Il parlamento egiziano ha approvato nuove leggi che proibiscono le mutilazioni femminili e fissano a 18 anni l’età minima di maschi e femmine per potersi sposare. Le nuove norme approvate sabato prevedono dai tre mesi ai 2 anni di carcere o una multa di 190-940 dollari per chi esegue l’infibulazione, pratica rituale che di fatto elimina per le donne la possibilità di provare piacere nell’atto sessuale con la totale o parziale asportazione della clitoride e delle grandi labbra. La norma sul divieto delle mutilazioni femminili, inserita nel testo che riguarda i diritti del bambino, è stata fortemente osteggiata dal movimento dei Fratelli Musulmani.
In base alla nuova normativa - che rientra in una legge sui diritti dell’infanzia ed è in vigore da lunedì- praticare l’escissione parziale o totale degli organi genitali esterni femminili è punibile con una pena da tre mesi a due anni di reclusione o una multa compresa fra 1.000 e 5.000 lire egiziane, cioè una cifra compresa tra i 118 e i 590 euro.
La nuova legge - che pure è un successo del movimento abolizionista per i diritti delle donne - precisa però che l’escissione può essere praticata in caso di «necessità medica», aprendo così la via ad interpretazioni che rischiano di ridurne di molto la portata. I difensori dell’escissione, una pratica che non ha alcuna base nei testi religiosi musulmani e cristiani, sostengono che essa è legittima quando gli organi femminili sono «troppo sporgenti» e che comunque è necessaria per preservare la virtù delle donne.
In Egitto il 96% delle donne, musulmane o cristiane, subiscono mutilazioni sessuali, secondo uno studio condotto dall’ufficio governativo demografico nel 2005 su donne fra i 15 e i 49 anni. L’anno scorso, in seguito alla morte di una bambina di undici anni per le complicanze di un’operazione di escissione nel governatorato di Minya nell’Alto Egitto, il ministero della salute egiziano aveva emanato un decreto che dichiarava illegale l’escissione genitale femminile in tutti gli ospedali e le cliniche private del Paese.
Novità rilevante anche per l’introduzione di una norma che permette alle madri nubili di registrare i figli all’anagrafe. Le nuove disposizioni sono state fortemente osteggiate dal movimento dei Fratelli Musulmani, maggiore forza di opposizione politica del paese arabo, che le accusano di «minare i fondamenti della famiglia egiziana». In precedenza, le giovani egiziane potevano contrarre matrimonio legalmente al compimento del sedicesimo anno di età, mentre i figli delle donne nubili erano destinati a non esistere per lo stato egiziano.
«I bambini non possono essere ritenuti colpevoli degli errori dei loro genitori» ha commentato il direttore del quotidiano governativo al Akbar «e senza un certificate di nascita il minore non può neanche frequentare la scuola». Di parere contrario Mohamed el Beltagy , parlamentare indipendente della Fratellanza musulmana, per cui le nuove norme «sono state imposte dall’esterno e contraddicono la nostra cultura, tradizione e religione».
* l’Unità, Pubblicato il: 09.06.08, Modificato il: 09.06.08 alle ore 19.31
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La legge.
Stop alle mutilazioni genitali femminili: in Sudan dire no ora è un diritto
L’Unicef: «Con la nuova norma le madri acquisteranno coraggio perchè finalmente si puniscono i responsabili, con 3 anni di carcere, multe e anche il sequestro del luogo dove sono mutilate le ragazze»
di Redazione Esteri (Avvenire, sabato 2 maggio 2020)
«Tante madri acquisteranno coraggio e anche le ragazze finalmente potranno gridare: “Opporci è un nostro diritto”»: è il grido di gioia di Salma Ismail, responsabile comunicazione e advocacy di Unicef in Sudan, sulla nuova legge che renderà reato praticare le mutilazioni genitali femminili (Mgf). «Finora tante donne e tante madri sono state spinte o costrette, volenti o nolenti, da norme sociali e tradizionali», ha sottolineato l’attivista rispetto alla pratica, diffusa soprattutto in Africa e in Asia. «Con la nuova legge le madri acquisteranno coraggio perché finalmente si puniscono i responsabili, con tre anni di carcere, multe e anche il sequestro del luogo dove sono mutilate le ragazze».
Secondo Ismail, le norme annunciate a Khartoum sono «un punto di partenza e non la fine dell’impegno» ma avranno comunque un impatto «sulle madri, le donne e le comunità nel loro complesso». L’attivista aggiunge: «Un ruolo essenziale al fianco di Unicef per la tutela delle donne sudanesi è stato ricoperto in questi anni dai donatori internazionali, in particolare dai governi di Italia, Svezia e Regno Unito».
Secondo uno studio pubblicato nel 2018, circa il 65 per cento delle sudanesi ha subito mutilazioni. La nuova legge è stata annunciata dall’esecutivo "di transizione" entrato in carica nel 2019, dopo la caduta del presidente Omar Hassan al-Bashir, al potere per 30 anni.
«Una svolta importante», per proteggere i diritti e la salute delle donne: così il viceministro degli Esteri, Emanuela Claudia Del Re, dopo l’annuncio del Sudan di una legge che renderà reato praticare mutilazioni genitali femminili. «Mi congratulo con il governo del Sudan per la criminalizzazione delle mutilazioni genitali femminili attraverso l’introduzione di un articolo specifico del Codice penale", ha scritto Del Re sui suoi profili social. «È una svolta importante: il Sudan protegge la dignità e l’integrità delle donne". La viceministra ha aggiunto: «L’Italia è felice di lavorare con il Sudan per porre fine alle Mgf".
Mutilazioni genitali settemila bimbe a rischio
In uno studio i dati choc sull’infibulazione in Italia
Oggi è la giornata mondiale contro questa pratica
I dati sono contenuti nel dossier «Il diritto di essere bambine»
IL FENOMENO L’usanza si è diffusa con l’incremento dell’immigrazione
LA TESTIMONIANZA «Spesso sono le stesse mamme a imporre quel supplizio alle figlie»
di Maria Corbi (La Stampa, 06.02.2012)
Ci sono cose che crediamo lontane dal nostro piccolo mondo sicuro. O forse siamo solo miopi rispetto a quello che ci circonda. Altrimenti non c’è spiegazione per lo stupore che colpisce come una lama quando si leggono le cifre raccolte dall’Albero della Vita in occasione della giornata mondiale contro le mutilazioni femminili, oggi: «In Italia a rischio 93.000 donne, fra cui più di 7.700 bambine».
Una cifra enorme, minuscola se rapportata al mondo dove ogni anno 140 milioni di donne sono sottoposte a queste pratiche barbare che ledono corpo, cuore, anima.
Il dossier «Il diritto di essere bambine» realizzato da L’Albero della Vita con l’Associazione Interculturale Nosotras, è una ferita anche per la società occidentale evoluta che deve fare i conti con il fenomeno dell’immigrazione. Per questo è partito nelle scuole (per adesso solo in Toscana) il progetto «pilota» di formazione e prevenzione. Per questo le parole di Gloria, una donna nigeriana sfregiata nella sua dignità quando era una bambina, sono oggi così importanti, la frattura di un muro di omertà. Gloria ha 35 anni, vive in Toscana e non si è mai sposata. Il pudore le impedisce di spiegare che anche la violenza che ha subito, quel coltello che le ha tolto un pezzo del suo essere donna, ha indirizzato la sua vita. «Voglio spiegare quello che mi è capitato perché non deve succedere più».
Gloria viveva in un paesino della Nigeria con sua nonna, una delle «ostetriche» locali che avevano il compito di incidere con la lama i genitali delle bambine per preservare la loro purezza. «Il coltello di nonna - racconta - doveva passare a me quando avessi avuto l’età per diventare io stessa l’aguzzina delle mie simili». Non c’è rancore nelle parole di questa donna che oggi ha deciso di aiutareil prossimo in Italia facendo l’infermiera. Lei ama sua nonna, una donna che aveva il limite di essere nata in un posto in cui le donne erano considerate ai suoi tempi solo forza da lavoro e da letto. Oggi che anche lì le cose sono cambiate, che ci sono donne in politica e negli affari, quello che non cambia è la consuetudine di imporre le mutilazioni alle bambine. Ne esistono di tre tipi, di ferocia diversa, dall’incisione al clitoride, all’asportazione delle piccole labbra, alla vera e propria infibulazione faraonica (cucitura delle grandi labbra per la restrizione dell’apertura vaginale).
In Egitto ancora oggi tra l’85 per cento e il 95 per cento delle donne ha subito l’infibulazione. In Somalia si sale al 98 per cento. Una donna non infibulata viene considerata impura, non riesce a trovare marito e rischia l’allontanamento dalla società.
Gloria ricorda il momento in cui decise che si sarebbe battuta contro questo orrore. «Avevo solo 11 anni quando ho assistito a una cerimonia in cui veniva mutilata una mia amichetta. Lei da neonata era stata male, era debole, per cui non le avevano praticato l’incisione. A nove anni invece la hanno considerata pronta e mia nonna mi ha detto che io dovevo fare parte del gruppo di donne che dovevano assistere al rito. Per spiegarmi per farmi accettare la cosa mi diceva che dopo una ragazza diventava più bella e pura. È stato terribile, un incubo che mi porto ancora dietro. In quel momento ho deciso che avrei combattuto per evitare ad altre donne questa ferita impossibile da rimarginare, soprattutto nella propria anima».
Gloria spiega che nonostante le leggi severe messe in campo dall’Italia per contrastare le mutilazioni genitali femminili, la battaglia è solo all’inizio. Un problema culturale, non religioso ed è una guerra tutta femminile. «Spesso gli uomini non sanno nemmeno di cosa si parla, a volte non sono neanche d’accordo. Mentre spesso sono le donne della famiglia che insistono perché le nuove leve abbiano questo marchio di purezza. Conosco a Firenze una signora del mio paese il cui marito è contrario a sottoporre la figlioletta alla mutilazione genitale. Ma lei mi ha detto chiaramente che quando tornerà al paese per le vacanze porterà con se la bambina perché venga “purificata”. Non vuole subire il disonore quando la piccola sarà adulta».