La zattera della medusa
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 18/5/2008)
Si è parlato molto, negli ultimi anni, della casta politica e delle sue cecità, dei suoi privilegi. Si è parlato della distanza che la separa dal cittadino, dal suo quotidiano tribolare. Si è parlato assai meno della malattia, vasta, che affligge l’informazione e il compito che essa ha nelle democrazie. Compito di chiamare i poteri a render conto, tra un voto e l’altro. Compito d’abituare l’opinione pubblica non a inferocirsi, ma a capire le complicazioni, a esplorarne le radici, a scommettere con razionalità su rimedi non subito spettacolari. Compito di formare quest’opinione, cosa che spetta all’informazione in quanto «mezzo che mette il cittadino a contatto con l’ambiente che sta al di fuori del suo campo visuale»: lo scriveva Walter Lippmann nei primi Anni 20, e la missione è sempre quella. La malattia non è solo italiana, sono tante le democrazie alle prese con un’informazione che fallisce la prova, che al cittadino non rende visibile l’invisibile, che dal potere politico si fa dettare l’agenda, le inquietudini, gli interessi prioritari. Che è vicina più ai potenti o alle lobby che ai lettori. Che alimenta il clima singolare che regna oggi nelle democrazie: come se vivessero un permanente stato di necessità - di guerra - dove per conformismo si sospendono autonomie, libertà di dire.
La grande stampa Usa si è fatta dettare l’agenda da Bush, per anni. La stampa francese per anni s’è dedicata ai temi prediletti da Sarkozy. Quel che ci rende originali non è dunque la malattia. È il fallire del sistema immunitario, che altrove generalmente funziona. Non sappiamo liberarci dalle patologie, dalle loro cellule.
Siamo immersi in esse con compiacimento, con il senso di potenza che dà l’ebbro sentirsi in branco: lo straordinario conformismo che disvelò Jean-François Revel (Pour l’Italie, 1958) non è scemato. In Italia c’è poca auto-stima ma anche poca analisi di sé. Un romanzo spietato come Madame Bovary è da noi impensabile. Quanto all’informazione, nulla che somigli alle autocritiche dei giornalisti Usa sull’Iraq, emerse quando Katrina travolse New Orleans.
L’informazione italiana non produce anticorpi atti a ristabilire un contatto con la società. Il risultato è palese, oggi, e lo storico Adriano Prosperi lo descrive con nitidezza: nel Palazzo «un venticello dolce di mutuo rispetto tra maggioranza e opposizione, un gusto della correttezza (...) un’aria di intesa e di pace». Fuori, intanto: una guerra tra poveri, e pogrom moltiplicati contro rom e diversi (la Repubblica, 16-5). Il guaio è che anche la stampa è Palazzo: incensa serenità politiche ritrovate e scopre, d’improvviso, una società inferocita da tempo, ormai indomabile dalla destra che l’ha sobillata.
L’enorme polemica suscitata da alcune affermazioni televisive del giornalista Marco Travaglio è sintomo di questa malattia, assieme alla violenza, impressionante, con cui alcuni si scagliano contro di lui (in primis un grande professionista d’inchieste giudiziarie come Giuseppe D’Avanzo). Il Paese traversa tifoni, e i giornalisti trovano il tempo di scannarsi a vicenda come fossero nell’ottocentesca Zattera della Medusa. Chi ha visto il quadro di Géricault, al Louvre, ricorderà la cupa zattera, dove pochi naufraghi pensarono di salvarsi a spese di altri. Su simile zattera sono oggi i giornalisti, mangiandosi vivi. L’istinto della muta è forte in tempi di necessità, di Ultimi Giorni dell’Umanità.
Ignoranza e mancanza di memoria sono tra i mali che impediscono di smettere il cannibalismo tra giornalisti e di suscitare un’opinione pubblica informata. Si ignora quel che succede nel Paese, e da quanto tempo. Il pogrom di Ponticelli non è un evento nuovo. Violenze di mute cittadine contro il capro espiatorio già sono avvenute il 2 novembre 2007, quando squadracce picchiarono i romeni dopo l’assassinio di Giovanna Reggiani. Già il 21-22 dicembre 2006 presidi cittadini incendiarono un campo nomadi a Opera presso Milano, approvati da un consigliere comunale leghista, Ettore Fusco, ora sindaco. E non erano violenze nate da niente, avevano anch’esse album di famiglia che chi ha memoria conosce: la tortura di manifestanti no-global a Genova nel 2001; gli sgomberi dei campi Rom attuati brutalmente dal Comune di Milano nel giugno 2005; le parole del presidente del Senato Pera contro i meticci nell’agosto 2005; le complicità del governo Berlusconi nel rapimento di Abu Omar e nella sua consegna ai torturatori egiziani.
Erano pogrom anche quelli del 2006-2007, e gli oppositori di allora non sapevano che a forza di aizzarli avrebbero suscitato i mostri che adesso, grazie all’allarme europeo, devono condannare. La perdita di memoria è stupefacente, ramificandosi s’espande. D’un tratto Berlusconi è «un’altra persona», al pari di suoi amici come Dell’Utri, Schifani. Non hanno dovuto fare ammenda: sono altre persone perché il conformismo fa letteralmente magie. Non si ricorda quel che è stato Berlusconi ancora ieri: come quotidianamente ha delegittimato Prodi, trascinando dietro di sé l’informazione. Di conflitto d’interesse non si parla più. Non si ricordano i trascorsi dei suoi uomini. I rapporti con la mafia o il vivere vicino a essa sono pur sempre una loro macchia. Travaglio ha avuto il cattivo gusto di non uniformarsi, di dirlo a Fabio Fazio su Rai3. Sta pagando per questo.
Fa parte del conformismo giornalistico il fascino per il potere (il vizio infantile descritto nel libro di Scalfari: non solo i buoni vincono ma chi vince è buono). E anche se il fascino esiste altrove, in Italia è diverso: proprio perché lo Stato è debole, la massima irriverenza verso le cariche repubblicane si mescola non di rado a riverenze esagerate (verso il presidente del Senato, anche verso il Capo dello Stato). L’usanza non esiste in regimi presidenziali come America e Francia.
Travaglio è un professionista che ha molto investigato, ma ve ne sono altri: Abbate che ha indagato su mafia e politica, o Peter Gomez, Gian Antonio Stella, Elio Veltri, Carlo Bonini, Francesco La Licata. Anche D’Avanzo è fra essi, e per il lettore non è chiaro perché si sia tanto accanito contro Travaglio, il cui carattere non è più spigoloso di altri astri giornalistici. Travaglio si è chiesto come mai un politico dal passato non specchiato sia presidente del Senato. Non è illegittimo. Ha violato il sacro della carica, ma la prossimità di Schifani alla mafia è già stata descritta da Lirio Abbate e Peter Gomez ne I Complici - in libreria dal marzo 2007 - senza che mai sia stata sporta querela. Berlusconi s’avvia a esser osannato allo stesso modo, metamorfizzandosi in tabù. L’antiberlusconismo non è più una normale presa di posizione politica; sta divenendo un insulto che disonora oppositori e giornalisti. Qui è l’altra originalità italiana. Nessuno si sognerebbe in America di accusare il New York Times o i democratici di anti-bushismo, nessuno in Francia denuncerebbe l’anti-sarkozismo di Libération o dei socialisti. Da noi lo spirito dell’orda è tale che ieri era indecente difendere Prodi, oggi è indecente attaccare Berlusconi.
Le precipitose scuse di Fabio Fazio non erano necessarie. Più appropriato è quello che ha detto dopo, su La Stampa del 13 maggio: «L’idea che si immagini sempre il complotto, la trama, fa pensare che non possa esistere la normalità; è come se non si riuscisse a concepire che in Italia c’è chi lavora autonomamente. Noi giornalisti non siamo dipendenti della politica. Semmai questo è un atteggiamento proprietario che ha la politica nei confronti dei cittadini». Che cos’è la normalità, per il giornalista? È non farsi intimidire, non lasciarsi manipolare dalla violenza con cui il presidente della Camera Fini giustifica, in aula, gli attacchi a Di Pietro («dipende da quel che dici»). È lavorare solo per i lettori: via maestra per fabbricarsi gli anticorpi che mancano.
Marco Travaglio - Ci pisciano addosso e ci dicono che piove...
La zattera della medusa (Wikipedia)
"Vous etes embarqué" (Blaise Pascal, Pensieri) ...... Come un certo numero di persone rifugiati in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie effettivamente si salveranno:
Storie italiane appese fra la madonna di Fatima e il razzismo imperante?
di Doriana Goracci
Tra tutte le cose scritte e che ho letto in queste giorni, questa mi appare, non come la Madonna, tra le cose più sensate che ho letto, è non è quella dei valdesi una posizione dell’ultima ora che condivido con stima rinnovata a chi come Maurizio Benazzi con la sua attivissima newsletter, se ne fà carico ogni giorno di trasmettere nella teoria e nella pratica.
Doriana Goracci *
Da: Newsletter Ecumenici
Ecumenici si rende conto della gravissima situazione creatasi in Italia da diversi anni sul fronte dell’informazione corrotta e corruttrice delle coscienze ad opera di giornalisti senza scrupoli, al soldo del potere economico e politico; comprendiamo che l’attuale clima di caccia allo straniero sta assumendo toni e una violenza inaudita, legittimata dal comportamento anche di organi istituzionali e col beneplacito trasversale di gruppi parlamentari. Spesso perfino (ma non sempre, grazie a Dio!) da quella che viene chiamata "la chiesa", che nella sua rincorsa per apparire sui media chiede sicurezza e ordine (le parole divenute ormai magiche nel linguaggio politichese italiano) ai suoi fedeli servi di partito. Al Governo e all’opposizione.
Riteniamo di non segnalare appelli generici contro il razzismo (che pur circolano in rete) ma di invitare le nostre lettrici e i nostri lettori a scrivere direttamente alla stampa estera per segnalare l’attuale situazione. L’unica via d’uscita ci sembra individuarla infatti nella mobilitazione internazionale di denuncia dell’Italia. Prendete carta e penna e iniziate a scrivere a tutte le redazioni di Londra, Madrid, Parigi, Berlino, Mosca, Lisbona, Atene, Vienna, Oslo,... Scrivete ad amici e conoscenti ovunque. Scrivete lettere, messaggi, scambiatevi corrispondenza, ... Coinvolgete anche gli organismi internazionali a Ginevra, quelli a livello CEE e/o ONU. Non abbiamo del resto altre strade per uscire dal vicolo cieco di un’informazione asservita al potere. Ci rimangono però l’inchiostro e le tastiere di una macchina da scrivere e quelle del tuo personal computer.
Se desideri impegnarti per una civiltà fondata sulla convivenza pacifica fra gli esseri umani, sei uno di noi. Noi non ti chiederemo chi sei e in chi o in che cosa credi o non credi. Non lo abbiamo del resto mai fatto. Sei un uomo, sei una donna. Questa è la tua dignità. Questa è l’essenza di tutto.
Maurizio Benazzi
Carissimi, vi trasmetto questo comunicato del CIEI ( Comitato Insegnanti Evangelici Italiani ),che dimostra il clima che stiamo vivendo in Italia.
Fraternamente, Franco Grassi
Modena, 13 maggio 2008
Distinto Assessore Dott.ssa Adriana Querzè,
siamo un’associazione di insegnanti evangelici (Comitato Insegnanti Evangelici Italiani) presenti anche nella provincia di Modena e desideriamo esprimere un parere in merito alla visita della statua della Madonna di Fatima nelle scuole modenesi.
Vogliamo innanzitutto ringraziarLa per la decisione da Lei assunta al riguardo e per le motivazioni che l’hanno giustificata. Come cittadini, come insegnanti e anche come cristiani evangelici siamo convinti che la laicità della scuola statale sia un valore da salvaguardare per la libertà di tutti, la cornice al cui interno si può trovare lo spazio per un confronto aperto ed equo tra culture, tradizioni e fedi di cui gli alunni e le loro famiglie sono portatori. Giustamente Lei si è richiamata alle norme vigenti che configurano una scuola laica, una religione facoltativa e l’inopportunità di promuovere iniziative di carattere confessionale che coinvolgano tutti gli alunni, cattolici e no.
Vorremmo anche esprimere il nostro dissenso nei confronti delle polemiche che sono sorte e che interpretano l’episodio alla luce del conflitto tra religioni, in questo caso tra italiani che si presumono cattolici e stranieri che sarebbero islamici o altro. Sottolineiamo che invece si tratta di una battaglia di civiltà tra coloro che abusano della loro forza (la maggioranza) per imporre alle Istituzioni una tutela clericale non richiesta e non lecita, e coloro che, essendo anche italiani e minoranze religiose, si vedono (loro sì) discriminati da innumerevoli piccole e grandi scelte che, operate da autorità succubi o compiacenti nella scuola laica, violano i valori dell’eguale rispetto e della libertà di coscienza.
Ci teniamo inoltre a precisare che il nostro scopo non è aggiungere paglia al fuoco delle polemiche, ma semplicemente offrire qualche elemento in più alla riflessione su un "caso" che ci sembra facile pretesto per la strumentalizzazione.
Infine desideriamo che questa lettera abbia un carattere "aperto" perché riteniamo utile far pervenire una voce "fuori dal coro" su un argomento di attualità così scottante, che spesso viene presentato in modo semplicistico e distorto. Non c’è solo il laicismo fanatico da una parte e il bigottismo cattolico dall’altra, ma fra i cittadini sono presenti posizioni molto più articolate e che dimostrano come la loro intelligenza dei problemi sociali non sia poi così limitata come appare dai resoconti dei mezzi di informazione.
Rinnovandole la nostra stima e il nostro apprezzamento, la salutiamo molto cordialmente.
Il Comitato Insegnanti Evangelici Italiani