Nota a margine alle elezioni in un non-Paese
di Paolo Farinella, prete *
Alle Amiche e agli Amici
Genova 15.04.2008. Il popolo è sovrano e ha scelto. Ne prendo atto. Ammetto la sconfitta elettorale e politica, ma non posso cedere alla sconfitta morale perché nemmeno il voto plebiscitario è fondamento di verità. Spesso la verità è appannaggio di minoranze e a volte di singole persone. A me non interessano i giochi partitici e di potere per guadagnare uno strapuntino. Non ho lottato per un tornaconto, ho vissuto per una visione di Paese e di Nazione che questo voto nega e rinnega. Il popolo italiano ha affidato la cassa di famiglia ad un evasore e ladro. Ha consegnato la legalità alla mafia che ha incoronato legislatore. Ha affidato i precari e i poveri alla elemosina dei miliardari. L’Italia tornerà in guerra e alla grande in Iraq, mentre in Afghanistan aumenterà la presenza a danno forse del Libano. Viene la voglia di dire: chi si contenta gode. I cattolici o più in generale i cristiani hanno consegnato a mani giunte il loro senso del “bene comune” e la loro strutturale solidarietà alla xenofobia e al particolarismo della Lega di Bossi.
Sono tornati i lanzichenecchi, i mafiosi e gli inquisiti e condannati che da oggi diventano il modello dell’Italia del 3 millennio. Ne prendo atto. Il malaffare ora governa e l’Italia diventa un «bordello» istituzionale. Gli Italiani non hanno più scusanti: hanno consegnato l’Italia a Berlusconi, chiavi in mano e a Bossi come suo manovratore.
Non contesto la vittoria elettorale, semplicemente non accetto questa Italia, nella quale mi sento «extracomunitario» moralmente e spiritualmente. Ha prevalso l’egoismo e ancora una volta l’interesse di parte e spesso individuale. Ha vinto uno che si è dichiarato «anarchico» riguardo ai temi etici, ha vinto il populista, il vuoto, l’effimero, l’impresentabile, l’amorale. Ha vinto la feccia d’Italia. Il primo tema messo in agenda a urne ancora calde è quello della «giustizia» perché ora comincia la «vendetta-2».
La sinistra può dirsi felice di avere messo alle corde il governo Prodi e Bertinotti potrà bersi quel brodino che augurava a Prodi. Per la seconda volta la sinistra regala l’Italia a Berlusconi.. Sì, l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Non avere previsto che il governo Prodi era l’ultima chance, significa non avere capito nulla di politica per cui alla fine è un bene che questa sinistra sia scomparsa «motu proprio» perché pur di avere uno sprazzo di visibilità momentanea non ha saputo cogliere il sentimento, ma neppure il malessere di interi strati sociali. Hanno solo litigato sulle spoglie di un «non-programma» per affermare lo 0,0000x%. Ora, se fossero onesti, ma ne dubito, tutti i dirigenti, da cima a fondo, dovrebbero dimettersi e ritirarsi a vita privata per fallimento manifesto: non vivranno da poveri, perché avranno la misera pensione da deputati e senatori che hanno maturato anche quest’anno. Scompaiono, ma con le tasche piene. Sarebbe bene che oggi questi tizi ex sinistri tacessero e andassero a coltivare zucchine: ci risparmino per favore le loro analisi e i loro mestrui pseudo-intellettuali.
Coloro che, date le circostanze e in queste condizioni e allo stato delle cose in questo preciso momento storico della nostra nazione, non hanno votato Veltroni, nonostante sia Walter o Uolter, e si sono dispersi in mille rivoli o hanno disertato le urne, ubriachi di se stessi, oggi hanno perso il diritto di parola, di critica e di protesta: possono solo tacere. Coloro che hanno favorito il «regno» di Berlusconi devono tacere per la durata dell’intera legislatura. Lo esige la decenza. Per quanto mi riguarda continuerò a prendere l’antidoto contro il virus del berlusconismo, specialmente ora che dilaga come la peste in tutto il Paese. Non mi rassegno all’immoralità di una politica asservita a biechi interessi capitalistici. Non mi rassegno alla logica del mercato, il nuovo idolo, di chi difende solo i suoi interessi. Non mi rassegno né mi consegno nelle mani di Bossi e continuerò a vivere e a praticare il vangelo anche in pieno deserto.
Queste elezioni sono la sconfitta del cristianesimo e particolarmente del cattolicesimo che rinnega i principi costitutivi della sua stessa esistenza: i cristiani che hanno votato Bossi hanno consegnato affogato Cristo nelle fogne del «dio-Po». Ne guadagna la gerarchia che ora presenterà il conto del finanziamento delle scuole private con buona pace dell’art. 7 della Carta costituzionale.
Berlusconi regna, Bossi governa. Si vede già all’orizzonte (credo con il sostegno del PD) lo stravolgimento della Suprema Carta e fra tre o quattr’anni avremo Berlusconi al Quirinale, despota d’Italia. Non era questo il sogno delle Italiane e degli Italiani? Buon giorno, Italia! Buon risveglio. Da parte mia, torno nella foresta a resistere, resistere, resistere.
Paolo Farinella, prete
Il dio Po
di Giovanni Sarubbi
I mezzi di comunicazione hanno dato ieri ampio risalto alla “notizia” della partecipazione del Ministro Umberto Bossi al cosiddetto “rito dell’ampolla”, che i dirigenti della “Lega Nord” sui loro siti internet chiamano “magico rito dell’ampolla”, che si svolgerà il 12 e 13 settembre prossimo in quel di Paesana (Cn), paese dove sorge il fiume Po e dove i dirigenti leghisti ritengono nasca la cosiddetta Padania. Il “rito” consiste nel raccogliere in un’ampolla l’acqua dalla sorgente del Po per poi andarla a versare a Venezia come segno di unità della “nazione padana”.
Il fatto che i leghisti chiamino questa iniziativa usando i termini “rito” con in più l’aggettivo di “magico”, lo qualifica certamente come un rito religioso di tipo paganeggiante in cui il fiume Po viene di fatto trasformato in una sorta di dio, da cui trarrebbe vita la cosiddetta Padania, e di cui i dirigenti leghisti sarebbero i sacerdoti.
Ora per quel che ci riguarda ognuno può adorare quel che gli pare e dar luogo a tutti i tipi di culto che ritiene più opportuno basti che si rispetti l’art. 19 della Costituzione che afferma: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon Costume”.
Che i leghisti credano o meno al dio Po sarebbe questione di nessun interesse per l’intero popolo italiano se i leghisti non fossero anche quelli che quotidianamente si proclamano difensori di non meglio identificate “radici cristiane dell’Italia” e promuovono giuramenti, che di per se stessi sono blasfemi per un cristiano, per proclamare “l’Italia cristiana mai musulmana”, come ha fatto recentemente l’eurodeputato Borghezio a Genova, violando fra l’altro proprio la sacralità di una chiesa consacrata al culto cattolico. E al magico rito dell’ampolla parteciperà anche Borghezio, e non potrebbe essere altrimenti visto il suo ruolo di punta che egli ha fra i dirigenti leghisti.
Ora, come si dice, una domandina sorge spontanea: si può stare zitti di fronte a questi riti pagani che crediamo nulla hanno di cristiano, pur nella molteplicità di confessioni cristiane esistenti? Si può considerare i leghisti cattolici o protestanti o ortodossi nonché difensori della “cristianità”? E la "cristianità", ammesso che esista, ha bisogno proprio di tali difensori? Crediamo di no! Se i documenti ufficiali delle chiese, come i catechismi, contano qualcosa ai leghisti dovrebbe essere negata qualsiasi patente di cristianità, da qualsiasi chiesa cristiana degna di questo nome.
Eppure non ci sono iniziative o dichiarazioni contro i riti, che oramai i mezzi di comunicazione considerano “tradizionali”, del paganesimo leghista partoriti dalla fantasia perversa di chi ha bisogno di qualcosa di “sacro” per rivendicare una superiorità razziale, come ha fatto durante le Olimpiadi lo stesso Borghezio che ha parlato della superiorità della “razza padana” in riferimento alla conquista della medaglia d’oro della nuotatrice Pellegrini. Superiorità razziale che ha poi lo scopo di giustificare l’accaparramento di maggiori risorse economiche per la cosiddetta Padania ai danni del resto del paese. Una storia vecchia, già vista e non solo in Italia.
La maggioranza delle chiese cristiane, cattoliche e protestanti, durante il fascismo ed il nazismo hanno commesso l’errore gravissimo di dare credito a quelle ideologie deliranti costate all’umanità decine di milioni di morti.
Crediamo sia un dovere morale per tutte le chiese cristiane non ripetere quell’errore di fronte ad evidentissimi proclami razzisti e a riti pagani che, per quanto ridicoli possano essere, sono estremamente pericolosi come lo sono tutte le ideologie razziste, comunque mascherate e da chiunque siano propugnate.
Il dibattito sul risultato elettorale
LA SMORFIA
di Raniero La Valle
Riceviamo da Enrico Peyretti questo articolo di Raniero La Valle per il n. 9 di Rocca (rocca@cittadella.org) *
Il blitz è riuscito. Il Partito Democratico ha perso, ma la sinistra è stata del tutto esclusa dalla rappresentanza. L’operazione per la quale una intera area politica del Paese viene buttata fuori del Parlamento, a causa della sua proposta e del suo stesso nome, è una classica operazione di regime, che peraltro nemmeno al fascismo, nella sua fase parlamentare, era riuscita. Certamente la coabitazione coatta e la rissosità interna alla coalizione di Prodi richiedevano di essere sanate, ma non attraverso un’ecatombe di forze politiche. La "democrazia incompiuta" della prima Repubblica comportava che la sinistra comunista fosse esclusa dal governo, ciò che provocò un lungo tormento e l’aggregarsi fuori delle istituzioni di frange extraparlamentari. La "democrazia semplificata" del bipartitismo pannelliano e veltroniano contempla che l’intera sinistra sia respinta nell’area extraparlamentare. E come allora si finì con il partito armato, così ora il rischio è che le istanze sociali, economiche e culturali non più ammesse alla mediazione parlamentare, si spostino su altri fronti di lotta, nella migliore delle ipotesi fino alle manifestazioni di piazza e ai casseurs tipo periferie parigine.
Questo risultato si deve senza dubbio alla totale mancanza di realismo di una sinistra che ha accettato di farsi chiamare radicale, antagonista e massimalista, se ne è compiaciuta sui propri giornali, e si è perfino dimenticata che non può esserci una sinistra in Italia che non assuma in qualche modo anche la cultura e la passione politica di un cristianesimo non clericale. Tuttavia ciò non sarebbe bastato a produrre il risultato del 14 aprile, che è invece l’effetto, del tutto artificiale (e perciò non democratico), di tre fattori concomitanti.
Il primo è che la legge elettorale stabiliva una soglia di sbarramento del 4 per cento alla Camera e dell’8 per cento al Senato, in un sistema che però non aveva come scopo di distruggere i minori partiti, ma di indurli a coalizzarsi con quelli maggiori per superare, insieme, la soglia minima richiesta: tanto è vero che con la stessa legge elettorale nella scorsa legislatura, come è stato deprecato, tutti i partiti erano rappresentati in Parlamento.
Il secondo fattore è che la medesima legge elettorale prevede il premio di una quota minima di 340 deputati da assegnare alla lista vincente (e per il Senato un premio regionale), accendendo così una pesante ipoteca sul Parlamento e condizionando gravemente il posizionamento elettorale dei partiti: ma almeno la legge prevedeva che a conquistare il premio sarebbe stata una coalizione, e non un singolo partito.
Il terzo fattore è che Veltroni, senza aspettare che fosse mutato per via democratica questo sistema, lo ha snaturato, usando il sistema contro la logica e la residua democraticità del sistema, buttando a mare la coalizione e gloriandosi di aver messo alla porta i partiti alleati, dai socialisti ai verdi a Rifondazione, mentre Berlusconi fingeva di fare altrettanto con i suoi, tenendosi però ben stretti Fini e la Lega.
Il risultato è stato che Berlusconi, "il vecchio", ha vinto, Veltroni, "il nuovo" ha perso, la Lega si prepara a imporre la rottura dell’eguaglianza costituzionale tra il Nord e il Sud del Paese, Casini salva fortunosamente un "pro-memoria" di quella che fu una riconoscibile presenza politica dei cattolici, la sinistra, inutilmente unita, esce dal Parlamento, perde il finanziamento pubblico dei partiti, avrà difficoltà a mantenere sedi e giornali, e perfino Vespa oggi la rimpiange e addirittura Fini lamenta che sia "anomala" una Camera dove essa non ci sia. E il colmo è che in questo sfacelo gli sconfitti cantino vittoria, avendo posto le basi dell’Italia anglosassone e bipartita.
In realtà quella che cade rovinosamente in questo terremoto, è l’illusione di un’Italia impolitica, dove i problemi che incombono e il duro conflitto di interessi sociali e di bisogni si possano risolvere o ignorandoli, o intingendoli nel miele delle buone maniere. Di fronte alla ventata dell’antipolitica, di fronte agli sberleffi dei Ferrara e dei grillini, di fronte all’accusa alla intera "casta" politica, ha vinto chi ha fatto più politica, non chi si è rifugiato nell’impolitica. Berlusconi ha fatto politica, perché è il massimo della politica accusare tutti gli altri di essere comunisti; Veltroni non ha nemmeno nominato il suo avversario, forse pensando che non si trattasse di combatterlo, ma di esorcizzarlo. E a un’Italia in cui si deve rivendicare il diritto al pane, al lavoro, alla casa, alla salute, ha promesso il "diritto al sorriso", che poi sarebbe mandare anche i senza tetto e i precari dal dentista. Purtroppo il sorriso, la sera del 14 aprile, in milioni di italiani si è mutato in una smorfia, di preoccupazione e di dolore.
Raniero La Valle
Ancora si parla di resistenza......che noia...che barba......
Don Paolo, non dimentichi la mitra......
Fra cinque anni, non dimentichi di indicarci il Suo Nome, Cognome e Partito d’appartenenza, così da poterla votare !
Tanti Auguri e sia paziente.....
Batosta
Per la razza e il portafoglio
di Ida Dominijanni (il manifesto, 15 aprile 2008)
Non è il ’94, è peggio. Allora, l’illusionista venuto da Arcore aveva dalla sua una mossa e tre trucchi. La mossa era il bipolarismo, creatura partorita in quattro e quattr’otto in un improvvisato menage a tre con Gianfranco Fini e Umberto Bossi. I tre trucchi erano la sua figura da alieno che conquistava il Palazzo con le armate della società antipolitica, il suo contrabbando di sogni e miracoli, la sua bandiera di un nuovo senza passato e senza radici.
Quasi nessuno di quelli che pensavano di intendersene di politica avrebbe puntato una fiche su di lui, ma lui puntò su se stesso e sbancò il tavolo. Stavolta no. L’illusionista aveva perso lo smalto sotto il cerone, l’unica mossa - la proclamazione del Pdl il pomeriggio di una domenica qualunque - l’aveva copiata dal Pd, di alieno non aveva più nulla, invece di sogni e miracoli ha contrabbandato difficoltà e sacrifici con lo sconto del del bollo sul motorino. La novità incarnata tredici anni fa era ampiamente ammuffita, e lui neanche aveva l’aria di puntare tutto su se stesso. Eppure Silvio Berlusconi sbanca di nuovo il tavolo. Al di là di ogni ragionevole previsione e di ogni ponderato sondaggio. E quel ch’è peggio, con uno dei due antichi alleati, Fini, ingoiato nel Pdl, e l’altro, Bossi, redivivo e rinvigorito fuori. Non sarà solo il Popolo delle libertà a governare; sarà il popolo dei fucili e delle ampolle a conferire il colore giusto a quelle libertà. Non è vero che il colore verde della Padania fa a pugni col tricolore dell’Italia. L’una e l’altra possono sventolare assieme - il caso Alitalia l’ha dimostrato - su un localismo separatista dei ricchi che invoca protezionismo statale - altro che liberismo!- a difesa del portafogli e della razza, Berlusconi e Bossi officianti e Tremonti benedicente. E’ l’Italia bellezza, anno di grazia 2008.
L’anomalia del Belpaese persiste in questa forma mostruosa. Non basta l’alternanza dei paesi «normali» a spiegare questo ritorno rinforzato al centrodestra dopo le batoste fiscali del governo di centrosinistra. Nemmeno serve la favola bella del bipartitismo, la nuova creatura partorita da Veltroni e Berlusconi, a leggere la tabella dei risultati, se non parzialmente: non esiste al mondo sistema bipartitico corredato e condizionato da un partito territoriale dell’entità della Lega. Siamo in Italia, i figurini stranieri ci vengono sempre storpiati. Sicché sarà il caso di lasciarli perdere, e decidersi a formulare la domanda decisiva, questa. Che cosa vuole la società italiana dalla politica, da una maggioranza e da un governo? Che idea ha di sé nel presente, e che cosa sogna per sé per il futuro? Che idea ne ha, e che idea le dà, quell’arco di forze che fino a poco fa chiamavamo sinistra e centrosinistra, e che oggi come oggi non ha nome o s’è dato il nome di centro? Se la parte vincente di questa società predica e razzola ricchezza, xenofobia, sicurezza, privilegio, e su questi valori attrae perfino strati consistenti di quella che un tempo si chiamava classe operaia, che cosa le si offre in alternativa oltre che Calearo in lista? E se il rappresentante sommo di questa parte vincente della società santifica come proprio eroe lo stalliere Mangano, che cosa gli contrapponiamo oltre ai puntuali libri di Saviano e ai sacrosanti «vade retro» di Veltroni? E infine, questa società vincente andrà sempre blandita e rincorsa con la ricerca del consenso, o arriverà il momento di metterla alla prova della ruvidezza del conflitto?
Non è il ’94 ma è peggio, perché quello che allora era nuovo e insorgente e naive oggi è solidificato e attrezzato e scaltrito. E quello che allora era un voto in cerca di miracoli, oggi è un voto in cerca di stabilizzazione. E rischia di trovarla, perché anche nell’altra metà del campo ciò che allora era in forse, il destino della sinistra dopo l’89, adesso si va stabilizzando con la sua cancellazione.
Manca solo un tassello, l’archiviazione della Costituzione, il collante della destra tripartita del ’94, senza il quale il suo progetto non può dirsi compiuto, e che già una volta è stato tentato in parlamento e respinto da un referendum. Non chiamiamole, urbanamente, «riforme funzionali», e nessuno persista nel sogno di farle con un accordo civile e a costo zero. La posta in gioco non è un parlamento più snello e un governo più efficiente. E’ il disegno di un’altra Italia, con un’anomalia rovesciata rispetto a quella del secolo scorso,. e confinata in una trappola impermeabile a tutto il buono che c’è nella trasformazione globale di questo. Liberata - se così si può dire - dai vincoli istituzionali e dalle sigle improbabili, la sinistra che c’è, se ancora c’è, metta in moto l’intelligenza e l’inventiva. Sotto le macerie c’è un mondo da scoprire.