Vigili a piedi e vie al buio
Catania sull’orlo del crac
Sperperi e organici gonfiati. Il sindaco si appella al premier *
L’elefantino simbolo di Catania è salvo: una mano pietosa ha rimosso l’asta su eBay («Causa dissesto finanziario vendesi statua raffigurante un elefante conosciuta come U Liotru») indetta da un feroce burlone. Resta da salvare Catania. Il che, al momento, appare più complicato. Basti dire che i cittadini risultano avere un debito municipale di 3.379 euro a testa. Pari quasi a quello dei tarantini, il cui Comune è sprofondato nell’abisso umiliante del dissesto finanziario. Abisso che i catanesi vedono ormai prossimo. Di giorno, s’intende. Di notte, infatti, non vedono più niente: stufa di aspettare il pagamento delle bollette, l’Enel ha tagliato la luce a larga parte dei lampioni cittadini. Anche e soprattutto nei quartieri a rischio.
Al punto che La Sicilia, qualche settimana fa, è arrivata a esultare amara per il ritorno dell’illuminazione il giorno della festa della patrona: «Sant’Agata “riaccende” Catania / Ma subito dopo è tornato il buio». «Chi di munnizza ferisce di munnizza perisce», sospirava venerdì sera qualche passante in piazza Duomo, davanti ai cassonetti di spazzatura rovesciati in mezzo al salotto buono della città dai dipendenti di una delle cooperative di netturbini senza stipendio da un mese.
E questo è il tema al quale si aggrappano i cittadini etnei: possibile che Silvio Berlusconi, dopo aver fatto un figurone rimuovendo la spazzatura nelle strade di Napoli, si esponga davvero al rischio che proprio Catania, cioè la città dove nella primavera 2005 la destra riuscì ad arroccarsi e a resistere dopo una serie di vittorie della sinistra che sembrava inarrestabile, sia sommersa dai rifiuti e travolta dalle proteste di piazza? Possibile che non riesca a fare un miracolo per salvare dalla catastrofe il municipio governato dall’aprile del 2000 e fino a tre mesi fa proprio dal suo medico di fiducia, Umberto Scapagnini? «E che c’entro io? - è sbottato ieri con Il giornale di Sicilia l’ex sindaco, famoso anche per le sue fortune galanti, presentandosi alla riunione convocata dal suo successore con tutti i parlamentari cittadini -. La situazione era già grave prima e noi siamo stati martirizzati dal governo di centrosinistra che ci faceva arrivare in ritardo i finanziamenti. Colpa loro e della Sovrintendenza, che ha impedito che vendessimo degli immobili che ci avrebbero permesso di tenere i conti in ordine ».
Dunque? «Dunque sono d’accordo: facciamo una commissione d’inchiesta e vediamo ». Un rapporto della Corte dei Conti, datato a giugno nei giorni delle dimissioni di quello che la sinistra ha ribattezzato per l’effervescenza «Sciampagnini », offre una versione diversa. E denuncia «gravi irregolarità », «carente attendibilità delle scritture contabili », «indeterminatezza delle risorse », «insufficienza delle risorse destinate al bilancio 2003»... E così via. Fino a precisare che la Sovrintendenza, a proposito di quegli immobili che il Municipio voleva vendere per tappare un po’ di buchi (resta indimenticabile il dirottamento alle casse catanesi di soldi tolti dai fondi dell’8 per mille per pagare tra l’altro i ballerini brasiliani che avevano danzato sotto l’Etna per la gioia di Surama De Castro, la bella carioca che allietava il primo cittadino) aveva verificato la loro «appartenenza al patrimonio indisponibile». Di più, bacchettavano i magistrati contabili: la situazione già a giugno appariva «fortemente compromessa » per la «mancata tempestiva soluzione dei gravi problemi manifestatisi ben prima del 2003». Quando al governo, per capirci, non c’era la sinistra ma la destra.
In una recentissima lettera a Berlusconi, Raffaele Stancanelli, il sindaco che proviene da An, chiede aiuto per «la difficilissima e gravissima situazione in cui versa il Comune di Catania per l’enorme situazione debitoria che ho ereditato e che ammonta a euro 357.000.000 a cui va aggiunto l’indebitamento complessivo delle società partecipate pari, al 31/12/2007, a euro 100.511.475; ed in queste somme non è compreso il debito residuo». Il quale, come si legge in una relazione della Ragioneria Generale alla Corte dei Conti, firmata mercoledì dallo stesso sindaco, aggrava il buco di altri 549.709.272 euro. Totale: oltre un miliardo e sette milioni di euro. Pari, appunto, a quei 3.379 euro di «rosso» pro capite di cui dicevamo. Quasi seicento (dati Standard & Poor’s) più di ogni milanese, quasi mille più di ogni romano. «Dalle fredde cifre che ho elencato si evince una situazione che pesa come un macigno sulla città», scrive Stancanelli. E si sfoga: «Un’Amministrazione che non riesca a soddisfare i tanti fornitori che vantano crediti per oltre 170 milioni di euro (con inevitabili ricadute sulla stessa vivibilità, con mezza città al buio, strade dissestate, servizi sociali allo sbando, notevoli ritardi nei pagamenti degli stipendi, scuole sfrattate per morosità, etc. etc.) non può aspirare ad alcun futuro».
Gli esempi del progressivo degrado, sotto l’occhio di Francesco Bruno che fa insieme il ragioniere generale del Comune e della Provincia fino a ieri governata dal potente Raffaele Lombardo, non si contano. Vigili urbani che per motivi elettorali sono stati via via promossi in massa col risultato che oggi su 540 poliziotti municipali solo 5 sono vigili semplici e 535 ispettori i quali, sia pur carichi di onori, devono uscire in strada il meno possibile perché spesso mancano i soldi per la benzina.
Organici gonfiati a dismisura tanto che oggi, dopo la sistemazione di altri duecento Lsu per l’80% stipendiati dalla Regione e presi in carico nonostante mancasse la copertura finanziaria, c’è un dipendente comunale ogni 72 catanesi. Stipendi distribuiti facendo i salti mortali o non distribuiti affatto, come quelli dei tre revisori dei conti ai quali il Municipio (così imparano a volere mettere il naso...) non solo ha tolto l’ufficio ma ha smesso di pagare il dovuto. Due milioni di premi di produzione (il responsabile del personale è stato sospeso solo ieri) distribuiti ai funzionari per i «brillanti» risultati. Consulenze strampalate come quella da 24 mila euro data («consulente per lo sviluppo industriale ») a una sventola ventenne nota per essere stata Miss Eritrea. Per non dire delle municipalizzate.
Lo scrive, nel suo sfogo a Berlusconi, lo stesso sindaco: «Con quale autorevolezza si potrà intervenire drasticamente sulle società partecipate, vera piaga non solo del bilancio, sol che si consideri come l’energia, fattore di ricchezza e di guadagno in tutto il mondo, sia diventata a Catania causa di dissesto economico e di diffuso clientelismo?» L’ultimo bilancio consuntivo dell’Amt, l’azienda municipale dei trasporti, si riassume in poche cifre: tre milioni di viaggiatori (il 10%) persi in un anno, una vendita di biglietti che non arriva a coprire neppure un quinto dei costi (oltre un terzo, a Milano), un buco salito nei soli ultimi cinque anni a quasi 83 milioni di euro. Vale a dire 83 mila euro per ogni dipendente.
Insomma: un disastro tale che perfino Enzo Bianco, cioè l’uomo che aveva sfidato la destra alle comunali del 2005 e che dell’amministrazione di «Sciampagnini» pensa il peggio del peggio, si è spinto a scrivere a Tremonti pregandolo, al di là delle responsabilità del dissesto che devono essere accertate, di «adoperarsi, in quanto titolare del dicastero azionista di riferimento della Cassa Depositi e Prestiti, affinché questa possa dare una riposta positiva alla richiesta di dilazione dei mutui».
Quanto sia profondo il precipizio spalancato davanti, del resto, lo ammette lo stesso sindaco Stancanelli (confortato da Berlusconi con parole rassicuranti) che nella missiva alla Corte dei Conti di mercoledì, dopo essersi lamentato di come il ministero dell’Economia abbia liquidato la sua richiesta di un via libera sul piano di risanamento dicendo di «non essere l’autorità deputata ad esprimere pareri» e dopo aver criticato la durezza dell’Istat che quel piano gli ha bocciato, paventa che Catania precipiti entro settembre «in uno stato di dissesto ineludibile ». Una crisi, scusate la battuta, al buio.
Gian Antonio Stella
* Corriere della Sera, 20 settembre 2008
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Il governo interviene per sanare il buco dei conti comunali. Il procuratore: l’ombra della mafia
Grandi manovre per recuperare altri fondi: si parla di aree agricole rese edificabili
Il Cavaliere salva Catania
con un regalo da 140 milioni
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI *
CATANIA - Il silenzio cupo della più grande città della Sicilia che è a oriente stasera sarà rotto da una strepitosa e strepitante "muschitteria". Si intende per "muschitteria" ? in stretto dialetto catanese ? lo scoppio dei petardi che prelude ai fuochi di artificio. Con 140 milioni di euro gentilmente donati da Berlusconi qui è come se quest’anno fosse arrivata un’altra volta Sant’Agata.
Per un mese o due Catania l’hanno salvata. No, Catania non era sull’orlo del crac: Catania era già fallita. Dopo mesi di luci spente persino sulla via Etnea, dopo i vigili appiedati per la benzina che era finita, dopo i quartieri in putrefazione per quelle montagne di rifiuti che nessuno raccoglieva più, un primo finanziamento (a fondo perduto) fa respirare per un po’ i catanesi e grazia per il momento i suoi amministratori spensierati e spendaccioni. Pieni di debiti, inseguiti dai creditori. Autisti, librai, trasportatori, giornalai, ristoratori, albergatori, maestre e pure ballerine brasiliane.
E’ stato proprio un bel regalo. Se lo aspettavano e non se lo aspettavano, avevano annusato che il ministro Tremonti aveva puntato i piedi per non farglielo avere, però sotto sotto tutti lo sapevano che il Presidente del consiglio in qualche modo avrebbe "perdonato" il suo farmacologo personale e quei proconsoli catanesi che fra sperperi e organici gonfiati avevano affossato la loro città. Il comunicato ufficiale come al solito è stato secco: "Il comitato interministeriale per la programmazione economica ha disposto uno stanziamento di 140 milioni per far fronte all’emergenza finanziaria dell’Ente". Centoquaranta. Per sistemare i conti ne servirebbero secondo alcuni 300 ancora, secondo altri ce ne vorrebbero almeno 700 e forse di più.
E’ un supercrac. Se mai pioveranno un’altra volta finanziamenti come manna dal cielo, allora - e soltanto allora - al Comune di Catania potranno ricoprire la voragine e dimenticare come dallo splendore la città è stata risucchiata in un gorgo. Non sono spiccoli ma basteranno per poco tempo e per poche cose.
Per ora potranno partire gli accrediti in banca per i 4500 dipendenti comunali, per ora il regalo di Roma tapperà qualche buco e onorerà qualche "pagherò". Il vero mistero è cosa accadrà alla vigilia di Natale. A Catania attendevano un’"anticipazione" di 70 milioni e l’omaggio si è rivelato doppio del previsto, ma il declino della città è già segnato. Per i soldi che servono e che ancora non ci sono, per le guerre intestine che si sono scatenate intorno alla bancarotta, per le voci che proprio in queste ore si rincorrono sulle grandi manovre nel tentativo di recuperare altro denaro. Per non finire a pezzi.
Si parla di speculazioni edilizie, di trasformare con un colpo di bacchetta magica aree agricole in edificabili, qualcuno dice che qualcun altro stia progettando un altro grande "sacco" di Catania. Altro che la Playa come Copacabana, la famosa spiaggia catanese che l’ex sindaco Umberto Scapagnini - "Sciampagnino" lo chiamavano i catanesi - voleva far diventare una piccola grande colonia carioca. Altro che piste da sci nella discesa di Piazza Stesicoro.
A Catania pochi minuti prima del cadeau di Berlusconi i bambini pagavano ancora 4 euro per mangiare all’asilo, all’economato del Comune non erano partiti i mandati di pagamento per lo stipendio di settembre, i "cassamortari" - quelli delle pompe funebri - non consegnavano gratis le loro bare al cimitero. Tutto il resto è andato come doveva andare.
La prima dichiarazione alla notizia del dono per Catania è stata quella del suo sindaco, il senatore del Pdl Raffaele Stancanelli: "E’ un successo per la nostra città. Con questi fondi si potranno chiudere i disavanzi fino al 2006. Ma bisognerà cominciare a rimboccarsi le maniche e a lavorare tutti insieme con grande rigore. Ringrazio tutti per questo risultato ottenuto, anche quelli che a questa soluzione non credevano ma alla fine si sono accodati".
La seconda dichiarazione è stata quella del presidente della Provincia Giuseppe Castiglione: "L’impegno del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato mantenuto in tempi brevi. Ma l’intervento del Cipe non risolve tutti i problemi finanziari del Comune". Poi però Castiglione lancia la sua freccia velenosa: "Questo intervento del Cipe, che sottrae fondi agli investimenti, deve rimanere un intervento assolutamente straordinario e non può diventare la regola o una speranza per alcuni amministratori pubblici per ripianare situazioni d’emergenza". Segnali di guerra.
Fra quello (Stancanelli, in quota An) che alla scadenza delle candidature doveva finire alla Provincia e quell’altro (Castiglione, in quota Forza Italia) che era stato designato sindaco. Dalla notte all’alba uno si è ritrovato al posto dell’altro. E da lì è iniziata una ferocissima e sotterranea battaglia quotidiana su come spartirsi Catania e i suoi debiti presenti passati futuri.
Indovinate chi era nascosto alle spalle di tutti? Sì, proprio lui: il governatore Raffaele Lombardo. Prima di insediarsi a Palermo - non si mai, la lontananza - ha voluto imporre a tutti i costi in Comune (dove di Scapagnini è stato vice sindaco) un suo uomo. Su quello che c’era ancora da "dividersi" in quegli anni a Catania la verità è affiorata fino in fondo soltanto dopo. Al Comune e nelle "partecipate".
Solo l’Amt, l’azienda trasporti, ha accumulato un deficit di 157 milioni di euro. Sprechi, assunzioni pilotate, spese folli per consulenti, telefonini, viaggi. La Corte dei Conti a giugno ha denunciato tutte le "gravi irregolarità", la "carente attendibilità delle scritture contabili", l’"insufficienza delle risorse destinate ai bilanci.. ".
Un buco sempre più profondo, anno dopo anno dal 2003 in poi. Con un’inchiesta della magistratura che ha già coinvolto una quarantina di personaggi, fra i quali gli ex assessori al Bilancio e e naturalmente l’ex sindaco Scapagnini. E’ un’inchiesta che va avanti. "Certo che stiamo indagando ancora sul buco in bilancio al Comune", dice il procuratore capo della repubblica di Catania Vincenzo D’Agata. E poi scaglia all’improvviso un sasso: "E’ un’inchiesta lunga e complessa e io spero che non ci siano connessioni con la criminalità organizzata". E’ solo un sospetto.
E’ solo un’ombra mafiosa che si allunga anche sul fallimento di Catania.
* la Repubblica, 1 ottobre 2008