di Paolo Monelli, "Roma, 1943", Einaudi
"La notizia della riunione del Gran Consiglio, che s’era diffusa rapidamente nelle redazioni dei giornali, nel piccolo mondo dei gerarchi e degli intriganti, fra gente in condizione d’essere bene informata, era stata accolta con una certa tranquillità, si pensava che sarebbe stata una delle tante vacue cerimonie degli ultimi tempi.
Solo uno strano gruppetto vegliò fino a tarda notte all’Excelsior, e un curioso segugio che andava in giro a fiutar gli avvenimenti, e che s’era messo in sospetto vedendo due grossi pattuglioni di carabinieri scendere per via della Pinciana, ci riconobbe Felicioni presidente della Dante Alighieri, il generale Sacco, Asvero Gravelli, i due Baciocchi senesi che con la protezione di Ciano avevan fatto duecento milioni in pochi anni; erano agitati, impensieriti perché il Gran Consiglio non finiva più, andavano al telefono e tornavano con la faccia lunga, niente, dura ancora’.
[...] Ma per un altro milione di cittadini la notte fu una notte come tutte le altre; la domenica dopo una domenica come tutte le altre, con passeggio di gente rassegnata per le strade senza omnibus. Solo nel pomeriggio si cominciò a fiutare qualcosa nell’aria.
Via Veneto alle 18 è una radunata di persone che sussurrano e si fanno sussurrare segreti. Negli atri dei grandi alberghi appaiono e scompaiono persone affacendate, che lanciano parole a mezz’aria; ogni tanto un’automobile parte con fracasso, recando chissà dove un personaggio conosciuto. Mussolini è stato messo in minoranza al Gran Consiglio’, è partito per la Rocca delle Caminate’, si è radunato il consiglio della Conora’, queste e simili voci sono ormai insistenti.
[...] Gente che domani perderà l’impiego e il sonno saluta ancora sorridendo al passaggio, interrogata risponde con facili, serene previsioni. Molti si mostrano scettici. Vedrai che ritorna’. Al caffè Aragno fra le nove e le dieci i clienti abituali, giornalisti, artisti e letterati, discutono vivacemente; è curioso vedere che molti hanno ancora il distintivo del partito fascista all’occhiello della giacchetta bianca o grigia.
Il poeta Cardarelli sta rintanato in un angolo, immobile, estraneo al tumulto. Un giornalista gli rivolge la parola: Lei che ne pensa?’. Un senatore della milizia che è vicino, in uniforme, armato, si volta di scatto: Non si dà più del Lei’, grida. Parlo come mi pare’, risponde il giornalista, l’altro ribatte: Cosa avete stasera che sembrate tutti matti?’, due o tre lo spalleggiano. Mario Pannunzio gli rompe una sedia sulla testa, il tafferuglio s’allarga, volano vassoi, si rovesciano tavolini, si spaccano bottiglie, l’ufficiale della milizia non si vede più, sepellito sotto una piramide di seggiole; in quel momento entra trafelato Corrado Sofia: Hanno arrestato Mussolini - grida - hanno arrestato Mussolini’, sembra la fine della Cavalleria Rusticana. Il trambusto diventa un bailamme di evviva, di urli, di abbracci, tutti si riversano fuori sulla strada, vogliono correre ai giornali per le altre notizie.
I cittadini aprono la radio alle 22,45, per il solito giornale radio di quell’ora e non odono nulla. Insospettiti del silenzio, non girano subito il bottone. E qualche minuto dopo si ode la voce degli appelli, delle esaltazioni, dei bollettini di guerra, quella che il popolo chiamava la voce littoria’, annunciare senza preambolo: Sua Maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro segretario di stato, di sua eccellenza il cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato capo del governo, primo ministro segretario di stato il cavaliere maresciallo d’Italia Pietro Badoglio’. [...] E finalmente Roma si desta, capisce di che cosa si tratta. Il silenzio della notte estiva è subito rotto da canti, da grida, da clamori. Quel gruppo uscito da Aragno risale il Tritone, urlando con pazza esplosione: Cittadini, sveglia, hanno arrestato Mussolini, a morte Mussolini, abbasso il fascismo’."
Sul tema, in rete e sul sito, si cfr.:
CRAC PARMALAT
Quirinale: "Tanzi è indegno"
Revocato titolo di cavaliere
Il presidente della Repubblica accogliendo la proposta del ministro dello Sviluppo economico ha cancellato l’onorificenza al merito del lavoro conferita all’ex patron della Parmalat nell’84
ROMA - Calisto Tanzi non è degno del titolo di Cavaliere del Lavoro. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, accogliendo la proposta del ministro dello Sviluppo economico, ha firmato venerdì scorso il decreto di revoca "per indegnità" della decorazione di Cavaliere al Merito del Lavoro, che era stata conferita all’ex patron della Parmalat il 2 giugno 1984, con decreto firmato dall’allora Capo dello Stato, Sandro Pertini.
Dopo le complesse vicende del crac della Parmalat e delle condotte tenute dal fondatore e presidente dell’azienda (per le quali Tanzi è già stato condannato 1 a Milano) il ministero dello Sviluppo economico aveva chiesto di cancellare l’onorificenza ritenendo che sussistessero "le condizioni previste dalla legge per la revoca". Sarà ora lo stesso ministero di via Veneto, come si afferma nel decreto presidenziale, a curare la trascrizione del provvedimento nell’albo dell’ordine, oltre che a farlo pubblicare nella Gazzetta Ufficiale.
Nell’agosto scorso il presidente aveva tolto all’imprenditore responsabile del gigantesco fallimento di migliaia di risparmiatori anche il cavalierato della Gran Croce