[...] In fondo, mentre l’idea di giustizia, nella sua astratta formulazione, è immanente nell’uomo, i sistemi concreti per la sua attuazione sono storicamente dati, e dunque transeunti. Qualcuno dovrà pur sempre giudicare, s’intende: ma perché un giudice? In fondo, un funzionario dotato di un bagaglio di competenze tecniche è facilmente fungibile: con un amministratore pubblico, un giornalista, un esperto di mass-media, un hacker, quisque de populo estratto a sorte da un sofisticato grande fratello oppure, perché no, un’intelligenza artificiale opportunamente programmata.
E i giudici? Quelli che "non ci stanno" tutti a Siena: a contemplare, mescolati a milioni di altri esseri umani antropologicamente consonanti, le Allegorie del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti (XIV secolo). La prima opera civile dell’arte italiana, secondo Argan. Dove per Buon Governo s’intende nient’altro che la separazione dei poteri, e cattivo è il governo nel quale il Tiranno cerchi di attrarre nella propria sfera di controllo, dominandola, la Giustizia. A contemplare, con nostalgia quell’antica saggezza in via di liquidazione. Chiedendosi per quale scherzo del destino siano nati nel tempo, e forse nel paese, sbagliati [...]
Toghe e politici
In un sistema democratico un magistrato libero è un magistrato scomodo
Finché i giudici sedevano alla mensa dei potenti nessuno li accusava di tentazioni golpiste
di Giancarlo De Cataldo (l’Unità, 10.1.2009)
Ciò che definiamo crisi della giustizia non è altro che la conseguenza inevitabile della combinazione di alcuni principi fondamentali del nostro sistema costituzionale a proposito del potere giudiziario». Così, a metà degli anni Ottanta, Giovanni Tarello, compianto studioso liberale. Una crisi strutturale tra i poteri dello Stato è fisiologica, se il giudice è soggetto alla legge e il PM non dipende dall’esecutivo; se la Corte Costituzionale può essere attivata da un singolo magistrato nel corso di un singolo processo; se il CSM è il garante irresponsabile (verso il Parlamento) dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. Poteva quindi ben concludere Tarello che esiste «una crisi, o disfunzione, endemica, perché indotta da strutture che determinano comunque tensioni tra i poteri». I giudici, insomma, sono politicizzati e inaffidabili per qualunque maggioranza politica perché i meccanismi costituzionali possono di per sé determinare uno stato di attrito permanente tra i poteri politico e giudiziario.
Si potrebbe obbiettare che la Costituzione risale al ’48, e tutto ha funzionato perfettamente sino a metà degli anni Sessanta: o, se si vuole, che sino a questa data i giudici erano ancora sani di mente e antropologicamente compatibili con il sistema. Obiezione respinta. Il sistema, pur contenendo in sé il germe della crisi, ha retto finché tra i poteri è esistita un’armonia «culturale» che ne mascherava il difetto di fabbricazione. Finché i giudici - tutti i giudici - sedevano, gai commensali o convitati di pietra, alla mensa dei potenti, nessuno si sognava di accusarli di tentazioni golpiste. È stato il dinamismo indotto dalle trasformazioni sociali degli anni Sessanta a mettere in moto la macchina costituzionale. La liberalizzazione degli accessi ha promosso un diffuso interclassismo in carriere un tempo riservate ai gruppi dirigenti.
L’ingresso delle donne in magistratura (metà anni ’60) ha portato alla ribalta temi prima negletti. Parte della corporazione ha mostrato una forte ricettività verso i fermenti in atto nella società civile. Alcuni dei tradizionali sistemi interni di controllo (l’autorità dei capi, la funzione uniformatrice della Cassazione) sono stati ridimensionati, altri (promozioni e avanzamenti di carriera) pretermessi del tutto. Un complesso di fattori ha dunque reso i giudici, non tutti, ma buona parte di essi - non più malleabili, non più governabili come un tempo: in una parola, culturalmente distonici, e, dunque, antropologicamente diversi.
Per certi strati della società siamo dei «traditori di classe»; per altri resteremo sempre, qualunque sia la nostra evoluzione, il braccio secolare della repressione, i tradizionali alleati del Potere. Della forte dialettica interna che attraversa la Magistratura filtra, all’esterno, poco o niente. Alcuni vorrebbero proprio fare a meno di noi; altri si rifugiano nel rimpianto di una figura idealizzata, e non so quanto autentica, di alto, nobile, ieratico magistrato d’antan. Il custode della proprietà privata e della rispettabilità borghese.
Da vent’anni a questa parte si fanno, o si annunciano, riforme che si basano tutte su due cardini: da un lato, rimodellare la Costituzione, in modo da dirimere, una volta per tutte, l’endemico conflitto tra i poteri; dall’altro, ridefinire il ruolo e la figura «sociali» del magistrato. Il sistema ne risulta squilibrato, stressato da un continuo «stop-and-go» nel quale si inseriscono furberie, espedienti, regolamenti di conti, improvvise «illuminazioni» che mutano accaniti «giustizialisti» in angelici garantisti (prassi molto diffusa, di recente, a sinistra).
Ma poiché, per un’elementare legge fisica, nessun sistema può sopravvivere a lungo in condizione di crisi, presto si dovrà raggiungere il sospirato punto di equilibrio. Separazione delle carriere; controllo del PM da parte dell’Esecutivo; azione penale discrezionale; mutazione genetica del CSM; ripristino della funzione «nomofilattica» della Cassazione; modifica dei meccanismi di selezione professionale; reclutamento degli avvocati anziani; recupero dell’autorità dei capi; meritocrazia reddituale: queste le ulteriori riforme che si rendono necessaria al completamento dell’opera. Tutte sono già da tempo nell’agenda politica, e prima o poi, in tutto o in parte, verranno varate.
Intendiamoci: in una democrazia rappresentativa, sono gli elettori, in ultima analisi, a scegliersi il proprio modello di magistrato. Ma sarebbe quanto meno corretto informare i cittadini delle conseguenze. Alcuni dei modelli proposti sono già stati sperimentati altrove, e con esiti ben noti: il giudice eletto dal popolo, per esempio, piuttosto che all’osservanza delle leggi punterà - fatto umanamente comprensibile e politicamente previsto dagli architetti del sistema - alla sua rielezione. O a fare comunque carriera in politica.
Il primato della legge sarà inesorabilmente sostituito da quello del sondaggio. Qualcuno, magari un ricco imprenditore, sovvenzionerà generosamente la sua campagna elettorale. Il giudice eletto gliene sarà grato. Idem per quanto riguarda il Pubblico Ministero, legato alla maggioranza di governo, sia esso regionale, federale o nazionale, nonché esecutore incaricato di un «programma di politica criminale» che poi, alla scadenza del mandato, viene sottoposto al giudizio degli elettori.
Facile, in una siffatta strutturazione, un cursus honorum all’insegna della piena osmosi fra politica e giustizia: chiamatelo, se vi piace, do ut des istituzionale. Potrebbero persino, in una simile prospettiva, essere riesumate antiche leggi nazionali, come la nr. 2300 del 24.12.1925, norma grazie alla quale Mussolini dispose la dispensa dal servizio dei magistrati che «per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori ufficio non dessero piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si ponessero in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo». Eletto o nominato dal Governatore, e non più vincitore di concorso; soggetto alle leggi, ma previa autorizzazione governativa; dipendente dalla maggioranza all’esterno e pesantemente responsabile verso gli anziani capi negli interna corporis, il nuovo giudice sarà laborioso, fedele, silenzioso, felicemente ignorante. Potrà lavorare in santa pace, finalmente, questo nuovo giudice, così simile, per tanti versi, al modello tradizionale impresso nel DNA della collettività?
In altri termini: cambiare la Costituzione e modificare i giudici servirà a far tornare la pace nel mondo della giustizia? Quando penso alle tensioni che in tutti i Paesi a noi più vicini, dalla Spagna, alla Francia, al Belgio agli stessi USA, attraversano il rapporto tra politica e giustizia; quando penso che in tre quarti del globo i diritti umani sono sistematicamente ignorati; quando penso che in Sudafrica, per superare la guerra civile, hanno semplicemente fatto a meno dei processi contro i torturatori, non posso fare a meno di chiedermi se anche la rivoluzione che stiamo vivendo non sia che una tappa di avvicinamento a qualcosa di ancora più radicale, di quasi definitivo.
In fondo, mentre l’idea di giustizia, nella sua astratta formulazione, è immanente nell’uomo, i sistemi concreti per la sua attuazione sono storicamente dati, e dunque transeunti. Qualcuno dovrà pur sempre giudicare, s’intende: ma perché un giudice? In fondo, un funzionario dotato di un bagaglio di competenze tecniche è facilmente fungibile: con un amministratore pubblico, un giornalista, un esperto di mass-media, un hacker, quisque de populo estratto a sorte da un sofisticato grande fratello oppure, perché no, un’intelligenza artificiale opportunamente programmata.
E i giudici? Quelli che "non ci stanno" tutti a Siena: a contemplare, mescolati a milioni di altri esseri umani antropologicamente consonanti, le Allegorie del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti (XIV secolo). La prima opera civile dell’arte italiana, secondo Argan. Dove per Buon Governo s’intende nient’altro che la separazione dei poteri, e cattivo è il governo nel quale il Tiranno cerchi di attrarre nella propria sfera di controllo, dominandola, la Giustizia. A contemplare, con nostalgia quell’antica saggezza in via di liquidazione. Chiedendosi per quale scherzo del destino siano nati nel tempo, e forse nel paese, sbagliati.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La grammatica violata
di FRANCO CORDERO *
BENEDETTO Croce, coltissimo e ricco signore con largo ascendente nella cultura novecentesca, aveva manifestato qualche vaga simpatia al fascismo emergente, castigatore delle mattane sovversive, ma cambia avviso vedendo come il castigamatti s’impadronisca dello Stato, in barba all’etica liberale.
Da allora impersona un implicito dissenso, rispettato dagli occupanti perché ogni soperchieria sul papa dell’idealismo italiano guasterebbe l’immagine fascista; Mussolini non è Hitler. I numeri bimestrali della "Critica" hanno devoti lettori, bollettino d’una sommessa opposizione. Privatamente circolano battute spiritose. Sentiamone una, cosa sia il regime mussoliniano: un governo degli asini "temperato dalla corruzione". Era formidabile conversatore, spesso feroce, ad esempio nell’arrotare un ex pupillo rumoroso e rampante diagnosticandogli "priapismo dell’Io". Varrà la pena spiegare in qual senso sia peggiore l’attuale governo onagrocratico (dal latino "onager", asino selvatico). Qui notiamo come la natura asinina sfolgori nel protocollo d’intesa 26 novembre 2008: i partner sono due ministri; lo scassasigilli era segretario particolare del sire d’Arcore, padrone d’Italia nei prossimi 12 o 17 anni se gli spiriti animali gli durano; l’altro, ministro innovatore dalle frequenti epifanie, ha appena annunciato che domerà gli statali col bastone e la carota. I due s’intendono sul seguente disegno: allestire una memoria informatica universale dove confluiscano tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria (il grosso delle indagini preliminari); e la covi il ministro, eventualmente mediante appalti esterni (in lessico tecnicoide outsourcing); why not? (logo d’un allegro affarismo), l’affidi a imprenditori della galassia Mediaset, visti i luminosi precedenti Telecom.
Il lettore domanda perché definiamo asinina un’idea sinistra (tra Gestapo e Millenovecentottantaquattro, l’incubo narrato da George Orwell): l’asino è animale mite; vero, ma ignorante e luoghi comuni probabilmente falsi lo dicono poco intelligente. Qui sta l’aspetto onagrocratico, e tutto sommato benefico, svela piani che menti più sottili dissimulano.
Sappiamo dove miri Re Lanterna, tre volte vittorioso nella fiera elettorale grazie all’ordigno televisivo che consorterie tarate gli hanno venduto: pretende nello Stato un dominio quale esercitava nell’impero privato (e presumibilmente lo esercita, essendo piuttosto anomala la metamorfosi dei vecchi pirati in asceti); i limiti normativi gli ripugnano; caudatari in divisa o pseudoneutrali chiamano "decisioni" gesti padronali nemmeno pensabili in chiave politica. Gli sta a pennello la definizione crociana (priapismo dell’Io), con una terribile differenza in peius: quel letterato era persona d’intelletto fine, narciso inoffensivo, acuto patologo del fascismo; lui no, ha plagiato parte d’Italia e vuol comandarla tutta, attraverso l’abbassamento dei livelli mentali.
Appena rimesso piede al governo, s’è proclamato immune dai processi penali, quindi invulnerabile su ogni episodio passato o futuro, qualunque sia il nomen delicti; i suoi piani escludono futuri rendiconti elettorali pericolosi, ma l’organismo collettivo ha ancora difese immunitarie (Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura); e volendole disarmare, blatera d’una giustizia da riformare, l’ultima cosa della quale occuparsi mentre il paese va in malora, affogato nella crisi planetaria, e lui s’ingrassa.
Aborre l’azione penale obbligatoria e il pubblico ministero indipendente: lo vuole diretto dal governo; il che significherebbe impunità pro se et suis, con duri colpi all’avversario molesto. Tale l’obiettivo ma l’idea è cruda: gliela contestano anche degli alleati; e i negromanti indicano una via indiretta, meno vistosa, lasciare intatto l’ufficio requirente, affidando le indagini alla polizia, diretta dal potere esecutivo.
Quante volte l’ha detto: diventerà avvocato dell’accusa, ridotto alla performance verbale o grafica; cervelli polizieschi investigano e la relativa mano raccoglie le prove (sotto l’occhio governativo). A quel punto sarà innocua la bestia nera. Il tutto sine strepitu: due o tre ritocchi appena visibili; se vi osta l’art. 109 Cost. ("l’autorità giudiziaria dispone direttamente" dell’omonima polizia), basta toglierselo dai piedi; l’art. 138 ammette delle revisioni; nelle due Camere se la combina quando vuole, avendo i numeri; e poco male fosse richiesto un referendum confermativo. Nessuno gli resiste nelle tempeste mediatiche. Con tre reti televisive vola sulla luna.
Riconsideriamo l’aspetto asinino. Il protocollo 26 novembre 2008 grida quel che Talleyrand e Fouché, molto più fini, terrebbero sub rosa, e lo fa in termini grossolani, ignari dell’elementare grammatica legale. Non è materia disponibile mediante circolari o intese ministeriali. La regolano norme codificate: la documentazione degli atti d’indagine avviene in date forme (art. 373); e sono coperti dal segreto finché "l’imputato non ne possa avere conoscenza" (art. 329); e la polizia deve spogliarsi dei verbali, reperti, notitiae criminis, trasmettendoli al pubblico ministero (art. 357). Secondo le attuali regole, i due confabulanti esigono dei delitti dalla polizia (artt. 326, 379-bis, 621 c. p.). E chi escogita questo serbatoio penale, violabile dagli hackers ma comodo in mano al ministro e servizi segreti? I campioni della privacy, furenti quando, straparlando al telefono, finiscono nella memoria acustica corruttori, corrotti, concussori, pirati societari e simili faune.
* la Repubblica, 13 gennaio 2009
La ringrazio profondamente,prof. La Sala,per aver proposto di meditare su questo tema,oggi più che mai urgente. Difronte alla profonda crisi nella quale la nostra democrazia è piombata,ci auguriamo tutti che i cittadini si destino dal sonno dell’intelligenza nel quale son caduti per via di un sistema massmediatico totalitario al quale ci si è oramai assuefatti. Che l’Italia torni ad essere di tutti. Con profonda stima
Anna Rita Sarro
UN AUGURIO DI ANNA RITA SARRO
CARA ANNA RITA
QUANDO UNA PERSONA O UNA COMUNITA’ O ADDIRITTURA UN POPOLO PERDE (O SI FARE RUBARE) IL PROPRIO NOME HA già PERSO TUTTO, LA SUA DIGNITA’ E IL SUO ONORE.
A questo siamo giunti, con la nascita del partito "Forza Italia" ieri (1994) e del "popolo della libertà" oggi (2008) - con la connivenza e il sonnambulismo di cittadini e cittadine, ma anche e sopratutto dei cosidetti Intellettuali, delle Istituzioni e della stessa Magistratura, e, con l’appoggio a questo progetto di tutti gli egoismi e di tutte le mafie!!!
Ringraziamo noi te, per la benevola e lucidissima attenzione. Il tuo è anche il nostro augurio: che tutti i cittadini e tutte le cittadine si destino dal sonno dell’intelligenza nel quale son caduti per via di un sistema massmediatico totalitario al quale ci si è oramai assuefatti.
Per la Redazione
Federico La Sala
Sul tema, nel sito, si cfr. il ’quaderno’:
Berlusconi: piano segreto per il G8. I miracoli di San Silvio
http://www.sueddeutsche.de/politik/577/453270/text/
Vino, donne e canti: scoperto un incartamento segreto: rivela come Silvio Berlusconi vuole mettere in riga il G8 nel 2009. Il clou: il Capo del governo italiano canta in prima persona.
Un’attenta considerazione di Hans-Jürgen Jakobs per Süddeutsche Zeitung.
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
Talvolta i reporter di avanscoperta hanno semplicemente pura fortuna. Come poco tempo fa nella capitale italiana, Roma, quando, sulla panca d’angolo di un locale nel quartiere di Trastevere, a un giovane giornalista balzò agli occhi una bozza rilegata in una copertina lilla, sulla quale era impresso il titolo: “Amore mio G8 - Forza Europa”. Vi era stata lasciata per sbaglio.
Una piccola premessa rendeva chiaro che all’interno del grande partito italiano di governo “Popolo della Libertà” una task force aveva messo assieme idee di base per il nuovo anno 2009. Evidentemente questo gruppo poco prima aveva tenuto una riunione in quel ristorante romano. Ciò che spiccava particolarmente in quelle carte era una lunga enunciazione del capo del partito e del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, anni 72..
Qualcosa si era già sentito o letto da lui in questa o in analoga forma, ma qualcos’altro è nuovo e corrisponde a una più alta forma di verità.
La dichiarazione comincia (“Cari amici della Libertà, cari compagni di lotta”) con una descrizione dello status quo: “Il 2009 deve diventare l’anno dell’Italia, il nostro anno, il mio anno. Poiché la nostra Nazione assume la direzione della più importante associazione del mondo, il G8, abbiamo la chance di uscire ogni settimana sui più grandi telegiornali del mondo. Perciò non dobbiamo limitarci ai pochi incontri del G8, ma offrire sempre nuove proposte e iniziative. Così ho deciso per esempio di dare una regolata a Internet e liberarlo dalla pornografia infantile e simili. Abbiamo bisogno di più riforme di questo calibro”.
Per favore non troppo seri
Ma tutto non deve succedere troppo seriamente, spiega Berlusconi, “iniezioni di serietà” già ce ne sono abbastanza. Quindi: “Ridere è la medicina migliore. Se si dà il caso giova una mia battuta sciolta, come l’ho detta settimane fa sul mio futuro amico del G8 Barack Obama, che è giovane, di bell’aspetto e perfino abbronzato. Queste spiritosaggini funzionano sempre sui media. Chi ride non ha nemici”. Per quanto riguarda l’anno del G8 sotto l’egida italica, la gente deve sempre chiedersi: “Dove comincia la festa? Quando arriva Silvio?”.
Scrive Berlusconi, continuando, di non temere di portare con il massimo impegno la propria persona sotto i riflettori dei media internazionali: “Io attiro su di me le frecciate, come Gesù Cristo sulla croce ha sofferto i chiodi”. E infine di aver ricoperto la presidenza del G8 già nel 1994 e nel 2001 (“un record assoluto, perché Kohl e Mitterrand sono stati preidenti soltanto due volte”). Con i molti viaggi nei Paesi del G8, ma anche in Stati importanti come la Cina, l’India, il Brasile, il Messico o il Sudafrica, che dovrebbero essere legati più strettamente al G8, potrebbe essere annunciato il primato: “Viaggio, quindi sono”, cita l’Autore, per una volta scherzando.
E Berlusconi continua affermando di sapere anche molto bene come i propri elementi personali possono diventare politica: “Per anni ho costruito amicizie di grande valore, con piacere, anche nella mia villa sulla Costa Smeralda in Sardegna. Queste hanno enormemente rafforzato il rapporto dell’Italia con un Tony Blair o con un Vladimir Putin. La mia casa è aperta a tutti! San Silvio può compiere ancora molti miracoli!”.
Meglio una canzone
In una lunga nota a piè di pagina l’autore Berlusconi cita ancora alcuni dei suoi “aforismi”, che presumibilmente appartenevano alle più citate espressioni di saggezza dei politici su piano mondiale. In seguito descrive in un lungo capoverso da che cosa dipende, secondo lui, l’anno “italiano” del G8: “La cosa più importante è: l’atmosfera, l’atmosfera e ancora una volta l’atmosfera. Un clima di colloqui carino, con divertimento e animazione, spiana le crisi diplomatiche più pesanti. Perciò ho dato disposizioni che al nostro incontro per il G8 all’inizio di luglio sul piccolo arcipelago de La Maddalena al nord della Sardegna accadano allegri giochi di parole sciolte”.
Egli stesso progetterebbe, si dice in una parte contrassegnata come “strettamente confidenziale”, di presentarsi là come cantante. “Come tutto il mondo sa, già in gioventù ho fatto molta esperienza nell’arte musicale vocale come artista sulle navi da crociera. Sì, ho anche venduto aspirapolvere, ma molto meglio ho cantato. Stavolta con precisione e tempestività vogliamo far uscire un nuovo CD, nel quale per la prima volta io stesso canterò una delle mie canzoni. Le altre saranno messe in scena come al solito dal mio amico Mariano Apicella di Napoli. Il successo dovrebbe essere più grande di quello della nostra prima opera Meglio una canzone. Nel gruppo di lavoro dovremo trattare in tempo chi dei colleghi del G8 potrebbe essere più adatto, allo show de La Maddalena, per [partecipare] al meglio a quale delle canzoni da cantare assieme. È già venuta fuori l’idea che io insieme a Angela Merkel e a Barack Obama potremmo cantare un facile canto popolare tedesco, si chiama “Marrone scuro è la nocciola” o qualcosa del genere. Ma per questo si devono fare ricerche più precise”.
Decantate le belle donne
Molte pagine delle carte “Amore” si riferiscono alle diverse culture degli Stati del G8, Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giappone, Canada, Russia e Germania. “Ma c’è una cosa uguale in tutti i Paesi: l’amore per le belle donne. Dobbiamo approfittarne”, si dice nell’incartamento. “Già con il mio amico Putin ho discusso pubblicamente con grande successo che Paese ha le donne più attraenti. Perciò propongo uno show dei Paesi del G8 con elementi per una elezione di miss, alla televisione”.
Berlusconi indica pure tre grandi potenziali emittenti: Canale 5, Rete 4 e Italia 1. “Poiché tutte mi appartengono, per una realizzazione del programma non dovrebbe esserci problema. Con le elezioni delle Miss abbiamo già avuto successo. Inoltre sulla dirigenza della televisione di Stato Rai io ho notoriamente influenza e lì posso dare una spinta ai temi importanti del G8”. In ogni caso a La Maddalena devono presentarsi le ballerine, alcune potrebbero anche essere danzatrici del ventre, che “il mio amico Putin ha fatto danzare per me a San Pietroburgo”.
Fortemente sottolineato nel dossier “Amore Mio” è un capitolo sul significato dell’Italia come meta di turismo. “Qui ci sono i nostri classici vantaggi, per cui dobbiamo sempre fare conferenze specializzate in diverse belle città del nostro amato Paese. Mi riprometto molto dall’incontro dei ministri dell’Ambiente del G8 a Napoli, che ancora fino a poco tempo fa affondava nella spazzatura e che io ho ripulito. A tempo debito prima del termine dovremo chiedere in Francia come Sarkozy ha fatto con le idropulitrici nelle sue banlieue e se possiamo imparare anche noi”. Si deve anche trattare con sistemi idraulici il “mare, purtroppo ancora fortemente imbrattato” davanti alla costa di Amalfi, per fare sparire pezzi d’immondizia visibili, come “bottiglie di plastica, sacchetti, pezzi di gomme e simili, così posso offrire agli ospiti dal mio yacht un quadro entusiasmante dell’Italia”.
Infine nel documento si prende in esame il calcio. “Non è strategicamente utile che presto David Beckham giochi nel mio club AC Milan?”, chiede Berlusconi con enfasi. “Si adatta meravigliosamente a tutti gli altri giocatori che provengono dagli Stati del G8 e da altri importanti Paesi. È un vero e proprio All-Star-Team, qualcosa come una volta gli Harlem Globetrotter nel basket - una squadra del genere dovrebbe andare in turné”. Nel concreto Berlusconi propone incontri di punta con club come FC Chelsea, Zenit San Pietroburgo, Olympique Lyon o Bayern München, dei Paesi G8. Sulle tribune egli siederebbe quindi accanto ai capi di Stato di turno e verrebbe ripreso dalle telecamere TV.
In un punto Berlusconi richiama come una “carenza” il fatto che purtroppo ci sarebbero troppo poche apparizioni in scena con il papa Benedetto XVI. Il Vaticano all’inizio dell’anno si è sciolto perfino dalla legislazione italiana, “perché noi presumibilmente emaniamo troppe leggi che spesso anche differiscono con i principi fondamentali della Chiesa”, si arrabbia Berlusconi, “in questo poi sono cresciuto nel grembo della Chiesa, amo l’Opus Dei e ho ridotto strettamente le leggi a quelle che mi servono”. Forse sarebbe meglio avere un Papa che venga dall’Italia e non dalla Germania, nota l’Autore: “Ma fa lo stesso, lui deve venire con me davanti alle telecamere”.
Verso la fine scrive esattamente Berlusconi che per le interviste da seduto deve essere come sempre posta la massima attenzione perché una pila di libri sia infilata sotto il cuscino e siano sempre stabiliti gli appuntamenti per il controllo della capigliatura: “Soltanto in casi eccezionali uomini con la pelata passano per sexy. Per questo non voglio che capiti. Tutti mi vogliono completo di pelle e capelli”.
Nell’incartamento segreto sulla direzione italiana del G8 c’è anche un piccolo allegato sotto il titolo “Rischi”. Vi si dice che la strategia “Amore Mio” la spunterà con il cento per cento di probabilità “se si lascia perdere l’Italia e ci si mette nel sistema Berlusconi”. Potrebbe però succedere che ci sia gelosia, che il record berlusconiano del G8 sia osteggiato e si giunga a problemi di “Ego”. Inoltre non vi è chiarezza su come si dovrebbe valutare Barack Obama: “Con George W. Bush, il mio amico maschio, sapevamo a che punto ci trovavamo. Lui parla la mia lingua. Ma che succede col successore? Che cosa, se lui si trova costretto a doversi mettere in luce intellettualmente?”.
Il problema più grande però lo pone sicuramente Nicolas Sarkozy il Francese, si può leggere nelle carte. “L’uomo dell’Eliseo ci ha e mi ha già tolto lo show alla riunione del Mediterraneo, lui vuole anche risolvere la crisi à la française. Soprattutto non si può disconoscere che fa una buona figura sui media e con il suo outfit da jogging passa semplicemente per un giovane. A lui dobbiamo opporre il fattore esperienza”.
Ma uno svantaggio serio rimane, si lagna Berlusconi per ultimo: “È Carla Bruni. Nel programma per le signore del G8 lei sorpasserà chiaramente tutte le altre. Sarkozy ha semplicemente la donna più bella”. Il capo del governo del romano Palazzo Chigi fornisce anche allo stesso tempo l’idea salvifica: “Non potremmo far risaltare con più forza sui nostri media che la Signora ha origini italiane?”.
IL CASO.
Protocollo d’intesa tra Brunetta e Alfano, il progetto partirà nei prossimi giorni Sarà creata una centrale al ministero per indagini e processi, al momento senza regolamenti
Gli occhi del governo su polizia e pm
di GIUSEPPE D’AVANZO *
CI sono molti modi per dare avvio a una riforma della giustizia. La si può discutere in pubblico come accade ancora in questi giorni o inaugurare in silenzio nuovi, possibili controlli del governo sull’ordine giudiziario a dispetto di ogni autonomia e indipendenza togata. Si manipola qualche inciso nei codici, si sposta una virgola di un articolo di legge e il pubblico ministero può perdere la direzione delle indagini e della polizia giudiziaria (lo si è già visto). O - nome di una necessaria rivoluzione tecnologica - si possono sottrarre addirittura la "proprietà" e le informazioni dei fascicoli processuali al pubblico ministero e al giudice delle indagini preliminari.
È quel che può avvenire, nei prossimi giorni, quando entrerà nella sua fase di sperimentazione (nel primo trimestre a Napoli, nel secondo a Nola e Torre Annunziata, entro il quarto a Milano e Monza) il protocollo d’intesa firmato il 26 novembre 2008 tra il ministro per l’innovazione (Renato Brunetta) e della giustizia (Angelino Alfano). L’articolo 7 del protocollo prevede la "trasmissione telematica delle notizie di reato tra le forze di polizia e procure della Repubblica".
"Il progetto - si legge nel documento - prevede che le forze di polizia giudiziaria redigano le notizie di reato, le digitalizzino, le trasmettano alle procure, firmate digitalmente e crittografate nell’ambito della rete privata delle forze di polizia con specifiche estensioni di rete che potranno avere anche ulteriori utilizzazioni sinergiche".
Si può così "automatizzare l’alimentazione del registro delle notizie di reato e la costituzione del fascicolo del pubblico ministero e del giudice delle indagini preliminari". I dati così raccolti potranno essere condivisi dall’intera rete delle forze di polizia che avranno accesso ai "dati di sintesi delle notizie di reato". Come? "Predisponendo una porta di dominio attestata presso il ministero della giustizia". La "porta di dominio" è una formula che appare misteriosa ai non addetti, ma non indica altro che il luogo e l’identità di chi assicura lo scambio elettronico delle informazioni.
Ricapitoliamo. Tutte le notizie di reato del paese, i fascicoli dei pubblici ministeri, le comunicazioni tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, tra pubblico ministero e giudice delle indagini preliminari di ogni tribunale italiano e quindi le denunce, le querele, le istanze e i verbali degli interrogatori, delle perquisizioni, dei sequestri, delle sommarie informazioni assunte, degli accertamenti tecnici, delle intercettazioni saranno (a regime) interconnesse attraverso un "gestore centrale" organizzato e controllato dal ministero di giustizia che - prevede il protocollo - può concederlo a un fornitore esterno, in outsourcing. Nascerà, dunque, come spiega un addetto al progetto, "una cancelleria virtuale nazionale" al momento priva di ogni norma, disposizione o regolamento. Questa è la notizia.
Vediamone le conseguenze probabili e gli effetti possibili. Sono indubbi i benefici a vantaggio dell’efficienza del processo. La rivoluzione tecnologica consente al pubblico ministero, al giudice, alla cancelleria di formare, di comunicare e notificare gli atti con documenti informatici che viaggiano tra gli attori del processo attraverso canali telematici, come avverrà presto per il processo civile. Via archivi cartacei e i "muri" di faldoni. Azzerati gli errori di notifica che annientano i processi. Abbattuti i costi. Recuperato personale. Ridotti i tempi. L’efficienza e quindi la credibilità del processo penale non potrà che avvantaggiarsene. E’ la rivoluzione necessaria che gli addetti, tutti, dagli avvocati ai magistrati, chiedono da anni. Saranno soddisfatti. Meno lo sarà - o dovrà esserlo - chi si pone questa domanda: come e chi proteggerà quella miniera di informazioni? Quanto sarà inviolabile il sistema? E’ legittimo che l’intera "base dati" della giustizia italiana sia gestita non dall’amministrazione giudiziaria, cioè dalla magistratura, ma da funzionari e società private dipendenti dal governo o dalle sue decisioni?
Un addetto al progetto, nato con il governo Berlusconi 2001/2006, è disposto ad ammettere che qualche problema c’è. "I responsabili degli uffici giudiziari, i procuratori della repubblica, dovrebbero essere in grado di esercitare un controllo agevole delle misure di sicurezza, ma se le base dati sono in una farm lontana, non si può avere la possibilità di effettuare monitoraggi continui. Quale responsabile della segretezza di quelle informazioni può escludere che, lontano dal suo ufficio, venga allestito un terminale del programma per l’accesso alla lettura dei dati? La sola risposta responsabile e ragionevole è: nessuno. La sicurezza è data da misure preventive e controlli costanti. Senza controllo, non c’è misura preventiva che possa tenere. E quale controllo puoi avere se sei a centinaia di chilometri di distanza?". Per alcuni autorevoli magistrati del pubblico ministero, quest’idea di una "cancelleria virtuale nazionale", prima di essere pericolosa, è soprattutto contra legem, illegale. "Il codice di procedura penale - dice un autorevole magistrato - prevede esplicitamente e senza deroghe che ogni "notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini siano conservati in un apposito fascicolo presso l’ufficio del pubblico ministero con gli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria". Se dovesse nascere una cancelleria nazionale, anche se virtuale, si scipperebbe la proprietà esclusiva del fascicolo al pubblico ministero: è contro al legge". Si dice d’accordo l’addetto al progetto ministeriale: "E’ vero che ogni notizia trasmessa e raccolta sarà criptata con la chiave pubblica del procuratore, ma le informazioni sono archiviate in un luogo non alle dipendenze del procuratore, ma della forza di polizia e quindi nessun efficace e reale controllo può esercitarsi sulla protezione della segretezza dell’archivio".
E’ la questione cruciale, pare. Con una qualche coerenza, Berlusconi e il suo ministro non tacciono di voler trasferire l’avvio, lo sviluppo e l’esito dell’investigazione penale dalle mani del pubblico ministero alle polizie. La rivoluzione tecnologica potrebbe consentire di assicurare alle polizie, e quindi all’esecutivo, anche il controllo di tutte le informazioni, delle notizie di reato, di tutta la documentazione di ogni indagine avviata nei ventinove distretti giudiziari del paese. Un Grande Fratello della giustizia italiana, si può dire, che dovrebbe essere sconfitto o tenuto lontano soltanto dalla "chiave" con cui i procuratori della repubblica dovranno crittografare i documenti. Se si chiede ad Alberto Berretti, matematico, professore di sicurezza informatica a Tor Vergata - dunque con una familiarità con il mondo e i metodi dell’hackeraggio - se una "chiave" per crittografare i documenti può essere una protezione definitiva, si raccoglie un sorriso ironico. "Nessun sistema è sicuro. Questo progetto del ministero di giustizia, per come me lo racconta, mi pare che faccia acqua. Innanzi tutto è pericoloso avere un solo server in un solo luogo. Se scoppia un incendio e tutto va in fumo, che succede? Si liquefa la giustizia italiana? Sono sicuro che abbiano tenuto conto di quest’eventualità e previsto due server e in due luoghi diversi, con il botto di danaro che costa, perché sicurezza significa prevedere che le cose possono anche andare male per caso. Poi il diavolo ci può mettere la coda e anche questo bisogna immaginare e la "chiave" non è la soluzione che risolve tutti i problemi. La crittografia rischia di essere una porta blindata sistemata su pareti di cartone. E’ vero, è difficile rompere la porta, ma è facile aggirarla passando dalle pareti. Oggi i dvd sono cifrati, ma in rete ci sono a tonnellate di dvd craccati, per dire. E poi oggi ci sono programmi di keylogging che copiano in silenzio quanto viene scritto sulla tastiera del computer. Il procuratore magari chiude la porta dell’ufficio e digita la sua "chiave" di accesso crittografato. Pensa di essere solo e sicuro, invece c’è chi gli sta rubando in quel momento la chiave per consegnarla a cyber- criminali che la venderanno al maggior offerente. E se a vincere l’asta dovesse essere Cosa Nostra? Può stare certo che, se questa cancelleria virtuale dovesse davvero farsi, sarà un boccone ghiottissimo per ogni hacker del pianeta".
Dunque, lo stato dell’arte è questo. Tutti i documenti d’indagine della giustizia italiana finiranno presto in un unico canestro. I procuratori, responsabili delle indagini, non saranno in grado di garantire la sicurezza delle informazioni raccolte. L’archivio della "cancelleria virtuale" sarà nella disponibilità delle forze di polizia, e quindi del governo che gestirà il sistema attraverso una società privata (altra minaccia, se si ricordano i traffici spionistici della Telecom di Marco Tronchetti Provera). Quel che è peggio, anche Cosa Nostra potrà ficcarci il naso, pagando il dovuto. Voi dite che stiamo messi bene?
* la Repubblica, 12 gennaio 2009