RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant
Il Dio di Barack Obama
la preghiera del presidente
La religiosità di Barack Obama è stata finora usata contro di lui: troppo tiepida, dicono i repubblicani. E il 19 per cento degli americani sospetta che sia musulmano. Così adesso il suo staff corre ai ripari, cercando di presentare l’immagine di un uomo più devoto
di VITTORIO ZUCCONI *
WASHINGTON - La voce professionale della centralinista della Casa Bianca scosse il reverendo Joel Hunter dalle devote meditazioni nella sua chiesa in Florida con la richiesta imperiosa di restare in linea e l’annuncio raggelante che il presidente degli Stati Uniti lo stava cercando dall’alto dei cieli, dai 15 mila metri di quota dove incrocia l’Air Force One, ben al di sopra del traffico commerciale.
Barack Hussein Obama aveva urgente bisogno di parlare con un pastore d’anime, con un uomo di Dio. "Hi, salve, Joel - risuonò la voce baritonale e pastosamente inconfondibile del capo della nazione - oggi è il giorno del mio compleanno, il 4 agosto, e sono qui da solo come un cane, un po’ depresso senza la moglie che è in vacanza e le figlie al campeggio estivo. Avrei voglia di pregare sull’anno passato, sui miei errori, su quello che ci attende in autunno, le dispiace?".
Al reverendo Hunter, suo vecchio amico, cappellano di fatto del Partito democratico i cui congressi ha benedetto, non poteva dispiacere. Con automatica premura, si lanciò immediatamente nel Padre nostro. Di questo piccolo episodio probabilmente autentico, almeno come autentici sono gli episodi che dagli uffici stampa dei governi sgocciolano sui giornali, non avremmo mai saputo niente se questa estate di tormenti politici, lapidazioni economiche e spinosi sondaggi che vedono crescere il numero di americani fuori di testa che sospettano Barack Hussein di essere musulmano (19 per cento, un po’ più di quelli persuasi che Elvis sia ancora vivo) non avesse prodotto quel miracolo che la politica americana sforna a intervalli regolari, e sempre quando le vele dei suoi leader si sgonfiano o sbattono contro tempeste brutali: il ritorno di Dio alla Casa Bianca.
La telefonata-confessione di Obama dalla solitudine del mastodonte alato al pastore protestante preferito (e poi anche ad altri due, tanto per stare nel sicuro) non ha raggiunto la deliziosa ipocrisia dei pastori protestanti, sacerdoti cattolici, rabbini, imam, spiritualisti New Age convocati a plotoni dal contrito, perché scoperto, Bill Clinton sul luogo dei suoi peccati carnali per penitenza dopo il piacere nello Studio ovale. Ma la riscoperta di Dio compiuta da Obama è un indice di difficoltà politiche più eloquente e sicuro di cento editoriali e di ogni listino di Borsa.
Il Dio della Casa Bianca è ormai da quasi due secoli e mezzo un ospite insieme permanente e precario, è un fantasma nel guardaroba che gli inqulini evocano o rinchiudono secondo convizioni personali che tendono a coincidere con le loro fortune politiche o ad alimentarle. Dalla fondazione della Repubblica, affidata a un gruppo di fieri e convinti massoni che alludevano a divinità ben lontane dalle visioni dei papi di Roma, degli arcivescovi di Canterbury o dei riformati luterani, Dio, per ora soltanto nell’edizione rigorosamente dopo Cristo, non è mai del tutto mancato nei governi di una nazione che si proclama la più cristiana del mondo (Stato del Vaticano escluso per dimensioni). Ma se per un Lincoln, che impose la scritta "In God we trust", in Dio confidiamo, sulle monetine da un centesimo, per un Kennedy che da bravo cattolico credeva profondamente nei preti preferibilmente porporati, per un Bush (quello giovane) ribattezzato e rinato nell’acqua del Giordano dopo troppe immersioni nel Bourbon, per un Carter insegnante di dottrina, il dono della fede sembrava sincero, la conversione di Barack Obama lascia qualche retrogusto di scetticismo.
Non si tratta naturalmente di dare credenza alla false biografie popolarissime nelle discariche indifferenziate di Internet, dove il suo essere un musulmano nero, soprattutto nero, è un dogma per i fanatici. Falsa e definitivamente screditata è anche la sua frequentazione di madrasse gestite dai fanatici islamisti wahabiti a Giakarta, dove visse bambino con la madre risposata con un indonesiano, una panzana ripetuta come prova della sua infamia, nonostante le incavolatissime smentite del preside della sua scuola elementare pubblica ripetute a chiunque lo abbia intervistato, per dire che nel suo istituto si fa storia di tutte le religioni, Islam incluso, ma nessun indottrinamento. E persino il padre, che lo scaricò infante a due anni per tornarsene in Kenya, risulta essere stato un musulmano per nascita, come indica quel nome di mezzo Hussein, ma morto ateo, come la mamma, che detestava tutte le religioni organizzate e, scrisse Obama stesso, "i panni e gli orpelli dietro i quali i preti nascondono il proprio potere e la propria ipocrisia".
La confessione protestante alla quale Obama, divenuto adulto, aderì è la Chiesa Unitaria di Cristo, la United Church of Christ, conosciuta per la moderazione e la ecumenicità del proprio milione di fedeli americani, più attenta all’apostolato sociale che al misticismo. Il suo avvicinamento ai ben più focosi templi battisti, divenuto inevitabile quando cominciò a fare servizio sociale nella Chicago nera, fu dettato dalla semplice realtà delle chiese come centro di aggregazione e di influenza nella comunità di colore. Un avvicinamento che gli procurò soltanto guai, con la amicizia per un revedendo afroamericano, Jeremiah Wright, esagitato predicatore e militante della "negritudine" rancorosa. Ma quando vinse e stravinse le elezioni del 2008, traslocando nella Casa del potere bianco, gli Obama, padre, madre e figlie, scelsero di evitare le funzioni domenicali, con la scusa di non voler stravolgere le vita dei fedeli con l’invadenza dell’apparato di sicurezza. Le ragazzine, Sasha e Malia, sono state iscritte in un liceo nominalmente quacchero, ma più noto per l’eccellenza accademica e per la forte rappresentativa femminile di soccer, di calcio, e di lacrosse che per l’apostolato.
Nonostante le proclamazioni di "grande nazione cristiana", ripetute con enfasi angosciata e un po’ truculenta soprattutto dopo il trauma del 9/11, questo garbato distacco fra il capo dello Stato e la religione organizzata è sempre stato più la norma che l’eccezione. Senza arrivare all’estremo di Theodore Roosevelt, che avrebbe voluto togliere dalle monete anche quel riferimento a Dio che considerava un doppo sacrilegio, per Dio associato ai quattrini e per la zecca associata a Dio, la fede cristiana dei presidenti nel XX secolo è sempre apparsa più un tributo al perbenismo da vestitino della domenica e alla generica moralità mosaica che un afflato irresistibile dell’anima.
Roosevelt, il cugino di Ted, aveva troppi problemi di mobilità da paralisi infantile, polio, alle gambe, per amare inginocchiatoi e riti. Eisenhower, cresciuto come testimone di Geova dalla madre, si rifugiò maturando nel piu mite ed elitario grembo dei presbiteriani. Per quasi due decenni, dal 1960 al 1976, il rapporto fra un presidente e Dio fu definito dal grande discorso di John Kennedy all’Università Rice di Houston, quando mise fine ai sospetti che lui, cattolico, avrebbe obbedito più alla curia romana che alla Costituzione, ricordando che la religione va "chiusa tra parentesi quadre" ed esclusa nel giudicare un candidato.
Dovette irrompere Nixon, quacchero di formazione ma grandissimo devoto del potere e della politica, per riportare il penitenziere nazionale bigotto, Jimmy Carter, a ostentare la propria vocazione come riscatto nazionale dopo il torvo e scandaloso Dick. Carter, catechista di bambini nella natia Georgia, diacono e sacrestano, pagò questo accanito misticismo quando ammise non soltanto di avere libidinosamente sfogliato Playboy, ma di avere avuto un pericoloso incontro con un coniglio mannaro gigantesco negli acquitrini della Georgia. Un’apparizione che rischiò di screditare secoli di mistiche visioni e di messaggeri celesti, mai fino ad allora incarnati in roditori ciclopici.
Il furbissimo Reagan, che nella poco virtuosa Hollywood aveva appreso l’arte di recitare, faceva grande e retorico uso di citazioni bibliche - come l’America "luminosa città sulla collina" pescata direttamente dal discorso di Gesù sul "sale e la luce" nel Vangelo secondo Matteo - e arruolava volentieri Dio nelle orazioni funebri: "Gli astronauti del Challenger hanno oggi toccato il volto di Dio", morendo inceneriti. Ma soltanto nell’estrema vecchiezza annebbiata dall’Alzheimer lo si vide al braccio della fedele Nancy nelle chiese di Bel Air, sopra Hollywood. Si dovette arrivare a Bush il Giovane per ascoltare un presidente dire, nel discorso più alto dell’anno, quello sullo stato dell’Unione, che lui seguiva le disposizioni di Dio andando a bombardare l’Iraq e che Gesù era il "mio filosofo preferito", un’investitura culturale importante, ma probabilmente un po’ riduttiva per il Creatore del cielo e della Terra.
Ma Bush doveva radunare attorno a sé le armate angeliche dell’elettorato cristiano fondamentalista, come gli aveva consigliato il cinico e scarsamente pio Karl Rove, un elettorato che esige quel tributo ai valori conclamati e alla giaculatorie rassicuranti che Obama, neppure telefonando a migliaia di predicatori e uomini di Chiesa, potrà mai garantire. Dice, e fa dire, le orazioni della sera alle figlie. Ci fa sapere che prega sovente, nei momenti privatissimi, magari accendendosi una di quelle sigarette dalle quali non riesce del tutto a svezzarsi. E quando la dispensa del favore pubblico si svuota scatta, come nelle nostre nonne che cinicamente ricordavano di "pregare Gesù quando non ce n’è più", il bisogno di aprire il guardaroba. E invitare ad uscirne quel Dio paziente che aspetta la chiamata dei superbi che credevano di poter fare a meno del Suo aiutino.
* la Repubblica, 23 agosto 2010
STATI UNITI
Obama musulmano, la Casa Bianca reagisce
"Il presidente è cristiano e prega tutti i giorni"
Bill Burton è intervenuto in seguito al sondaggio secondo cui il 18% crede che il presidente Usa sia di religione islamica. La Casa Bianca accusa campagna disinformazione e attacca i media *
WASHINGTON - Barack Obama è "cristiano e prega tutti i giorni". È dovuto intervenire Bill Burton, portavoce del presidente Usa, per mettere in chiaro la fede religiosa del suo principale dopo la diffusione di un sondaggio del Pew Center, diventato la notizia politica del giorno. Secondo l’indagine, condotta prima che si infiammasse la polemica sulla moschea di Ground Zero 1, il 18% degli americani crede infatti che il presidente sia di religione musulmana. Molti di più rispetto a un anno fa, quando lo stesso sondaggio accreditava solo all’11% degli intervistati l’errata convinzione. L’incertezza sulla fede di Obama riguarda anche molti democratici: il 10% lo crede musulmano e quasi la metà dice di non sapere con certezza quale religione pratichi.
"La fede è molto importante per il presidente, ma non rappresenta un costante tema di conversazione. Ovviamente - aggiunge Burton - ne ha parlato in passato e lo farà in futuro. Tuttavia non è una delle sue priorità assicurarsi che tutti gli americani sappiano quanto sia devoto". La leggenda sulla sua fede musulmana ha cominciato a circolare nel clima avvelenato della sfida delle primarie con Hillary Clinton, quasi tre anni fa, e negli ultimi due anni si è ulteriormente radicata. Il suo recente velato sostegno per il centro islamico, che verrebbe costruito a due isolati dal luogo delle stragi dell’11 settembre non ha fatto che aggravare la situazione.
La Casa Bianca ha commentato con disappunto la notizia del sondaggio puntando il dito sulle "campagne di disinformazione" dei nemici del presidente. E dà la colpa ai media: il 60% di coloro che considerano Obama un musulmano dicono di averlo sentito alla radio o in tv. Obama è un cristiano, ma sempre meno americani (erano il 51% nel 2008, sono il 34% ora) sembrano ricordarlo (compresi i democratici: risponde correttamente al quesito solo il 46%). Il 43% degli americani inoltre non sa quale sia la religione di Obama.
Il sondaggio è particolarmente interessante se messo a confronto con l’orientamento politico degli intervistati. Quasi un repubblicano su tre, ad esempio, il 31%, crede che Obama sia musulmano (il doppio rispetto al marzo di quest’anno). E questa percentuale è destinata a crescere sulla scia della presa di posizione di Obama sulla moschea di New York. E addirittura tra i democratici c’è un 10% di persone che credono il presidente un musulmano.
* la Repubblica, 19 agosto 2010
Uscire dalla religione
di Bernard Rivière
in “www.temoignagechretien.fr” del 13 agosto 2010
traduzione: www.finesettimana.org
La Buona Novella deve essere annunciata a tutti. Alcuni preti operai spiegano come la Chiesa, diventando una religione nel corso dei secoli, si è appropriata, snaturandolo, del messaggio di Gesù Cristo, e lo ha quindi reso inudibile da coloro che cercano Dio in verità.
Cogliere l’occasione!
“La sortie de religion, est-ce une chance?” (L’uscita dalla religione, è un’opportunità?), è un libro frutto della partecipazione di molte mani, di cui sarebbe troppo lungo elencare tutti gli autori. Citiamone però alcuni, innanzitutto e fondamentalmente quelli di una “mano” formata da cinque preti operai del Calvados, alla base della progettazione del libro. Troviamo frequenti citazioni di teologi: del gesuita Joseph Moingt, del pastore Dietrich Bonhoeffer (morto in campo di concentramento nel 1945), di Hans Küng...; di pensatori e filosofi: Marcel Gauchet, Mary Balmary, Jacques Duquesne...; di vescovi, di preti e di laici in gran numero...
Insieme, con le loro parole, le loro esperienze personali, le loro convinzioni, le loro attese, uniti dalla fede in Gesù Cristo saldamente stretta al cuore, vogliono comunicare ai lettori, e al di là di questi, ai credenti, che “l’essenza del messaggio evangelico è che l’umanità si realizzi pienamente”.
Non a seguito di lunghe dispute teologiche né di discorsi ex cathedra, ma attraverso lo sguardo d’amore che hanno tentato di rivolgere ai loro compagni di lavoro, questi preti hanno preso coscienza, una coscienza di fede viva, che “è passato il tempo in cui si poteva dire tutto agli uomini con parole teologiche e pie... Stiamo andando verso un’epoca totalmente senza religione”. (1)
Appropriazione
Fin dal secondo secolo della nostra era nascono le primissime, sporadiche comunità di discepoli di Gesù, spesso segretamente, senza alcuna intenzione nascosta di creare una religione, nel ricordo dell’amicizia di Gesù che alcuni affermano essere risuscitato. Il messaggio evangelico lentamente si propaga tra i “testimoni” che naturalmente cercano in maniera spontanea di trasmettere il messaggio della Buona Novella. A poco a poco - era inevitabile? - una certa organizzazione, comunque leggera, prenderà forma a partire dal IV secolo con l’impulso di Costantino e di Teodosio. E fu nei secoli seguenti che rapidamente prenderà il sopravvento l’aspetto istituzionale, soffocando a volte e troppo spesso, la spontaneità di una fede che chiede comunque solo di diffondersi.
Nel Nord Ovest
Alcuni preti del Calvados hanno percepito nella loro vita di tutti i giorni, durante il loro servizio come preti e lavoratori, che il messaggio di Gesù nel XX e nel XXI secolo era diventato inudibile. I primi capitoli del libro presentano molteplici testimonianze rese da loro stessi e dai loro compagni operai che esemplificano la deriva della Chiesa, che è diventata, da umile e al servizio della Buona Novella, una istituzione umana che viene chiamata “religione”.
Joseph Moingt riassume così l’evoluzione: “Il seguito di questa storia, che non ha mantenuto le promesse delle origini, lo si può riassumere dicendo che a poco a poco, nella Chiesa, la forma della religione ha coperto quella dell’annuncio, invece del contrario! L’annuncio è appello alla libertà, la religione è la costrizione di una determinata via di salvezza. Da questa conversione della Chiesa in semplice religione, che trasformava l’invito alla salvezza in ingiunzione minacciosa, è derivato il fatto che essa non ha più fatto sentire agli uomini la via della libertà né dell’umanesimo, poiché essa parlava solo un linguaggio religioso, tessuto di comandamenti, di mistero e di simbolismi sacri”. (2) Da questa convinzione nasce allora una lunga, semplice e appassionante scoperta di ciò che può essere ancora oggi l’annuncio della Buona Novella.
La pratica
Essere “praticante” consiste nel contribuire alla riuscita e alla crescita dell’umanità e non nel compiere atti rituali di una religione. “Essere cristiano, diceva Bonhoeffer, significa diventare radicalmente uomo e invitare anche gli altri a diventarlo”. Gesù invita a reintegrare l’uomo ferito, nudo, prigioniero, infermo nella società degli uomini.
“Ciò che fate al più piccolo, lo fate a me” (Matteo 25, 31-46). La salvezza assume un altro senso in questa prospettiva. La liberazione dal giogo della religione è uno degli aspetti della salvezza portati da Gesù. È il Regno che bisogna testimoniare e la Chiesa ha un senso solo se ciò che essa fa e dice è a servizio della vita e della felicità degli uomini e li apre così al vero progetto di Dio.
E gli autori, come una sorta di riassunto dell’opera, affermano, a rischio di scioccare: “Dio si è fatto presente in una umanità da umanizzare, ciò obbliga a pensare un Dio in divenire, Dio impegnato nella storia degli uomini. Dio non sarà totalmente Dio finché l’umanità non sarà davvero in piedi, autenticamente umana”. E terminano - o quasi - il loro saggio con un paragrafo importante: “La salvezza, (la riuscita dell’umanità) si gioca nell’oggi, nel quotidiano della vita”.
Queste conclusioni, che si basano sull’esperienza di uomini di fede impegnati nel mondo operaio, si rivolgono anche a tutti coloro che vogliono vivere intensamente la loro fede, quale che sia il contesto in cui vivono: “Sì, noi crediamo che non ci sia altro luogo per incontrare Dio che l’umanità”. “Il cristianesimo, è la religione dell’uscita dalla religione”, scrive con umorismo ma seriamente Marcel Gauchet. (3)
È un libro molto facile da leggere, che invita ciascuno ad interrogarsi sulla propria fede: “Credo in te, Dio in divenire, Dio in movimento, Dio presente ma allo stesso tempo futuro, Dio che rendi liberi e che ci aiuti a scrollarci di dosso la polvere delle nostre certezze” (Claude Simon).
(1) Joseph Moingt, Dieu qui vient à l’homme, Le Cerf, 2002
(2) Dietrich Bonhoeffer, Résistance et soumission, Lettres et notes de captivité, Les Editions
Labor et fides
(3) La condition historique, Stock 2003
La sortie de religion, est-ce une chance? (L’Harmattan), di Michel Gigand, Michel Lefort,
Jean-Marie Peynard, José Reis, Claude Simon, pp. 193, € 18.
di Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 15 agosto 2010)
«Anche a un’osservazione superficiale appare evidente come per parecchi secoli in tutta l’Italia nessun uomo abbia goduto di un amore e di un ossequio così smisurati come il modesto e umile Francesco... Il divino messaggio, tenero e beato, che era giunto sulla Terra sotto forma di lui, non si spense con la sua morte. Egli aveva sparso a piene mani un buon seme, e quel seme germogliò e crebbe e fiorì». Queste parole di Hermann Hesse, l’autore di Siddharta, di Narciso e Boccadoro e di tanti altri celebri testi, oltre che di una deliziosa vita di Francesco d’Assisi scritta in gioventù (1904), suscitano la domanda sul perché Francesco abbia lasciato una così profonda impronta nel cuore degli italiani e di tante donne e uomini di ogni latitudine e cultura.
La risposta di Hesse - dal tono piuttosto sentimentale e romantico - contiene un nocciolo prezioso di verità: «Soltanto pochi (come Francesco), in virtù della profondità e dell’ardore del loro intimo, hanno donato ai popoli, quali messaggeri e seminatori divini, parole e pensieri di eternità e dell’antichissimo anelito umano... sì che quali astri beati si librano ancora sopra di noi nel puro firmamento, dorati e sorridenti, benevole guide al peregrinare degli uomini nelle tenebre». Per Hermann Hesse Francesco incarna un messaggio capace di dare ragioni di vita e di speranza al cuore di tutti. Anche a quello dell’Italia d’oggi, scossa da una crisi che, prima che economica e politica, è spirituale e morale.
Nel tentativo di cogliere questo messaggio, motivando così anche la mia scelta di San Francesco quale "personaggio che potrebbe risolvere la crisi del nostro paese", mi è venuto in aiuto un testimone singolare. Sul tratto autostradale che collega Roma a Chieti, fra i più belli d’Italia per paesaggi e colori, a metà circa della piana del Fùcino, su un colle che un tempo si specchiava nel lago, dominato dall’imponente castello medioevale, sorge Celano, patria del beato Tommaso, seguace e primo biografo di Francesco, che a Celano presumibilmente passò intorno al 1220. Nella Vita prima di San Francesco d’Assisi, scritta su incarico di Gregorio IX quale "Legenda" ufficiale per la canonizzazione del Santo e presentata al Papa il 25 febbraio 1229, Tommaso narra con incantevole freschezza la vicenda di Francesco sin dai suoi inizi. Colpisce anzitutto la presentazione del tempo antecedente la conversione: «Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai genitori ricevette fin dall’infanzia una cattiva educazione, ispirata alle vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero e vanitoso».
Il giovane Francesco è veramente uno di noi, così simile a noi nella leggerezza della vita e dei sogni. Tuttavia, è proprio l’aver vissuto questa stagione dell’utopia, impastata delle fughe in avanti dei desideri e delle pretese, che rende Francesco così largamente umano. È quanto esprime la folgorante risposta di Mark Twain alla domanda su dove avrebbe voluto andare dopo la morte: «In paradiso per il clima, all’inferno per la compagnia...»: come a dire che i peccatori suscitano un’immediata simpatia perché li sentiamo a noi familiari, anche se non può non attrarci la bellezza del cielo... Francesco ci parla anzitutto perché parte da quello che ci accomuna tutti: la nostra fragilità, la lista più o meno lunga dei nostri difetti, di cui alcuni - ambizioni, vanità, ricerca dell’immagine a prezzo della verità, dipendenza dagli indici di gradimento, leggerezza nel mantener fede agli impegni - ci appaiono così drammaticamente attuali!
Avviene però nella vita del giovane di Assisi qualcosa di nuovo e imprevisto: Tommaso da Celano lo narra col tratto tenerissimo di una lettura guidata dagli occhi della fede: «Ma la mano del Signore si posò su di lui e la destra dell’Altissimo lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia, e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio». Al di là di queste poche righe, che già aprono uno squarcio sullo sterminato futuro, i fatti ebbero una serrata consequenzialità: «Colpito da una lunga malattia, egli cominciò a cambiare il suo mondo interiore... non tuttavia in modo perfetto e reale, perché non era ancora libero dai lacci della vanità... Francesco cercava ancora di sottrarsi dalla mano divina, accarezzava pensieri terreni, sognava ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo».
L’occasione del cambiamento fu di quelle che solleticano anzitutto le ambizioni e proprio così espongono alle delusioni più cocenti: «Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando preparativi militari verso le Puglie... Saputo questo, Francesco trattò per arruolarsi... Ma, la mattina in cui doveva partire, intuì che la sua scelta era erronea rispetto al progetto che Dio aveva per lui». Francesco rinuncia alla spedizione e sceglie di conformare la sua volontà a quella divina: «Si apparta un poco dal tumulto del mondo, e cerca di custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore... appronta un cavallo, monta in sella e, portando con sé i panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi vende tutta la merce e con un colpo di fortuna anche il cavallo!».
È il "no" al passato: non ancora, tuttavia, è chiaro a che cosa dovrà dire il suo "sì". «Sul cammino del ritorno, libero da ogni peso, va pensando all’opera cui destinare quel denaro... Avvicinandosi ad Assisi, s’imbatte in una chiesa molto antica, fabbricata sul bordo della strada e dedicata a San Damiano, in rovina... Vedendola in quella miseranda condizione, si sente stringere il cuore. Incontrandovi un povero sacerdote, con grande fede, gli bacia le mani consacrate, e gli offre il denaro rimanendo a vivere con lui».
Ciò che è avvenuto all’interno del cuore non può non manifestarsi all’esterno: si prepara la sfida più dura, l’incomprensione e il giudizio dei suoi. «Suo padre venne a conoscenza che egli dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera. Profondamente addolorato radunò vicini e amici e corse a prenderlo e lo rinchiuse in una fossa che era sotto la casa ove rimase per un mese intero... Francesco con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse... Affari urgenti costrinsero il padre ad assentarsi per un po’ di tempo da casa... Allora la madre, rimasta sola con lui, disapprovando il metodo del marito, parlò con tenerezza al figlio; ma s’accorse che niente poteva dissuaderlo dalla sua scelta. E l’amore materno fu più forte di lei stessa: ne sciolse i legami lasciandolo in libertà».
Emerge qui una costante della vita di Francesco: il ruolo della donna nella sua esistenza. Dapprima, la Madre, tanto tenera, quanto capace di capire. Quindi, Chiara, sorella nell’amore per Cristo e discepola fedelissima. Sempre la Madre di Dio, custode del suo cuore. «Frattanto il padre rincasa, e visto ogni vano tentativo per distoglierlo dal nuovo cammino, rivolge il suo interesse a farsi restituire il denaro... Allora, impose al figlio di seguirlo davanti al vescovo della città, affinché facesse davanti al prelato la rinuncia e la restituzione completa di quanto possedeva.
Francesco non esita per nessun motivo: senza dire o aspettare parole, si toglie le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte a tutti». Si rivela qui il tratto che rende Francesco fratello universale: la rinuncia a ogni possesso e a ogni potere, il suo essere nudo e indifeso. Non si tratta solo di una scelta di sobrietà, pur così importante e necessaria allora come oggi: è una logica che appare sovversiva rispetto agli arrivismi e alle avidità di questo mondo. Non è l’"audience" che conta, né il successo o il denaro, ma la nuda verità di ciò che siamo davanti a Dio e per gli altri! Ed è proprio questa libertà dell’essenziale che lo avvicina a tutti e lo rende inquietante per tutti!
Nel tempo in cui sta a San Damiano, Francesco prega intensamente. Il Crocifisso che è in quella chiesa gli parla: «Va e ripara la mia casa». In un primo momento Francesco pensa di dover riparare la chiesetta dove si trova; capisce, poi, che Gesù si riferiva alla Chiesa tutta intera, che attraversava un periodo contrassegnato da mondanità e prove. Riportare la Chiesa agli insegnamenti del Vangelo, liberarla dalla seduzione delle ricchezze e del potere, riavvicinarla ai poveri è la missione di cui si sente investito.
Comincia la sua nuova vita: «Si reca tra i lebbrosi e vive con essi per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi e ne cura le piaghe... La vista dei lebbrosi gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva in lontananza i loro ricoveri, si turava il naso. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso e fece violenza a sé stesso, gli si avvicinò e lo baciò». Il suo modo di vivere a servizio di Dio cominciò ad affascinare i giovani di Assisi, al punto che vari di loro lo seguirono per servire il Signore.
Nei rapporti con gli altri, Francesco segue una regola precisa: «Chi non ama un solo uomo sulla terra al punto da perdonargli tutto, non ama Dio». Proprio così comincia a dare fastidio: «I potenti di Assisi si videro la loro cittadina svuotata per via di Francesco e, in un momento in cui egli e i suoi confratelli erano in giro per la questua, alcuni uomini di Assisi saccheggiarono la chiesa di San Damiano uccidendo un poverello che dimorava in quel luogo. Al ritorno, Francesco fu scosso da profondo dolore al punto da pensare di dover andare dal Papa in persona per chiedere se la via che aveva intrapreso per seguire il Cristo fosse errata. Dall’incontro con il Papa, non fu Francesco ad uscirne con consigli e ammonimenti, ma furono tutti, il Papa Innocenzo III compreso, a sentirsi umiliati dalla povertà e obbedienza di quest’uomo. Da questo momento tutta la Chiesa fu rinnovata: c’era finalmente qualcuno che riportasse i poveri a Cristo».
Francesco si mette alla scuola di Gesù Crocifisso e impara l’umiltà. Anche in questo la provocazione che lancia al nostro presente è bruciante: «Un frate chiede a Francesco: ’Padre, cosa ne pensi di te stesso?" ed egli rispose: ’Mi sembra di essere il più grande peccatore, perché se Dio avesse usata tanta misericordia con qualche scellerato, sarebbe dieci volte migliore di me"». Lo spogliamento di sé caratterizzerà sempre più il suo cammino: nella Vita seconda di S. Francesco, che Tommaso da Celano stende tra il 1246/1247 per corrispondere all’ingiunzione del Capitolo generale di Genova «di scrivere i fatti e persino le parole» di Francesco, questo aspetto emerge in modo impressionante. «L’ardore del desiderio lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle essere crocifisso. Un mattino, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infuocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso con rapidissimo volo, giunse vicino all’uomo di Dio, e allora apparve l’effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce... Il vederlo confitto in croce gli trapassava l’anima. L’amico di Cristo stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso... Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nella immagine stessa dell’Amato».
Gli occhi di Francesco si chiuderanno presto alla luce del mondo: ma la luce della Sua fede e del Suo amore umile continuerà a risplendere. Non fu la Sua una fuga dal mondo. Se non avesse amato profondamente questa terra, non avrebbe composto il Cantico delle creature. La sua è anche una spiritualità del rispetto e dell’amore del creato. Tutto in Francesco fu motivato dall’aver compreso qual è la perla preziosa da cercare ad ogni costo: sobrietà, povertà, tenerissima carità, umiltà, rispetto per ogni creatura e per tutto il creato sono volti di quest’unico amore. E non è di esso che ha bisogno anche l’Italia di oggi, come quella del suo tempo e il mondo intero con lei? «Quando infine si furono compiuti in lui tutti i misteri, quell’anima santissima, sciolta dal corpo, fu sommersa nell’abisso della chiarità divina e l’uomo beato s’addormentò nel Signore. Uno dei suoi frati e discepoli vide quell’anima beata, in forma di stella fulgentissima, sollevarsi su una candida nuvola al di sopra di molte acque e penetrare diritta in cielo: nitidissima per il candore della santità eccelsa e ricolma di celeste sapienza e di grazia per le quali il santo meritò di entrare nel luogo della luce e della pace, dove con Cristo riposa senza fine». E parla a chiunque voglia ascoltarlo...