[...] il sociologo mette il dito sul vero punto dolente del Pontificato. La mancata riforma dell’assolutismo monarchico della Chiesa cattolica. Riforma che già con Giovanni Paolo II era matura (e la cui assenza era appena mascherata dall’attivismo wojtyliano e dalle novità del suo pontificato) e che con Benedetto XVI si sta manifestando sempre più improcrastinabile. Garelli, non da oggi - e lo fa capire ogni volta che lo invitano a partecipare ai grandi convegni decennali della Chiesa italiana - è un convinto sostenitore della “collegialità”. Cioè della partecipazione dei vescovi al governo della Chiesa universale. E altrettanto convintamente ritiene che il “laicato nella Chiesa deve partecipare davvero alla progettazione della missione pastorale e non servire solo da supporto” [...]
Se la Chiesa non coinvolge più. Un giovane su due non è cattolico
“La Chiesa di Benedetto XVI è troppo occidentale, si presta poca attenzione al resto del mondo”
Il sociologo Garelli: Ratzinger è distaccato e impolitico
di Marco Politi (il Fatto, 29.04.2010)
Cinque anni dopo il 19 aprile 2005, che segnò l’avvento di Benedetto XVI, un giovane italiano su due respinge la qualifica di cattolico. Segno di crescente disaffezione. Ancora nel 2004 si dichiaravano cristiano-cattolici i due terzi della gioventù. Certo, sono processi di lungo periodo, ma l’indagine realizzata dall’Istituto Iard rivela che il Pontificato di Ratzinger non è riuscito a contrastare l’allontanamento dei giovani dalla Chiesa. E proprio in quell’Italia, che è direttamente sottoposta alla sua giurisdizione pastorale. Anzi, c’è motivo di credere che l’abbia favorito.
Il quinquennio passato è quello di una “Chiesa del no” che, sull’onda dei cosiddetti principi non negoziabili stabiliti da Benedetto XVI, ha impedito la riforma delle legge sulla procreazione assistita per consentire ad una madre di non partorire un bimbo già condannato in partenza alla morte, ha combattuto una legge sulle coppie di fatto, ha vietato le unioni gay, ha bloccato l’autodeterminazione del paziente nel testamento biologico. Tematiche a cui le giovani generazioni sono sensibili.
Cosa non funziona nel Pontificato ratzingeriano? Franco Garelli, sociologo cattolico che per conto della Cei ha realizzato importanti inchieste sulla religiosità in Italia, preferisce partire da un dato positivo. “Nel caso degli abusi sessuali del clero Benedetto XVI - dice - sta proiettando l’immagine di un capo della Chiesa che vuole fare pulizia, non ha paura di tagli drastici, non demorde e caccia i colpevoli”.
Però questo è solo un aspetto. Nel suo svolgersi il quinquennio ratzingeriano ha mostrato di oscillare in diverse direzioni. Questo Papa, spiega, “genera ammirazione e preoccupazione, governa più con i dossier che attraverso uno spirito collegiale, è il Pontefice della chiarezza dottrinale, della ripresa della memoria e della tradizione, ma al tempo stesso - enfatizzando l’esclusività della fede cristiana - isola la Chiesa, poiché la propone come portatrice di un’unica verità e non la presenta come ponte verso le altre religioni e i non credenti”.
Non è per fare paragoni astratti con il predecessore, però chi osserva il procedere della Chiesa non può fare a meno di notare che “Wojtyla era un leader carismatico, Ratzinger è più teologo. Wojtyla creava movimento, Ratzinger crea riflessività. In Wojtyla il tradizionalismo era contemperato da segni affettivi, Benedetto XVI è più normativo, definitorio, distaccato. Non produce coinvolgimento o almeno non in maniera maggioritaria”.
Alla fine - a parte la battaglia determinata sulla pedofilia - l’impressione è quella di una Chiesa statica. Con una caratteristica specifica: “Si avverte una debolezza del governo istituzionale, spesso più del consenso prevale l’ossequio”. E soprattutto, questo “è un Papa impolitico”.
Se si chiede a Garelli quali siano i problemi insoluti del Pontificato, ne elenca alcuni: tutti legati al rapporto fra Chiesa e società. “La Chiesa - sostiene - deve affrontare finalmente la questione dei divorziati risposati. Dopo il concilio Vaticano II è impensabile non affrontare questo tema nel mondo contemporaneo”. E’ una cosa, d’altronde, che sanno tutti i parroci. Quelli che più soffrono della proibizione di non prendere la comunione, che vale tassativamente per ogni divorziato risposato (a parte le guasconate di Berlusconi, per il quale c’è sempre si trova sempre un prelato pronto a perdonarlo), sono proprio i cattolici più sinceri e più impegnati nella vita ecclesiale.
Seconda questione, il celibato dei preti. Garelli come tanti altri respinge totalmente ogni connessione tra abusi sessuali e castità richiesta al clero. Il problema non è questo. Si tratta, molto semplicemente, che “il celibato dei sacerdoti deve essere volontario”.
Su un piano più generale il sociologo mette il dito sul vero punto dolente del Pontificato. La mancata riforma dell’assolutismo monarchico della Chiesa cattolica. Riforma che già con Giovanni Paolo II era matura (e la cui assenza era appena mascherata dall’attivismo wojtyliano e dalle novità del suo pontificato) e che con Benedetto XVI si sta manifestando sempre più improcrastinabile. Garelli, non da oggi - e lo fa capire ogni volta che lo invitano a partecipare ai grandi convegni decennali della Chiesa italiana - è un convinto sostenitore della “collegialità”. Cioè della partecipazione dei vescovi al governo della Chiesa universale. E altrettanto convintamente ritiene che il “laicato nella Chiesa deve partecipare davvero alla progettazione della missione pastorale e non servire solo da supporto”.
“La collegialità - sottolinea - ha un valore teologico e sociale. Il cardinale Martini l’ha richiamata spesso come punto qualificante. E’ necessario creare le condizioni affinchè nella Chiesa vi sia circolarità di idee. Bisogna prestare attenzione alle situazioni diverse ed è importante accettare l’unità nella diversità. Così come è necessario spingere i vescovi a riflettere insieme”.
Di pari passo è urgente superare l’“afonia dei laici”, cioè la situazione per cui i fedeli non sono mai consultati e chiamati alla progettazione della nuova evangelizzazione. Colpa, certamente, anche di tanti esponenti cattolici che non aprono bocca, perché “hanno meno coraggio delle generazioni precedenti”, e quindi il laicato cattolico in Italia si presenta sempre “allineato e coperto”. Di fatto clero e alte gerarchie parlano solo loro e i media, a loro volta, prestano attenzione solo a loro.
Eppure dal corpo della Chiesa salgono richieste diverse. “I fedeli - racconta Garelli che tante volte è andato a misurare sul campo il polso del cattolicesimo italiano - chiedono più ascolto e confidenza. Vorrebbero una Chiesa che sappia parlare un linguaggio spirituale più attento alle condizioni di vita e alle ragioni umane. Una Chiesa più in ricerca, capace di accompagnarli nelle loro vicende umane piuttosto che pronunciare verità e definizioni”. E quando non accade? “Se non trovano risposte, si chiudono, tacciono o vanno altrove”.
Certo, non va sottovalutato il segno dei tempi di uno stile di vita dilagante che mira solo ai consumi, alla scalata sociale, all’edonismo. “La cultura televisiva del Grande Fratello - confessa Garelli - depotenzia qualsiasi impegno religioso, politico o culturale, depotenzia destra e sinistra!”.
Gli chiedo, ora che inizia l’anno sesto di Papa Ratzinger, quale sia un altro punto critico del pontificato. Risponde: “Porre il baricentro nell’Occidente e prestare poca attenzione al cattolicesimo mondiale, che si nutre di culture non occidentali”. Intanto dal 2000 al 2008 le vocazioni sacerdotali in Europa sono cadute di un altro 7 per cento.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ANNIVERARI. Il grende scrittore russo, morto cent’anni fa, nel 1891 partecipò a un convegno per la riunificazione tra tutte le Chiese
A Firenze un Tolstoj «ecumenico»
Quella pagina poco nota della sua biografia getta nuova luce sulla complessa spiritualità dell’autore, che sosteneva: «Io applaudo alla proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma»
DI VINCENZO ARNONE (Avvenire, 06.05.2010)
Alle soglie del centenario della morte di Leone Tolstoj (avvenuta il 7 novembre 1910), ci si trova dinanzi a questo genio della letteratura come impreparati, complessati, quasi vinti dalle sue opere che rimangono nella memoria di ogni lettore. Tolstoj aveva fatto diversi viaggi in Italia e in Europa intorno al 1857.
Nel 1891 vi ritornò e venne a Firenze. Vi rimase alcuni giorni. Motivo del suo viaggio, questa volta, non era la curiosità turistica, o artistica o la brama di conoscere la cultura di nuovi Paesi, bensì la partecipazione a un convegno ecumenico internazionale che ebbe luogo nell’autunno di quell’anno in una sala del palazzo n. 34, viale Principe Amedeo, «per discutere argomenti relativi al miglioramento della società umana sia rispetto allo Stato che alla Chiesa». Motivazione tanto antica quanto nuova, tanto vecchia quanto moderna, tanto elitaria quanto popolare.
Sembra di leggere, in certi passaggi delle relazioni, resoconti e verbali relativi ai nostri tempi. Al convegno, dal titolo ’Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane’, parteciparono intellettuali, politici ed ecclesiastici tra cui Ruggero Bonghi, Cesare Cantù, monsignor Isidoro Casini, il generale Booth dell’Esercito della salvezza, don Pietro Smudowski, della Polonia, altri e il conte Leone Tolstoj, lo scrittore già a quei tempi di fama mondiale.
Il convegno fu di vertice, tra pochi intellettuali, non ebbe quindi quella risonanza popolare e di vasta opinione, però si conservano ancora i testi degli interventi dei vari relatori, che sono ancor oggi molto interessanti, stimolanti, direi attuali per le problematiche che presentano; alcuni sono datati, ma altri sono proiettati nell’orizzonte di tutte le stagioni. Gli ultimi decenni dell’Ottocento costituivano un periodo di grandi trasformazioni politiche, sociali, religiose, industriali; c’era nell’aria il desiderio di nuovi orientamenti, di nuove strategie sociali al fine di prepararsi ai grandi mutamenti sociali che si preannunciavano.
Non parve strano perciò, anzi spontaneo e ovvio, come osserva Giovanni Guidotti nel suo I tre papi, ossia la pace tra le chiese cristiane del 1893, che «uomini volenterosi, noti per fama, per operosità, per ingegno, e amanti della felicità dei popoli si riunissero insieme al fine di discutere sui prossimi avvenimenti e studiare i mezzi adatti ad avviarli alla buona meta e per allontanare dai popoli scosse e catastrofi».
L’intervento di Tolstoj tende ad unire ricordi personali e affermazioni di principio per avvalorare il messaggio di pace e di convivenza tra i popoli e il rigetto della guerra e di ogni violenza e l’unione tra le Chiese cristiane.
Dice tra l’altro:
«Una delle mie massime enunciate è: non opporsi al male. Di questo mio principio mi hanno fatto un titolo di accusa tacciandomi di rivoluzionario, o peggio; ma è questione di rassegnazione, di carità del prossimo, di commiserazione pei poveri di spirito.... Per questo medesimo principio ho dovuto dichiarere un’iniquità la guerra, qualunque essa sia. E qualunque ne sia la causa: i popoli della terra sono fratelli e hanno a vivere in santa pace....
Come vedete, miei illustri colleghi, i miei principi hanno la loro base nell’Evangelo e perciò ho potuto accattare il lusinghiero invito a questa conferenza e ben volentieri sono venuto qui in mezzo a voi per trattare del modo di ricondurre la religione cristiana alle primitive sue fonti, pure e limpide, e di ricostruire una Chiesa unica che la esplichi e la rappresenti, trasformando e fondendo amorevolmente tutte le Chiese cristiane esistenti... Io applaudo dunque alla proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore la formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e dell’Evangelo».
IL LIBRO
Bruno Milone indaga Leone il nonviolento
Nel suo ’Tolstoj e il rifiuto della violenza’ (Servitium, pagine 176, euro 15,00) Bruno Milone, sulla scorta degli scritti di Isaiah Berlin, Pier Cesare Bori e Walter Bryce Gallie, rivaluta le concezioni filosofiche e religiose di Tolstoj mostrando in particolare come il rifiuto della violenza, in Tolstoj, non sia riconducibile a una semplice ’pretesa’ ricavata dal ’Discorso della montagna’, come se fosse possibile, seguendo l’esempio di Cristo e in virtù della semplice ’mitezza’ e ’non resistenza al male’, costringere i malvagi a deporre la loro cattiveria e a portare la pace sulla terra. Al contrario, la proposta della non violenza nasce da una acuta analisi dei processi di disumanizzazione che operano in tutti i progetti di pacificazione, di risoluzione dei conflitti e di trasformazione del mondo mediante la guerra e le rivoluzioni.
Il libro sarà presentato martedì 11 maggio a Milano, alle 18.30 presso l’auditorium San Carlo (Sala Verde) in corso Matteotti, 14; con l’autore interverrà Fulvio Manara.
Letargo morale nella Chiesa
di Franz-Xaver Kaufmann
in “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 26 aprile 2010
(traduzione: www.finesettimana.org)
La crisi di fiducia causata dagli abusi sui bambini avvenuti nella sue fila colpisce la Chiesa cattolica in quanto istituzione sociale. La sua incapacità a riconoscere le proprie strutture patogene e le conseguenze degli abusi da parte di membri del clero si basa su di un’organizzazione che continua ad essere cortigiana ed una comprensione di sé che non ha superato lo spirito dell’assolutismo.
La nostra conoscenza della storia del cristianesimo è segnata dalla Chiesa cattolica romana. Come nessun’altra Chiesa cristiana, essa sostiene pubblicamente e teologicamente di essere la vera Chiesa di Gesù Cristo che risale fino agli inizi apostolici. In realtà i risultati di recenti ricerche affermano che la tradizione che Pietro sia stato a Roma e vi sia morto da martire si sia formata solo a partire dalla metà del secondo secolo, ed anche altre tradizioni e i diritti della Chiesa romana che ne sono fatti derivare si basano spesso su incerti presupposti. Ma questo non ha finora provocato alcuna forte e durevole incrinatura della sua stabilità e autorità.
Dal punto di vista storico le religioni legate alla trascendenza appartengono ai fenomeni sociali più duraturi. Sono sopravvissute ai destini economici e politici di interi popoli ed anche a profonde crisi del loro clero e della loro forma. È da questo rapporto con la trascendenza interpretato in modi diversi che traggono la loro forza. Le tradizioni cristiane parlano qui di fede, di una fede che secondo le parole tramandate di Gesù può spostare le montagne. Tale fede non viene delegittimata - è quello che accade sempre nella tradizione cattolico-romana - neanche da gravissime colpe morali del personale della Chiesa.
Che però dei criminali nei confronti di bambini, per i quali già Gesù aveva auspicato una macina al collo, siano stati fino a tempi recentissimi scientemente coperti dalle autorità ecclesiastiche e protetti dall’essere perseguiti dalla legge dello Stato, rimane un fenomeno sconcertante che deve essere spiegato.
In ogni tentativo di spiegazione bisogna distinguere influenze interne ed esterne alla Chiesa. Per cominciare con le seconde, bisogna ricordare che solo in tempi molto recenti i diritti dei bambini sono diventati uno dei grandi problemi morali della società. Questo deriva dalla dottrina politica dei diritti umani generali, quelli che spettano ugualmente ad ogni persona. Tale dottrina, che ha svariate radici risalenti molto indietro nella storia europea, ha acquisito forza sociale e politica solo nella seconda metà del 20° secolo.
Determinante fu l’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo da parte delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Ma ricordiamo che tale atto non fu assolutamente salutato come un avvenimento storico. Si trattava piuttosto solo di una delle tante dichiarazioni dell’Assemblea generale dell’ONU. In una storia delle Nazioni Unite pubblicata nel 1982 non viene neppure nominata. La promozione dei diritti umani come base del diritto, sia come concezione morale che concezione di diritto internazionale, è solo uno sviluppo della storia più recente.
Il riconoscimento (che rimuoveva il discorso del diritto naturale) della dottrina dei diritti umani presente nei documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965) le diede un efficace impulso. Ma ci volle ancora molto tempo prima che i diritti dei bambini fossero formulati e riconosciuti. Solo nel 1959 l’assemblea generale dell’Onu approvò una “Dichiarazione dei diritti dei bambini”. Seguì nel 1989 una vincolante convenzione dei diritti dei bambini, che è stata nel frattempo ratificata da 193 stati, comunque dalla Repubblica federale tedesca con delle riserve di diritto straniero.
Solo negli ultimi decenni sono aumentate in Germania le iniziative per il riconoscimento e l’attuazione dei diritti dei bambini. La sensibilità dell’opinione pubblica per le lesioni di tali diritti è ormai fortemente cresciuta. Questo potrebbe essere un motivo determinante per le attuali reazioni pubbliche ai casi rivelati di abusi e maltrattamenti su bambini. Tale comportamento contrasta con grande evidenza con la scarsa risonanza di simili casi nel passato, che si può ben qualificare di letargo morale.
Anche per la Chiesa cattolica non si può escludere un simile letargo morale, perché la coscienza all’interno della Chiesa si forma in uno scambio sotterraneo con i valori della società. Ma ci sono anche circostanze più specifiche alla base di tali silenzi e coperture. Ad esempio nella Chiesa cattolica la morale coniugale ha sempre occupato un posto più importante all’interno della morale familiare rispetto alla morale dei genitori, che invece ha svolto un ruolo maggiore nel protestantesimo.
Nel 19° secolo nei Länder cattolici c’erano molti brefotrofi ai quali venivano affidati assolutamente solo bambini illegittimi. Le norme di una genitorialità responsabile sono nate nel 20° secolo in ambito evangelico, mentre la Chiesa cattolica ha sempre condotto una inutile battaglia contro tutti i metodi contraccettivi considerati artificiali.
È vero che anche in ambito cattolico abusi su bambini, punizioni e maltrattamenti corporali vengono considerati peccati gravi. Ma la Chiesa è abituata a peccati gravi tra i suoi membri, proprio per questo c’è l’istituto della confessione. Il patos con cui oggi si reagisce ai crimini su bambini è estraneo alla Chiesa.
Un forte motivo di silenzio da parte delle autorità ecclesiastiche su comportamenti delittuosi di loro membri, e in particolare del loro clero, di cui erano venuti a conoscenza, potrebbe derivare da una specie di effetto a distanza del segreto della confessione: le fonti di segnalazioni ecclesiastiche ad uffici statali non sarebbero di norma rimaste nel buio, cosicché non si sarebbero potute escludere ammissioni provenienti da conversazioni in confessione. Quindi la fiducia nel segreto della confessione avrebbe potuto essere scossa.
Ma dal punto di vista della mentalità le ripercussioni delle secolari tensioni tra Chiesa e Stato devono essere state più forti: anche dopo la perdita dei diritti del potere temporale, la Chiesa ha sempre mantenuto dei privilegi per il suo clero, che voleva poter sottoporre solo alla propria giurisdizione. Con un esame più attento si sarebbero probabilmente potute scoprire anche più gravi infrazioni, non relative a bambini, di membri del clero contro leggi dello Stato, ma che comunque non sono state denunciate. Ciò non deriva probabilmente solo dalla conosciuta “difesa della casta”, ma dalla coscienza di sé di una Chiesa che per molto tempo si è definita con il concetto di “societas perfecta” come un “dirimpettaio” dello Stato e che quindi non si pone sotto lo Stato.
È vero che questa posizione è stata implicitamente superata dalle dichiarazioni del Vaticano II, ma è probabilmente ancora molto viva proprio negli ambienti romani. Tanto più importante è quindi l’ormai esplicita direttiva papale alla Chiesa mondiale, in caso di abusi su bambini, di attenersi senza eccezioni alle prescrizioni del diritto dello Stato.
Infine non sono da sottovalutare le preoccupazioni per la considerazione della “santa Chiesa”. “Evitare scandali” è un antico principio ecclesiastico, che, contrariamente al suo senso originario, vale anche per la difesa dell’immagine della Chiesa. Per questo viene rimosso il fatto che il personale della Chiesa sia composto da autentici peccatori, che sono tali almeno secondo la dottrina della Chiesa sul peccato. In reazione all’attuale discussione sugli abusi, un parroco di Bonn ha fatto una proposta, che merita di essere meditata: appendere a tutte le porte della chiesa un cartello con scritto: “Qui entrano solo peccatori”.
Quando delle supposizioni - come nel caso dell’attuale segretario di Stato cardinal Bertone - o delle affermazioni documentabili sul coinvolgimento di alti dignitari ecclesiastici in gravi casi di abusi vengono smentite o sottaciute, senza che venga espresso alcun rammarico per i fatti realmente accaduti, questo suscita scandalo nella pubblica opinione e dolore tra i cattolici - e non solo per la renitenza di fronte all’accresciuta sensibilità morale per il problema dei diritti dei bambini.
Si tratta di qualcosa di più fondamentale: secondo la natura delle cose, la prova in caso di abusi non è affatto semplice. Anche qui deve valere innanzitutto il principio, in caso di dubbio, dell’innocenza dell’accusato. Ma in ambito ecclesiastico non c’è alcun modo sperimentato di procedere per provare tali accuse e per arrivare in ogni caso ad una decisione finale, cosa che è invece caratteristica del processo penale dello Stato.
A causa della competenza universale dei vescovi tutto sta nelle mani del vescovo o del suo vicario generale. Né a livello della diocesi né a livello dell’intera Chiesa non c’è nessuno cui spetti l’effettivo compito di un chiarimento delle accuse penali, nel senso di svolgere un esame preventivo per la trasmissione del caso alla magistratura dello Stato.
Il fatto che dei cattolici vittime di abusi si rivolgano prima alla loro Chiesa e non direttamente alla magistratura dello Stato rappresenta una prova di fiducia, a cui da parte dell’istituzione ecclesiastica non corrisponde un’istanza istituzionalizzata. Non bastano degli uffici reclami, perché il trattamento dei reclami non è verificabile, rimane a discrezione del vescovo.
Questo relitto dell’assolutismo interno alla Chiesa, in una cultura improntata al diritto statale, solleva anche delle questioni di ordine teologico: come si deve qualificare la peccaminosità che si diffonde in determinate strutture della Chiesa? Ci si potrebbe chiedere: si può mantenere la tradizionale distinzione tra la peccaminosità del personale della Chiesa e la santità dell’istituzione, quando evidentemente sono delle caratteristiche strutturali della Chiesa a indirizzare le mentalità verso un letargo morale o altri deplorevoli difetti?
La dichiarazione di sostegno al papa in occasione della messa di Pasqua, letta dal cardinale Sodano, che per diversi anni è stato segretario di Stato, non solo è ipocrita, perché Sodano stesso è personalmente coinvolto, ma misconosce anche completamente il modo in cui la situazione viene percepita dall’opinione pubblica. In questo modo viene nuovamente confermata la mentalità del silenzio e della copertura o almeno del letargo morale, con cui le autorità vaticane fino a pochi anni fa si sono occupate di casi di religiosi che per il diritto secolare avevano commesso dei reati.
E a favore di chi sarebbe la dichiarazione di sostegno? Certo non a favore del papa, per il quale certi gesti cortigiani dovrebbero risultare piuttosto penosi. Chissà se troverà il coraggio di separarsi da tali discutibili amici? L’attuale débacle mediatica della Chiesa cattolica minaccia di sfociare in una débacle morale. Il problema morale della Chiesa non è né l’abuso sui bambini in quanto tale e neppure le forme di punizione che ci appaiono oggi in parte barbariche e che non sono affatto tipiche della Chiesa. Ma è la sua incapacità a riconoscere le proprie strutture patogene e le conseguenze delle sue coperture clericali. La sua incapacità a mettere in discussione tutto ciò e a trarne delle conseguenze pratiche.
Molte cose dipenderebbero da strutture ecclesiali obsolete e vecchie concezioni che la Chiesa ha di sé, i cui presupposti risalgono all’alto medioevo e che non hanno ancora superato lo spirito dell’assolutismo. La competenza universale del papa e dei vescovi, che nessuno può controllare, ha perso da tempo la sua utilità organizzativa e, con il crescente inserimento in rete della Chiesa mondiale, la mancanza di un ordinato sistema di governo in Vaticano diventa sempre più irritante.
La mancanza di organismi di governo e la rispettiva disciplina diventa tanto più grave quanto più complessi sono i compiti della Chiesa a livello mondiale. La crisi di fiducia verso la Chiesa cattolica non riguarda tanto il suo personale, che probabilmente nella storia non è mai stato più qualificato, né forse più competente in fatto di morale. Riguarda la Chiesa come istituzione sociale, il suo centralismo, la sua monocratica concezione di sé, la mentalità clericale, l’inefficienza della sua organizzazione ancora cortigiana e la mancanza di una certezza del diritto e di un comportamento corretto di fronte a sviluppi conflittuali.
All’origine dell’attuale indignazione per gli abusi su bambini e adolescenti che quasi quotidianamente viene alimentata da nuove rivelazioni c’è stata una lettera coraggiosa dell’attuale rettore del Collegio Canisius di Berlino, padre Klaus Mertes SJ, agli ex allievi del collegio, nella quale si riconoscevano “degli abusi (sessuali) non isolati, ma sistematici e durati anni”, da parte di due confratelli che vi lavoravano come insegnanti, su allievi del collegio. Alcuni giorni dopo, il provinciale della provincia tedesca dei gesuiti, Stefan Dartmann, ha pubblicato una relazione su ulteriori casi di abuso in istituti diretti da gesuiti in Germania e all’estero. In questo modo era stato dato avvio ad un’azione che presto ha obbligato altri istituti cattolici, ma anche laici ed evangelici, ad occuparsi pubblicamente delle pratiche di abusi su bambini, di tipo sessuale od altro.
È stato come se il balzo in avanti dei gesuiti avesse rimosso molteplici ostacoli a riconoscersi in esperienze penali dello stesso tipo e a discuterne. Anche famosi pedagoghi sono stati sospettati di connivenza come le autorità della Chiesa. Gli episodi tedeschi sono stati subito messi in relazione con quelli dell’Irlanda e degli Stati Uniti, però a quel punto si sono focalizzati sulla Chiesa cattolica. Questi attacchi molto ampi e in qualche occasione anche scurrili contro la Chiesa cattolica romana possono diventare salutari?
Chi conosce anche solo un poco la storia della Chiesa cattolica romana sa che la storia del papato e in particolare della sua corte romana è attribuibile alla Chiesa dei peccatori piuttosto che a quella della sua pretesa santità. Lo storico Leopold von Ranke definì nel 19° secolo lo stato del Vaticano come la più arretrata delle comunità politiche. E per molti principati religiosi le cose non andavano meglio. La Chiesa dovrebbe essere riconoscente a Napoleone e a Garibaldi per averla liberata da impegni secolari.
Dopo la perdita del potere temporale la Chiesa ha cercato di intensificare il suo potere morale sulle anime dei credenti, cosa che le è riuscita fintanto che altre prospettive ideologiche sono rimaste al di fuori dell’orizzonte dei fedeli. Contemporaneamente però la Chiesa ha rafforzato la sua autorità morale con un orientamento più fortemente spirituale. Da quando il Concilio Vaticano II ha aperto la Chiesa al mondo, il papa è diventato un’autorità morale a livello mondiale.
Dal punto di vista storico però non sono mai stati i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica ad incarnare la forza morale del cristianesimo, ma sono stati prima i martiri e poi gli ordini religiosi. Nonostante tutti i deficit presenti anche qui, essi restavano fedeli al modello di perfezione cristiana in povertà, castità e obbedienza e diventavano così per i laici una concreta e quotidiana esortazione.
La Chiesa cattolica, a partire soprattutto dalla controriforma, era organizzata in una struttura duale di diocesi ed ordini religiosi indipendenti, che ha contribuito in larga misura alla sua vitalità. Invece il Concilio Vaticano II ha trattato gli ordini in modo matrignesco; non per niente è entrato nella storia della Chiesa come “concilio dei vescovi”.
Gli ordini religiosi hanno perso autonomia, e i vescovi si sono sottomessi alle esigenze di perfezione cristiana. Questa è effettivamente una pretesa eccessiva, di cui alla lunga non tutti sono all’altezza; ma su questo vengono valutati in un’epoca in cui si esige corrispondenza tra parole e fatti.
Ora in Germania un ordine religioso si è di nuovo messo in evidenza. I gesuiti sono stati i primi e sono rimasti anche gli unici ad aver reso pubblici di propria iniziativa gli abusi sessuali su bambini nei propri istituti. Non è stato necessario spingerli a farlo. Ciò che hanno messo in moto si spera che sensibilizzi in maniera durevole sia la coscienza pubblica che quella della Chiesa. Gli scandali pubblici - ringraziando i media - hanno il potere di lasciare un’impronta sulla memoria collettiva, se hanno un peso dal punto di vista morale. Si può sperare che il bubbone sia ormai scoppiato, almeno in Germania.
L’autore è professore emerito di politica sociale e sociologia all’università di Bielefeld.
Originario di Zurigo, ha partecipato alla fondazione dell’università di Bielefeld. Si è occupato, oltre che di storia e teoria della politica sociale, anche di sociologia familiare e religiosa.
La Teologia della Liberazione (TdL) ebbe origine come movimento spontaneo nell’alveo delle comunità di base cristiane, quelle che portano avanti, secondo il Concilio Vaticano II, l’aspetto più importante del messaggio del Cristo di Gamala, ovvero quello di riscatto della povera gente per una condizione sociale umana e dignitosa. Essa nacque in Brasile e fu una risposta necessaria al dilagare delle dittature in America Latina, a partire dagli inizi degli anni Settanta, tanto che si arrivò ad avere in quel paese circa 100.000 nuclei ecumenici per insegnare alla gente i diritti delle persone e a lottare per realizzarli. Molti cattolici, religiosi e laici, iniziarono così a prendere parte alle commissioni pastorali a carattere sociale, inserendosi nel tessuto vivo dei movimenti operai e dei sindacati. I principali ideologi furono il teologo peruviano Gustavo Gutierrez e i brasiliani Hélder Câmara († 1999) e Leonardo Boff, oltreché Frei Betto e Oscar Romero, assassinato dalla giunta militare di destra per la sua vicinanza ai bisogni del popolo (Cfr. cap. X). Fu proprio Gutierrez a dare una direttiva programmatica ai sacerdoti latino americani con il libro La teologia della liberazione del 1973, che in spagnolo aveva il titolo Historia, Política y Salvación de una Teología de Liberación. La TdL diviene automaticamente una sfida alle gerarchie ekklesiastiche, che hanno emarginato il Cristo dei poveri. Ritorna in tal modo dal Terzo Mondo quella richiesta, già risalente al medioevo, che diede luogo ai movimenti ereticali del XIII sec.: la Chiesa d’Amore e non la teoria delle preghiere, dette la domenica in Piazza San Pietro o - ancor peggio - l’azione dell’Inquisizione di ieri e di oggi, sulla quale si basa il potere della curia romana. In una frase, Hélder Câmara spiegava tutto ciò: «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista» . Il domenicano Frei Betto, al secolo Carlos Alberto Libanio Christo, ha spiegato a Peace Reporter il programma della TdL (Teologia della Liberazione *dallo sfruttamento capitalistico): “In America Latina la maggior parte della gente vive nella povertà e la maggioranza è di fede cristiana. Quindi la domanda principale di questa gente è: Dio vuole che noi rimaniamo in questa sofferenza? Oppure, come sta scritto nella prima pagina della Bibbia, ha creato il mondo in modo che fosse un giardino, un meraviglioso giardino con uccelli, fiori, acqua cristallina? La Teologia della Liberazione, non è una teoria, non è un qualcosa nato nelle biblioteche, nelle scrivanie, nelle accademie, nelle università religiose... No! È la sistematizzazione dell’esperienza di fede dei poveri alla ricerca della loro liberazione” .
I punti essenziali della TdL sono pertanto: 1) La situazione attuale della maggioranza dei latinoamericani contraddice il disegno divino e la povertà è un peccato sociale. 2) La salvezza cristiana include una “liberazione integrale” dell’uomo e raggruppa per questo anche la liberazione economica, politica, sociale e ideologica, come visibili segni della dignità umana. 3) Non vi sono solo peccatori, ma anche persecutori che opprimono le vittime del peccato che richiedono giustizia. 4) Rivendicare la democrazia, approfondendo la presa di coscienza delle popolazioni riguardo i loro veri nemici, per trasformare l’attuale sistema sociale ed economico. 5) Eliminare la povertà, la mancanza di opportunità e le ingiustizie sociali, garantendo l’accesso all’istruzione, alla sanità, alla scuola ecc. 6) Creare un uomo nuovo, come condizione indispensabile per assicurare il successo delle trasformazioni sociali. L’uomo solidale e creativo deve essere il motore dell’attività umana in contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica del profitto .
Leonardo Boff sottolinea che “Dall’incontro tra il lavoro intellettuale e l’ingiustizia sociale è nato un pensiero cristiano liberatore degli oppressi, contro l’oppressione e a favore della vita e della libertà. Senza un impegno diretto a favore degli oppressi, stando al loro lato in tutte le occasioni, camminando con loro in tutte le loro battaglie, nel campo, nella città, nelle favelas, non esiste Teologia della Liberazione. È in relazione a questo modo di vedere le cose che sono sempre stato legato al cammino degli oppressi, dal 1970”. Sulla storia scritta dai vincitori afferma che “Tutti dobbiamo andare a scuola dal popolo. La cultura popolare è cordiale, solidale, calorosa, piena di spirito, leggerezza e magia. Le élites non sono cordiali, sono crudeli e senza pietà. Se leggiamo la Storia a partire dai vinti capiamo che la nostra Storia è piena di resistenze, lotte per la libertà e la dignità. Il problema è che pochi conoscono questa Storia, perché la storia è stata scritta da mani maschili e bianche, non da mani femminili, nere, indigene e mulatte. Dobbiamo collegare le lotte di oggi con le lotte del passato, in Brasile e nel resto del mondo”. Per raggiungere i nostri fini di pace sociale, economica, scolastica e sanitaria: “Bisogna lavorare sempre con strumenti che i nostri nemici ideologici non possono usare e che sono la verità, la trasparenza, il senso della giustizia, del diritto, la stima del popolo e dei suoi valori. I nostri nemici ideologici hanno sempre bisogno di occultare la verità, distorcere i fatti, demoralizzare il popolo” . Per queste idee favorevoli alla strenua difesa dei diritti dei poveri e contro le grandi lobbies basiliane, Leonardo Boff si è scontrato in modo sempre più aspro con le gerarchie vaticane, in particolare con il correlatore della sua tesi a Monaco nel 1970, Joseph Ratzinger. Perciò il Panzerkardinal lo convocò il 15 maggio 1984. Il libro del francescano Chiesa: carisma e potere (Roma, Borla, 1983) - secondo il prefetto - aveva un tono “polemico e diffamatorio” che proponeva una “certa qual utopia rivoluzionaria estranea alla Chiesa”, tanto che c’era da chiedersi inorriditi: “Il discorso di queste pagine è guidato dalla fede, o da principi di natura ideologica, di certa ispirazione neomarxista?”. Le parole finali del Grande Inquisitore furono un invito a liberarsi “da certo socialismo utopico che non può essere identificato con il Vangelo” . Padre Boff scrisse in un articolo apparso sul Folha de São Paolo: “I teologi latino-americani non negano in alcun modo la natura divina del Cristo, né il valore redentore della sua morte... Essi mettono l’accento sulla realtà vissuta. Astrarre non significa negare... I Teologi della liberazione che si servono di talune categorie della tradizione marxista (specie Gramsci e Althusser) lo fanno analizzando le situazioni vissute dal popolo... Marx, in quanto tale, non interessa. Marx interessa solo nella misura in cui aiuti a meglio capire la realtà dello sfruttamento e segnali possibili sconfinamenti di quel sistema antipopolare che è il capitalismo” . A detta di Boff, pertanto, il problema va risolto nel Primo mondo “dove risiedono le principali cause dello sfruttamento e della oppressione”. Insomma, si potevano impiegare le categorie socioeconomiche marxiste per analizzare meglio le realtà politiche di un popolo, senza abbracciare tale dottrina. Nulla da fare. Ratzinger bollò come inammissibile il saggio Chiesa: carisma e potere. Saggio di ecclesiologia militante, che inevitabilmente traeva in causa La Chiesa d’Europa che guardava “alla Chiesa del Terzo mondo dalla finestra di un palazzo”. Ne derivava un pericolo per la sana dottrina della fede (o forse per la ricchezza smodata e priva di scrupoli della Chiesa di Roma?). Il padre francescano fu perciò condannato ad un anno di silenzio: niente scritti, niente conferenze, ma la sua convinzione non fu per niente scalfita: “I provvedimenti presi nei miei confronti non annullano la necessità che, in un’unione col magistero, si continui procedendo nella elaborazione di un’autentica Teologia della Liberazione”. Le proteste di una decina di vescovi non valsero a nulla. A nulla neppure il ricorso di 25 organizzazioni cattoliche brasiliane, perché padre Boff non aveva avuto la possibilità di difendersi: il Panzerkardinal aveva perciò violato i diritti umani dell’indagato. Nell’‘87 costui proibì la pubblicazione del saggio di Boff Trinità e società e lo estromise dalla rivista francescana Vozes. E quando il Prefetto decise di privarlo della cattedra di teologia, Boff nel 1992 “lasciò non solo l’ordine francescano, ma anche la Chiesa” . Prima di andarsene, però, ribadì il suo impegno sociale, che avrebbe subito adesso un’intensificazione, poiché non vi erano più i freni del Sant’Uffizio: “Il potere dottrinale ecclesiastico è crudele e senza pietà. Esso non dimentica nulla ed esige tutto. Me ne vado per mantenere la mia libertà e continuare un lavoro che mi si impediva di svolgere. (...) Esistono ancora una comunità cristiana e un torrente di fraternità francescana nel quale mi potrò collocare in giovialità e libertà” . Su Giovanni Paolo II, e sulla sua catastrofica svolta autoritaria, Boff scrisse: «(...) A Roma il nuovo Papa strinse accordi con la burocrazia vaticana, conservatrice per sua natura, che era del suo medesimo avviso. Si stabilì un granitico blocco storico costituito dal Papa e dalla Curia, che aveva il fine di imporre la restaurazione dell’antica identità ecclesiale e della vecchia disciplina. (...) Riscrisse il diritto canonico in modo da reinquadrare la totalità della vita ecclesiale, giunse a pubblicare il Catechismo Universale della Chiesa Cattolica (1997) e con esso ufficializzò il pensiero unico all’interno della Chiesa.(...) Si convinse che in America Latina il pericolo era il marxismo, quando il verace e infausto pericolo è sempre stato il capitalismo selvaggio e colonialista, con le sue élite antipopolari e reazionarie. In Giovanni Paolo II prevalse la missione religiosa della Chiesa, non la sua missione sociale. Se egli avesse detto “appoggeremo i poveri e contamineremo la Chiesa con le riforme nel nome del Vangelo e della tradizione dei Profeti”, ben altro sarebbe stato il destino politico dell’America Latina. Invece organizzò la restaurazione conservatrice in tutto il continente: rimosse i vescovi della liberazione e designò vescovi lontani dalla vita del popolo, chiuse le istituzioni teologiche e sanzionò i loro docenti» . Appena dopo l’elezione di Ratzinger a Papa, Leonardo Boff fu intervistato da Omero Ciai per la Repubblica il 23 aprile 2005. Come suo costume, il Teologo della Liberazione, aggiunse senza mezzi termini: «L’uomo che ho conosciuto io ha un grande limite: è senza dubbi, e coloro che non hanno dubbi non sono aperti al dialogo, né sono capaci di apprendere dagli altri”. Perciò Boff si è sentito defraudato da questa scelta, una scelta che rinchiude ancor più la Chiesa nel suo medioevo arcaico: “Ratzinger parla soltanto della Chiesa e combatte le altre visioni del mondo: l’agnosticismo, il relativismo. A questi “ismi” andrebbe però aggiunto anche quello del “romanismo”, di chi crede che nella Chiesa tutto accada a Roma». Di qui un progressivo ma inesorabile allontanamento dei fedeli dal Vaticano e la mancanza di vocazioni tradizionali: “Quando una chiesa non ha più sacerdoti sia a causa dell’imposizione del celibato, sia per la sua dottrina astratta e lontana dalla vita concreta dei suoi fedeli, molti non la percepiscono più come un focolare e l’abbandonano. Ma in Brasile ci sono anche centomila comunità di base e un milione di circoli biblici dove i cristiani vivono guidati dalla Teologia della Liberazione, condannata dal cardinale Ratzinger, ma così importante come ispiratrice di cambiamenti nella società” .
da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ (Nexus Edizioni), maggio, 2010. 544 pagine, 167 immagini, € 25
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