LETTERA DEL CARDINALE ANGELO SODANO
ALL’ARCIVESCOVO GIUSEPPE AGOSTINO
IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI PER L’VIII CENTENARIO
DELLA MORTE DELL’ABATE GIOACCHINO DA FIORE
Eccellenza Reverendissima,
l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, affidata alle sue cure pastorali, si appresta a celebrare l’VIII centenario della pia morte dell’Abate Gioacchino da Fiore, che illustrò la sua terra di origine e l’intera Chiesa con una singolare testimonianza di fede. Il Santo Padre, informato dell’iniziativa, desidera unirsi spiritualmente al comune rendimento di grazie al Signore per il dono da Lui fatto alla Chiesa nella persona di questo sacerdote umile e pio, ed auspica che le celebrazioni centenarie suscitino nei fedeli di codesta Arcidiocesi e dell’intera Calabria un più consapevole attaccamento alle proprie radici cristiane per un rinnovato slancio di fedeltà a Cristo e di amore ai fratelli.
Il 30 marzo 1202, presso la grangia di S. Martino di Canale, Gioacchino, abate di Fiore, terminava il corso della propria esistenza terrena. Commentando l’evento, Luca di Casamari, Arcivescovo di Cosenza, scriveva che nel sabato in cui si cantava il Sitientes gli fu concesso, raggiunto il vero sabato, di affrettarsi come un cervo alle sorgenti delle acque (cfr Memorie, p. 192).
Gioacchino nacque a Celico, in Calabria, intorno al 1135 e, ordinato sacerdote, a circa 35 anni entrò dapprima nel monastero cistercense di Santa Maria della Sambucina nei pressi di Luzzi e poi in quello di Corazzo, divenendone Abate già nel 1177. In tale veste, tra il 1182 ed il 1183 si recò a Casamari e lì rimase per circa un anno e mezzo.
Il periodo trascorso in tale monastero gli permise di lavorare alla redazione delle sue opere maggiori. Ritornato a Fiore, dette vita ad una nuova famiglia monastica, le cui Costituzioni risultano oggi perdute.
A motivo dei suoi incarichi e delle sue molteplici competenze, Gioacchino si trovò ad intrattenere numerosi contatti con la Sede apostolica. Nel maggio del 1184 lo troviamo a Veroli, presso il Papa Lucio III e la Curia. Qualche anno più tardi egli è a Roma presso Clemente III, e il 25 agosto 1196 ottiene dal Papa Celestino III la Lettera bollata Cum in nostra, con la quale viene approvata la famiglia monastica da lui fondata.
È vero che successivamente il Concilio Lateranense IV dovette correggere certi aspetti della sua dottrina trinitaria e che la sua dottrina del ritmo trinitario della storia creò gravi problemi nella prima fase della storia francescana; tuttavia lo stesso Concilio Lateranense IV difese la sua integrità personale, comprovata dalla sua lettera a Papa Innocenzo III ("Protestatio") e dal Commento all’Apocalisse. Tra i suoi lettori ed estimatori Gioacchino annoverò il Papa Innocenzo III, che più volte ebbe a citarlo nei suoi documenti. L’Abate di Fiore professò sempre fedeltà e obbedienza alla Sede di Pietro, a cui sottopose con umiltà le proprie opere. Nel Commento all’Apocalisse così ne espone il motivo: se san Paolo "portò i suoi scritti agli apostoli che lo precedevano, nel dubbio di correre o di aver corso invano (cfr Gal 2, 2), quanto a maggior ragione io, che sono niente, non voglio essere giudice di me stesso, ma dev’esserlo piuttosto il Sommo Pontefice, che giudica tutti ed egli stesso non è giudicato da nessuno" (fol. 224ra-b). Affermazioni riproposte anche nell’Epistola prologale, che viene ritenuta il suo "testamento".
Negli scritti come nella sua vicenda terrena, Gioacchino appare una persona innamorata di Dio, un apostolo ardente di zelo, un predicatore appassionato. Egli fu soprattutto uomo della Parola. La sua opera esegetica - nonostante i problemi che pone - merita attento studio e può essere fonte di conoscenze utili, anche a motivo del suo spirito ecumenico.
Dalla continua meditazione della Parola rivelata, Gioacchino trasse l’energia spirituale per additare agli uomini le vie di Dio. Ricorda il suo biografo: "Nel tempo dell’ira, come un altro Geremia, Gioacchino è stato fatto riconciliazione, intercedendo soprattutto per i poveri" (Vita, p. 190). Non ebbe timore di affrontare a viso aperto i potenti della terra, come l’imperatore Enrico VI, che invitò a recedere dal suo comportamento indegno, se non voleva subire l’ira divina (cfr ibid., p. 189). Fermezza mostrò pure nei confronti dell’imperatrice Costanza (cfr Memorie, p. 195).
Gioacchino, che considerò scopo e passione della sua esistenza l’amore della Parola di Dio, ricorda all’uomo di oggi, inondato di parole e spesso affascinato da pseudo-valori, che "una sola è la cosa di cui c’è bisogno" (Lc 10, 42), e che occorre vivere di "ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4, 4). Egli testimonia, altresì, che la Scrittura va letta con la Chiesa e nella Chiesa, "credendo integralmente ciò in cui essa crede, accettando le sue correzioni riguardo sia alla fede che ai costumi, rifiutando ciò che essa rifiuta e accogliendo ciò che essa accoglie, e credendo fermamente che le porte dell’inferno non possono prevalere contro di essa" (Epistola prologale).
Egli ebbe in gran conto la preghiera e la contemplazione, vissute nel silenzio e nella quiete, in continua ricerca di Dio, "Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento" (Gc 1, 17). La sua singolare esperienza costituisce per il credente del nostro tempo un potente richiamo a non temere la solitudine, ma a costellare l’esistenza di spazi di raccoglimento e di orazione per ritrovare nell’incontro con Dio la possibilità di un’esistenza più piena e più autentica.
L’Abate di Fiore visse in grande povertà e considerò unica vera ricchezza il possesso di Dio. Incurante del prestigio che gli veniva dalla sua carica e della stima dei potenti del tempo, mantenne sempre un atteggiamento umile, e fu tenace e gioioso imitatore del Figlio di Dio che, da ricco qual era, si fece povero per noi (cfr 2 Cor 8, 9) sino a non avere dove posare il capo (cfr Mt 8, 20). Il suo continuo riferirsi a Cristo "mite ed umile di cuore" (cfr Mt 11, 29) è ricordato dall’Arcivescovo Luca di Casamari che, riferendo come l’Abate si recasse frequentemente a pulire "con le proprie mani tutta l’infermeria" (Memorie, p. 195), aggiunge: "Mi meravigliavo che un uomo di tanta fama, dalla parola tanto efficace, portasse vesti vecchie e logoratissime, in parte corrose nelle frange" (ibid., p. 191). Questo singolare anelito alla povertà e al nascondimento fa di Gioacchino un potente richiamo a considerare i perenni valori evangelici come la via migliore offerta agli uomini di ogni tempo per costruire un mondo giusto, fraterno e solidale.
Considerando le testimonianze di virtù autenticamente cristiane offerte dall’Abate di Fiore, il Sommo Pontefice esprime l’auspicio che la ricorrenza dell’VIII centenario della sua morte costituisca per l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, la quale gli dette i natali e ne conserva le spoglie mortali, come anche per il Popolo di Dio che è in Calabria, una preziosa occasione di riflessione e di spirituale edificazione. Con questi voti, Sua Santità invia una speciale Benedizione Apostolica a Vostra Eccellenza Reverendissima, ai fedeli dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano ed a quanti, animati da sincero desiderio di verità, si accosteranno alla figura di quest’insigne figlio della Calabria nel corso delle celebrazioni giubilari. Unisco il mio personale augurio di pieno successo delle celebrazioni programmate, mentre mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio
dell’Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo
ANGELO Card. SODANO Segretario di Stato
SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:
L DIO AMORE DELL’EVANGELISTA GIOVANNI: "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8).E IL DIO *MAMMONA* DEL *CARO-PREZZO* E DELLA *CARESTIA* DEL VANGELO DI BENEDETTO XVI : "DEUS CARITAS EST"(2006).
PASQUA IN ARRIVO. IL TERZO SARA’ REGNO DELLO SPIRITO SANTO: "TERTIUS IN CHARITATE". Gioacchino invita Benedetto XVI a correre ai ripari.
ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA: LA CARESTIA AVANZA!!! Benedetto XVI "cambia la formula dell’Eucarestia"! «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!
CHIESA: MAGISTERO SENZA GRAZIA
RELIGIONI E POLITICA: OBAMA ASSUNTO IN CIELO, IL VATICANO SOTTO IL GRADO ZERO. Note per ricordare
Federico La Sala
Una vita di preghiera nelle Serre calabresi
San Bruno, il fondatore dell’Ordine dei Certosini
di Maurizio Schoepflin *
Talvolta quelle che siamo soliti definire radici cristiane dell’Europa assumono i caratteri di fili invisibili che uniscono spiritualmente località lontane fra loro centinaia e centinaia di chilometri. È il caso della celebre città tedesca di Colonia, situata nella parte centro-occidentale della Germania, e di Serra San Bruno, piccola località calabrese in provincia di Vibo Valentia. All’origine di questo profondo collegamento si trova una delle grandi figure della santità medievale, Bruno, il fondatore dell’Ordine certosino, a cui è stato di recente dedicato un bel volume di vari autori intitolato San Bruno e i certosini. Una vita di preghiera nelle Serre calabresi (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020, pagine 160, euro 14).
Originario della terra renana, ove nacque intorno al 1030, Bruno andò a studiare a Reims e qui acquistò grande prestigio, divenendo ben presto un punto di riferimento della scuola e della chiesa, anche per la sua opposizione coraggiosa e decisa alla rilassatezza morale di vari prelati, che proprio per questo non esitarono a rendergli la vita difficile.
Fu in quei momenti di difficoltà e sofferenza che avvertì una forte attrazione per la vita monastica e, dopo aver rinunciato all’offerta di diventare vescovo, al termine di un breve periodo di peregrinazione si stabilì in una zona montana assai boscosa, nella regione francese del Delfinato, non lontano da Grenoble. Il massiccio dove Bruno fondò il primo monastero era denominato Cartusia, termine che è all’origine dell’italiano “certosa”.
Correva l’anno 1084 e si cominciò a lavorare all’edificazione della chiesa, l’unico edificio in pietra dell’intero complesso, che venne consacrata il due settembre del 1085. I monaci iniziarono subito a vivere in pressoché totale solitudine, lontani dal mondo, in un clima di grande austerità e fervore.
Qualche tempo dopo, Bruno dovette abbandonare la Certosa: il Pontefice Urbano ii, che da giovane era stato suo allievo a Reims, lo desiderava a Roma e il Nostro, seppur con una certa sofferenza, obbedì prontamente. Il suo animo restò comunque tutto preso dal fascino della vita eremitica, e quando il Papa lo volle nominare vescovo di Reggio Calabria preferì rifiutare, accettando invece di buon grado la donazione di un terreno sito nella località chiamata Torre, a circa 850 metri di altitudine, nell’attuale Calabria centromeridionale. Qui fondò l’eremo di Santa Maria e andò ad abitarvi, trascorrendo le giornate nella preghiera, nel silenzio e nella solitudine, fino a che la morte non lo colse la domenica 6 ottobre 1101.
Il libro descrive bene il forte e fecondo rapporto stabilitosi tra il santo e la terra calabrese, che lo annovera tra i suoi più eminenti figli adottivi. In una lettera inviata all’amico Rodolfo il Verde, prevosto di Reims, egli scrive: «In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti che, in una perseverante vigilanza divina “attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa”, abito in un eremo abbastanza lontano da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole, che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l’aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili».
Sono parole che fanno apprezzare la viva sensibilità di Bruno per la bellezza del creato e la grande importanza che egli attribuisce all’ambiente naturale ai fini di una piena realizzazione dell’ideale monastico e contemplativo.
Per tale ragione bene hanno fatto gli autori a destinare varie pagine del libro - oltre a molte eloquenti suggestive illustrazioni - alla Certosa calabrese, alla sua lunga storia e alla terra dove sorse. Un’opportuna attenzione viene pure riservata alla vita certosina, scandita dai momenti e dai gesti che le sono propri, nonché caratterizzata dalle sue più tipiche componenti spirituali e materiali: la liturgia eucaristica, l’incessante orazione, il rigoroso orario quotidiano, l’umile cella del monaco, il giardino, il lavoro, lo studio, il canto e altro ancora.
Da oltre novecento anni la testimonianza dei certosini e delle certosine (il ramo femminile dell’ordine nacque intorno al 1150 nel sud della Francia) continua a essere una luce splendente sulla via della spiritualità cristiana. All’origine del ricco contributo offerto dalla tradizione certosina alla Chiesa nella sua interezza sta proprio la fisionomia spirituale del fondatore, a cui il libro dedica alcune dense pagine, dalle quali si apprende che al centro della vita interiore di Bruno era situato un ardente, esclusivo amore per Dio: la scelta della solitudine fu da lui operata per vivere tale amore in maniera davvero radicale.
Bruno sottolinea in particolare la bontà e la dolcezza divine, che diventano motivo di gioia autentica, quella che il vero cristiano assapora nel silenzio e nella pace dell’eremo, lontano dal frastuono e dagli affanni mondani. La lunga storia dell’ordine certosino, come è comprensibile, ha conosciuto momenti di crisi e di appannamento, ma l’esigenza interiore avvertita da Bruno è rimasta intatta nella sua significativa importanza.
Particolarmente eloquente è il motto dei certosini che suona Stat Crux dum volvitur orbis (“La Croce resta salda mentre il mondo gira”). Così commentò quelle parole tanto brevi quanto significative Benedetto XVI nell’omelia pronunciata durante la Messa celebrata alla Certosa di Serra San Bruno il 9 ottobre 2011: «La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele».
* L’ Osservatore Romano, 25 agosto 2020 (ripresa parziale).
Gioacchino da Fiore, ’profeta di speranza’
di Emiliano Morrone *
Si è concluso ieri il IX Congresso internazionale degli studi sul teologo della storia Gioacchino da Fiore (1135-1202), intitolato “Ordine e disordini” e svoltosi per tre giorni nell’abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cs). L’appuntamento cui hanno partecipato borsisti di varia provenienza, caduto nel 40° anniversario della fondazione del Centro internazionale di studi gioachimiti, che ha sede nella stessa abbazia, "è servito a chiarire aspetti essenziali del pensiero dell’abate nel contesto storico-culturale di appartenenza, dominato dalla paura della fine del tempo", ha detto il presidente del Centro, Riccardo Succurro, concludendo i lavori, aperti dal direttore del comitato scientifico e membro dell’Accademia dei Lincei: Cosimo Damiano Fonseca, già rettore dell’Università della Basilicata.
"Stavolta, a differenza dei precedenti congressi, basati in prevalenza sui contenuti dell’opera di Gioacchino, abbiamo proposto un programma di approfondimento multidisciplinare", ha spiegato Succurro: dalle nozioni di "ordine, simmetria e simbolo in Gioacchino", di cui ha parlato Marco Rainini, dell’Università Cattolica di Milano, al canone iconografico del teologo calabrese "attorno alle ruote di Ezechiele", tema affrontato da Véronique Rouchon Mouilleron, dell’ateneo francese Lumière Lyon 2, fino alla lectio magistralis del filosofo teoretico Alessandro Ghisalberti sull’"ordine nell’Aldilà", con una minuziosa disamina della disputa tra Anselmo, Aberlardo e Roscellino sulla natura di questo "ordine ontologico-dialettico".
Constant J. Mews, professore alla Monash University di Melbourne, ha relazionato su un argomento che per certi versi ha perfino evocato il senso del film-documentario di Philip Groening “Il grande Silenzio” (2005): "oltre la teologia monastica", legato alle "ragioni dei monaci" anche in rapporto alla loro vita di regole, riti, tradizione e ciclicità. Riccardo Saccenti, dell’Università di Bergamo, ha discusso di "ordine della società, ordine escatologico", inquadrando il pensiero di Gioacchino "nel contesto del XII secolo".
Gianluca Potestà, della Cattolica di Milano, ha illustrato il "contributo di Tullio Gregory agli studi sull’escatologia medievale", in una dotta lezione in memoria del noto storico della filosofia, peraltro accademico dei Lincei, morto nel gennaio scorso. Luisa Valente, dell’università romana La Sapienza, si è soffermata sull’"uso teologico dell’immaginazione nel XII secolo", che costituisce il fondamento delle scritture, del metodo esplicativo e del fascino dell’abate Gioacchino.
Questo intervento è stato accompagnato da quello di Piero Cappelli, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, centrato sull’"attesa ebraica della fine fra antichità tarda e medioevo". "Proprio l’attesa della fine - ha chiarito Succurro - attraversa e segna lo spirito medievale. Gioacchino la supera: sostituisce il tempo della fine con la fine del tempo. Così conferisce un senso al divenire della storia" e "dunque per l’abate, che interpretando i testi sacri profetizza un orizzonte di speranza, la rivelazione - ci ha precisato Ghisalberti - continua oltre l’avvento di Cristo, con la prospettiva della piena grazia di Dio agli esseri umani e della conversione universale alla fede cristiana".
Viene qui in mente la riflessione di Gianni Vattimo dell’ottobre 2004 al VI Congresso internazionale di studi gioachimiti. "Non sarebbe difficile - scandì allora il filosofo torinese di origini calabresi, che poco dopo si candidò sindaco proprio di San Giovanni in Fiore - annettere Gioacchino al gruppo di coloro che, allo spirito di crociata che sembra imporsi un po’ dovunque, certo sia in Bin Laden sia in Bush, contrappongono la politica della parola e del dialogo".
Al netto dell’interpretazione autentica delle sue opere, Gioacchino da Fiore si pone, dunque, come pensatore di riferimento nell’epoca attuale delle incertezze: politiche, economiche, sociali, esistenziali. Il monaco calabrese sembra sopravvivere all’antistoricismo che spesso caratterizza il “mondo” digitale, la cui comunicazione immediata ed emotiva, divenuta strumento primario per il consenso politico, confligge con ogni visione dello sviluppo, dell’ordine, del progetto della storia.
Gli altri relatori del congresso sono stati: Guy Lobrichon (Université d’Avignon), Roberto Guarasci (Università della Calabria), Francesco Siri (École nationale des chartes, di Parigi). Dominique Poirel (Institut de recherche et d’histoire des textes, di Parigi), Sabine Schmolinisky (Universität Erfurt), Guido Cariboni (Cattolica di Milano), Nicole Bériou (già docente nell’Università Sorbona, di Parigi), Frances Andrews (University of St. Andrews), Jeffery R. Webb (Bridgewater State University).
Assente il governatore della Calabria, Mario Oliverio (Pd), per il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Melicchio - che siede in commissione Cultura e nella giornata conclusiva ha salutato i congressisti - "eventi di questa portata vanno più sostenuti e incoraggiati a livello istituzionale, e in questo senso è un’opportunità che la collega calabrese Anna Laura Orrico (M5S, nda) sia stata nominata sottosegretario ai Beni culturali". Secondo il sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Belcastro (Pd), "Gioacchino parla da questa nostra montagna simbolica alla coscienza contemporanea di ogni latitudine".
* ADNKRONOS, 22.09.2019 (ripresa parziale, senza immagini).
Congresso studi su Gioacchino da Fiore, suo messaggio vicino a riforma Papa
di Emiliano Morrone (ADNKRONOS, 18.09.2019)
"Senza dubbio c’è un rapporto tra il messaggio di speranza di Gioacchino da Fiore e l’opera riformatrice di Papa Francesco". Ne è convinto Riccardo Succurro, presidente del Centro internazionale di Studi gioachimiti, alla vigilia del IX congresso di accademici dedicato al pensiero dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore, intitolato “Ordine e disordini” e previsto da domani al 21 settembre nell’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore (Cosenza), con interventi di studiosi europei, statunitensi e australiani.
"Per Gioacchino, tra il XII e il XIII secolo, in mezzo a pesanti conflitti per il potere temporale e minata al suo interno, la Chiesa - prosegue Succurro - doveva guardare di più alla dimensione spirituale e restare accanto ai deboli, agli ultimi. Molto di questa prospettiva di rinnovamento è presente, non sappiamo con quanta influenza diretta, nella trasformazione del clero che sta compiendo l’attuale pontefice".
Secondo il presidente del Centro internazionale di studi gioachimiti, attivo da 40 anni e tra gli istituti culturali più longevi della Calabria, "Gioacchino è figura contemporanea perché offre una visione aperta della storia, nella quale l’uomo, ogni uomo, è parte vitale del progresso collettivo e pertanto può contribuire all’emancipazione della società, della comunità globale, al di là delle differenze tra i popoli". Nel 2014, in occasione della XXVIII edizione dell’Incontro Internazionale Uomini e Religiosi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, Papa Francesco raccomandò: ’Dobbiamo essere costruttori di pace e le nostre comunità devono essere scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire’.
"È dunque il tema dell’accoglienza delle diversità - spiega Succurro - uno degli aspetti più attuali del pensiero di Gioacchino da Fiore, cui va aggiunta la propensione al dialogo che attraversa la sua teologia della storia", che prevede uno sviluppo dell’umanità in senso spirituale, cioè non più condizionata da codici, norme, sanzioni e paure. Infatti, nel libro della "Concordia" Gioacchino scrive: ’Tre sono dunque gli stati del mondo (...) che i simboli dei sacri testi ci prospettano. (...) Il primo è trascorso nella schiavitù, il secondo è caratterizzato da una servitù filiale, il terzo si svolgerà all’insegna della libertà. Il primo è segnato dal timore, il secondo dalla fede, il terzo dalla carità. Il primo periodo è quello degli schiavi, il secondo è quello dei figli, il terzo è quello degli amici. Il primo è il tempo dei vecchi, il secondo dei giovani, il terzo dei fanciulli’.
"Tuttavia - avverte Succurro - non bisogna lasciarsi suggestionare dalle tante, continue deformazioni dell’opera gioachimita. Qualcuno l’ha ricondotta al millenarismo o al marxismo, altri alla Teologia della liberazione. Il lungo lavoro del nostro Centro è servito a restituire nella loro purezza gli scritti di Gioacchino. Ne stiamo completando la pubblicazione integrale, al fine agevolare gli studi scientifici e anche perché la Chiesa abbia, con tutta la sua autonomia, ulteriori strumenti per valutare l’eventuale beatificazione del religioso (la relativa causa è in corso da circa 20 anni, ma forse risente negativamente di ricostruzioni teoriche articolate da Papa Benedetto XVI nel volume Perché siamo ancora nella Chiesa, nda), che necessita di un culto".
Così, il IX congresso internazionale sull’abate calabrese sarà centrato - sintetizza Succurro - sull’ordine perseguito dall’abate calabrese, cui Dante Alighieri conferì nella Divina commedia la dignità di profeta, in relazione ai disordini dell’Apocalisse e all’idea che dopo il XII secolo la storia del mondo dovesse finire, concludersi. In realtà Gioacchino da Fiore spalanca lo sguardo sulle possibilità e potenzialità dell’essere umano, sul procedere della storia, dopo l’avvento di Cristo, nella direzione del miglioramento dell’uomo e del futuro", della pace e della giustizia terrena (senza la necessità dei tribunali).
È un po’, in breve, una prospettiva ottimistica che si oppone al mondo perfetto, all’Iperuranio di Platone, all’Aldilà della dottrina a lungo dominante, cui corrisponde un al-di-qua fatto di sofferenze e patimenti da accettare, perché l’anima umana riceva il meritato premio dopo la morte del corpo. Quella di Gioacchino da Fiore è una prospettiva, insomma, che per molti versi include la responsabilità individuale: se al futuro non corrisponde la degenerazione dell’umanità, in quanto libero ogni essere umano può avere un ruolo positivo nella propria esistenza, nella storia in cui vive.
Non è poco come messaggio che riecheggia dalla Calabria, regione costretta a fare i conti con il dominio criminale della ‘ndrangheta. E non è poco, come messaggio - che avrebbe influenzato l’evangelizzazione francescana e perfino Michelangelo Buonarroti - partito da un territorio su cui gravano ancora forti pregiudizi, anche culturali.
Il Congresso si aprirà domani alle 9.30 all’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore (Cs) con l’intervento di presentazione di Giuseppe Riccardo Succurro, Presidente del Centro internazionale di Studi Gioachimiti, cui seguiranno i saluti delle autorità. Nella tre giorni si alterneranno interventi di studiosi italiani e internazionali.
L’ABBAZIA FLORENSE E IL DELIRIO TOTALE A SAN GIOVANNI IN FIORE (CS)
di Emiliano Morrone (Fb., 31.10.2018).
Sul Quotidiano del Sud di oggi leggo della forte preoccupazione di un cronista locale per la sorte degli anziani della casa di riposo privata e accreditata "Villa forensia", data la recentissima sentenza con cui il giudice civile di Cosenza ha stabilito che i locali in cui si trova, dentro l’Abbazia florense del XIII secolo, sono del Comune di San Giovanni in Fiore (Cs) - che, in dissesto finanziario, non ha mai ricevuto un centesimo da codesta occupazione - e vanno dunque liberati.
La causa è andata avanti per 11 anni, durante i quali c’è stata una costante battaglia civile, parallelamente all’inteso procedimento, che in prima persona ho con amici contribuito ad alimentare, coinvolgendo intellettuali di fama, da Gianni Vattimo a Cosimo Damiano Fonseca, Vittorio Sgarbi e Marcello Veneziani, nonché giornalisti, esponenti politici di diversi schieramenti, attivisti del bene comune e più in generale, per dirla con De Andrè, "voci allenate a battere il tamburo", tra cui Beppe Grillo.
Del caso, su cui sono state presentate ben 5 interrogazioni parlamentari, si sono occupati colleghi (non solo calabresi) di livello, che come me hanno raccontato l’incredibile paradosso della rsa dentro un monumento di enorme valore religioso ed artistico, simbolico per l’intera Calabria e legato all’opera profetica dell’abate Gioacchino da Fiore, che riteneva possibile l’affermazione della giustizia in questo mondo, al contrario del neoplatonismo su cui si basa il catechismo cattolico.
Mi lascia di stucco che miei concittadini, pure con buoni strumenti interpretativi, la buttino sul pietismo; sul presunto disagio degli anziani della casa di riposo prodotto dalla riferita sentenza; sulla tesi, suggestiva quanto infondata, dell’abbandono dei "vecchietti" conseguente al loro spostamento presso altra sede, che i titolari della struttura potranno individuare e attrezzare; sulla professionalità, che nessuno mette in dubbio, degli operatori della rsa e sui danni all’economia di San Giovanni in Fiore, che si spopola - questo è il corollario - perché qualcuno fa guerra a residenze sanitarie assistenziali.
Se per davvero ci fossero i marziani, osservandoci dall’esterno direbbero che siamo in preda al delirio totale. In altri luoghi non ci sono né l’Abbazia florense né il Centro studi giochimiti, che ha sede dentro lo stesso complesso badiale, né figure come Gioacchino da Fiore, la cui posterità è impressionante.
Eppure, di là dai colori politici, altrove si fa a gara per valorizzare il patrimonio artistico e culturale, che in Calabria è in genere ritenuto un peso da levarsi il prima possibile.
Ancora, per aver scritto dell’Abbazia florense fui querelato insieme a Carmine Gazzanni dall’allora dirigente dell’Ufficio legale della Provincia di Cosenza, Gaetano Pignanelli, oggi capo di gabinetto della Presidenza della Regione Calabria. Il Gip di Cosenza archiviò perché Gazzanni e io avevamo scritto il vero, e cioè che Pignanelli, ai tempi responsabile dell’Ufficio legale del Comune di San Giovanni in Fiore, aveva prodotto un "parere non vero", servito alla rsa per l’esercizio dell’attività.
Inoltre un vescovo, infine condannato per rivelazione di segreto istruttorio, mi intimò, tramite il suo avvocato, di cancellare da un mio servizio giornalistico ogni riferimento al suo assistito. Gli risposi che non l’avrei mai fatto e che, invece, avrei ospitato per dovere professionale una replica dell’alto prelato, che non arrivò mai. Finì che colleghi giornalisti del posto scrissero contro di me, accusandomi d’aver agito per invidia, data la nomina del sacerdote, originario di San Giovanni in Fiore, a vescovo della Chiesa.
Anche questa è la Calabria, oltre alle sue straordinarie ricchezze seppellite, e dobbiamo ripetercelo. Prendano nota i miei (pochi) lettori che mi seguono da altre regioni.
DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! GIOACCHINO DA FIORE, LA SORPRENDENTE “CARITÀ”, E IL DRAMMA DEL CATTOLICESIMO ATEO E DEVOTO. ..
"È nostro altissimo dovere tenere sempre presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della ammirabile carità ...": "Mirae caritatis. De sanctissima eucharistia", della "Ammirabile Carità. La santa eucarestia", così è intitolata e così è tradotta la "Lettera enciclica" di Leone XIII, del 1902:
Se si tiene presente che nel 1183, con grande chiarezza e consapevolezza, Gioacchino da Fiore nel suo "Liber de Concordia Novi ac Veteris Testamenti" così scriveva:
si può ben pensare che le preoccupazioni di una tradizione e di una trasmissione corretta del messaggio evangelico e, con esso, del "luminoso esempio" dello stesso Gioacchino da Fiore, non siano state affatto al primo posto del magistero della Chiesa cattolico-romana, né ieri né oggi.
Di Gioacchino se si è conservato memoria del suo lavoro come del suo messaggio, lo si deve sicuramente alla sua "posterità spirituale" - è da dire con H. De Lubac, ma contro lo stesso De Lubac, che ha finito per portare acqua al mulino del sonnambulismo ateo-devoto dell’intera cultura ’cattolica’,.
Federico La Sala
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Dimenticata la beatificazione di Gioacchino
di Federica Orlando ("La Voce di Fiore", numero 1 - maggio 2013)
Molto rumore. Poi nulla. Ogni volta parecchie le parole, ma poca la concretezza. Il tanto chiacchierato Gioacchino da Fiore, con la sua Abbazia florense e il suo centro storico, nulla ancora riesce contro l’indolenza umana, specie sangiovannese. Di fatti, San Giovanni in Fiore (Cs) ed i suoi cittadini molto si vantano di misticismo, religiosità e cultura per merito di un abate tanto illustre, eppure troppo poco si mobilitano e si espongono per la valorizzazione di questo patrimonio per l’umanità tutta.
La pratica di beatificazione, oramai da anni, giace sotto mucchi di carte. È ferma in Vaticano. Qualcuno ha promosso tale causa e molti sono gli studiosi del monaco calabrese, ma nessuno si è indignato o applicato per coinvolgere i cittadini nell’importanza di uno sviluppo significativo di questo primo passo del processo di canonizzazione. O quasi.
Al gruppo adulti di Azione cattolica “Monsignor Umberto Altomare”, infatti, si deve riconoscere l’impegno profuso nell’istituzione di un gruppo di preghiera, avente lo scopo di promuovere il culto di Gioacchino. «Di lunedì sera è possibile partecipare agli incontri istituiti in abbazia per pregare il servo di Dio, profeta dello Spirito Santo» fa sapere Caterina, membro della comitiva. «Come si può pretendere che i fedeli vengano a San Giovanni in Fiore, chissà da dove, per conoscere questo spirito profetico se noi, per primi, ignoriamo la sua figura poliedrica?» chiede proprio don Germano, assistente spirituale della compagnia, durante la processione della Madonna della Sanità, del 12 maggio scorso. Tra gli aderenti al progetto di (ri)scoprire il mistico, forte è l’auspicio di imparare a rivolgersi nella preghiera anche alla figura dell’ancora non beato da Fiore.
Il cammino, tuttavia, è disseminato di difficoltà da parte delle istituzioni e non solo. Già papa emerito Benedetto XVI si era espresso con scetticismo e criticismo in merito all’opera di Gioacchino: la «teologia politica» del profeta non può che restare fuori della Chiesa poiché base dell’hegelismo e del marxismo.
La spiegazione di questa dura esclusione, in realtà, sarebbe da ricercare nell’innovazione rappresentata dalla dottrina gioachimita; l’abate credeva nella giustizia in questa terra, prima che nell’altro mondo. Chiunque avrebbe potuto ricevere la grazia e viverla in questo mondo.
Forza rivoluzionaria, questa, che sembra quasi una bestemmia agli occhi di tutto l’apparato religioso cristiano poggiante su precisi dogmi, adibiti a durare in eterno a quanto pare. Anche, a discapito della giustezza e della coerenza della dottrina trinitaria gioachimita.
E, mentre c’è chi dedica pagine intere dei propri lavori letterari o della propria vita a questa personalità singolare, molti sono i cittadini sangiovannesi che ignorano, in parte o totalmente, le teorie gioachimite ed il mito di fondazione della loro città. Proprio queste ultime sono, tuttavia, la base da cui ripartire per acquisire un profondo senso di appartenenza agli eccezionali luoghi dell’abate e riuscire, poi, ad esportare tutte le ricchezze culturali e non insite in essi.
Federica Orlando
La storia trasfigurata di Gioacchino da Fiore
In un saggio dell’americano McGinn l’influenza del pensiero dell’abate calabrese sul pensiero europeo «Ha mostrato l’intellegibilità, contenuta nelle Scritture, dei processi storici»
DI LUCA MIELE
Profeta e abile organizzatore, vir spiritual capace di intessere relazioni con i potenti della Terra dell’epoca, scrittore ossessionato dall’Apocalisse e inquieto fondatore di monasteri, Gioacchino da Fiore (1135-1202) è stato una delle personalità più complesse della cristianità medioevale. Di più: per lo studioso americano Bernard McGinn, autore de L’abate calabrese. Gioacchino da Fiore nella storia del pensiero occidentale (Marietti, pagine 280, euro 23,00), all’abate calabrese si deve «una delle più grandi teologie cristiane della storia». Ma qual è l’humus nel quale affonda la visione di Gioacchino? E quale ruolo gioca l’apocalittica? La novità introdotta dal cristianesimo (e in esso dall’Apocalisse) può essere pienamente compresa solo se proiettata sullo sfondo delle religioni cosmiche. Per il teologo Oscar Cullmann, «l’espressione biblica simbolica del tempo è la linea, mentre per l’ellenismo è il circolo».
Il pensiero biblico rompe l’universo immutabile del kosmos greco. Per Aristotele il cosmo è «immortale e indistruttibile », per Eraclito l’ordine universale «sempre era è e sarà fuoco sempre vivente», il tempo non è che un velo che avvolge ciò che è immutabile. Con il cristianesimo la storia cessa di essere la ripetizione dell’identico, non è più una ri-presentazione del passato, per diventare invece attesa di un compimento, della redenzione. Per san Paolo «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto» e Agostino vede nella storia il risultato di una tensione (’ intentio’).
Come ha scritto Karl Löwith, è stata la visione del profetismo a produrre «il concetto della storia in quanto essere del futuro». Senza questa accentuazione, senza la scoperta stessa del futuro lo stesso pensiero apocalittico rimarrebbe incomprensibile. Nella visione dominata dall’ eschaton - nella quale è la fine a rivelare il senso custodito fin dall’inizio nella creazione - gli avvenimenti storici sono «interdipendenti e connessi da un filo conduttore: il Piano di Dio» (Delcor). E in questa dinamica, nella quale storia e eternità si compenetrano, che si staglia la teologia della storia di Gioacchino. Sulla storia si stende la figura del senso. Secondo l’indagine di Bernard McGinn «per Gioacchino il processo storico riceve il suo significato dagli eventi ultimi da cui muove».
La storia è trasfigurata: da mera successione di eventi diventa «una realtà in crescita armonica, come mostrano gli alberi armoniosi », una delle figurae più originali a cui ricorre il monaco. «L’intenzione primaria di Gioacchino - spiega lo studioso americano - è dimostrare che esiste un’intellegibilità dell’intero processo storico, che tale intelligibilità è contenuta nelle Scritture, e che tale comprensione non può essere separata da quella propria della dottrina della Trinità».
Si attende il nulla osta vaticano per la causa di beatificazione del monaco calabrese
Obama si ispira a Gioacchino da Fiore
Il paese del mistico lo invita in Calabria, pronta la cittadinanza onoraria. Vattimo: ’’Sono contento che lo abbia citato’’. Il consigliere italiano: ’’Se vincerà, verrà presto in Italia’’. Cardini: ’’Il candidato alla Casa Bianca ha una formazione protestante’’. Baget Bozzo: ’’Citazione, finezza culturale’’. Studioso islamico: ’’Barack e l’abate puntano a cambiare la storia’’. Laratta (Pd): ’’Dopo citazioni proposi a sindaco di invitarlo’’. Le immagini del ’Liber Figurarum’. E’ ufficialmente il primo afroamericano candidato alla Casa Bianca
Cosenza, 28 ago. - (Adnkronos) * - La Calabria invita Barack Obama a visitare l’abbazia dove sono custodite le reliquie del mistico medievale Gioacchino da Fiore. Il sindaco di San Giovanni in Fiore e il Centro Studi Gioachimiti, a quanto apprende l’ADNKRONOS, hanno contattato, nel giorno della Convention di Denver, le associazioni italo-americane per l’eventuale viaggio del candidato alla Casa Bianca nel piccolo paese silano. Il Comune di San Giovanni in Fiore vuole omaggiare Obama, consegnandogli la cittadinaza onoraria, perche’ per ben tre volte, durante la sua campagna elettorale, ha citato Gioacchino da Fiore, l’abate silano fondatore nel XII secolo dell’ordine florense e caro a Dante, che nella Divina Commedia lo definisce ’il calavrese di spirito profetico dotato’.
Nei suoi discorsi il candidato democratico ha fatto riferimento a questa grande figura di religioso e iniziato medievale chiamandolo "maestro della civilta’ contemporanea" e "ispiratore di un mondo piu’ giusto". "Conosco questi riferimenti e richiami - dichiara all’ADNKRONOS l’antropologo Aldo Civico, esperto di Relazioni Internazionali e docente alla Columbia University che lavora nello staff del senatore afroamericano - ma non sono io ad avergli fatto conoscere Gioacchino da Fiore o ad avergli ispirato queste citazioni. E’ stata una autonoma scoperta culturale da parte di Obama".
’’Siamo pronti ad accogliere Obama - dichiara il sindaco Antonio Nicoletti - Ci inorgoglisce che il candidato alla Casa Bianca si sia ispirato a Gioacchino da Fiore. E’ un personaggio molto amato e conosciuto da eminenti studiosi europei, soprattutto tedeschi, francesi, e paradossalmente americani. In Italia invece salvo il nostro Centro studi gioachimiti lo e’ meno’’.
E intanto a San Giovanni in Fiore si attende il nulla osta vaticano per la causa di beatificazione. Nulla osta che dovrebbe arrivare tra un anno. Le commissioni della Santa Sede sono infatti al lavoro per studiare i tre faldoni da mille pagine circa, inviati dall’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, che analizzano la figura di Gioacchino sotto l’aspetto storico, teologico e medico.
Vista la rilevanza del personaggio, gli atti saranno esaminati non solo dalla Congregazione dei Santi ma anche da altri organismi della Santa Sede, tra cui la Congregazione della dottrina della fede che avra’ il compito di valutare la vicenda che lo vide accusato di eresia per poi essere riabilitato come profeta. Il vescovo della diocesi di Cosenza-Bisignano, mons. Salvatore Nunnari, ha accompagnato l’invio dei documenti con una lettera che ha letto personalmente al Papa Benedetto XVI in occasione di una visita.
La curia sta infatti cercando di accelerare il processo con una serie di azioni necessarie alla causa di beatificazione, tra cui l’esame medico dei resti umani. Un osso di Gioacchino da Fiore era stato inviato a Miami, in Florida, per l’esame al carbonio 14 che ha dato un risultato positivo, datando il resto tra il 1180 e il 1220, a cavallo degli anni della sua morte. Il segretario di mons. Nunnari che ha seguito la prima fase, don Enzo Gabrieli, riferisce che la curia e’ "impaziente" di ottenere il nulla osta che consentira’ al vescovo di aprire l’inchiesta diocesana.
"Di certo - dichiara don Enzo Gabrieli - e’ una figura di cui abbiamo visto riconosciuta l’importanza e il culto in otto secoli. Negli Acta Sanctorum, Gioacchino appare gia’ come beato pur non essendolo e c’e’ anche nei calendari al 30 marzo".
"Gioacchino e’ un personaggio affascinante per tanti motivi - ricorda Riccardo Succurro uno dei membri del Centro studi gioachimiti ed ex sindaco di San Giovanni in Fiore - un personaggio che ha avuto contatti con Costanza d’Altavilla, l’ultima regina normanna, e dal punto di vista storico ha vissuto il passaggio tra Svevi e Normanni. Poi e’ stato riconosciuto come grande profeta per il fatto che sapeva leggere nel passato e interpretare il futuro". La fama profetica di Gioacchino da Fiore e’ illustrata, secondo gli studiosi, nel ’libro delle figure’: concepite e disegnate dal mistico in tempi diversi, le ’figurae’ vennero raccolte nel ’Liber figurarum’ nel periodo successivo alla sua morte, avvenuta nel 1202. L’opera e’ oggi contenuta in tre codici: quello di Oxford, di Reggio Emilia e di Dresda. Il piu’ antico e’ il manoscritto di Oxford, prodotto dall’Officina scrittoria di un monastero calabrese, probabilmente l’abbazia di San Giovanni in Fiore, tra il 1200 e il 1230.
* Ripresa solo del testo - senza i collegamenti interni (clicccare sulla parola rossa, per vederli - pfls).
Raccolte in un album di pelle sono 12x17 cm ciascuna
Le tavole di Gioacchino da Fiore a Obama
L’opera del maestro orafo Gerardo Sacco, realizzata in argento e smalto, è stata inviata al candidato alla Casa Bianca: ’’Sono stato colpito favorevolmente dalle sue citazioni del mistico calabrese e ho deciso di fargli questo omaggio’’. Le immagini del ’Liber Figurarum’.
Crotone, 29 ott. (Ign) - Dalla Calabria un omaggio a Barak Obama: le tavole del ’Liber Figurarum’ di Gioacchino da Fiore. L’opera, realizzata dal maestro orafo Gerardo Sacco in argento sbalzato e smalti, è stata realizzata appositamente per il candidato democratico alla Casa Bianca, che nel corso della campagna elettorale ha più volte citato il mistico medioevale. ’’Sentendo citare Gioacchino ad Obama -spiega Sacco a Ign, testata on line del Gruppo Adnkronos- sono rimasto favorevolmente impressionato. E’ per questo che ho deciso di realizzare quest’opera e donargliela’’.
Le tavole, spiega il maestro orafo, ’’raccolte in un album di pelle brevettato, sono 12 x 17 cm ciascuna. La particolarità è che possono essere estratte dall’album e appese al muro come fossero dei quadri’’.
Sacco, che in questi giorni festeggia i quarant’anni di carriera nella creazione di gioielli, è stato ed è tuttora punto di riferimento delle dive del jetset internazionale. Celebri anche le sue creazione per il cinema, indossate, tra le altre, da Glenn Close, Liz Taylor, Monica Bellucci, per il teatro d’opera e per la tv. ’’Sono fiero -conclude a Ign- della mia attività svolta interamente in Calabria. Da una regione che esporta prevalentemente braccia e cervelli, io ho esportato prodotti finiti’’.
VIDEO - Rissa tra monaci a Gerusalemme
Fonte Reuters
Una violenta rissa tra monaci armeni e greci ortodossi è scoppiata nella Basilica del Santo Sepolcro, uno dei siti più sacri del cristianesimo. Si tratta dell’ultimo di una serie di scontri tra monaci delle sei diverse confessioni che si contendono il controllo del sito dove secondo la tradizione si trova la tomba di Gesù. - PER VEDERE IL FILMATO, CLICCARE SUL ROSSO.