LETTERA DEL CARDINALE ANGELO SODANO
ALL’ARCIVESCOVO GIUSEPPE AGOSTINO
IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI PER L’VIII CENTENARIO
DELLA MORTE DELL’ABATE GIOACCHINO DA FIORE
Eccellenza Reverendissima,
l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, affidata alle sue cure pastorali, si appresta a celebrare l’VIII centenario della pia morte dell’Abate Gioacchino da Fiore, che illustrò la sua terra di origine e l’intera Chiesa con una singolare testimonianza di fede. Il Santo Padre, informato dell’iniziativa, desidera unirsi spiritualmente al comune rendimento di grazie al Signore per il dono da Lui fatto alla Chiesa nella persona di questo sacerdote umile e pio, ed auspica che le celebrazioni centenarie suscitino nei fedeli di codesta Arcidiocesi e dell’intera Calabria un più consapevole attaccamento alle proprie radici cristiane per un rinnovato slancio di fedeltà a Cristo e di amore ai fratelli.
Il 30 marzo 1202, presso la grangia di S. Martino di Canale, Gioacchino, abate di Fiore, terminava il corso della propria esistenza terrena. Commentando l’evento, Luca di Casamari, Arcivescovo di Cosenza, scriveva che nel sabato in cui si cantava il Sitientes gli fu concesso, raggiunto il vero sabato, di affrettarsi come un cervo alle sorgenti delle acque (cfr Memorie, p. 192).
Gioacchino nacque a Celico, in Calabria, intorno al 1135 e, ordinato sacerdote, a circa 35 anni entrò dapprima nel monastero cistercense di Santa Maria della Sambucina nei pressi di Luzzi e poi in quello di Corazzo, divenendone Abate già nel 1177. In tale veste, tra il 1182 ed il 1183 si recò a Casamari e lì rimase per circa un anno e mezzo.
Il periodo trascorso in tale monastero gli permise di lavorare alla redazione delle sue opere maggiori. Ritornato a Fiore, dette vita ad una nuova famiglia monastica, le cui Costituzioni risultano oggi perdute.
A motivo dei suoi incarichi e delle sue molteplici competenze, Gioacchino si trovò ad intrattenere numerosi contatti con la Sede apostolica. Nel maggio del 1184 lo troviamo a Veroli, presso il Papa Lucio III e la Curia. Qualche anno più tardi egli è a Roma presso Clemente III, e il 25 agosto 1196 ottiene dal Papa Celestino III la Lettera bollata Cum in nostra, con la quale viene approvata la famiglia monastica da lui fondata.
È vero che successivamente il Concilio Lateranense IV dovette correggere certi aspetti della sua dottrina trinitaria e che la sua dottrina del ritmo trinitario della storia creò gravi problemi nella prima fase della storia francescana; tuttavia lo stesso Concilio Lateranense IV difese la sua integrità personale, comprovata dalla sua lettera a Papa Innocenzo III ("Protestatio") e dal Commento all’Apocalisse. Tra i suoi lettori ed estimatori Gioacchino annoverò il Papa Innocenzo III, che più volte ebbe a citarlo nei suoi documenti. L’Abate di Fiore professò sempre fedeltà e obbedienza alla Sede di Pietro, a cui sottopose con umiltà le proprie opere. Nel Commento all’Apocalisse così ne espone il motivo: se san Paolo "portò i suoi scritti agli apostoli che lo precedevano, nel dubbio di correre o di aver corso invano (cfr Gal 2, 2), quanto a maggior ragione io, che sono niente, non voglio essere giudice di me stesso, ma dev’esserlo piuttosto il Sommo Pontefice, che giudica tutti ed egli stesso non è giudicato da nessuno" (fol. 224ra-b). Affermazioni riproposte anche nell’Epistola prologale, che viene ritenuta il suo "testamento".
Negli scritti come nella sua vicenda terrena, Gioacchino appare una persona innamorata di Dio, un apostolo ardente di zelo, un predicatore appassionato. Egli fu soprattutto uomo della Parola. La sua opera esegetica - nonostante i problemi che pone - merita attento studio e può essere fonte di conoscenze utili, anche a motivo del suo spirito ecumenico.
Dalla continua meditazione della Parola rivelata, Gioacchino trasse l’energia spirituale per additare agli uomini le vie di Dio. Ricorda il suo biografo: "Nel tempo dell’ira, come un altro Geremia, Gioacchino è stato fatto riconciliazione, intercedendo soprattutto per i poveri" (Vita, p. 190). Non ebbe timore di affrontare a viso aperto i potenti della terra, come l’imperatore Enrico VI, che invitò a recedere dal suo comportamento indegno, se non voleva subire l’ira divina (cfr ibid., p. 189). Fermezza mostrò pure nei confronti dell’imperatrice Costanza (cfr Memorie, p. 195).
Gioacchino, che considerò scopo e passione della sua esistenza l’amore della Parola di Dio, ricorda all’uomo di oggi, inondato di parole e spesso affascinato da pseudo-valori, che "una sola è la cosa di cui c’è bisogno" (Lc 10, 42), e che occorre vivere di "ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4, 4). Egli testimonia, altresì, che la Scrittura va letta con la Chiesa e nella Chiesa, "credendo integralmente ciò in cui essa crede, accettando le sue correzioni riguardo sia alla fede che ai costumi, rifiutando ciò che essa rifiuta e accogliendo ciò che essa accoglie, e credendo fermamente che le porte dell’inferno non possono prevalere contro di essa" (Epistola prologale).
Egli ebbe in gran conto la preghiera e la contemplazione, vissute nel silenzio e nella quiete, in continua ricerca di Dio, "Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento" (Gc 1, 17). La sua singolare esperienza costituisce per il credente del nostro tempo un potente richiamo a non temere la solitudine, ma a costellare l’esistenza di spazi di raccoglimento e di orazione per ritrovare nell’incontro con Dio la possibilità di un’esistenza più piena e più autentica.
L’Abate di Fiore visse in grande povertà e considerò unica vera ricchezza il possesso di Dio. Incurante del prestigio che gli veniva dalla sua carica e della stima dei potenti del tempo, mantenne sempre un atteggiamento umile, e fu tenace e gioioso imitatore del Figlio di Dio che, da ricco qual era, si fece povero per noi (cfr 2 Cor 8, 9) sino a non avere dove posare il capo (cfr Mt 8, 20). Il suo continuo riferirsi a Cristo "mite ed umile di cuore" (cfr Mt 11, 29) è ricordato dall’Arcivescovo Luca di Casamari che, riferendo come l’Abate si recasse frequentemente a pulire "con le proprie mani tutta l’infermeria" (Memorie, p. 195), aggiunge: "Mi meravigliavo che un uomo di tanta fama, dalla parola tanto efficace, portasse vesti vecchie e logoratissime, in parte corrose nelle frange" (ibid., p. 191). Questo singolare anelito alla povertà e al nascondimento fa di Gioacchino un potente richiamo a considerare i perenni valori evangelici come la via migliore offerta agli uomini di ogni tempo per costruire un mondo giusto, fraterno e solidale.
Considerando le testimonianze di virtù autenticamente cristiane offerte dall’Abate di Fiore, il Sommo Pontefice esprime l’auspicio che la ricorrenza dell’VIII centenario della sua morte costituisca per l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, la quale gli dette i natali e ne conserva le spoglie mortali, come anche per il Popolo di Dio che è in Calabria, una preziosa occasione di riflessione e di spirituale edificazione. Con questi voti, Sua Santità invia una speciale Benedizione Apostolica a Vostra Eccellenza Reverendissima, ai fedeli dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano ed a quanti, animati da sincero desiderio di verità, si accosteranno alla figura di quest’insigne figlio della Calabria nel corso delle celebrazioni giubilari. Unisco il mio personale augurio di pieno successo delle celebrazioni programmate, mentre mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio
dell’Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo
ANGELO Card. SODANO Segretario di Stato
SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:
L DIO AMORE DELL’EVANGELISTA GIOVANNI: "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8).E IL DIO *MAMMONA* DEL *CARO-PREZZO* E DELLA *CARESTIA* DEL VANGELO DI BENEDETTO XVI : "DEUS CARITAS EST"(2006).
PASQUA IN ARRIVO. IL TERZO SARA’ REGNO DELLO SPIRITO SANTO: "TERTIUS IN CHARITATE". Gioacchino invita Benedetto XVI a correre ai ripari.
ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA: LA CARESTIA AVANZA!!! Benedetto XVI "cambia la formula dell’Eucarestia"! «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!
CHIESA: MAGISTERO SENZA GRAZIA
RELIGIONI E POLITICA: OBAMA ASSUNTO IN CIELO, IL VATICANO SOTTO IL GRADO ZERO. Note per ricordare
Federico La Sala
Turismo, in migliaia a San Giovanni in Fiore sulle orme dell’abate Gioacchino
di Redazione Adnkronos, 23 giugno 2023
“Migliaia di turisti vengono ogni anno a San Giovanni in Fiore, centro della Sila cosentina, attratti dalla figura di Gioacchino da Fiore, dal fascino del Medioevo, dall’idea che l’abate sia un santo pur non essendolo, ma attratti anche dalla riscoperta della natura e dal fascino del mistero. Il ‘cammino di Gioacchino’ è percorso da migliaia di persone che in tempo di incertezze e conflitti si avvicinano all’abate, per me un filosofo della contemporaneità”.
Parole di Emiliano Morrone, giornalista e saggista calabrese che sulla rivista internazionale di studi filosofici diretta dal professore Michele Borrelli si è interessato soprattutto agli aspetti, che ritiene in parte trascurati, dell’attualità del pensiero di Gioacchino da Fiore.
Morrone, parlando con l’AdnKronos, svela le ragioni che ogni anno portano migliaia di turisti sulle orme dell’abate citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia. “Migliaia di persone all’anno vengono a San Giovanni in Fiore attratti dall’abate Gioacchino da Fiore - osserva Morrone -, molti con le crociere sbarcando a Crotone, gruppi organizzati che vengono a visitare l’Abbazia Florense, grazie a un accordo che la sindaca Rosaria Succurro ha siglato con più tour operator, e che arrivano per visitare la chiesa di Gioacchino e sentir parlare di lui. A ciò si affianca una generale ripresa del turismo religioso legato a Gioacchino da Fiore, soprattutto da quando, nell’ottobre scorso, è stato istituito il premio ‘Città di Gioacchino da Fiore’, dato non a studiosi dell’abate ma a figure distintesi in vari campi, dall’arte allo spettacolo, dal cinema alla cultura. Anche questo ha riportato l’attenzione su San Giovanni in Fiore”.
“Già a dicembre - prosegue Morrone - si è registrata una risposta, e in più, con la collaborazione che il Comune e la parrocchia dell’Abbazia Florense hanno stretto già dall’anno scorso, che contempla la possibilità di visitare tutta l’Abbazia Florense con un unico biglietto, c’è stata un’ulteriore intensificazione del turismo legato alla figura dell’abate. Per intenderci, adesso chi viene visita la navatella di sinistra dove sono riprodotte le tavole del ‘Liber figurarum’ di Gioacchino da Fiore, e inoltre da qualche mese a questa parte il Comune ha dato in gestione tutti gli spazi dell’Abbazia Florense, compresa la navata di sinistra, a una società con proprie guide turistiche che parlano anche le lingue straniere”.
“Devo aggiungere - spiega ancora Morrone - che anche la collaborazione fra il Comune e il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti presieduto da Giuseppe Riccardo Succurro, che ha sede a San Giovanni in Fiore e ha il grande merito d’aver tradotto le opere di Gioacchino, ha dato in questo senso i suoi frutti. E’ stato istituito, poi, anche un premio Gioacchino da Fiore organizzato dal Centro e dedicato agli studiosi dell’abate che ha contribuito a determinare un incremento delle presenze turistiche da tutta la Calabria basato sull’attrazione della figura di Gioacchino da Fiore. Per tutte queste ragioni, dunque, abbiamo registrato la presenza di migliaia di turisti più che in passato”.
“I turisti - sottolinea Morrone - vengono a San Giovanni in Fiore anche per visitare i resti della prima vera chiesa di Gioacchino da Fiore in località Jure Vetere Sottano, che sarà interessata dal passaggio di una ciclovia turistica attraverso un percorso in fase di realizzazione. I turisti che arriveranno lì troveranno un sistema elettronico plurilingue con il quale potranno avere notizie sul passaggio di Gioacchino da Fiore in Sila e sull’importanza dell’abate. È un progetto che sarà realizzato a breve e per il quale l’amministrazione di San Giovanni in Fiore, con un fondo concesso dalla Regione, ha acquistato questo primo sito dell’abate”.
“Nel 2025, ma non è escluso già nel 2024 - prosegue Morrone -, è prevista l’uscita del film ‘Il monaco che vinse l’apocalisse’ diretto da Jordan River, il primo film basato sulla vita e l’opera di Gioacchino da Fiore. Molte scene sono state girate in Sila, e anche questo si inserisce nel discorso di promozione turistica legata al territorio e alla figura di Gioacchino da Fiore”.
I motivi che spingono i turisti a prendere un volo, un treno, una nave per la Calabria per poi approdare a San Giovanni in Fiore sono, dunque, molti, e fra questi Morrone inserisce “il fascino per il Medioevo, da un lato, e dall’altro l’idea che Gioacchino da Fiore sia stato un santo. Certo, non è santo e neppure beato, ma a livello locale è ripreso il culto di Gioacchino da Fiore. Non dico che fa l’effetto di Padre Pio, anche se a Gioacchino sono attribuiti dei miracoli, ma è in atto una ripresa della figura di Gioacchino da Fiore anche da parte della Chiesa. Fondamentalmente l’abate riteneva possibile il compimento della giustizia su questa terra, e questo è un concetto un po’ particolare, se vogliamo di ‘scontro’, in quanto per la dottrina cattolica la giustizia ci attende nell’aldilà. La Chiesa guarda all’abate con un occhio positivo e gli dedica, ormai da anni, anche delle funzioni religiose. Il suo fascino attira gruppi religiosi, certo, ma anche gruppi di laici interessati al fenomeno religioso di un uomo che visse nel Medioevo e morì il 30 marzo del 1202”.
Per Morrone, inoltre, non è da trascurare anche “l’opera di riqualificazione strutturale dell’Abbazia Florense, coi lavori già avviati sotto l’attuale l’amministrazione. Saranno ripristinate anche tutte le illuminazioni. L’occhio vuole la sua parte, ragione per cui quando i turisti arriveranno troveranno una struttura più bella e più ‘visibile’”. Com’è noto, l’abate Gioacchino da Fiore è citato anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, collocato nel XII Paradiso.
“Non è cosa da poco, certo, ma il collegamento fra Dante e Gioacchino da Fiore è in un certo senso controverso ma soprattutto ‘elitario’, in grado di interessare una nicchia. René Guénon sosteneva, mettendo dentro anche i templari, che la citazione dell’abate da parte di Dante Alighieri fosse da ricondurre all’appartenenza a una comune tradizione sapienziale, ma, ripeto, il collegamento fra il Sommo Poeta e l’abate non arriva al pubblico di massa. Parliamo di una terzina, ‘e lucemi da lato/il calavrese abate Giovacchino/di spirito profetico dotato’. Dunque se è vero che questo legame a livello territoriale è molto riverberato, anche sulla stampa locale, all’esterno non arriva”.
“Il collegamento fra Dante e l’abate è dunque forte, innegabile - osserva Morrone -, altrimenti il Sommo Poeta non l’avrebbe citato, e di certo ciò attrae una nicchia di turisti, ma ad attirarli qui è soprattutto la riscoperta della natura e del fascino del mistero insito nella natura stessa. Esiste da qualche anno a questa parte un ‘cammino di Gioacchino’ che si è inventato un’associazione lametina, con tanto di diffusione di documenti che raccontano il cammino di Gioacchino da Fiore. La gente ha riscoperto la passione delle camminate, e se a questa passione, immergendosi nella natura, si dà una motivazione, respirando aria pura e ripercorrendo le strade in un’atmosfera avvolta nel Medioevo e nel mistero, allora c’è tutto. Ecco, questo è un aspetto non secondario e molto più ‘pratico’ del collegamento fra Dante e Gioacchino, che è una roba per specialisti”.
Ma cosa si portano dietro i turisti che lasciano San Giovanni in Fiore dopo aver seguite le orme dell’abate Gioacchino? Morrone non ha dubbi: “La sorpresa di aver ‘scoperto’, come annota un grande studioso dell’abate, Andrea Tagliapietra, che non a caso ha fatto da consulente per la stesura del soggetto del film, l’attualità del pensiero di Gioacchino da Fiore soprattutto in tempo di grandi crisi, guerre, conflitti, incertezze economiche, esistenziali e sociali. La scoperta di un uomo, per molti un santo, che riteneva possibile il compimento della giustizia in questo mondo. Un precursore del Rinascimento, diceva ancora Tagliapietra, pur essendo un uomo del Medioevo. E io dico: un filosofo della contemporaneità, una figura in grado di dare risposte alla crisi di senso o, per dirla con Battiato e Sgalambro, di ‘vuoto di senso, senso di vuoto’, che viviamo adesso”.
L’INTERVISTA
«Così la forza di Gioacchino da Fiore ha conquistato la “mia” Costanza d’Altavilla»
L’attrice Elisabetta Pellini racconta la sua esperienza sul set de “Il Monaco che vinse l’Apocalisse”. «Location uniche per poesia e spiritualità»
di Emiliano Morrone (Corriere della Calabria, 24/12/2022
Dallo scorso primo dicembre è in postproduzione il film su Gioacchino da Fiore Il Monaco che vinse l’Apocalisse, diretto da Jordan River e prodotto da Delta Star Pictures con il sostegno della Fondazione Calabria Film Commission. L’uscita dell’opera cinematografica è prevista entro il 2025, l’anno del prossimo Giubileo ordinario della Chiesa, nel quale l’abate florense, vissuto tra il 1135 circa e il 1202, potrebbe essere beatificato, stando ad autorevoli fonti religiose. Nel XVI secolo il messaggio di Gioacchino - la profezia, direbbe il filosofo Gianni Vattimo, dell’emancipazione spirituale degli uomini - arrivò perfino nelle Americhe, come documentato dall’antropologo Georges Baudot nel volume “Utopía e Historia en México”, e lì fu determinante per la fondazione di diverse città, tra cui Puebla de los Angeles, oggi Puebla de Zaragoza, secondo uno studio di Silvia Castellanos de García, docente nell’Universidad National Autònoma de México. Eppure, proprio l’origine calabrese del monaco sembra essere penalizzante, per via di forti pregiudizi culturali che ancora gravano sulla (e nella) regione Calabria.
Abbiamo intervistato Elisabetta Pellini, che nel film - alla cui scrittura ha collaborato il filosofo italiano Andrea Tagliapietra, tra l’altro curatore del volume gioachimita “Sull’Apocalisse”, edito da Feltrinelli - interpreta il ruolo di Costanza d’Altavilla, madre di Federico II e grande estimatrice dell’abate Gioacchino, di cui Dante Alighieri riprese la teologia figurativa e cui Michelangelo Buonarroti si ispirò per i suoi affreschi nella Cappella Sistina. Il film in questione punta a divulgare la spiritualità e l’attualità del pensiero di Gioacchino da Fiore, ancora poco conosciute dal grande pubblico nell’era del consumismo digitale, del mercatismo e della globalizzazione imperanti. Peraltro, la speranza di vari amministratori locali calabresi è che il film possa far conoscere nel mondo il fascino della Sila, in cui sono state girate diverse scene di quest’opera di River, da tempo cultore appassionato dell’abate calabrese.
«Nel film la regina Costanza intravede in quel monaco la figura spirituale più vicina cui affidare le sue preoccupazioni più intime. Nel segreto della confessione, Costanza, la madre di Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme, manifesterà il suo più profondo riconoscimento. La regina Costanza decide di confessarsi con il monaco Gioacchino invece che con il Pontefice. Ciò perché aveva grande stima e fiducia nei suoi riguardi. Il gesto compiuto dalla regina Costanza entrerà nella storia. Nessuna regina fino ad allora si era mai confessata e inginocchiata davanti ad un monaco».
«Dante gli esprime il proprio riconoscimento non solo in una terzina. Va detto che la Divina Commedia è veramente intrisa di forza gioachimita. Non tutti sanno che leggendo il capolavoro della Divina Commedia si legge anche il pensiero di Gioacchino. Per esempio, nel Canto XXXIII del Paradiso, Dante contempla le tre Persone divine e, con una grandiosa raffigurazione, illustra il mistero della Trinità. Per esempio, quando Dante scrive “Nella profonda e chiara sussistenza/ dell’alto Lume parvermi tre giri/ di tre colori e d’una contenenza;/ e l’un da l’altro, come iri da iri,/ parea reflesso, e il terzo parea foco,/ che quinci e quindi igualmente si spiri”. Lì Dante illustra i tre cerchi trinitari di Gioacchino da Fiore presenti nel Liber Figurarum, un’edizione del quale è conservata a Oxford».
«Ho letto lo stralcio del copione e poi ho avuto un incontro con il regista, prima delle riprese per lavorare sul personaggio di Costanza d’Altavilla. River usa un metodo tutto suo, pone molta attenzione alla preparazione, fornendo gli strumenti necessari per l’avventura cinematografica. Poi sul set si gira. Il regista indica la via, ma poi è l’attore che deve percorrerla. River cerca, insomma, di lasciare gli attori liberi di esprimersi per arrivare all’anima del personaggio. Nel film c’è una crew, una squadra molto importante e attenta ai particolari. Ognuno ha messo un po’ della propria arte. Per il trucco, Vittorio Sodano ha usato l’aerografo, in modo da renderlo il più naturale possibile. Non ci sono molte foto e materiali sull’immagine della regina Costanza, ma all’epoca si usava il caolino per truccarsi e nascondere le imperfezioni. Il costumista Daniele Gelsi è stato attento a ogni particolare del costume e mi ha consigliato dei movimenti per rendere l’abito più visibile e anche per entrare nell’epoca di Costanza d’Altavilla. Per il resto ho seguito il mio istinto di attrice e sono entrata per magia in quel contesto storico. È stato bellissimo. Le scenografie erano magnifiche. Le luci del direttore della fotografia, Gianni Mammolotti, hanno creato l’atmosfera giusta e intima per il grande incontro della regina Costanza con Gioacchino da Fiore, il monaco che vinse l’Apocalisse».
«L’umiltà regale e la ricerca della spiritualità per il figlio Federico II».
«Sono stata sul set in occasione delle riprese girate nel Lazio, successivamente a quelle realizzate nelle location calabresi. Per ora ho avuto modo di conoscere le splendide location della Sila soltanto virtualmente, poiché il regista, per farmi entrare nella scia spirituale del film, mi ha inviato un link per visionare alcune scene girate proprio a San Giovanni in Fiore. Ho visto per esempio la scena della tonsura di Gioacchino, girata nella cripta dell’Abbazia Florense. Nello specifico, si tratta di una vera immersione nella luce divina».
«Ci sono molte ambientazioni simili alla famosa pellicola “Il nome della rosa”. Anzi, direi di più: nel film “Il Monaco che vinse l’Apocalisse” ci sono location uniche, davvero spettacolari, con uno stile in cui la poesia e la spiritualità saranno i punti di forza».
«Da quello che mi è parso di percepire l’opera non si limita a eventi storici, ma li riporta in vita per farli vivere e amare. Affronta tematiche atemporali e universali come il coraggio, la costanza, la vittoria della vita sulla morte, la fraternità, l’amore».
«La produzione non ha ancora annunciato la data di uscita, ma ha però confermato che sarà distribuito in tutto il mondo entro il Santo Giubileo del 2025».
«Sappiamo che è in corso la causa di beatificazione di Gioacchino da Fiore e non è escluso, come trapela da importanti fonti religiose, che la Chiesa lo proclami beato entro il prossimo Giubileo del 2025. Certo, la Chiesa è in forte ritardo, sono infatti passati oltre 800 anni. Ma forse ciò doveva avvenire in quest’era, della “terza età”».
«Nell’estate scorsa sono state girate le riprese in Calabria, ma non ho avuto modo di esserci. So che sul set ci sono stati molti colleghi attori e che l’amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore e la presidente della provincia di Cosenza, Rosaria Succurro, è stata al fianco della produzione dandole il massimo supporto. All’uscita del film, se sarò invitata, verrò volentieri a presentarlo Calabria, insieme al regista e alla produzione». (redazione@corrierecal.it)
L’INTERVISTA
Premio Gioacchino da Fiore ad Alexander Patschovsky, Potestà: «È una figura luminosa»
Oggi a San Giovanni in Fiore il riconoscimento allo storico. Il presidente del comitato scientifico parla dei 40 anni di attività
di Emiliano Morrone (Corriere della Calabria, 02 dicembre 2022)
SAN GIOVANNI IN FIORE. Oggi pomeriggio lo storico del Medioevo Alexander Patschovsky riceverà il Premio Gioacchino da Fiore nell’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore, per l’alto contributo dato agli studi sulle opere dell’abate calabrese, vissuto nel XII secolo. L’iniziativa inizierà alle ore 17, organizzata dal Centro internazionale di studi gioachimiti, che insieme festeggerà i 40 anni di attività, e patrocinata dal ministero della Cultura, dalla Regione Calabria, dalla Provincia di Cosenza e dai Comuni di San Giovanni in Fiore, Carlopoli, Celico, Luzzi e Pietrafitta. La premiazione dell’accademico Patschovsky sarà preceduta dalla relativa laudatio di Gian Luca Potestà, professore ordinario di Storia del cristianesimo nell’Università Cattolica di Milano e presidente del comitato scientifico del Centro. Dopo la consegna del premio, il presidente del Centro, Riccardo Succurro, ne riassumerà i 40 anni di storia e verranno consegnati dei riconoscimenti a tutti i sindaci di San Giovanni in Fiore, ai dirigenti scolastici locali in servizio, ad alcuni fondatori dell’istituto culturale e ai suoi soci in carica per l’impegno profuso. Con Potestà, che ci ha rilasciato un’ampia intervista, abbiamo discusso dell’importanza e dell’attualità di Gioacchino da Fiore, del rapporto tra l’abate calabrese e Dante Alighieri, del lavoro scientifico di Patschovsky e del futuro del Centro, che ha sede a San Giovanni in Fiore.
Professore, come definisce Gioacchino da Fiore?
«Gioacchino è un tesoro della cultura, della spiritualità e della teologia italiane. Egli si inscrive bene in una linea di pensiero meridionale, cioè quello che, a partire da Platone, ha cercato di riflettere sulla storia. Se noi pensiamo a grandi pensatori che con il Mezzogiorno hanno avuto a che fare - da Gioacchino a Campanella, a Bruno, e poi, scendendo, a Labriola e anche a Croce -, in loro vediamo una costante preoccupazione di riflettere sulla storia, sul senso della storia e sulla direzione della storia».
Perché Gioacchino è importante?
«L’importanza di Gioacchino, detta in poche parole, sta nello scoprire il segno effettivo della Trinità nella storia degli uomini. Questo è un problema, perché la storia degli uomini viene normalmente concepita, in ambito cristiano, in un senso binario, cioè Antico Testamento e Nuovo Testamento. Invece, con Gioacchino abbiamo lo sforzo di leggerla in una prospettiva ternaria, cioè di trovare all’interno della storia non solo la traccia del Padre, l’Antico Testamento, ma anche quella del Figlio, Nuovo Testamento, e soprattutto quella dello Spirito. Ciò vuol dire inscriversi in una linea, che peraltro non era del tutto rara nel XII secolo, per così dire di revival dello Spirito Santo, inteso come forza che spinge in avanti la storia e che ad essa dà un impulso nuovo».
È dunque, quella dell’abate calabrese, una visione aperta della storia? Non di rado, poi, Gioacchino viene collegato ad Hegel e a Marx.
«Sì, l’abate ha una visione aperta della storia. In Gioacchino ci sono tanti aspetti; è un autore, potremmo dire, polimorfo. L’idea di fondo è, per semplificare, che i giochi non sono finiti, che il futuro è ancora davanti a noi e offre tanti elementi nuovi. Questo è, possiamo dire, il senso di Gioacchino. In epoca moderna le teologie della storia sono un po’ passate di moda. Noi troviamo grandi filosofie della storia - da Hegel a Comte, e in qualche modo anche Marx rientra dentro questo territorio - che non sono affatto derivate da Gioacchino, ma ci spiegano come, dentro un orizzonte secolarizzato, quelle grandi idee continuino a vivere».
Gioacchino e Dante, il secondo è un erede del primo?
«È un punto di attualità, perché l’anno scorso abbiamo celebrato il settimo centenario della morte di Dante. Su questo, mi permetta di dire, io andrei con cautela. A partire dal fatto che Gioacchino riceve un posto di rilievo nel Paradiso, ed è quella famosa terzina tante volte citata, si tende a mettere Dante nella scia di Gioacchino. Negli ultimi anni ho lavorato tanto sul profetismo e sulle concezioni escatologiche e apocalittiche di Dante. Il discorso sarebbe lungo, ma mi sono convinto che si debba essere cauti. Dante crea in realtà una propria apocalisse, che è perfettamente percepibile negli ultimi Canti del Purgatorio, nei quali egli mostra uno scenario della storia che a prima vista sembra debitore della visione gioachimita delle età. In realtà Dante riplasma completamente lo scenario, in relazione al proprio linguaggio, alla propria densità letteraria e ai propri fini».
Quindi non trova corretto legare Dante a Gioacchino?
«Per dirla in due parole, Dante conosce Gioacchino così come conosce il pensiero francescano della storia, gli spirituali francescani eccetera. Tuttavia, definire Dante gioachimita mi pare una forzatura. Gioacchino è tra le sue letture, ed è ovvio che lo sia. Forse noi immaginiamo Gioacchino come un pensatore un po’ marginale, ma si tratta di un autore straordinariamente letto e diffuso nel Medioevo. Dell’abate calabrese ho appena tradotto i primi quattro dei cinque libri della Concordia, che è una delle sue tre grandi opere, forse la più audace, in cui egli legge il passato della storia per trovarne una chiave di senso profetica volta verso il futuro. Ebbene, questa è un’opera che mostra una propria cifra della storia, una propria lettura della storia. È molto ambiziosa e quindi, direi, Dante ne è consapevole. Dante conosce Gioacchino come tanti altri intellettuali fra il XIII e il XIV secolo. La Concordia, pensi, è un’opera di cui ci sono rimasti più di 40 manoscritti. Inoltre, abbiamo notizia di almeno 15 manoscritti perduti. È un’enormità per un testo del Medioevo, è come se noi dovessimo moltiplicare per 100».
Il Centro di San Giovanni in Fiore compie 40 anni, è un’età.
«Oggi il Centro studi gioachimiti celebra in un certo senso sé stesso, perché ha voluto fissare una data importante, che è quella dei suoi 40 anni di vita. Credo che sia stata una grande scommessa. Nato a partire dall’intuizione, dall’entusiasmo, dalla passione di alcuni intellettuali di San Giovanni in Fiore, in particolare penso al professore Salvatore Oliverio, è riuscito a darsi una dimensione internazionale e una longevità straordinaria. È giusto, quindi, festeggiare i quarant’anni di età del Centro. Se ci arriveremo, festeggeremo anche i 50».
Il Premio Gioacchino da Fiore coincide, allora, con questo compleanno importante?
«Per celebrare degnamente questi quarant’anni, si è pensato di dare dei riconoscimenti a coloro che erano già attivi agli inizi e che ancora sono presenti sulla scena culturale della regione. Soprattutto, abbiamo voluto conferire un premio allo studioso che maggiormente ha fatto per Gioacchino negli ultimi decenni».
Così siete arrivati a Patschovsky?
«Qui il comitato scientifico, che io presiedo, è stato unanime nell’individuare la figura del collega professor Alexander Patschovsky. Più tardi terrò una laudatio nei suoi riguardi: in alcune cartelle cercherò di mostrare qual è il profilo scientifico dell’autore. Per dirla ora in due parole, Patschovsky è stato allievo di uno dei maggiori medievisti tedeschi: Herbert Grundmann, morto nel 1970. È stato l’ultimo suo allievo e di Grundmann ha raccolto l’eredità su due piani. Nei primi anni si è occupato soprattutto di inquisitori ed eretici. Poi, a partire dalla fine degli anni ’80 - ricordo, e lo ricorderò più tardi nell’Abbazia florense, una sua venuta a San Giovanni in Fiore per un congresso gioachimita - ha deciso di dedicarsi pienamente allo studio di Gioacchino. In questo senso, Patschovsky ha scritto dei saggi e soprattutto ha curato le edizioni critiche di moltissime opere di Gioacchino. Se non ci fosse stato lui, ben poco sarebbe stato pubblicato dell’abate calabrese».
«Delle tre grandi opere di Gioacchino, Patschovsky ha pubblicato in proprio la Concordia, sta per pubblicare il Commento all’Apocalisse e infine ha revisionato a fondo il testo del Salterio a dieci corde, curato dal professor Selge. Quindi Patschovsky è una figura luminosa; è un autore che, già prima della pensione, e a maggior ragione dopo il pensionamento, avvenuto nel 2005, si è dedicato totalmente allo studio di Gioacchino. Questo può sembrare qualcosa di astruso, perché fare delle edizioni critiche vuol dire produrre dei testi latini e con apparati di commento che per un profano spesso non sono facilmente comprensibili».
Me ne rendo conto, seguo il suo ragionamento.
«In realtà, Patschovsky ha posto le basi per un lavoro su Gioacchino che a questo punto ha dei fondamenti estremamente solidi e non più incerti. Perché dico solidi? Lo dico perché, soprattutto per le grandi opere, Gioacchino ha lavorato producendo diverse redazioni delle sue opere. Lei pensi che alla Concordia Gioacchino ha lavorato per 15 anni, con continue revisioni. Ma intanto le prime copie del testo già circolavano. Quindi è stata enorme la difficoltà di arrivare a definire il testo di fronte a tradizioni manoscritte divergenti. Ecco, i testi ora sono stati fissati: si sono poste le basi per un lavoro scientifico di enorme rilevanza».
Adesso di che cosa vi state occupando come studiosi?
«Parallelamente, abbiamo cercato e stiamo cercando ancora di tradurre delle opere. Io stesso ho appena tradotto i primi quattro libri della Concordia in italiano, in modo da rendere Gioacchino accessibile al lettore che non sia iperspecialista. Così viene fuori la straordinaria ricchezza di questo autore, che non si lascia confinare dentro uno spazio isolato».
Il fascino dell’abate calabrese deriva anche dalla sua utopia, concepita tra i monti della Sila, del rinnovamento del mondo?
«Il fascino di Gioacchino è quello di un grande pensatore che nel contempo è stato un monaco, un abate, uno che ha concepito un’idea di riforma del mondo a partire da una località isolata, sperduta, sulla Sila, immaginando un grande sogno, forse anche la grande illusione che da lì sarebbe venuto fuori il rinnovamento del monachesimo e del mondo».
Qual è la sua impressione a proposito della percezione che gli studiosi calabresi hanno di Gioacchino da Fiore?
«In una rivista che ho diretto per parecchi anni e che ancora seguo, Annali di Scienze religiose, noi pubblichiamo ogni anno, da una dozzina d’anni, una bibliografia degli scritti, cioè di tutti gli studi che compaiono su Gioacchino da Fiore nel mondo. Si tratta di un elenco, brevemente commentato, di ciascun articolo, di ciascun libro, di ciascuna voce di enciclopedia. Diciamo che, per darle l’idea, ci sono tra i 20 e i 50 contributi all’anno che escono un po’ in tutto il mondo, prevalentemente in Europa, ma qualcuno anche in Paesi lontani: negli Stati Uniti, in America Latina eccetera. Dirle che c’è un contributo specifico di alto livello scientifico che venga dalla Calabria mi sembrerebbe in fondo una forzatura. Naturalmente ci sono degli studiosi calabresi che si occuopano di Gioacchino. Anche in passato ci sono stati degli studiosi calabresi; penso qui al padre Francesco Russo e credo che fosse calabrese pure Antonio Crocco, che insegnava all’Università di Salerno. Questi ed altri studiosi calabresi hanno lavorato molto sull’abate, ma direi in una fase - naturalmente non uso alcuna tonalità spregiativa - pionieristica, cioè in cui si trattava di aprire la strada su Gioacchino».
Ora qual è il contributo degli studiosi calabresi?
«Adesso, come un po’ dappertutto, il tecnicizzarsi e lo specializzarsi della ricerca fa sì che per fare un’edizione di Gioacchino ci debbano essere competenze paleografiche, filologiche, storiche eccetera, che non si trovano dietro l’angolo. Queste competenze potrebbero trovarsi in Calabria o potrebbero trovarsi, come è stato per il professor Patschovsky, tra Monaco di Baviera, dove lui ha esercitato parte della sua attività di ricerca nei primi anni, e l’Università di Costanza, in Germania, dove lui ha insegnato fino al pensionamento».
Non è, in qualche modo, un controsenso?
«Per quanto le ho già detto, non mi meraviglio che Gioacchino non sia particolarmente considerato, non sia particolarmente oggetto di studio in Calabria. Però proprio per questo sono grato, devo dirle, all’attività che il Centro studi gioachimiti ha fatto e fa. La trovo meritoria. Il Centro ha sempre rispettato il piano della ricerca scientifica, e in questo senso non ha mai posto argini, mai posto limiti alla ricerca degli studiosi che ha cercato di raccogliere intorno a sé un po’ in tutto il mondo, purché fossero bravi».
C’è anche bisogno di rendere Gioacchino da Fiore più alla portata di tutti?
«Il Centro ha messo in atto una grossa attività di carattere divulgativo a livello provinciale, ed anche regionale, che in qualche modo si avvale dei risultati della ricerca scientifica e li ripropone in una prospettiva pure più semplificata; innanzitutto per le scuole, per i centri di cultura, per le università della terza età, per le biblioteche».
Come vede il futuro del Centro internazionale di studi gioachimiti?
«L’ho detto diverse volte, lo dico anche a lei, nella speranza che questa riflessione possa essere raccolta: il Centro studi gioachimiti è una realtà che va ulteriormente potenziata, e ci sarebbero tanti modi per potenziarla. Certo, siamo ormai alla vigilia della conclusione delle edizioni di Gioacchino».
Questo, professore, che cosa significa?
«Che tante altre cose si possano progettare, perché Gioacchino è un personaggio che muore nel 1202 ma la sua impronta resta fino all’età contemporanea. Allora non si fa fatica, non si fa sforzo per trovare altre imprese».
Che cosa servirebbe, dunque, per ravvivare, rivitalizzare le attività del Centro?
«Occorrerebbero, credo, anche grandi finanziamenti. Più volte, mi sono augurato che il Centro studi gioachimiti possa fruire di finanziamenti maggiori, in modo tale da dare nuove prospettive e nuovi orizzonti rispetto a quelli delineati quarant’anni fa e che in parte stanno anche venendo a conclusione. Infatti, dopo che Patschovsky avrà pubblicato l’edizione del Commento all’Apocalisse, mancherà solo il Liber Figurarum, che è già stato preso in carico dal mio collega professor Marco Rainini, dell’Università Cattolica, e con Gioacchino avremmo finito».
La missione del Centro è quasi compiuta?
«Sì, però infiniti altri capitoli si possono aprire sotto il nome di Gioacchino, a partire dalle opere pseudogioachimite composte subito dopo la sua morte. Quindi io mi auguro che il Centro - il quale è, non so se il termine sia tecnicamente giusto, un’eccellenza in Calabria - possa essere ulteriormente valorizzato, sostenuto, finanziato, avvalendosi sempre anche dell’apporto degli studiosi che più tempo e più competenze hanno speso su Gioacchino».
IL CARTEGGIO
«Come tutte le merci di valore, la verità è spesso contraffatta»
di Paola Militano (Corriere della Calabria, 07/10/2022)
Ho letto la lettera inviatami da Giuseppe Riccardo Succurro (la riportiamo sotto, ndr), presidente “in aeternum” del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti. Lo scrivente lamenta espressioni irrispettose e nel farlo - non avvedendosi dell’evidente contraddizione rispetto al lamento - aggiunge «sarebbe stato più corretto professare di ignorare Gioacchino». Già, perché in Calabria della figura, del verbo e del pensiero dell’abate Gioacchino lo scrivente si ritiene unico depositario, sacerdote officiante di un rito per pochi, pochissimi eletti che per autoconvincimento, sono irradiati di “luce intellettual piena d’amore” e popolano un dantesco empireo, inarrivabile e intangibile.
Mi è capitato raramente di assistere ad una tale manifestazione di supponenza, un’autoreferenzialità declinata con l’indicazione di articoli, lettere e medaglie ricevute dal Centro che sa di esercizio autoerotico di natura fintamente intellettuale. Nell’elenco fornito poi da Succurro ci sono le pubblicazioni di testi ed il florilegio di espressioni che è utile mettere in fila: teologica simbolica, principi esegetici, dottrina trinitaria, teologia della storia. Insomma, né più né meno che la plastica dimostrazione di una grottesca ricercatezza che lungi dallo smentirla, conferma invece l’affermazione “irrispettosa” di «Gioacchino confinato all’interno dei monti della Sila».
Mi piace richiamare, usandole come forzata analogia, alcune parole di Papa Francesco nell’esortazione Gaudete et Exultate «... forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare».
Il sempiterno presidente - come documenta la sua lettera - non riesce a cogliere e distinguere l’approfondimento e la divulgazione di carattere scientifico-letterario dalla valorizzazione e promozione “urbi et orbi” della figura, del ruolo e dell’importanza di Gioacchino da Fiore che «ha conosciuto il mondo, i suoi vizi, le invidie ed i contrasti della chiesa e delle corti». Si tratta di punti di vista completamente diversi, ugualmente validi ed essenziali.
Ma vale la pena ragionare, stante l’occasione, anche del Centro Internazionale (e privato) di Studi Gioachimiti gratuitamente ospitato in spazi pubblici e titolare, alla stregua di un privé, dei cori notturni dell’Abbazia florense. Concessioni, unite a contributi pubblici, garantite a una associazione presieduta da quasi 13 anni dal finissimo intellettuale che - in forza delle previsioni statutarie - è anche membro di diritto del Comitato scientifico. Quest’ultima circostanza, stante la natura privata dell’associazione, ha dato luogo a singolari scelte, ineccepibili sul piano formale ma molto discutibili sotto il profilo dell’opportunità.
Diciamolo pure, solo in Calabria un’associazione privata riceve gratis spazi pubblici, è esclusivista di luoghi simbolici e identitari, si autoperpetua per mandato statutario e pensa che un gigante del pensiero e della storia possa essere questione di famiglia. Ma è questione di cui, magari, ci occuperemo in un altro momento. (paola.militano@corrierecal.it)
Gentile direttrice,
l’abbiamo ascoltata affermare pubblicamente davanti ad una affollata assemblea che “Gioacchino è confinato all’interno dei monti della Sila”. Ci è sembrata una espressione irrispettosa. Ciascuno è libero di sostenere che il sole sia nero! Sarebbe stato più corretto professare di ignorare Gioacchino come molti non sono tenuti per forza a conoscere Shakespeare o Corrado Alvaro.
Le segnaliamo un articolo che Il Sole 24 Ore ha recentemente dedicato a Gioacchino da Fiore, al Centro Internazionale di Studi Gioachimiti e a San Giovanni in Fiore. Non ci risulta che il Sole 24 Ore sia pubblicato negli sperduti monti della Sila abitati da feroci briganti.
Le segnaliamo le lettere che quest’anno ci hanno inviato Papa Francesco e Papa Benedetto XVI con splendide parole di elogio verso l’opera di diffusione del pensiero di Gioacchino da Fiore che stiamo compiendo. Le facciamo presente che il Presidente della Repubblica Mattarella ci ha concesso la medaglia presidenziale. Le segnaliamo che tante Reti nazionali hanno trasmesso servizi su Gioacchino da Fiore.
Come prima lettura, le consigliamo questo libro: “Bernard McGinn, The Calabrian Abbot. Joachim of Fiore in the History of Western Thought, New York 1985” che il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti ha pubblicato presso la Casa editrice Marietti di Genova. “L’’abate calabrese. Gioacchino da Fiore nella storia del pensiero occidentale”.
È un’opera che è stata tradotta in quaranta nazioni, anche in Giappone, a testimonianza dell’interesse degli studiosi di tutto il mondo nei confronti del nostro Abate.
Bernard McGinn è professore emerito di Storia della teologia alla Divinity School dell’Università di Chicago. Membro del Comitato scientifico del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, ha partecipato ai lavori dei Congressi Internazionali di Studi Gioachimiti insieme ad altri cento relatori provenienti dalle Università americane, tedesche, inglesi, francesi, spagnole, australiane, ecc. Abbiamo avuto il piacere di ascoltarne la prolusione tenuta nell’ambito della commemorazione di Gioacchino a Roma, nell’Accademia dei Lincei, alla presenza del Presidente della Camera. Era presente quando ci ricevette il Presidente della Repubblica (la delegazione del Centro era guidata dal prof Oliverio e dal prof Fonseca).
Il libro di Bernard McGinn colloca Gioacchino da Fiore sullo sfondo dell’ambiente storico e dei precedenti dottrinali, per poi intraprendere un’accurata analisi della sua teologia simbolica attraverso lo studio dei principi esegetici, della dottrina trinitaria e della teologia della storia.
La visione apocalittica della storia di Gioacchino da Fiore affonda le proprie radici nella tradizione cristiana, fino all’Apocalisse di Giovanni, il libro che egli considera la chiave per decifrare l’intera Bibbia. Benché numerose opere abbiano trattato dell’influsso dell’abate calabrese, poche hanno tentato di determinarne la posizione nella storia del pensiero attraverso un’analisi dei suoi apporti teologici più significativi. Buona lettura!
LETTERA INASPETTATA
Il papa emerito Benedetto XVI scrive a sorpresa al presidente del centro dedicato a Gioacchino da Fiore
Nella lettera si esprime un ringraziamento verso l’attività che sta portando avanti il Centro Studi con la pubblicazione delle opere dell’abate calabrese
di Franco Laratta (LaCNews24, 5 settembre 2022)
Il papa emerito, Benedetto XVI, a sorpresa scrive al presidente del centro internazionale di studi gioachimiti, Riccardo Succurro: "Quando negli anni Cinquanta scrissi il mio lavoro sulla Teologia della storia di San Bonaventura dovetti utilizzare l’edizione del cinquecento, pubblicata nella Repubblica di Venezia. A quel tempo - scrive il papa emerito al presidente del Centro Studi - Gioacchino da Fiore era ancora considerato un sognatore sulla cui opera si preferiva tacere. Da allora l’opera di Gioacchino è stata al centro di ampi dibattiti e il silenzioso abate di Fiore si meraviglierebbe di tutto quello che oggi gli si attribuisce".
Nella sua analisi, Benedetto esprime un significativo apprezzamento verso l’operazione culturale più importante che sta svolgendo da quarant’anni il Centro Studi, la pubblicazione delle opere di Gioacchino da Fiore che consente di poter attingere al pensiero dell’abate calabrese e non alle interpretazioni e manipolazioni che ne hanno caratterizzato la lettura: "Per questo la pubblicazione di una moderna edizione critica dei suoi scritti rappresenta un’assoluta necessità, alla quale Lei ha corrisposto con il Suo Centro Internazionale di Studi Gioachimiti". Il papa emerito ha infine chiesto l’invio dei libri pubblicati dal Centro Studi di San Giovanni in Fiore.
Perché tutto questo interesse verso Gioacchino da Fiore da parte di uno dei più grandi intellettuali del ‘900? Per darsi una risposta bisogna andare indietro nel tempo, fino agli anni cinquanta, quando Ratzinger scrisse un lavoro molto importante: "San Bonaventura. La teologia della storia", pubblicato successivamente dalla Porziuncola nel 2008. Ratzinger ha approfondito il confronto tra la concezione della storia di Bonaventura e quella dell’abate di Fiore ed ha studiato l’influsso di Gioacchino su Bonaventura.
Secondo Ratzinger, san Bonaventura ha accolto la concezione gioachimita di Cristo "centro dei tempi", e non solo "fine dei tempi". Ratzinger sostiene che "l’idea di considerare Cristo l’asse dei tempi è estranea a tutto il primo millennio cristiano ed emerge solo in Gioacchino... che divenne, proprio nella Chiesa stessa, l’antesignano di una nuova comprensione della storia che oggi ci appare essere la comprensione cristiana in modo così ovvio da renderci difficile credere che in qualche momento non sia stato così."
C’è anche da sapere che il cardinale Ratzinger nel corso dei suoi studi e delle sue ricerche si è più volte confrontato con il pensiero dell’Abate Gioacchino. Durante il suo pontificato, che si è concluso con le clamorose dimissioni, è ripreso con maggiore vigore il processo di beatificazione di Gioacchino. Benedetto XVI con questa sua ultima lettera ha inteso sottolineare lo straordinario ruolo che da 14 anni svolge a livello internazionale il Centro Studi Gioachimiti, chiedendo quindi materiale e libri sul pensiero dell’Abate.
Dibattito online
Gioacchino da Fiore, diretta Facebook sul pensiero dell’abate martedì 30 marzo
Il noto filosofo Gianni Vattimo e la sindaca Succurro interverranno sull’attualità degli studi gioachimiti a 819 anni dalla morte del teologo *
«Alle ore 19 di martedì 30 marzo, con il filosofo Gianni Vattimo parleremo dell’attualità del pensiero di Gioacchino da Fiore in questo tempo segnato dalla pandemia, dalla paura, dall’incertezza e dal diffuso bisogno di speranza, profondità e cooperazione». È quanto afferma, in una nota, la sindaca di San Giovanni in Fiore, Rosaria Succurro, che spiega: «L’evento verrà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook Rosaria Succurro Sindaco.
Si tratta di un’iniziativa a carattere divulgativo, in occasione degli 819 anni dalla morte di Gioacchino, che ha molto influenzato Dante Alighieri, l’architettura, la pittura, la filosofia, l’esperienza monastica, l’arte e la cultura in generale. Così il Comune di San Giovanni in Fiore intende contribuire alla diffusione dell’opera e dell’importanza di Gioacchino da Fiore, attraverso la voce di Vattimo, uno dei più grandi maestri del pensiero contemporaneo, che peraltro con la nostra città ha un rapporto di vivo affetto».
«Al di là dei colori e delle bandiere di parte, soprattutto adesso la politica - prosegue Succurro - deve puntare sulla valorizzazione della storia e della vocazione dei territori. Nei mesi successivi, appena possibile terremo a San Giovanni in Fiore un festival dedicato al rapporto tra Gioacchino e Dante, perché dobbiamo guardare avanti e confermare che esiste una Calabria di idee e saperi, capace di veicolare la propria ricchezza di natura e cultura. In questo senso tanto è stato fatto - conclude la sindaca Succurro - da amministrazioni pubbliche, da imprenditori, da rappresentanti della società civile, dalla stampa e, per quanto riguarda Gioacchino, dal Centro internazionale di studi gioachimiti e dalla Chiesa. Dobbiamo quindi proseguire e scommettere su questa strada».
* Corriere della Calabria, 29/03/2021 (ripresa parziale).
Una vita di preghiera nelle Serre calabresi
San Bruno, il fondatore dell’Ordine dei Certosini
di Maurizio Schoepflin *
Talvolta quelle che siamo soliti definire radici cristiane dell’Europa assumono i caratteri di fili invisibili che uniscono spiritualmente località lontane fra loro centinaia e centinaia di chilometri. È il caso della celebre città tedesca di Colonia, situata nella parte centro-occidentale della Germania, e di Serra San Bruno, piccola località calabrese in provincia di Vibo Valentia. All’origine di questo profondo collegamento si trova una delle grandi figure della santità medievale, Bruno, il fondatore dell’Ordine certosino, a cui è stato di recente dedicato un bel volume di vari autori intitolato San Bruno e i certosini. Una vita di preghiera nelle Serre calabresi (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020, pagine 160, euro 14).
Originario della terra renana, ove nacque intorno al 1030, Bruno andò a studiare a Reims e qui acquistò grande prestigio, divenendo ben presto un punto di riferimento della scuola e della chiesa, anche per la sua opposizione coraggiosa e decisa alla rilassatezza morale di vari prelati, che proprio per questo non esitarono a rendergli la vita difficile.
Fu in quei momenti di difficoltà e sofferenza che avvertì una forte attrazione per la vita monastica e, dopo aver rinunciato all’offerta di diventare vescovo, al termine di un breve periodo di peregrinazione si stabilì in una zona montana assai boscosa, nella regione francese del Delfinato, non lontano da Grenoble. Il massiccio dove Bruno fondò il primo monastero era denominato Cartusia, termine che è all’origine dell’italiano “certosa”.
Correva l’anno 1084 e si cominciò a lavorare all’edificazione della chiesa, l’unico edificio in pietra dell’intero complesso, che venne consacrata il due settembre del 1085. I monaci iniziarono subito a vivere in pressoché totale solitudine, lontani dal mondo, in un clima di grande austerità e fervore.
Qualche tempo dopo, Bruno dovette abbandonare la Certosa: il Pontefice Urbano ii, che da giovane era stato suo allievo a Reims, lo desiderava a Roma e il Nostro, seppur con una certa sofferenza, obbedì prontamente. Il suo animo restò comunque tutto preso dal fascino della vita eremitica, e quando il Papa lo volle nominare vescovo di Reggio Calabria preferì rifiutare, accettando invece di buon grado la donazione di un terreno sito nella località chiamata Torre, a circa 850 metri di altitudine, nell’attuale Calabria centromeridionale. Qui fondò l’eremo di Santa Maria e andò ad abitarvi, trascorrendo le giornate nella preghiera, nel silenzio e nella solitudine, fino a che la morte non lo colse la domenica 6 ottobre 1101.
Il libro descrive bene il forte e fecondo rapporto stabilitosi tra il santo e la terra calabrese, che lo annovera tra i suoi più eminenti figli adottivi. In una lettera inviata all’amico Rodolfo il Verde, prevosto di Reims, egli scrive: «In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti che, in una perseverante vigilanza divina “attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa”, abito in un eremo abbastanza lontano da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole, che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l’aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili».
Sono parole che fanno apprezzare la viva sensibilità di Bruno per la bellezza del creato e la grande importanza che egli attribuisce all’ambiente naturale ai fini di una piena realizzazione dell’ideale monastico e contemplativo.
Per tale ragione bene hanno fatto gli autori a destinare varie pagine del libro - oltre a molte eloquenti suggestive illustrazioni - alla Certosa calabrese, alla sua lunga storia e alla terra dove sorse. Un’opportuna attenzione viene pure riservata alla vita certosina, scandita dai momenti e dai gesti che le sono propri, nonché caratterizzata dalle sue più tipiche componenti spirituali e materiali: la liturgia eucaristica, l’incessante orazione, il rigoroso orario quotidiano, l’umile cella del monaco, il giardino, il lavoro, lo studio, il canto e altro ancora.
Da oltre novecento anni la testimonianza dei certosini e delle certosine (il ramo femminile dell’ordine nacque intorno al 1150 nel sud della Francia) continua a essere una luce splendente sulla via della spiritualità cristiana. All’origine del ricco contributo offerto dalla tradizione certosina alla Chiesa nella sua interezza sta proprio la fisionomia spirituale del fondatore, a cui il libro dedica alcune dense pagine, dalle quali si apprende che al centro della vita interiore di Bruno era situato un ardente, esclusivo amore per Dio: la scelta della solitudine fu da lui operata per vivere tale amore in maniera davvero radicale.
Bruno sottolinea in particolare la bontà e la dolcezza divine, che diventano motivo di gioia autentica, quella che il vero cristiano assapora nel silenzio e nella pace dell’eremo, lontano dal frastuono e dagli affanni mondani. La lunga storia dell’ordine certosino, come è comprensibile, ha conosciuto momenti di crisi e di appannamento, ma l’esigenza interiore avvertita da Bruno è rimasta intatta nella sua significativa importanza.
Particolarmente eloquente è il motto dei certosini che suona Stat Crux dum volvitur orbis (“La Croce resta salda mentre il mondo gira”). Così commentò quelle parole tanto brevi quanto significative Benedetto XVI nell’omelia pronunciata durante la Messa celebrata alla Certosa di Serra San Bruno il 9 ottobre 2011: «La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele».
* L’ Osservatore Romano, 25 agosto 2020 (ripresa parziale).
Gioacchino da Fiore, ’profeta di speranza’
di Emiliano Morrone *
Si è concluso ieri il IX Congresso internazionale degli studi sul teologo della storia Gioacchino da Fiore (1135-1202), intitolato “Ordine e disordini” e svoltosi per tre giorni nell’abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cs). L’appuntamento cui hanno partecipato borsisti di varia provenienza, caduto nel 40° anniversario della fondazione del Centro internazionale di studi gioachimiti, che ha sede nella stessa abbazia, "è servito a chiarire aspetti essenziali del pensiero dell’abate nel contesto storico-culturale di appartenenza, dominato dalla paura della fine del tempo", ha detto il presidente del Centro, Riccardo Succurro, concludendo i lavori, aperti dal direttore del comitato scientifico e membro dell’Accademia dei Lincei: Cosimo Damiano Fonseca, già rettore dell’Università della Basilicata.
"Stavolta, a differenza dei precedenti congressi, basati in prevalenza sui contenuti dell’opera di Gioacchino, abbiamo proposto un programma di approfondimento multidisciplinare", ha spiegato Succurro: dalle nozioni di "ordine, simmetria e simbolo in Gioacchino", di cui ha parlato Marco Rainini, dell’Università Cattolica di Milano, al canone iconografico del teologo calabrese "attorno alle ruote di Ezechiele", tema affrontato da Véronique Rouchon Mouilleron, dell’ateneo francese Lumière Lyon 2, fino alla lectio magistralis del filosofo teoretico Alessandro Ghisalberti sull’"ordine nell’Aldilà", con una minuziosa disamina della disputa tra Anselmo, Aberlardo e Roscellino sulla natura di questo "ordine ontologico-dialettico".
Constant J. Mews, professore alla Monash University di Melbourne, ha relazionato su un argomento che per certi versi ha perfino evocato il senso del film-documentario di Philip Groening “Il grande Silenzio” (2005): "oltre la teologia monastica", legato alle "ragioni dei monaci" anche in rapporto alla loro vita di regole, riti, tradizione e ciclicità. Riccardo Saccenti, dell’Università di Bergamo, ha discusso di "ordine della società, ordine escatologico", inquadrando il pensiero di Gioacchino "nel contesto del XII secolo".
Gianluca Potestà, della Cattolica di Milano, ha illustrato il "contributo di Tullio Gregory agli studi sull’escatologia medievale", in una dotta lezione in memoria del noto storico della filosofia, peraltro accademico dei Lincei, morto nel gennaio scorso. Luisa Valente, dell’università romana La Sapienza, si è soffermata sull’"uso teologico dell’immaginazione nel XII secolo", che costituisce il fondamento delle scritture, del metodo esplicativo e del fascino dell’abate Gioacchino.
Questo intervento è stato accompagnato da quello di Piero Cappelli, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, centrato sull’"attesa ebraica della fine fra antichità tarda e medioevo". "Proprio l’attesa della fine - ha chiarito Succurro - attraversa e segna lo spirito medievale. Gioacchino la supera: sostituisce il tempo della fine con la fine del tempo. Così conferisce un senso al divenire della storia" e "dunque per l’abate, che interpretando i testi sacri profetizza un orizzonte di speranza, la rivelazione - ci ha precisato Ghisalberti - continua oltre l’avvento di Cristo, con la prospettiva della piena grazia di Dio agli esseri umani e della conversione universale alla fede cristiana".
Viene qui in mente la riflessione di Gianni Vattimo dell’ottobre 2004 al VI Congresso internazionale di studi gioachimiti. "Non sarebbe difficile - scandì allora il filosofo torinese di origini calabresi, che poco dopo si candidò sindaco proprio di San Giovanni in Fiore - annettere Gioacchino al gruppo di coloro che, allo spirito di crociata che sembra imporsi un po’ dovunque, certo sia in Bin Laden sia in Bush, contrappongono la politica della parola e del dialogo".
Al netto dell’interpretazione autentica delle sue opere, Gioacchino da Fiore si pone, dunque, come pensatore di riferimento nell’epoca attuale delle incertezze: politiche, economiche, sociali, esistenziali. Il monaco calabrese sembra sopravvivere all’antistoricismo che spesso caratterizza il “mondo” digitale, la cui comunicazione immediata ed emotiva, divenuta strumento primario per il consenso politico, confligge con ogni visione dello sviluppo, dell’ordine, del progetto della storia.
Gli altri relatori del congresso sono stati: Guy Lobrichon (Université d’Avignon), Roberto Guarasci (Università della Calabria), Francesco Siri (École nationale des chartes, di Parigi). Dominique Poirel (Institut de recherche et d’histoire des textes, di Parigi), Sabine Schmolinisky (Universität Erfurt), Guido Cariboni (Cattolica di Milano), Nicole Bériou (già docente nell’Università Sorbona, di Parigi), Frances Andrews (University of St. Andrews), Jeffery R. Webb (Bridgewater State University).
Assente il governatore della Calabria, Mario Oliverio (Pd), per il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Melicchio - che siede in commissione Cultura e nella giornata conclusiva ha salutato i congressisti - "eventi di questa portata vanno più sostenuti e incoraggiati a livello istituzionale, e in questo senso è un’opportunità che la collega calabrese Anna Laura Orrico (M5S, nda) sia stata nominata sottosegretario ai Beni culturali". Secondo il sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Belcastro (Pd), "Gioacchino parla da questa nostra montagna simbolica alla coscienza contemporanea di ogni latitudine".
* ADNKRONOS, 22.09.2019 (ripresa parziale, senza immagini).
Congresso studi su Gioacchino da Fiore, suo messaggio vicino a riforma Papa
di Emiliano Morrone (ADNKRONOS, 18.09.2019)
"Senza dubbio c’è un rapporto tra il messaggio di speranza di Gioacchino da Fiore e l’opera riformatrice di Papa Francesco". Ne è convinto Riccardo Succurro, presidente del Centro internazionale di Studi gioachimiti, alla vigilia del IX congresso di accademici dedicato al pensiero dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore, intitolato “Ordine e disordini” e previsto da domani al 21 settembre nell’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cosenza), con interventi di studiosi europei, statunitensi e australiani.
"Per Gioacchino, tra il XII e il XIII secolo, in mezzo a pesanti conflitti per il potere temporale e minata al suo interno, la Chiesa - prosegue Succurro - doveva guardare di più alla dimensione spirituale e restare accanto ai deboli, agli ultimi. Molto di questa prospettiva di rinnovamento è presente, non sappiamo con quanta influenza diretta, nella trasformazione del clero che sta compiendo l’attuale pontefice".
Secondo il presidente del Centro internazionale di studi gioachimiti, attivo da 40 anni e tra gli istituti culturali più longevi della Calabria, "Gioacchino è figura contemporanea perché offre una visione aperta della storia, nella quale l’uomo, ogni uomo, è parte vitale del progresso collettivo e pertanto può contribuire all’emancipazione della società, della comunità globale, al di là delle differenze tra i popoli". Nel 2014, in occasione della XXVIII edizione dell’Incontro Internazionale Uomini e Religiosi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, Papa Francesco raccomandò: ’Dobbiamo essere costruttori di pace e le nostre comunità devono essere scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire’.
"È dunque il tema dell’accoglienza delle diversità - spiega Succurro - uno degli aspetti più attuali del pensiero di Gioacchino da Fiore, cui va aggiunta la propensione al dialogo che attraversa la sua teologia della storia", che prevede uno sviluppo dell’umanità in senso spirituale, cioè non più condizionata da codici, norme, sanzioni e paure. Infatti, nel libro della "Concordia" Gioacchino scrive: ’Tre sono dunque gli stati del mondo (...) che i simboli dei sacri testi ci prospettano. (...) Il primo è trascorso nella schiavitù, il secondo è caratterizzato da una servitù filiale, il terzo si svolgerà all’insegna della libertà. Il primo è segnato dal timore, il secondo dalla fede, il terzo dalla carità. Il primo periodo è quello degli schiavi, il secondo è quello dei figli, il terzo è quello degli amici. Il primo è il tempo dei vecchi, il secondo dei giovani, il terzo dei fanciulli’.
"Tuttavia - avverte Succurro - non bisogna lasciarsi suggestionare dalle tante, continue deformazioni dell’opera gioachimita. Qualcuno l’ha ricondotta al millenarismo o al marxismo, altri alla Teologia della liberazione. Il lungo lavoro del nostro Centro è servito a restituire nella loro purezza gli scritti di Gioacchino. Ne stiamo completando la pubblicazione integrale, al fine agevolare gli studi scientifici e anche perché la Chiesa abbia, con tutta la sua autonomia, ulteriori strumenti per valutare l’eventuale beatificazione del religioso (la relativa causa è in corso da circa 20 anni, ma forse risente negativamente di ricostruzioni teoriche articolate da Papa Benedetto XVI nel volume Perché siamo ancora nella Chiesa, nda), che necessita di un culto".
Così, il IX congresso internazionale sull’abate calabrese sarà centrato - sintetizza Succurro - sull’ordine perseguito dall’abate calabrese, cui Dante Alighieri conferì nella Divina commedia la dignità di profeta, in relazione ai disordini dell’Apocalisse e all’idea che dopo il XII secolo la storia del mondo dovesse finire, concludersi. In realtà Gioacchino da Fiore spalanca lo sguardo sulle possibilità e potenzialità dell’essere umano, sul procedere della storia, dopo l’avvento di Cristo, nella direzione del miglioramento dell’uomo e del futuro", della pace e della giustizia terrena (senza la necessità dei tribunali).
È un po’, in breve, una prospettiva ottimistica che si oppone al mondo perfetto, all’Iperuranio di Platone, all’Aldilà della dottrina a lungo dominante, cui corrisponde un al-di-qua fatto di sofferenze e patimenti da accettare, perché l’anima umana riceva il meritato premio dopo la morte del corpo. Quella di Gioacchino da Fiore è una prospettiva, insomma, che per molti versi include la responsabilità individuale: se al futuro non corrisponde la degenerazione dell’umanità, in quanto libero ogni essere umano può avere un ruolo positivo nella propria esistenza, nella storia in cui vive.
Non è poco come messaggio che riecheggia dalla Calabria, regione costretta a fare i conti con il dominio criminale della ‘ndrangheta. E non è poco, come messaggio - che avrebbe influenzato l’evangelizzazione francescana e perfino Michelangelo Buonarroti - partito da un territorio su cui gravano ancora forti pregiudizi, anche culturali.
Il Congresso si aprirà domani alle 9.30 all’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore (Cs) con l’intervento di presentazione di Giuseppe Riccardo Succurro, Presidente del Centro internazionale di Studi Gioachimiti, cui seguiranno i saluti delle autorità. Nella tre giorni si alterneranno interventi di studiosi italiani e internazionali.
L’ABBAZIA FLORENSE E IL DELIRIO TOTALE A SAN GIOVANNI IN FIORE (CS)
di Emiliano Morrone (Fb., 31.10.2018).
Sul Quotidiano del Sud di oggi leggo della forte preoccupazione di un cronista locale per la sorte degli anziani della casa di riposo privata e accreditata "Villa forensia", data la recentissima sentenza con cui il giudice civile di Cosenza ha stabilito che i locali in cui si trova, dentro l’Abbazia florense del XIII secolo, sono del Comune di San Giovanni in Fiore (Cs) - che, in dissesto finanziario, non ha mai ricevuto un centesimo da codesta occupazione - e vanno dunque liberati.
La causa è andata avanti per 11 anni, durante i quali c’è stata una costante battaglia civile, parallelamente all’inteso procedimento, che in prima persona ho con amici contribuito ad alimentare, coinvolgendo intellettuali di fama, da Gianni Vattimo a Cosimo Damiano Fonseca, Vittorio Sgarbi e Marcello Veneziani, nonché giornalisti, esponenti politici di diversi schieramenti, attivisti del bene comune e più in generale, per dirla con De Andrè, "voci allenate a battere il tamburo", tra cui Beppe Grillo.
Del caso, su cui sono state presentate ben 5 interrogazioni parlamentari, si sono occupati colleghi (non solo calabresi) di livello, che come me hanno raccontato l’incredibile paradosso della rsa dentro un monumento di enorme valore religioso ed artistico, simbolico per l’intera Calabria e legato all’opera profetica dell’abate Gioacchino da Fiore, che riteneva possibile l’affermazione della giustizia in questo mondo, al contrario del neoplatonismo su cui si basa il catechismo cattolico.
Mi lascia di stucco che miei concittadini, pure con buoni strumenti interpretativi, la buttino sul pietismo; sul presunto disagio degli anziani della casa di riposo prodotto dalla riferita sentenza; sulla tesi, suggestiva quanto infondata, dell’abbandono dei "vecchietti" conseguente al loro spostamento presso altra sede, che i titolari della struttura potranno individuare e attrezzare; sulla professionalità, che nessuno mette in dubbio, degli operatori della rsa e sui danni all’economia di San Giovanni in Fiore, che si spopola - questo è il corollario - perché qualcuno fa guerra a residenze sanitarie assistenziali.
Se per davvero ci fossero i marziani, osservandoci dall’esterno direbbero che siamo in preda al delirio totale. In altri luoghi non ci sono né l’Abbazia florense né il Centro studi giochimiti, che ha sede dentro lo stesso complesso badiale, né figure come Gioacchino da Fiore, la cui posterità è impressionante.
Eppure, di là dai colori politici, altrove si fa a gara per valorizzare il patrimonio artistico e culturale, che in Calabria è in genere ritenuto un peso da levarsi il prima possibile.
Ancora, per aver scritto dell’Abbazia florense fui querelato insieme a Carmine Gazzanni dall’allora dirigente dell’Ufficio legale della Provincia di Cosenza, Gaetano Pignanelli, oggi capo di gabinetto della Presidenza della Regione Calabria. Il Gip di Cosenza archiviò perché Gazzanni e io avevamo scritto il vero, e cioè che Pignanelli, ai tempi responsabile dell’Ufficio legale del Comune di San Giovanni in Fiore, aveva prodotto un "parere non vero", servito alla rsa per l’esercizio dell’attività.
Inoltre un vescovo, infine condannato per rivelazione di segreto istruttorio, mi intimò, tramite il suo avvocato, di cancellare da un mio servizio giornalistico ogni riferimento al suo assistito. Gli risposi che non l’avrei mai fatto e che, invece, avrei ospitato per dovere professionale una replica dell’alto prelato, che non arrivò mai. Finì che colleghi giornalisti del posto scrissero contro di me, accusandomi d’aver agito per invidia, data la nomina del sacerdote, originario di San Giovanni in Fiore, a vescovo della Chiesa.
Anche questa è la Calabria, oltre alle sue straordinarie ricchezze seppellite, e dobbiamo ripetercelo. Prendano nota i miei (pochi) lettori che mi seguono da altre regioni.
DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! GIOACCHINO DA FIORE, LA SORPRENDENTE “CARITÀ”, E IL DRAMMA DEL CATTOLICESIMO ATEO E DEVOTO. ..
"È nostro altissimo dovere tenere sempre presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della ammirabile carità ...": "Mirae caritatis. De sanctissima eucharistia", della "Ammirabile Carità. La santa eucarestia", così è intitolata e così è tradotta la "Lettera enciclica" di Leone XIII, del 1902:
Se si tiene presente che nel 1183, con grande chiarezza e consapevolezza, Gioacchino da Fiore nel suo "Liber de Concordia Novi ac Veteris Testamenti" così scriveva:
si può ben pensare che le preoccupazioni di una tradizione e di una trasmissione corretta del messaggio evangelico e, con esso, del "luminoso esempio" dello stesso Gioacchino da Fiore, non siano state affatto al primo posto del magistero della Chiesa cattolico-romana, né ieri né oggi.
Di Gioacchino se si è conservato memoria del suo lavoro come del suo messaggio, lo si deve sicuramente alla sua "posterità spirituale" - è da dire con H. De Lubac, ma contro lo stesso De Lubac, che ha finito per portare acqua al mulino del sonnambulismo ateo-devoto dell’intera cultura ’cattolica’,.
Federico La Sala
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Dimenticata la beatificazione di Gioacchino
di Federica Orlando ("La Voce di Fiore", numero 1 - maggio 2013)
Molto rumore. Poi nulla. Ogni volta parecchie le parole, ma poca la concretezza. Il tanto chiacchierato Gioacchino da Fiore, con la sua Abbazia florense e il suo centro storico, nulla ancora riesce contro l’indolenza umana, specie sangiovannese. Di fatti, San Giovanni in Fiore (Cs) ed i suoi cittadini molto si vantano di misticismo, religiosità e cultura per merito di un abate tanto illustre, eppure troppo poco si mobilitano e si espongono per la valorizzazione di questo patrimonio per l’umanità tutta.
La pratica di beatificazione, oramai da anni, giace sotto mucchi di carte. È ferma in Vaticano. Qualcuno ha promosso tale causa e molti sono gli studiosi del monaco calabrese, ma nessuno si è indignato o applicato per coinvolgere i cittadini nell’importanza di uno sviluppo significativo di questo primo passo del processo di canonizzazione. O quasi.
Al gruppo adulti di Azione cattolica “Monsignor Umberto Altomare”, infatti, si deve riconoscere l’impegno profuso nell’istituzione di un gruppo di preghiera, avente lo scopo di promuovere il culto di Gioacchino. «Di lunedì sera è possibile partecipare agli incontri istituiti in abbazia per pregare il servo di Dio, profeta dello Spirito Santo» fa sapere Caterina, membro della comitiva. «Come si può pretendere che i fedeli vengano a San Giovanni in Fiore, chissà da dove, per conoscere questo spirito profetico se noi, per primi, ignoriamo la sua figura poliedrica?» chiede proprio don Germano, assistente spirituale della compagnia, durante la processione della Madonna della Sanità, del 12 maggio scorso. Tra gli aderenti al progetto di (ri)scoprire il mistico, forte è l’auspicio di imparare a rivolgersi nella preghiera anche alla figura dell’ancora non beato da Fiore.
Il cammino, tuttavia, è disseminato di difficoltà da parte delle istituzioni e non solo. Già papa emerito Benedetto XVI si era espresso con scetticismo e criticismo in merito all’opera di Gioacchino: la «teologia politica» del profeta non può che restare fuori della Chiesa poiché base dell’hegelismo e del marxismo.
La spiegazione di questa dura esclusione, in realtà, sarebbe da ricercare nell’innovazione rappresentata dalla dottrina gioachimita; l’abate credeva nella giustizia in questa terra, prima che nell’altro mondo. Chiunque avrebbe potuto ricevere la grazia e viverla in questo mondo.
Forza rivoluzionaria, questa, che sembra quasi una bestemmia agli occhi di tutto l’apparato religioso cristiano poggiante su precisi dogmi, adibiti a durare in eterno a quanto pare. Anche, a discapito della giustezza e della coerenza della dottrina trinitaria gioachimita.
E, mentre c’è chi dedica pagine intere dei propri lavori letterari o della propria vita a questa personalità singolare, molti sono i cittadini sangiovannesi che ignorano, in parte o totalmente, le teorie gioachimite ed il mito di fondazione della loro città. Proprio queste ultime sono, tuttavia, la base da cui ripartire per acquisire un profondo senso di appartenenza agli eccezionali luoghi dell’abate e riuscire, poi, ad esportare tutte le ricchezze culturali e non insite in essi.
Federica Orlando
La storia trasfigurata di Gioacchino da Fiore
In un saggio dell’americano McGinn l’influenza del pensiero dell’abate calabrese sul pensiero europeo «Ha mostrato l’intellegibilità, contenuta nelle Scritture, dei processi storici»
DI LUCA MIELE
Profeta e abile organizzatore, vir spiritual capace di intessere relazioni con i potenti della Terra dell’epoca, scrittore ossessionato dall’Apocalisse e inquieto fondatore di monasteri, Gioacchino da Fiore (1135-1202) è stato una delle personalità più complesse della cristianità medioevale. Di più: per lo studioso americano Bernard McGinn, autore de L’abate calabrese. Gioacchino da Fiore nella storia del pensiero occidentale (Marietti, pagine 280, euro 23,00), all’abate calabrese si deve «una delle più grandi teologie cristiane della storia». Ma qual è l’humus nel quale affonda la visione di Gioacchino? E quale ruolo gioca l’apocalittica? La novità introdotta dal cristianesimo (e in esso dall’Apocalisse) può essere pienamente compresa solo se proiettata sullo sfondo delle religioni cosmiche. Per il teologo Oscar Cullmann, «l’espressione biblica simbolica del tempo è la linea, mentre per l’ellenismo è il circolo».
Il pensiero biblico rompe l’universo immutabile del kosmos greco. Per Aristotele il cosmo è «immortale e indistruttibile », per Eraclito l’ordine universale «sempre era è e sarà fuoco sempre vivente», il tempo non è che un velo che avvolge ciò che è immutabile. Con il cristianesimo la storia cessa di essere la ripetizione dell’identico, non è più una ri-presentazione del passato, per diventare invece attesa di un compimento, della redenzione. Per san Paolo «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto» e Agostino vede nella storia il risultato di una tensione (’ intentio’).
Come ha scritto Karl Löwith, è stata la visione del profetismo a produrre «il concetto della storia in quanto essere del futuro». Senza questa accentuazione, senza la scoperta stessa del futuro lo stesso pensiero apocalittico rimarrebbe incomprensibile. Nella visione dominata dall’ eschaton - nella quale è la fine a rivelare il senso custodito fin dall’inizio nella creazione - gli avvenimenti storici sono «interdipendenti e connessi da un filo conduttore: il Piano di Dio» (Delcor). E in questa dinamica, nella quale storia e eternità si compenetrano, che si staglia la teologia della storia di Gioacchino. Sulla storia si stende la figura del senso. Secondo l’indagine di Bernard McGinn «per Gioacchino il processo storico riceve il suo significato dagli eventi ultimi da cui muove».
La storia è trasfigurata: da mera successione di eventi diventa «una realtà in crescita armonica, come mostrano gli alberi armoniosi », una delle figurae più originali a cui ricorre il monaco. «L’intenzione primaria di Gioacchino - spiega lo studioso americano - è dimostrare che esiste un’intellegibilità dell’intero processo storico, che tale intelligibilità è contenuta nelle Scritture, e che tale comprensione non può essere separata da quella propria della dottrina della Trinità».
Si attende il nulla osta vaticano per la causa di beatificazione del monaco calabrese
Obama si ispira a Gioacchino da Fiore
Il paese del mistico lo invita in Calabria, pronta la cittadinanza onoraria. Vattimo: ’’Sono contento che lo abbia citato’’. Il consigliere italiano: ’’Se vincerà, verrà presto in Italia’’. Cardini: ’’Il candidato alla Casa Bianca ha una formazione protestante’’. Baget Bozzo: ’’Citazione, finezza culturale’’. Studioso islamico: ’’Barack e l’abate puntano a cambiare la storia’’. Laratta (Pd): ’’Dopo citazioni proposi a sindaco di invitarlo’’. Le immagini del ’Liber Figurarum’. E’ ufficialmente il primo afroamericano candidato alla Casa Bianca
Cosenza, 28 ago. - (Adnkronos) * - La Calabria invita Barack Obama a visitare l’abbazia dove sono custodite le reliquie del mistico medievale Gioacchino da Fiore. Il sindaco di San Giovanni in Fiore e il Centro Studi Gioachimiti, a quanto apprende l’ADNKRONOS, hanno contattato, nel giorno della Convention di Denver, le associazioni italo-americane per l’eventuale viaggio del candidato alla Casa Bianca nel piccolo paese silano. Il Comune di San Giovanni in Fiore vuole omaggiare Obama, consegnandogli la cittadinaza onoraria, perche’ per ben tre volte, durante la sua campagna elettorale, ha citato Gioacchino da Fiore, l’abate silano fondatore nel XII secolo dell’ordine florense e caro a Dante, che nella Divina Commedia lo definisce ’il calavrese di spirito profetico dotato’.
Nei suoi discorsi il candidato democratico ha fatto riferimento a questa grande figura di religioso e iniziato medievale chiamandolo "maestro della civilta’ contemporanea" e "ispiratore di un mondo piu’ giusto". "Conosco questi riferimenti e richiami - dichiara all’ADNKRONOS l’antropologo Aldo Civico, esperto di Relazioni Internazionali e docente alla Columbia University che lavora nello staff del senatore afroamericano - ma non sono io ad avergli fatto conoscere Gioacchino da Fiore o ad avergli ispirato queste citazioni. E’ stata una autonoma scoperta culturale da parte di Obama".
’’Siamo pronti ad accogliere Obama - dichiara il sindaco Antonio Nicoletti - Ci inorgoglisce che il candidato alla Casa Bianca si sia ispirato a Gioacchino da Fiore. E’ un personaggio molto amato e conosciuto da eminenti studiosi europei, soprattutto tedeschi, francesi, e paradossalmente americani. In Italia invece salvo il nostro Centro studi gioachimiti lo e’ meno’’.
E intanto a San Giovanni in Fiore si attende il nulla osta vaticano per la causa di beatificazione. Nulla osta che dovrebbe arrivare tra un anno. Le commissioni della Santa Sede sono infatti al lavoro per studiare i tre faldoni da mille pagine circa, inviati dall’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, che analizzano la figura di Gioacchino sotto l’aspetto storico, teologico e medico.
Vista la rilevanza del personaggio, gli atti saranno esaminati non solo dalla Congregazione dei Santi ma anche da altri organismi della Santa Sede, tra cui la Congregazione della dottrina della fede che avra’ il compito di valutare la vicenda che lo vide accusato di eresia per poi essere riabilitato come profeta. Il vescovo della diocesi di Cosenza-Bisignano, mons. Salvatore Nunnari, ha accompagnato l’invio dei documenti con una lettera che ha letto personalmente al Papa Benedetto XVI in occasione di una visita.
La curia sta infatti cercando di accelerare il processo con una serie di azioni necessarie alla causa di beatificazione, tra cui l’esame medico dei resti umani. Un osso di Gioacchino da Fiore era stato inviato a Miami, in Florida, per l’esame al carbonio 14 che ha dato un risultato positivo, datando il resto tra il 1180 e il 1220, a cavallo degli anni della sua morte. Il segretario di mons. Nunnari che ha seguito la prima fase, don Enzo Gabrieli, riferisce che la curia e’ "impaziente" di ottenere il nulla osta che consentira’ al vescovo di aprire l’inchiesta diocesana.
"Di certo - dichiara don Enzo Gabrieli - e’ una figura di cui abbiamo visto riconosciuta l’importanza e il culto in otto secoli. Negli Acta Sanctorum, Gioacchino appare gia’ come beato pur non essendolo e c’e’ anche nei calendari al 30 marzo".
"Gioacchino e’ un personaggio affascinante per tanti motivi - ricorda Riccardo Succurro uno dei membri del Centro studi gioachimiti ed ex sindaco di San Giovanni in Fiore - un personaggio che ha avuto contatti con Costanza d’Altavilla, l’ultima regina normanna, e dal punto di vista storico ha vissuto il passaggio tra Svevi e Normanni. Poi e’ stato riconosciuto come grande profeta per il fatto che sapeva leggere nel passato e interpretare il futuro". La fama profetica di Gioacchino da Fiore e’ illustrata, secondo gli studiosi, nel ’libro delle figure’: concepite e disegnate dal mistico in tempi diversi, le ’figurae’ vennero raccolte nel ’Liber figurarum’ nel periodo successivo alla sua morte, avvenuta nel 1202. L’opera e’ oggi contenuta in tre codici: quello di Oxford, di Reggio Emilia e di Dresda. Il piu’ antico e’ il manoscritto di Oxford, prodotto dall’Officina scrittoria di un monastero calabrese, probabilmente l’abbazia di San Giovanni in Fiore, tra il 1200 e il 1230.
* Ripresa solo del testo - senza i collegamenti interni (clicccare sulla parola rossa, per vederli - pfls).
Raccolte in un album di pelle sono 12x17 cm ciascuna
Le tavole di Gioacchino da Fiore a Obama
L’opera del maestro orafo Gerardo Sacco, realizzata in argento e smalto, è stata inviata al candidato alla Casa Bianca: ’’Sono stato colpito favorevolmente dalle sue citazioni del mistico calabrese e ho deciso di fargli questo omaggio’’. Le immagini del ’Liber Figurarum’.
Crotone, 29 ott. (Ign) - Dalla Calabria un omaggio a Barak Obama: le tavole del ’Liber Figurarum’ di Gioacchino da Fiore. L’opera, realizzata dal maestro orafo Gerardo Sacco in argento sbalzato e smalti, è stata realizzata appositamente per il candidato democratico alla Casa Bianca, che nel corso della campagna elettorale ha più volte citato il mistico medioevale. ’’Sentendo citare Gioacchino ad Obama -spiega Sacco a Ign, testata on line del Gruppo Adnkronos- sono rimasto favorevolmente impressionato. E’ per questo che ho deciso di realizzare quest’opera e donargliela’’.
Le tavole, spiega il maestro orafo, ’’raccolte in un album di pelle brevettato, sono 12 x 17 cm ciascuna. La particolarità è che possono essere estratte dall’album e appese al muro come fossero dei quadri’’.
Sacco, che in questi giorni festeggia i quarant’anni di carriera nella creazione di gioielli, è stato ed è tuttora punto di riferimento delle dive del jetset internazionale. Celebri anche le sue creazione per il cinema, indossate, tra le altre, da Glenn Close, Liz Taylor, Monica Bellucci, per il teatro d’opera e per la tv. ’’Sono fiero -conclude a Ign- della mia attività svolta interamente in Calabria. Da una regione che esporta prevalentemente braccia e cervelli, io ho esportato prodotti finiti’’.
VIDEO - Rissa tra monaci a Gerusalemme
Fonte Reuters
Una violenta rissa tra monaci armeni e greci ortodossi è scoppiata nella Basilica del Santo Sepolcro, uno dei siti più sacri del cristianesimo. Si tratta dell’ultimo di una serie di scontri tra monaci delle sei diverse confessioni che si contendono il controllo del sito dove secondo la tradizione si trova la tomba di Gesù. - PER VEDERE IL FILMATO, CLICCARE SUL ROSSO.