[...] La Procura belga ha respinto le accuse lanciate dal segretario di Stato vaticano. Ai vescovi, ha detto il portavoce Jean-Marc Meilleur, è stata data la possibilità di mangiare e bere, e le perquisizioni sono state condotte «da professionisti che conoscono molto bene il loro lavoro e che rispettano i diritti delle persone» [...]
Inchiesta sulla pedofilia,
Vaticano durissimo: "Vescovi sequestrati come nei regimi comunisti"
Bertone attacca il Belgio
"Blitz inaudito anti-pedofilia"
Ma Bruxelles andrà avanti con le indagini
di Marco Ansaldo (la Repubblica, 27.06.2010)
CITTÀ DEL VATICANO Rabbia in Vaticano per le modalità della perquisizione della polizia nella sede della Conferenza episcopale belga, ordinata dalla magistratura che conduce un’inchiesta sulla pedofilia. Il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, è duro: «Non ci sono precedenti, nemmeno nei regimi comunisti di antica esperienza». Convocato l’ambasciatore di Bruxelles presso la Santa Sede, al quale è stato espresso «il rammarico» per l’azione dei giudici.
CITTÀ DEL VATICANO «Per il sequestro dei vescovi durante la perquisizione della polizia nella sede della Conferenza episcopale belga non ci sono precedenti. Nemmeno nei regimi comunisti di antica esperienza».
C’è rabbia e sgomento in Vaticano per il caso che sta contrapponendo la Santa Sede al Belgio. E le parole pronunciate dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, danno la misura dell’indignazione che si respira oggi Oltretevere. A sconcertare, oltre alla perquisizione di tutti i vescovi belgi riuniti nella Sede episcopale, sono soprattutto i modi usati nell’inchiesta, arrivata a scoperchiare persino le tombe di due cardinali eminenti, come Suenens e Van Roey, alla vana ricerca di documenti non trovati durante la macabra indagine. Un’azione che ambienti religiosi criticamente definiscono «da Codice da Vinci».
Ma assieme allo sgomento c’è la voglia di reagire con determinazione. Il primo giorno è trascorso, come spiega il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, alla ricerca di «elementi per una presa di posizione precisa». Esaurita la fase esplorativa è stato quindi il momento di un passo ufficiale con la convocazione, da parte del "ministro degli Esteri" vaticano, Dominique Mamberti, dell’ambasciatore di Bruxelles presso la Santa Sede, al quale è stato espresso il «rammarico» per l’azione della magistratura belga. Ieri, infine, è intervenuto lo stesso "primo ministro" vaticano, Bertone appunto, a manifestare in maniera pubblica il pensiero del governo del Papa.
«Questo è un fatto inaudito e grave», ha detto il cardinale segretario di Stato durante un convegno all’università Lumsa. Che ha così continuato, con tono indignato: «Al di là della condanna della pedofilia, l’irruzione e il sequestro dei vescovi per nove ore, senza bere né mangiare... Non sono mica bambini». A conferma dell’ufficialità della protesta, le parole di Bertone sono state subito pubblicate con evidenza sulla prima pagina dell’Osservatore romano. Già al mattino Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, aveva scritto che «violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un gesto che sa di violenza».
La Procura belga ha respinto le accuse lanciate dal segretario di Stato vaticano. Ai vescovi, ha detto il portavoce Jean-Marc Meilleur, è stata data la possibilità di mangiare e bere, e le perquisizioni sono state condotte «da professionisti che conoscono molto bene il loro lavoro e che rispettano i diritti delle persone».
Ma ora la Chiesa belga potrebbe decidere di avviare un’azione legale, secondo quando annunciato dal portavoce della Conferenza episcopale locale, Eric de Buekelaer. Intanto, fino a quando la magistratura non ordinerà il dissequestro dei computer, l’attività dell’arcivescovado di Machelen-Bruxelles, quartier generale della Chiesa in Belgio, resterà paralizzata. I giudici intendono prima esaminare con attenzione tutto il materiale acquisito per indagare chi può essersi reso colpevole di abusi sessuali su minori, oltre ai 475 fascicoli di testimonianze su casi di pedofilia.
Davanti all’ira del Vaticano il Belgio non sembra scomporsi, e la maggior parte dei media mostra anzi di appoggiare l’azione della magistratura. In un Paese di antica tradizione cattolica, ma dove la laicità dello Stato è sacrosanta e inviolabile e la pedofilia è un incubo (come dimostrano esempi eclatanti del passato fuori dal circuito religioso, vedi il "mostro di Marcinelle" Marc Dutroux) molti giornali riconoscono che le iniziative prese con le perquisizioni nell’arcivescovado e nella cripta della cattedrale di Saint-Rombaut sono state «sproporzionate», scrive Der Standaard. La giustizia, però, ha lanciato si legge su De Morgen un «segnale chiaro: la Chiesa non è al di sopra della legge».
«L’idea che circola qui spiega a Repubblica il professor Charles-Ferdinand Nothomb, vice presidente vicario dell’Istituto Internazionale Jacques Maritaine, molto attento al mondo cattolico è che il nuovo governo voglia preparare una commissione indipendente da quella già istituita dalla Chiesa sulla questione pedofilia. La mia impressione è che il partito socialista intenda muoversi in maniera aggressiva nei confronti dei vescovi cattolici».
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
Preti pedofili perché il Papa difende Sodano?
di Vito Mancuso (la Repubblica, 30 giugno 2010)
Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: "Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità". Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?
Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana. Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.
Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).
Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: "Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa".
Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.
Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di "voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più". Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.
Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.
In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella "Lettera ai cattolici irlandesi"): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.
Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino...
C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.
Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia...
Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.
Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.
Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.
Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a "chiacchiericcio" le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.
Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.
Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.
Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come "Donazione di Costantino" da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).
Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: "Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica".
Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.
Vaticano, è codice rosso dopo la decisione americana
Di fronte a un crollo inedito e inaudito di credibilità, il Papa blocca il dibattito anche sulle responsabilità passate
di Marco Politi (il Fatto, 30.06.2010)
Sull’orlo del vulcano la Santa Sede sceglie la tattica dello “stare a vedere” dopo il pronunciamento della Corte Suprema Usa e si prepara al catenaccio. In Vaticano si spera che non si arriverà ad una citazione dinanzi ad un tribunale americano del cardinale Segretario di Stato Bertone, del decano del collegio cardinalizio Sodano se non dello stesso Benedetto XVI.
La decisione della Corte Suprema di “non decidere” sull’immunità della Santa Sede nei processi di pedofilia (come richiesto dalla stessa amministrazione Obama) apre però la strada ad una situazione molto pericolosa per il Vaticano. Il giudice dell’Oregon può ora andare avanti nell’accertare le specifiche responsabilità degli organi centrali vaticani per quanto riguarda i trasferimenti omertosi del prete-predatore Andrew Ronan (morto nel 1992), spostato via via dalle autorità ecclesiastiche dall’Irlanda a Chicago e infine a Portland, dove continuò ad abusare. Jeff Anderson, l’avvocato principe dei processi per pedofilia negli Usa, preannuncia una richiesta di audizione di Bertone e Sodano.
Oltretevere tenteranno a quel punto di chiedere nuovamente l’immunità, augurandosi che la Corte Suprema decida di riconoscere la non processabilità di esponenti di un governo straniero. Ma ciò che sfugge ai prelati vaticani nel giorno di festa del 29 giugno, in cui si esalta l’autorità suprema del papato, è che in Occidente è in corso un gigantesco smottamento di immagine e di prestigio della Chiesa cattolica, non più vista e riverita come potere sovranazionale superiore alle leggi statali.
Gli eventi di questi giorni sono il segno di un passaggio d’epoca. Per sedici secoli, dai tempi dell’Impero romano sotto Costantino, Teodosio II e Giustiniano, la Chiesa si è costruita passo dopo passo un’immunità strutturata a sistema, per cui clero e vescovi mai sottostavano alla giustizia civile. Per cui clero e vescovi erano quasi sempre intoccabili. Per cui la gerarchia ecclesiastica non doveva “rendere conto” a nessuno dei suoi affari interni.
I processi negli Stati Uniti degli anni scorsi e le condanne di risarcimento milionario inflitte alle diocesi per i casi di occultamento della pedofilia hanno fatto breccia in questo sistema, le commissioni d’inchiesta statali come in Irlanda lo hanno scosso, la valanga di eventi accaduti nelle ultime ore lo sta frantumando.
La Corte Suprema americana non ha ritenuto di concedere automaticamente l’immunità, la giustizia belga (seppure con un’azione spettacolare probabilmente inutile, perché i vescovi belgi avrebbero consegnato egualmente i loro computer e risposto ad interrogatori anche senza il sequestro di nove ore dell’intera conferenza episcopale) ha messo alla gogna la leadership ecclesiastica di una nazione, infine il comunicato vaticano su Propaganda Fide - nel riconoscere gli “errori” della congregazione - sono la testimonianza che il vento è cambiato.
Di colpo la Chiesa cattolica è trascinata dal suo empireo, dal suo essere un “potere al di sopra dei poteri terreni”, ed è obbligata a misurarsi con l’opinione pubblica, con le richieste di rendiconto dei mass media, con le citazioni dinanzi alle magistrature statali. Le prime risposte di papa Ratzinger non sembrano essere all’altezza della nuova sfida.
Il coro dei cortigiani, ecclesiastici e non, è già partito esaltando la sua svolta riformatrice, ma la situazione è più complessa. Benedetto XVI sulla piaga di pedofilia ha avuto un grande sussulto morale, improntato a rigore, facendo mea culpa nella Lettera agli Irlandesi, ponendo al centro la sorte delle vittime, esortando alla consegna dei preti colpevoli alla giustizia civile.
Ma ora che l’aggravarsi della crisi richiede una risposta di “politica ecclesiastica” il Papa appare esitante. L’operazione-pulizia in Italia - terra che sottosta direttamente alle direttive papali - non è nemmeno partita. La Cei non fornisce risposte sui cento casi di preti abusatori già acclarati e non apre un’inchiesta nazionale per scoprire le vittime non ascoltate.
Di più: lunedì Benedetto XVI ha tappato la bocca al cardinale Schoenborn, che aveva sollevato la questione delle responsabilità del cardinal Soda-no, Segretario di Stato durante il pontificato di Giovanni Paolo II, nel bloccare un’indagine del Sant’Uffizio - allora diretto da Ratzinger - sul cardinale pedofilo austriaco Groer e sul fondatore pedofilo e concubino dei Legionari di Cristo, Marciel Macial.
In un comunicato vaticano fuori dall’ordinario Schoenborn è stato costretto a scusarsi per le “interpretazioni date alle sue espressioni”. Con durezza è stato dichiarato che “nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al Papa”. Gli altri possono solo fare opera di “consulenza”.
E’ un bavaglio al dibattito tra i massimi esponenti della Chiesa proprio nell’ora in cui ce ne sarebbe maggiormente bisogno. Perché Schoenborn non ha sbagliato. Le inchieste su Groer e Macial furono davvero bloccate. Il Fatto è in possesso di una lettera privata di Groer del 1998 in cui il cardinale ammette che la dichiarazione pubblica - con cui non fornì spiegazioni prima di dimettersi - gli fu “sottoposta” alla firma con l’impegno di un “santo silenzio, di un segreto (da osservare)”. E solo dal Vaticano poteva venire l’imposizione al porporato pedofilo di un testo da sottoscrivere sotto obbligo di silenzio.
Il bavaglio a Schoenborn vuole bloccare le rivelazioni sugli anni ‘80 e ‘90. La missione del Papa, ha dichiarato ieri Benedetto XVI in San Pietro, è “garanzia di libertà per la Chiesa” nei confronti dei “poteri locali, nazionali o sovranazionali” e di salvaguardia della tradizione cattolica da “errori concernenti la fede e la morale”.
Una rocciosa esaltazione del primato papale. E tuttavia, questa sarebbe l’ora di un consulto di Benedetto XVI con il collegio cardinalizio invece dell’isolamento nella riaffermazione del potere supremo. Senza l’apertura di un dibattito trasparente e collettivo sugli errori del passato e le scelte del futuro, la crisi della Chiesa è destinata ad aggravarsi.
La vera laicità? Trattare anche i vescovi come normali cittadini
di Paolo Flores D’Arcais (il Fatto Quotidiano, 29 giugno 2010)
La “laicità positiva” è l’invenzione lessicale, da neolingua orwelliana, con cui il presidente francese Sarkozy nel dicembre del 2007, puntava a ridimensionare la laicità laica, la laicità coerente, ma potremmo anche dire la laicità senza aggettivi, della tradizione francese. Nella neolingua di “1984” di Orwell, infatti, le parole vengono piegate dal regime del Grande Fratello a significare l’opposto di quello che hanno sempre voluto dire.
Per fortuna dal 26 giugno 2010, esiste in Europa un’altra versione di “laicità positiva”, in cui l’aggettivo “positivo” ha in effetti il significato di “positivo” (buono, favorevole, costruttivo, proficuo, leggo nel dizionario dei sinonimi). L’interpretazione autentica dell’unico senso che può avere in una democrazia liberale l’espressione “laicità positiva” l’hanno data i gendarmi belgi inviati dal procuratore di Bruxelles a perquisire le sedi della conferenza episcopale e a sequestrare ogni documento utile per portare in giudizio i preti pedofili di quel paese fin qui sfuggiti alla giustizia.
I vescovi, che erano riuniti in assemblea, sono stati trattati esattamente come sarebbero stati trattati i membri di qualsiasi altra potente organizzazione su cui pendesse il sospetto di avere con il proprio comportamento sottratto alla legge, per anni e anzi decenni, dei pericolosi criminali. Per tutte le ore della perquisizione (nove, per l’esattezza) è stato loro impedito di uscire dall’edificio e di usare il telefono portatile. Di comunicare, insomma, con possibili complici. Nessun democratico può perciò parlare di “fatto inaudito e grave... di cui non ci sono precedenti neanche nei regimi comunisti di antica esperienza”, se un vescovo viene trattato esattamente come ogni altro cittadino.
Il cardinale Tarcisio Bertone - segretario di Stato di Papa Benedetto XVI - invece lo ha fatto, evidentemente ignaro che in una democrazia “la legge è eguale per tutti”. Gli aveva già risposto in anticipo l’ex premier del Belgio, Yves Leterme, ricordando che “chi ha commesso abusi deve essere perseguito e condannato secondo la legge belga” e aggiungendo che le investigazioni “sono la prova che in Belgio esistono poteri separati tra Stato e Chiesa”. Yves Leterme non è un “comunista di antica esperienza” ma un democratico-cristiano. Per il quale evidentemente conta anche la prima parte della definizione, a differenza del cardinal Bertone. Fa dunque una figura assai meschina, democraticamente parlando, Joseph Ratzinger, sceso a dar manforte (“sorprendenti e deplorevoli modalità delle perquisizioni”) al cardinal Bertone proprio mentre il portavoce della Procura di Bruxelles respingeva l’aggressione del cardinale segretario di Stato con un perentorio “le perquisizioni sono state condotte da professionisti che conoscono molto bene il loro lavoro e che rispettano i diritti delle persone”.
È dunque evidente che la questione della laicità è oggi per l’Europa una questione centrale e ineludibile. Per il Papa vale la logica che, quando in una vicenda sono implicati dei preti (e Dio non voglia vescovi o cardinali), “la giustizia faccia il suo corso”, ma “nel rispetto della reciproca specificità e autonomia” di Stato e Chiesa. Frase in apparenza innocua, che dovrebbe andare da sé, traduzione burocratica del più eloquente “dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”, se non fosse per il fatto che il Papa pretende di essere poi lui a decidere se e quando lo Stato prevarichi, se e quando un membro della gerarchia debba rispondere a un magistrato. Pretende di essere lui, insomma, e non un tribunale civile, a decidere quali siano i confini tra le due giurisdizioni.
Si dirà però che non si possono trattare i vescovi di un paese come dei “sospetti” di compiacenza o addirittura omertà verso dei criminali (in questo caso dei pedofili), e che il comportamento della giustizia belga è dunque “non si sa se grottesco o ignobile” (Vittorio Messori). Obiezione francamente spericolata, visto il precedente del vescovo di Bayeux-Lisieux monsignor Pierre Pican, condannato a 3 mesi con la condizionale dalla giustizia francese per essersi rifiutato di testimoniare sulle attività pedofile, a lui note, di un prete della sua diocesi, e che per questo modo omertoso di “rispettare la reciproca specificità e autonomia” tra Stato e Chiesa ricevette, tramite il cardinal Castrillón Hoyos, l’encomio entusiasta e solenne di Giovanni Paolo II. Proprio mentre il Belgio (tradizionalmente cattolico) spiegava con i fatti cosa debba significare “laicità positiva”, la Corte costituzionale tedesca legalizzava definitivamente l’eutanasia passiva, annullando la condanna di un avvocato che aveva consigliato a un proprio cliente di tagliare il tubo della flebo di un suo parente tenuto in “vita” artificialmente e contro la sua volontà.
La Chiesa luterana ha approvato la sentenza, quella cattolica no, per “la sensazione che la differenza tra eutanasia attiva e passiva non sia stata presa sufficientemente in considerazione”. E in effetti, in un quadro di laicità davvero positiva il passo successivo - logicamente e giuridicamente inevitabile - è il diritto alla decisione sovrana di ciascuno sul proprio fine vita. Se, come ha stabilito la Corte costituzionale tedesca, “il paziente può decidere di rifiutare trattamenti di prolungamento artificiale della vita anche in caso di morte non imminente”, perché evidentemente non considera più la sua “vita umana” ma disumana tortura, non si vede perché per porre fine alla tortura non possa chiedere interventi attivi. Nel cattolico Belgio infatti, come nella protestante Olanda, ciò è già possibile.
Il Belgio, come hanno di mostrato le recenti elezioni, vive un momento carico di problemi politici non invidiabili. Ma sotto il profilo della laicità è indubbio che oggi sarebbe necessario “più Belgio” in ogni paese d’Europa.
PEDOFILIA
Corte Usa non si pronuncia sull’immunità
Nessun ostacolo per processo al Vaticano
Il ricorso alla Corte era stato presentato dalla Santa Sede invocando il diritto all’immunità
degli Stati sovrani, su cui anche l’amministrazione Obama si era pronunciata a favore *
WASHIGTON - Il Vaticano è civilmente responsabile degli atti di un prete accusato di abusi su minori dopo che la Corte Suprema Usa ha rifiutato di pronunciarsi sul diritto all’immunità della Santa Sede. Nell’ultimo giorno in sessione, scegliendo di non esprimersi sul ricorso del Vaticano nel caso di un prete pedofilo dell’Oregon, la Corte conferma la decisione di una Corte d’appello di togliere l’immunità alla Santa Sede; questa decisione aveva spinto il Vaticano a fare appello alla Corte suprema, che rifiutandosi di affrontare il caso ha reso definitiva la decisione della Corte d’appello. Prima che un rappresentante del Vaticano possa essere chiamato a testimoniare, il tribunale dovrà decidere se il Vaticano stesso possa essere considerato "datore di lavoro" del sacerdote abusatore.
All’origine del caso la denuncia di una vittima, che rimane anonima, contro un prete irlandese, il reverendo Andrew Ronan - ora deceduto - che nel ’65, a Portland, nell’Oregon, lo avrebbe molestato. Il sacerdote prima di arrivare negli Stati Uniti era già stato coinvolto in altri casi di pedofilia in Irlanda e a Chicago. La vittima accusa il Vaticano di non avere ridotto allo stato laicale il sacerdote, o di non averlo quantomeno punito o allontanato.
La Corte ha deciso di non fermare l’azione legale in cui la Santa Sede è accusata di aver ripetutamente trasferito il prete da città a città nonostante ripetuti casi di molestie sessuali su minori. L’azione legale considera il Vaticano corresponsabile dei suoi abusi perché lo ha spostato dall’Irlanda a Chicago e poi a Portland nonostante fosse a conoscenza delle accuse contro di lui.
In primavera, quando il Vaticano aveva presentato ricorso, la Corte Suprema aveva chiesto il parere del governo Usa, il cui parere era che la Santa Sede godeva di immunità anche in questo caso e che i suoi leader, compreso il papa, non potevano essere interrogati. Il diritto all’immunità che spetta agli Stati sovrani, su cui si era espressa favorevolmente l’amministrazione Obama, era stato respinto nel corso di vari gradi di giudizio e da ultimo dalla Corte d’Appello di Sacramento.
"Ringraziamo i giudici per il coraggio con cui hanno lasciato che l’azione legale vada avanti", ha detto Jeff Anderson, l’avvocato che accusa il Vaticano. "L’azione della Corte è una risposta alle preghiere di migliaia di sopravvissuti alle molestie sessuali dei preti che finalmente avranno una chance di avere giustizia, la possibilità di chiudere le ferite", ha aggiunto.
L’avvocato del Vaticano, Jeffrey Lena, avrebbe invece preferito risolvere la questione a livello della Corte Suprema, "ma la decisione di oggi non significa che eravamo in errore nella interpretazione della legge". Lena ha ricordato che su questo punto l’amministrazione Obama aveva dato ragione alla Santa Sede: "I giudici di Washington hanno valutato che il caso non meritava di essere esaminato al loro livello per ora".
* la Repubblica, 28 giugno 2010
Bruxelles respinge le accuse dal Vaticano "critiche eccessive"
Anche la Conferenza episcopale prende le distanze: "I prelati sono stati trattati bene"
I rapporti tra la Santa sede e governo sono tesi dal 1989, dopo il sì all’aborto
Nel 2009 il premier criticò apertamente papa Ratzinger per la sua opposizione ai preservativi
di Andrea Bonanni (la Repubblica, 28.06.2010)
BRUXELLES - Il Belgio non si piega di fronte all’ira del Vaticano. Anzi, si profila un nuovo braccio di ferro tra Bruxelles e Roma. Perfino la Conferenza episcopale belga, direttamente colpita dalle perquisizioni relative a casi di pedofilia ordinate dalla procura di Bruxelles, prende le distanze dagli anatemi del segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Le accuse contro la magistratura, qui, non sono ordinaria amministrazione come in Italia. Poco prima che venisse reso noto il tenore della lettera di solidarietà inviata dal Papa ai vescovi belgi, il ministro della giustizia Stefaan De Clerck aveva giudicato «un po’ eccessive» le critiche di Bertone all’operato della giustizia belga. «Non bisogna farne un caso diplomatico», ha detto il Guardasigilli, pur sapendo che l’ambasciatore del Belgio era già stato convocato in Vaticano per ricevere la protesta formale della Santa sede. In particolare De Clerck ha contestato l’accusa di Bertone secondo cui i vescovi erano stati «sequestrati» per nove ore nel palazzo arcivescovile di Mechelen senza cibo né acqua: «È falso dire che non hanno ricevuto da mangiare o da bere».
Il ministro, come aveva già fatto il capo del governo belga dimissionario, Yves Leterme, ha sostanzialmente difeso l’operato dei giudici. Ha detto di non essersi stupito per la perquisizione ordinata nel palazzo arcivescovile. Quanto al sequestro dei 475 dossier su casi di pedofilia in seno alla Chiesa che erano in possesso della commissione indipendente creata dalla Conferenza episcopale, De Clerck ha ironizzato sul fatto che «questa commissione prendeva tempo, forse un po’ troppo tempo, per organizzarsi».
Se il governo belga cerca di calmare gli animi e difende l’operato dei giudici, è la stessa Conferenza episcopale belga a prendere le distanze da Bertone. Il portavoce dell’arcivescovado di Mechelen-Bruxelles, Eric De Beukelaer, ha confermato che i vescovi sono stati «trattati bene». Le dichiarazioni del segretario di stato vaticano, ha detto De Beukelaer, «sono un commento personale fatto sull’onda dell’emozione». In generale la Chiesa belga, tradizionalmente più aperta del Vaticano e in questo caso più consapevole della profonda irritazione presente nel Paese per l’esplodere dei casi di pedofilia, evita di polemizzare con la giustizia o di dare in qualsiasi modo l’impressione di voler proteggere i suoi membri colpevoli di abusi.
Ma non è certo questa la prima volta che i rapporti tra il Vaticano e il Belgio si fanno tesi. La rottura si può far risalire al 1989, quando il parlamento belga approvò la legislazione sull’aborto. Il cattolicissimo re Baldovino, allora sul trono, invocò l’obiezione di coscienza e si rifiutò di firmare la legge. Ma il Parlamento non mollò e Baldovino dovette dimettersi da re per un giorno, in modo che il primo ministro firmasse la legge al suo posto. Da allora Baldovino è considerato un esempio in Vaticano, esempio che è stato anche garbatamente rinfacciato al suo successore, re Alberto, il quale non si è fatto scrupolo di firmare la legalizzazione dell’eutanasia, quella dei matrimoni omosessuali e quella che liberalizza la ricerca sugli embrioni: tutte leggi che hanno fatto imbestialire il Vaticano.
Ma se Roma è irritata con Bruxelles, anche il Belgio non ha lesinato le critiche a questo Papa. Nel 2009, dopo una dura risoluzione votata dal Parlamento, il governo belga sollevò una protesta formale per le dichiarazioni di Benedetto XVI contro il preservativo, proprio mentre stava per recarsi nell’Africa flagellata dall’Aids. E più recentemente, è stato l’allora primo ministro belga e oggi presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy a criticare pubblicamente le dichiarazioni negazioniste di un vescovo lefebvriano a cui il Papa ha revocato la scomunica.
PEDOFILIA
Belgio, si dimette la commissione della Chiesa che indagava sugli abusi
Peter Adriaenssens e l’intero gruppo abbandonano l’incarico
BRUXELLES Nuovo capitolo nella vicenda dei casi di pedofilia nella chiesa belga. La commissione creata dalla Chiesa per esaminare i casi di abusi sessuali sui minori in Belgio, guidata da Peter Adriaenssens, si è dimessa nella sua totalità. Lo si è appreso da fonti di stampa. Peter Adriaenssens, il presidente della Commissione incaricata dalla Chiesa di esaminare il dossier sugli abusi sessuali in cui sono coinvolti alcuni sacerdoti, ha gettato la spugna per primo. Lo scrive il quotidiano De Standaard in edicola oggi, sottolineando che la decisione dello psichiatra è arrivata dopo che la procura belga ha sequestrato tutto il materiale raccolto dalla Commissione istituita dalla chiesa belga. «Siamo stati utilizzati come esca», ha attaccato Adriaenssens aggiungendo che il sequestro del materiale dimostra la diffidenza di cui hanno dato prova le autorità giudiziarie. «Hanno agito in questo modo perché pensavano che potessimo tenere nascosta la verità, mentre la nostra intenzione era di lavorare in piena trasparenza», ha commentato Adriaenssens.
Ieri, Papa Benedetto XVI ha criticato le perquisizioni disposte dalla magistratura belga «con modalità sorprendenti e deplorevoli» nelle sedi episcopali del Paese, nell’ambito delle indagini su presunti casi di pedofilia. In un messaggio rivolto al presidente della Conferenza Episcopale belga, l’arcivescovo André-Joseph Leonard, il Pontefice ha espresso la propria «vicinanza e solidarietà a tutti i Vescovi della Chiesa in Belgio per le sorprendenti e deplorevoli modalità con cui sono state condotte le perquisizioni nella Cattedrale di Malines e nella Sede dove era riunito l`Episcopato belga in una Sessione plenaria che, tra l`altro, avrebbe dovuto trattare anche aspetti legati all`abuso di minori da parte di membri del clero». «Più volte io stesso ho ribadito che tali gravi fatti vanno trattati dall`ordinamento civile e da quello canonico, nel rispetto della reciproca specificità e autonomia», ha continuato il messaggio, pubblicato sul sito internet della Santa Sede e nel quale Benedetto XVI auspica che «la giustizia faccia il suo corso, a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni, nel rispetto delle vittime, nel riconoscimento senza pregiudiziali di quanti si impegnano a collaborare con essa e nel rifiuto di tutto quanto oscura i nobili compiti ad essa assegnati».
Secondo il ministro della Giustizia belga, Stefan De Clerck, se la chiesa ha il diritto di istituire una commissione (presieduta da Adriaenssens), le vicende di pedofilia sono di competenza della giustizia «che ha preso in mano il dossier». De Clerck ha ribadito che, nel corso delle perquisizioni, i vescovi sono stati trattati in modo normale e ha definito «eccessive» le dichiarazioni del cardinale Tarcisio Bertone che ha paragonato le operazioni della giustizia belga a quelle degli ex Paesi comunisti.
* La Stampa, 28/6/2010 (11:23)
Il Papa: "Solidarietà ai vescovi belgi
Deplorevoli le perquisizioni"
CITTA’ DEL VATICANO - Il Papa ha espresso solidarietà ai vescovi belgi definendo "deplorevole e sorprendenti" le perquisizioni compiute dalla magistratura in Belgio. In un messaggio al presidente dei vescovi belgi, monsignor André-Joseph Léonard, Benedetto XVI auspica che anche sui casi di pedofilia in Belgio "la giustizia faccia il suo corso", ma "nel rispetto della reciproca specificità e autonomia" della Chiesa.
Finalmente in un paese europeo l’autorità giudiziaria si comporta in maniera giusta di fronte agli zombie in gonnella che vorrebbero continuare indisturbati a praticare la ritualità della pedofilia. Finalmente la tolleranza zero viene dalla magistratura belga, poiché se aspettiamo quella vaticana possono passare altri 2000 anni. Prima il segreto pontificio di Wojtyla-Ratzinger che impediva che qualsiasi abuso trapelasse a livello sociale, poi la fasulla tolleranza zero che è l’altra faccia del segreto pontificio: da oggi in poi noi, sostituendoci alle autorità giudiziarie, vi consegneremo quelli di cui vogliamo sbarazzarci. La libertà di cui parla la Chiesa di Roma è stata basata sempre sul sopruso e sull’abuso delle regole civili delle repubbliche con le quali ha a che fare. Abituata ai privilegi, ora si scandalizza che la magistratura belga abbia operato, dietro precise denunce di un prelato su abusi sessuali, come si fa di fronte alla malavita organizzata, senza il decreto berlusconiano SALVAPRETI che obbliga la magistratura ad avvertire i vescovi e il Papa di un’eventuale perquisizione. “La libertà che chiede la Chiesa Romana non è la libertà come la intendiamo noi, cioè quella del diritto comune; è il suo contrario, cioè il privilegio, l’indipendenza dalle leggi dello Stato, la dominazione esclusiva sulla istruzione, sulla beneficenza, sugli atti civili. Questa non è libertà, ma monopolio". da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ (Nexus Edizioni), giugno, 2010. 517 pagine, 130 immagini, € 25
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“La Chiesa sta insabbiando
Il primate mi ha minacciato”
intervista a Rik Devillé, a cura di Marco Zatterin (La Stampa, 27/6/2010)
«In questi diciotto anni sono andato ventidue volte in visita all’Arcivescovado. In un’occasione mi sono fatto accompagnare da venti vittime di abusi sessuali compiuti da uomini di Chiesa. Niente. Non mi hanno mai ascoltato, non hanno fatto nulla. Hanno sempre protetto i preti. Dicevano: “Non ci sono prove, pregheremo per voi”. E poi ci facevano andare via».
Rik Devillé ha l’aria mite, ma pronuncia parole pesanti come macigni. Porta bene i suoi 65 anni, trenta dei quali passati a curare le anime nella chiesa di Don Bosco, a Buizingen, appena fuori dal ring, a Sud di Bruxelles. È in pensione da pochi mesi, il crociato degli antipedofili, ma non ha ancora lasciato la parrocchia. Dal 1992 raccoglie le testimonianze di chi sostiene aver subito violenze da parte di preti, ne ha accumulate oltre 300 negli archivi della sua associazione "Diritti e Libertà nella Chiesa». È stato lui, all’inizio di giugno, a trasmettere gli incartamenti alla procura della capitale belga, mossa che ha innescato le perquisizioni di Mechelen (Malines). «È stata una buona cosa - commenta -. Era tempo che la giustizia cercasse i colpevoli».
La Chiesa belga aveva istituito la Commissione Adriaenssens. Non bastava?
«Il problema era il suo legame con l’Arcivescovado, l’assenza di una componente laica all’interno e di un collegamento con la magistratura. Ho sempre auspicato che fosse formata una Commissione veramente indipendente, un organismo il cui obiettivo fosse quello di aiutare la giustizia a fare il suo corso. Questa deve essere la via. Non spetta alla Chiesa stabilire chi ha violato la legge e come debba essere punito».
Crede che il Belgio sia un caso speciale? O che la piaga degli abusi sessuali in sacrestia sia un male comune?
«Succede ovunque, mi creda. Il Belgio credeva di essere l’eccezione perché nessuno caso era mai venuto alla luce. Eppure già nel 1994 avevo raccolto 82 denunce. Le vittime volevano essere ascoltate dalla Chiesa, volevano rompere la maledizione. E’ stato inutile, almeno sinora».
Lei ha raccontato di aver avvicinato anche Godfried Danneels, l’ex primate belga. Lui dice di non ricordarselo.
«Gli ho parlato dei miei dossier in due occasioni, nella prima metà degli Anni Novanta. Gli ho segnalato il problema e non so cosa abbia fatto dopo. In un’occasione, però, ricordo che il cardinale si arrabbiò. Disse che quello non era il mio lavoro, che dovevo restarne fuori».
Crede che stesse nascondendo qualcosa?
«I vescovi hanno una lunga storia alle spalle quanto a silenzi e omissioni. Proteggono i colpevoli e non le vittime».
Come reagiscono i belgi? Sono un popolo molto cattolico...
«Lo erano, una volta. A partire dagli Anni Sessanta la Chiesa cattolica è divenuta sempre meno democratica e i fedeli si sono allontanati. Si guarda al passato, è un potere che sta marcendo. Non si parla più del progresso, di porre fine al celibato oppure ordinare le donne sacerdote».
Ritiene che sarebbe una soluzione anche per riconsolidare i rapporti con la gente?
«Certo non da sola. La Chiesa non deve tornare al medioevo, ma affidarsi in modo più concreto alla lettera del Vangelo, badare ai poveri e ai deboli, rinunciare all’ostentazione del potere terreno. Sennò non potrà che andare lentamente verso la sua fine».