Comincia oggi il Festival della Teologia sul tema «Liberaci dal male».
Meno male, e così sia
Si apre oggi alle 17.30 a Piacenza, con l’intervento del vescovo Gianni Ambrosio, la prima edizione del Festival della Teologia, intitolato «...ma liberaci dal male». Subito dopo Enzo Bianchi tiene la sua «lectio magistralis». Altri invitati alla kermesse, che si chiude domenica: Paolo Prodi, Paolo Ricca, Piero Stefani, Elmar Salmann...
Domani (ore 10) il filosofo Salvatore Natoli e il teologo Luciano Monari si confrontano sulla domanda «Che c’entri con noi Gesù Nazareno?».
di BARBARA SARTORI (Avvenire, 16.05.2008)
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Natoli: aumentare lo spazio del bene significa guadagnare in felicità
« Contendere lo spazio al male vuol dire liberare spazio per il bene e nel far questo si guadagna già qui e ora felicità. Gesù indica con chiarezza che non si può essere felici da soli, che in un mondo dove alberga fame e violenza tutti gli uomini sono a rischio e non c’è felicità per nessuno». La figura di Cristo crocifisso che si spoglia completamente di sé per donarsi all’altro ancora oggi interroga e provoca anche chi il dono della fede non sente di averlo. Ne è certo Salvatore Natoli, docente di filosofia teorica all’Università di Milano Bicocca.
«Che c’entri con noi Gesù Nazareno?» è il grido di un indemoniato, di un uomo che viveva su di sé l’esperienza del male. Come declinerebbe oggi questa accusa- provocazione alla figura di Cristo?
«Nel mondo dove albergano fame e violenza tutti gli uomini sono a rischio e non c’è gioia per nessuno. Quindi la carità torna utile a tutti». «La dimensione del Cristo si è presentata fin dalle origini con la caratteristica di una persona che dà un annuncio di salvezza. E questo annuncio è rivolto proprio a chi è toccato dal male. Si tratta allora di capire cosa vuol dire salvarsi e da che cosa. Per chi non fa riferimento ad una trascendenza, la salvezza che Gesù porta consiste in una ’secolarizzazione dell’incarnazione’ ».
Cosa intende con questa espressione?
«Gesù sulla croce prende su di sé il dolore del mondo. La verità dell’incarnazione è data dal fatto che Gesù inaugura la possibilità di una donazione incondizionata. Gli uomini possono ad ogni momento e sempre ripetere il suo gesto: darsi per intero agli altri. La carità è dunque un modo per dar seguito all’incarnazione, per sperimentare il divino nell’uomo. Da questo punto di vista anche un laico può intendere la salvezza portata da Cristo».
Quindi ogni uomo che sa condividere il dolore diventa strumento di salvezza per l’altro...
«Siccome gli uomini sono naturalmente vincolati all’amore di sé, credono di potersi salvare da soli. Presi da una sorta di delirio di onnipotenza, perdono la loro dimensione costitutiva, che è quella di essere dio per l’altro uomo. Possiamo essere dio gli uni per gli altri se ci trattiamo come sacri, con rispetto, con devozione; se ci prendiamo reciprocamente in custodia, anziché divorarci. Ognuno di noi è portatore di salvezza per l’altro se vive in una posizione di disponibilità. Gesù, più che immagine dell’incarnazione di Dio, diventa allora immagine della divinizzazione dell’uomo».
Quali sono a suo avviso i demoni da cui l’uomo di oggi ha bisogno di essere liberato?
«Il demone è sempre uno, che è la radice di ogni peccato: l’idea di autosufficienza di cui parlavo prima, perché quando si pretende tutto, ci si sente in diritto di distruggere tutto. Una modalità di praticare il male nel nostro tempo sta nell’indifferenza nei confronti dell’altro, nell’ignoranza dei suoi bisogni. Ma dal momento che l’uomo si rivela a sé stesso in una relazione, questa indifferenza diventa anche misconoscimento dei nostri stessi bisogni ».
Ci sono dei mali che la tecnica è riuscita a lenire. Ma di fronte ai mali della vita che non si possono alleviare?
«Il dolore fa parte della nostra vita. Non possiamo far finta di niente, dobbiamo imparare a conviverci. La tecnica ha contribuito ad emancipare l’uomo da alcune malattie. I tempi della tecnica però sono lunghi, non corrispondono ai tempi della vita. Io devo quindi affrontare i dolori della mia vita, quelli che la tecnica non sa dominare, con le mie forze, con le mie capacità. Ma esiste un dolore che possiamo evitare. Ed è quello che gli esseri umani si infliggono gli uni agli altri. L’uomo coltiva l’illusione di salvarsi dalla morte dandola agli altri. Vediamo le guerre, imprese altamente tecnologiche, nelle quali l’altro da noi è percepito come nemico. L’uomo è sempre più illuso che procurandosi una riserva di ricchezza ingente, a scapito degli altri, riuscirà ad assicurarsi la vita e ad allungarla. L’unico modo per sfuggire a questo impulso negativo e incoercibile dell’uomo è percepire l’altro da sé come compagno di strada. Ecco di nuovo il tema cristiano della carità: la figura di Cristo torna ad esser attuale e insieme scandalosa. È facile essere devoti, non è facile essere cristiani».
Barbara Sartori
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Monari: i cristiani sono combattenti per l’unica liberazione che vale
DI BARBARA SARTORI (Avvenire, 16.05.2008)
«Non sempre l’uomo è umano. Accade che prevalgano in lui forze disumane di ingiustizia, odio, violenza, cattiveria. Si tratta di rifare l’umanità dell’uomo. Gesù può. Perché? Perché proprio lui dovrebbe avere questo straordinario potere di portare l’uomo alla sua piena realizzazione?». È un’obiezione legittima e diffusa quella che evidenzia il vescovo di Brescia (nonché vice-presidente della Cei) monsignor Luciano Monari leggendo, con la competenza del biblista, l’incontro di Gesù con l’indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, spunto per il suo intervento al Festival della Teologia.
Gesù inizia la sua vita pubblica con un esorcismo. Come mai?
«Il peggior segno dell’adattamento alla perdita della libertà è l’apatia spirituale, quando ogni cosa cala di senso e non appassiona più». «È significativo che il primo miracolo di Gesù nel Vangelo di Marco sia un gesto di liberazione. La figura dell’indemoniato è come uno specchio, nel quale siamo chiamati a vedere la nostra condizione. ’Uomo’ nella concezione biblica vuol dire ’immagine di Dio’. Dio chiama l’uomo che ha creato a partecipare alla sua santità. Qui, invece, l’uomo non è santo, è posseduto da uno spirito immondo, ossia radicalmente lontano da Dio. Ma, se uno legge il Vangelo, si accorge che le persone che Gesù incontra sono generalmente malati, peccatori o indemoniati, ossia persone in qualche modo schiacciate da una schiavitù o da una debolezza. L’uomo che incontriamo per la strada assomiglia all’uomo del Vangelo: conosce delle ferite, dentro e fuori. Quando la fede cristiana parla del peccato originale, vuole indicare che la condizione concreta dell’uomo è quella di un’esistenza ammalata, che fatica a ritrovare la sua unità, il suo volto, la sua bellezza».
Eppure l’indemoniato sembra perfettamente integrato nel suo tempo: è in un luogo sacro, la sinagoga, in mezzo alla gente...
«Accanto alle manifestazioni scalmanate di lacerazione del male, ci sono anche quelle che per certi sono più gravi, perché espri¬mono un’abitudine al male. Siccome l’uomo è una creatura adattabile, è capace anche di adattarsi al male, alla perdita della libertà. Il sintomo più grave da questo punto di vista è l’apatia spirituale, ossia quell’atteggiamento per cui qualunque cosa perde di significato, non appassiona più. Così non solo si finisce con l’adattarsi al male, ma lo si approva, lo si giustifica».
È l’incontro con Cristo, ieri come oggi, che può «scardinare» questa libertà solo apparente.
«Lo spirito immondo è in una casa che non gli appartiene, mentre afferma che quello è il suo mondo e che Gesù non c’entra. Gesù con l’uomo c’entra, eccome, perché l’uomo è immagine di Dio e Gesù è l’immagine vera di Dio. Se la parola di Gesù può operare la liberazione è perché nella parola umana di Gesù di Nazareth passa la parola stessa di Dio, l’amore di Dio».
«Liberaci dal male» e «non ci indurre in tentazione», ci insegna a pregare Gesù. Che cosa dice questa invocazione all’uomo di oggi, che, di fronte alla presenza del male nel mondo, vive tra scetticismo e un senso di impotenza?
«L’ultima domanda del Padre Nostro potrebbe sembrare una preghiera preoccupata. In realtà, esprime la consapevolezza di una situazione difficile, ma è una preghiera fiduciosa. Cos’è quella tentazione da cui chiediamo di essere liberati? È la prova sulla scelta decisiva della nostra vita, quando c’è il pericolo che la fede stessa nell’amore di Dio venga meno; quando il male, l’ingiustizia, la sofferenza presenti nel mondo ci fanno dubitare che l’amore sia illusione, che Cristo stesso sia stato un illuso, che non esista una verità per cui valga la pena offrire se stessi. È la tentazione dell’indifferenza, dello scetticismo, dell’incredulità assoluta. È la tentazione suscitata dalla croce».
Come vincere questa tentazione?
«Il cristiano può rispondere solo con la preghiera fiduciosa. ’Padre, non ci indurre in tentazione’, vuol dire che riconosciamo che Dio è più forte di ogni potenza di male e di ogni nostra fragilità, e che affidarci a Lui vuol dire ritrovare, anche nella lotta, la speranza di prevalere. Così quando preghiamo ’Padre, strappaci dal male’, intendiamo non solo una delle tante sofferenze della vita quotidiana, ma il male radicale che è l’egoismo, ciò che si oppone alla verità di Dio. Siamo dei combattenti, chiamati a lottare con una grande fiducia».
Sul tema, nel sito, si cfr::
Un confronto tra due ottiche differenti
Natoli e monsignor Monari: «Gesù conversione del cuore e luce di verità»
piacenza - Il filosofo Salvatore Natoli e monsignor Luciano Monari, vescovo a Brescia dopo aver trascorso tanti anni indimenticabili a Piacenza, in un confronto tra un non credente e un credente. La conferenza, ieri in un affollatissimo Duomo, è ruotata attorno alla lettura "Che c’entri con noi Gesù Nazareno?" (Mc 1,24).
Enrico Garlaschelli ha presentato i due illustri studiosi e ha dapprima ceduto la parola a Natoli: «Cosa Gesù Cristo dice a me, nel modo in cui concepisco il mondo? Si presenta come una soluzione, bisogna vedere in che termini ci si riferisce a lui. Il non credente recepisce Cristo al di fuori della dogmatica e dell’ortodossia cristiana. Gesù rappresenta la morale, colui che riesce a placare l’angoscia dell’uomo».
Dopo la lettura del versetto, Natoli si è soffermato su Gesù che si oppone al male demoniaco attraverso la conversione del cuore, che è un’indicazione di vita. «Più che di donare, si tratta di accogliere, ascoltare l’altro. Dai greci a Spinoza, il male che viene dalla natura non è imputabile. E, nel corso della vita, c’è l’esperienza del dolore: non è una conseguenza di una colpa, ma è colpa non condividerlo. Ecco cosa un non credente può farsi carico di Cristo. La storia migliora o arretra - ha concluso il filosofo - a seconda della nostra capacità di essere o meno egoisti. La parola chiave non è tanto speranza, ma perseveranza cioé la capacità di essere fedeli al reciproco servizio che, nel mondo pieno di negligenza, tende a sparire».
Monsignor Monari si è fatto Parola egli stesso, come accadde a Gesù, leggendo con intensità il testo di Marco, soffermandosi su come la vicinanza di Dio comincia a cambiare la vita delle persone: dai pescatori che smettono di lavorare allo spirito immondo che affronta Gesù e sul quale il figlio di Dio compie il suo esorcismo. «Il legame col demoniaco - ha spiegato monsignor Monari - è falso; il male può avvinghiarsi alla vita dell’uomo ma non può togliergli la radice di bene, legata all’atto creativo di Dio, che si trova nella Parola di Cristo».
Luciano Monari ha dunque ripreso l’atto creativo della Genesi: «E Dio vide che era una cosa buona», allargando il tema sull’umanità. «All’origine del male c’è odio per l’uomo, menzogna, rifiuto della verità che, come scrive Giovanni, è l’amore di Dio. Dio smaschera la mediocrità e l’egoismo umano: e qui, o l’uomo si converte o spegne la luce perché dà fastidio, mostra la paura della morte. Per certi versi - ha concluso Monari - questa paura è umanizzante perché invita l’uomo a compiere delle scelte, a costruire un’identità. Ma quando è un’ossessione, lo costringe ad aggrapparsi a tutto ciò che la vita offre, anche un bene da poco».
Eleonora Bagarotti
* LIBERTA’. Quotidiano di Piacenza, 18/05/2008
Le ragioni del credere oggi
Il Vescovo e Enzo Bianchi danno l’avvio al festival
di BETTY PARABOSCHI *
La teologia scende nelle piazze, torna alla cittadinanza: lo fa metaforicamente eppure in modo concreto e forte, attraverso un Festival che ha inaugurato la sua prima edizione piacentina. "...ma liberaci dal male", questo il titolo della rassegna organizzata dall’Associazione teologica cittadina in collaborazione con la Fondazione di Piacenza e Vigevano, il Comune, la Provincia, la regione Emilia Romagna e la diocesi di Piacenza e Bobbio; ma a contribuire sono stati pure Famiglia Cristiana, le edizioni San Paolo, l’associazione "Cenacolo", Scritture, Taschieri arredamenti, la libreria Berti e la tenuta vitivinicola Croci.
«Sono davvero tanti quelli che hanno creduto al progetto» ha esordito Enrico Garlaschelli, presidente dell’Associazione Teologica di Piacenza durante l’inaugurazione che si è svolta in un’affollatissima basilica di S. Antonino, «quello nato dal dialogo delle differenze e dal singolare radicamento della chiesa piacentina nella realtà della città»: chiese e caserme costituiscono la storia di Piacenza ed infatti ieri nella chiesa non mancava nessuno: presenti le autorità militari ed il sindaco Reggi, l’assessore Dosi e don Giuseppe Lusignani della diocesi di Piacenza e Bobbio, il questore Viana e tanti altri. Tanti i cittadini, intervenuti per assistere all’inaugurazione che ha visto protagonista proprio il vescovo della città, Gianni Ambrosio: c’è emozione ma anche tanta soddisfazione per un evento «che ha richiesto fantasia e coraggio nell’organizzazione» ha iniziato monsignor Ambrosio, «una manifestazione in cui la riflessione teologica presenta le ragioni del suo credere proprio nella piazza, illumina il mistero umano ed il senso di Dio».
Ed è forse questo il tratto caratteristico di un festival che si apre «a quelle tematiche antiche ma sempre attuali che sollecitano domande e risposte»: «è interessante la concomitanza creatasi fra la rassegna piacentina ed una mostra parigina che espone 350 opere sulle tracce del sacro nel XX e nel XXI secolo» ha continuato il vescovo, «perché entrambe le iniziative rappresentano un ritorno: nella nostra città, quello di una disciplina,nel passato "regina del sapere" che tuttavia in seguito è stata cacciata dalle università da quelle scienze che essa stessa aveva promosso; nella capitale francese ritorna invece un’arte che nel secolo scorso aveva dovuto interrompere il confronto con il senso della vita, della morte e della trascendenza».
Ma Ambrosio parla anche del male, il tema centrale della rassegna inteso «soprattutto come esperienza umana. Qualcosa che senza dubbio riguarda tutti» ha continuato, «proprio perché, sperimentato nelle sue diverse forme, con la sua abissale enigmaticità, fa parte dell’uomo».
Ed allora ad addentrarsi in questo enigma, che suscita continui interrogativi e «tentativi di risposte rinnovate ma mai soddisfacenti», è Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose e protagonista di una lectio magistralis andata in scena in S. Antonino e che proprio dal titolo della rassegna trae il nome: «nelle Sacre Scritture non troviamo una trattazione sistematica del male, ma una pluralità di visioni» ha spiegato Bianchi, «un interesse che si focalizza sulle vittime e meno sulla sofferenza». Questo il cardine della questione: una liberazione «che è escatologica. Può Dio abbandonare il fedele nella morte? L’invocazione esprime una speranza e richiede una lotta» conclude «ma il protagonista è Dio, mentre il credente deve acconsentire e partecipare».
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Parla Piero Stefani
«La Bibbia: un testo affascinante» *
piacenza - ...ma liberaci dal male: si intitola così il Festival della Teologia piacentino. Ma cos’è realmente il male? «Un’obiezione a Dio e nel contempo il bisogno di riferirsi a lui», risponde Piero Stefani, docente di Filosofia della religione all’università di Ferrara e protagonista oggi di una tavola rotonda con Ricca e Vignolo nell’ambito della rassegna teologica piacentina, «un argomento che contrasta Dio e che proprio attraverso la sua presenza è mostrato».
Ad emergere è dunque un tema «che ha un ruolo significativo nella tradizione cristiana» ed una disciplina, la teologia, che «deve essere riportata in un orizzonte pubblico»; ed in effetti la realtà attuale mostra un interesse progressivo per le questioni filosofiche e religiose: basti pensare al dibattito suscitato dalla questione «Israele, paese ospite della recente Fiera del Libro di Torino, anche se - evidenzia Stefani - le recenti polemiche hanno riguardato le ricadute sull’identità collettiva dell’appartenenza ad una tradizione religiosa. Problema diverso dalla teologia, intesa come una riflessione intellettuale su un dato di fede».
Ma con Stefani il discorso non può che coinvolgere anche la Bibbia, il testo di cui il docente è un accanito studioso e la cui lettura, almeno in Italia, resta sempre un po’ ostica: «E’ ancora così - spiega Stefani - perché la Bibbia fa riferimento ad una comunità di fede e fino al Concilio Vaticano II si pensava fosse necessario il controllo di un magistero mediante». E in effetti la "forma mentis" rimane la stessa: «C’è il disagio di una componente clericale davanti ai biblisti laici - confessa il docente - ma in parte il pericolo è giustificato: chi possiede una formazione catechistica normale trova un linguaggio diverso nella Bibbia e si chiede come si sono formate queste dottrine». Resta comunque l’idea di un testo profondamente affascinante, talvolta giudicato persino pericoloso al punto da essere vietato: se l’immagine della Bibbia al rogo è squisitamente controriformista, non si può dire altrettanto dell’uomo «annegato vicino a Ferrara alla fine dell’Ottocento e non benedetto dal parroco perché in tasca conservava una copia del Nuovo Testamento». Episodi arcani e umoristicamente anacronistici, che tuttavia non scalfiscono, ma anzi rafforzano l’importanza di «un testo sapienziale dell’umanità, un’opera che unisce l’intensità letteraria e poetica alla visione profonda dell’archetipo umano ed alla dimensione fideistica». b.p.
* http://quotidiano.liberta.it/ 17/05/2008