Il rap shock su Saviano
"Così lo uccideranno"
di CARLO MORETTI *
"Vorrei essere un rapper per descrivere la realtà che vivo, racconterei di questa mia assurda condizione, canterei di quest’isolotto dove sono venuto in vacanza, perché è l’unico posto in cui mi sia permesso di vivere senza la scorta". Il desiderio espresso la scorsa estate da Roberto Saviano al rapper di Scampia Lucariello, una delle voci dei napoletani Almamegretta, ora è diventato realtà.
Ma tutto accade nel modo più crudo tra i tanti possibili, perché nel testo di Cappotto di legno scritto da Lucariello e supervisionato da Saviano, si descrive l’omicidio dell’autore di "Gomorra" per mano di un camorrista.
Sull’isola in cui trascorreva le vacanze, per una volta libero di muoversi senza scorta, l’autore di "Gomorra" ascoltava le canzoni del rapper napoletano. In quei brani ci sono le stesse facce, gli stessi luoghi, le stesse atmosfere del suo libro. Lucariello, nato e cresciuto a Scampia, racconta storie ambientate nei vicoli napoletani, sul litorale Domizio, nel casertano, in quel villaggio Coppola diventato tristemente famoso anche grazie alle pagine del libro di Saviano.
Di qui la decisione di contattare il cantante, dicendosi disponibile a collaborare con lui, suggerendo immagini e versi, e aggiungendo anche qualche consiglio musicale. Così è nato il rap intitolato Cappotto di legno in cui tra l’altro si ascolta la voce di Nicola Schiavone, padre del camorrista di Casal di Principe Sandokan, il quale intervistato dai telegiornali parla di Saviano come di "un buffone". Il protagonista della canzone è un giovane camorrista che alla guida di una moto va a cercare la sua vittima: "Su una fotografia a colori gli occhi di un bravo ragazzo, dicono che sia un buffone", dice a un certo punto, rendendo palese la sovrapposizione di Saviano con la vittima designata.
Il titolo della canzone è un’idea dell’autore di "Gomorra", così come la frase "cappotto di legno prima delle botte in petto", dove il cappotto di legno è l’immagine usata nel gergo camorristico per indicare la bara, un’immagine che qui viene però usata per descrivere una sensazione di costrizione e insieme di tragica attesa. Per il resto, il testo è stato scritto da Lucariello: "L’idea di descrivere il suo omicidio è stata mia e lui l’ha accettata. Roberto mi ha fornito gli input necessari, in termini di immagini e informazioni, un ruolo direi quasi "giornalistico", e poi è stata fondamentale la sua supervisione e approvazione su quanto era stato fatto: gli è piaciuto l’impatto emozionale della canzone", spiega.
Stasera Lucariello sarà ospite della trasmissione "Annozero" dedicata alla camorra, con un’inchiesta a Casal di Principe, per parlare della canzone e per farne ascoltare un estratto, e nello studio il rapper incontrerà per la prima volta Roberto Saviano, anche lui ospite di Santoro. La canzone Cappotto di legno, su una base di musica minimalista scritta dal compositore Ezio Bosso, si ascolterà poi in versione integrale e accompagnata da un quintetto d’archi il 29 aprile a Radio Deejay, all’interno del programma condotto da Alessio Bertallot "B-Side".
"Con Ezio Bosso continueremo questa collaborazione" continua Lucariello, "ci piace l’idea di mettere assieme due mondi lontani, quello della strada e quello della musica classica contemporanea, sempre però mantenendo ognuno la sua specificità e senza compromessi. Pensiamo di fare un album, magari anche con la collaborazione di Roberto, che con il suo libro e la sua testimonianza ci ha dato coraggio: noi da ragazzini non potevamo neanche nominare i camorristi, come se anche i muri avessero orecchi. Anche a noi ragazzi napoletani, "Gomorra" ci ha liberato e ridato la voce".
* la Repubblica, 24 aprile 2008
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
"Gomorra" sulla tomba di don Peppino Diana
Lo scrittore chiude il Festival di Mantova
con una denuncia su crimine e informazione
La camorra a mezzo stampa
e Saviano sfida i legali dei boss
di FRANCESCO ERBANI *
MANTOVA - "Ognuno di voi lettori fa paura". Fa paura ai poteri camorristi che lui racconta. La voce di Roberto Saviano scende sul silenzio della platea del Teatro Sociale di Mantova, pieno fino all’ultimo posto. "Oggi sono 695 giorni che vivo sotto scorta. 11.120 ore. Non prendo treni, non salgo in macchina. Ho il sogno di una casa. Ma a Napoli l’ho cercata in via Luca Giordano, via Solimena, via Cimarosa. Niente. A Posillipo hanno chiesto un appartamento per me i carabinieri. Avevano risposto sì. Quando hanno visto che ero io, hanno detto: l’abbiamo affittata un’ora fa".
Gli accessi del teatro sono controllati, agenti in borghese camminano fra le poltrone, quattro di loro stazionano sul palco. In platea - dice Saviano - anche gli avvocati dei boss che in aula lessero una lettera di minacce allo scrittore, al giudice Raffaele Cantone e a Rosaria Capacchione, giornalista del Mattino.
Le parole di Saviano raccontano la camorra a mezzo stampa, disegnano lo spazio stretto di una narrazione alla quale è impedito il movimento libero e che è costretta a esprimersi in uno stato di limitazione che è l’antitesi del narrare e in fin dei conti della letteratura. Ed è a questo valore simbolico che si sono richiamati gli organizzatori del Festival mantovano chiedendo allo scrittore campano di chiudere la dodicesima edizione. Saviano è arrivato a Mantova con la sua scorta, "la mia falange", lasciando fino all’ultimo in sospeso gli organizzatori che hanno potuto comunicare la sua presenza solo venerdì mattina. Ottocento i biglietti venduti, svaniti nel giro di un’ora. Fuori al teatro si assiepa una folla silenziosa e ordinata.
Saviano, camicia bianca e jeans, racconta come certa stampa locale si sia fatta megafono della camorra, con i suoi titoli e le allusioni, Pochi giorni dopo l’omicidio di don Peppe Diana, Il Corriere di Caserta titola "Don Peppe Diana era un camorrista": sono le parole di un boss, compaiono fra virgolette, ma per il giornale hanno un crisma di verità. Quando viene arrestato, l’assassino del sacerdote, De Falco, viene definito "boss playboy" e segue un pezzo sulle doti amatorie di altri camorristi. Quando è sequestrato il piccolo Tommaso Onofri, il giornale Cronache di Napoli titola: "Tommaso, il dolore dei boss". Qualche giorno dopo viene trovato il corpo di Tommaso. Titolo su Cronache di Napoli: "Tommaso è morto: l’ira dei padrini".
Quando viene catturato un cugino di Francesco Schiavone, il titolo suona: "Cicciariello arrestato con l’amante". Il boss Prestieri viene dipinto come appassionato d’arte. Si racconta la passione di capoclan per la poesia e la narrativa. Un killer vince un premio letterario.
Un altro titolo: "Sandokan a Berlusconi: i pentiti sono contro di noi". "Ma noi chi?", si chiede Saviano. E prova a rispondere. "Io sono un imprenditore, dice di sé Sandokan, e mi rivolgo al numero uno degli imprenditori, perché i pentiti non sono altro che concorrenti sleali".
Le parole dette e scritte, rilanciate dai titoli. I ragazzi di Casal di Principe che recitano, come una cantilena: "Gomorra è pieno di favole, sono solo favole". Dalla carta stampata alla tv. Sullo schermo parte un video. La sorella di uno Schiavone, in un programma Mediaset, senza apparire fa sentire la sua voce a proposito di Saviano: "Ma cosa gli abbiamo fatto noi di Casale, gli abbiamo violentato la fidanzata?". Lo scrittore alza il viso dallo schermo: "Chi di voi dopo queste parole può dire che non è successo niente? Questa notte pensate se qualcuno viene da voi e dice queste parole, domandatevi se la vostra vita d’improvviso non diventa un pericolo per chi vi sta vicino".
Gli avvocati dei boss che in aula hanno letto la lettera dei boss "sono qui in platea", dice Saviano. "Sono contento che vengano tutte le volte che parlo in pubblico. I vostri assistiti fateli venire direttamente, o pensate che io abbia paura? Ce lo diciamo sempre io e i miei ragazzi: noi non facciamo paura perché non abbiamo paura. È la letteratura che li terrorizza. Sono i lettori che fanno paura". La gente applaude in piedi, a lungo. Saviano si siede, le mani sul viso.
Il festival si chiude con un bilancio a tinte rosee. Cinquantasettemila biglietti staccati. Ventitremila presenze agli appuntamenti gratuiti. Totale: ottantamila sono le persone che hanno frequentato da mercoledì pomeriggio a ieri i 225 incontri della dodicesima edizione del Festivaletteratura, un dieci per cento in più rispetto alla precedente. Eppure non sono le quantità gli elementi che più soddisfano gli organizzatori.
Mantova consolida la sua formula, in qualche modo la intensifica. Ieri mattina Gillo Dorfles, presentando il suo Horror pleni e parlando del conformismo, ha detto che esiste un conformismo positivo, molto minoritario, e un conformismo negativo, di gran lunga maggioritario. "Il Festivaletteratura è una forma di conformismo positivo", ha detto l’anziano studioso di estetica, architettura e design. È molto simile a sé stesso ogni anno che passa, sempre più orientato a raccogliere pubblici diversi, ad allargare i confini dell’idea di letteratura e correttamente inserito in un contesto urbano che attribuisce molto senso ai racconti, alle riflessioni e ai dibattiti. La sua formula, autori che raccontano e si raccontano, viene ripetuta.
Jonathan Safran Foer, una delle poche star di questa edizione (insieme a Daniel Pennac, Hans Magnus Enzensberger, Carlos Fuentes e Scott Turow), ha animato un incontro molto frizzante con Gad Lerner, che si è chiuso con la lettura, commossa, dell’ultima pagina di Molto forte, incredibilmente vicino da parte di Lella Costa.
Il giovanissimo scrittore americano si è messo all’estremità di una tastiera che poi ha fatto suonare le note di Ezio Raimondi, il quale ha raccontato come la lettura sia il modo migliore per incontrare l’altro; o di Boris Pahor, che ha narrato la storia di un sopravvissuto dalla Necropoli (questo il titolo del suo libro) dei campi di sterminio; passando per Paolo Giordano, Diego De Silva e Valeria Parrella, che ieri hanno messo a confronto le loro idee di Napoli, emerse anche nell’incontro che Marco Rossi-Doria, il maestro di strada, ha avuto con Eraldo Affinati. Letteratura e narrazioni sono state il perno dell’incontro di Alberto Arbasino, autore di L’ingegnere in blu, un ritratto di Carlo Emilio Gadda. Poi la letteratura ha lasciato il posto alla matematica, alla filosofia, all’architettura e alle performances - i comizi, ad esempio, lettura di testi del passato per la voce di scrittori contemporanei.
Il Festival si è radicato nella città e lascia un sedimento che dura tutto l’anno: il libro scelto per una serie di letture di qui alla prossima edizione è Amore e ginnastica di Edmondo De Amicis. Il testimone passa alla tredicesima edizione.
* la Repubblica, 8 settembre 2008