d’ordine alimentate dal sistema. Tra i pensatori richiamati, tra gli altri, ritroviamo Deleuze, Melville, Musil, Kafka, Foucault, il nostro Ferruccio Masini. Una costellazione, questa, che ci aiuta a praticare quell’estetica della salute che l’autore individua come uno dei percorsi capaci di dar vita a una pratica di sottrazione rispetto alla dittatura omologante che l’attuale società del controllo non finisce di alimentare.

Tra le coordinate teoriche che Fadini mobilita, si incontrano alcuni luoghi concettuali particolarmente significativi, a partire dalle pagine dedicate al Bartleby di Melville, dove si coglie come il percorso dello scrivano sia da considerarsi un laboratorio di sovversione che si esplicita nella formula «preferirei di no». La formula bartlebyana disinnesca il comando dell’avvocato proprio nella misura in cui si situa fuori dal gioco dialettico: non risponde all’attesa e così facendo disattiva, nel suo stesso offrirsi, ogni locuzione (atto di parola).

Ma a ben vedere l’attacco all’istanza dialettica è, alla fine, ciò che anima precisamente il lavoro teorico di Blanchot, cui Foucault dedicò nel 1966 uno studio insuperato dal titolo Il pensiero del fuori. Ed è proprio sul pensiero del fuori che il testo si concentra, un pensiero che pone sotto un’altra luce il rapporto cruciale tra soggettività e scrittura. «Entra, parla con le parole che sono già là per accoglierlo», così Blanchot nel suo Il passo al di là precisa l’anteriorità della parola rispetto a colui che la pronuncia, la precedenza del mormorio del fuori in rapporto a colui che scrive in vista dell’opera: l’interminabile, che spesso in Blanchot è reso con il termine incessant, non è altro che lo spazio anteriore a qualsiasi determinazione, come può esserlo, in termini di individualità, Thomas di Aminadab, di cui non si sa né da dove viene né dove va, caratteristica comune a molti altri personaggi dei racconti di Blanchot.

Thomas è la figura della neutralità, cioè di quella regione in cui ogni possibile determinazione personale viene meno e in cui regna l’impersonalità anonima, è l’indeterminatezza condivisa da K. nel Castello di Kafka, un essere senza rapporto con la dimensione della dimora. Il soggetto che in quest’ottica subisce una flessione è il soggetto come identità e interiorità: ciò è reso molto bene da Foucault quando afferma, riferendosi all’opera di Blanchot, che «il soggetto che parla non è tanto il responsabile del discorso (colui che lo tiene, che afferma e giudica in esso, che talvolta vi si rappresenta sotto una forma grammaticale predisposta a quest’effetto) quanto l’inesistenza nel cui vuoto s’insegue senza tregua l’effondersi indefinito del linguaggio».

In alcune pagine dedicate a Merleau-Ponty dal titolo Il discorso filosofico, Blanchot parlerà del linguaggio come di ciò che «segue il suo corso» incessantemente, anche se non è parlato da nessuno, come ciò che fa sì che dal momento in cui qualcuno parla automaticamente sparisca dal luogo (presunta interiorità) da cui parla. Parlare implica dunque la sparizione dell’ «io» come «io», del «tu» come «tu», la neutralizzazione di qualsiasi moi. Siamo nel regno dell’impersonalità, il regno - sembra dirci Fadini - dove meglio è possibile giocare l’irriducibilità nei confronti di ogni pretesa soggettiva di governo e di controllo.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

POLITICA E LINGUAGGIO. IL SENZA-NOME: LE FIGURE DI NESSUNO.

LA PAROLA RUBATA. L’ITALIA "CONFUSA E AGITATA" E OFFESA!!!


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