Il magistero di "Mammona" ("Deus caritas est") e della Morte ("ictus") o il magistero evangelico dell’Amore ("Deus charitas est") e della Vita ("I.ch.th.u.s")?!!

SOVRANITÀ E OBBEDIENZA. "DICO": DI CHI, DI QUALE LEGGE - A CHI, A QUALE LEGGE OBBEDIRE?!! ALLA LEGGE DEL PAPA - "COME UN CADAVERE" o ALLA LEGGE DEL "PAPÀ-PADRE NOSTRO" (Amore-Charitas, dei nostri "padri" e delle nostre "madri") - COME UN FIGLIO E UNA FIGLIA, UNA CITTADINA SOVRANA E UN CITTADINO SOVRANO?! Al Faraone e alla sua legge o a Mosè e alla Legge che egli stesso segue?! Abramo, chi ascoltò: Baal, il dio dei sacrifici e della morte, o Amore, il dio dei viventi?! Un’analisi di Giovanni Filoramo - a cura di pfls

"Preghiamo per quegli infelici che si sono sacrificati per il loro malinteso ideale" (don Lorenzo Milani) - di famiglia, di Patria, e di Dio!!!
giovedì 5 aprile 2007.
 


LE RELIGIONI PROFETICHE E IL RAPPORTO CON LA VOLONTÀ DI DIO

QUELLA VOCE DIVINA CHE ABRAMO ASCOLTÒ’

di Giovanni Filoramo (la Repubblica,/Diario, 03.04.2007, p. 46).

Atto di sottomissione della propria volontà a un’autorità specificamente religiosa, l’obbedienza costituisce un aspetto fondamentale delle più diverse tradizioni religiose. Legata, secondo l’etimologia del termine latino ob-audire “ascoltare”, all’autorità di una Parola sacra fondata sulla trasmissione orale, una volta che questa Parola è fissata per iscritto in un codice di regole e norme sacre, di leggi che la divinità trasmette per regolamentare la vita della sua comunità, l’obbedienza religiosa deve imparare a fare i conti con tutti i problemi che la fissazione per iscritto della volontà divina in codici e libri sacri comporta.

Forma, natura, limiti dell’obbedienza religiosa variano, naturalmente, col variare dei contesti religiosi, del tipo di comunità, delle antropologie soggiacenti e, in particolare, dei generi e gradi dell’autorità di riferimento: se umana o divina; se individuale o collettiva; se legata alla lettera dello scritto o a una sua interpretazione spirituale.

Parimenti, il grado di obbligatorietà conosce vari livelli: nell’induismo si attribuisce molta importanza alle Leggi di Manu, ma non minore a quella nei confronti del guru, alle regole della setta o dell’organizzazione religiosa.

Così, nell’islam vi è l’obbedienza alla sharia, ma anche alla propria tariqa o confraternita, o al proprio pir, la guida spirituale. Anche nel buddismo, che predica la liberazione dai vincoli dell’io (e, dunque, dell’obbedienza), i monaci devono comunque ubbidire alle regole del samgha.

Il modello dell’obbedienza religiosa è in genere individuato in Abramo, che spinge la sua obbedienza all’ordine del Signore sino al punto di essere pronto a sacrificare il suo unico figlio, Isacco. Né è un caso che Paolo, nella Lettera ai Romani(1, 5), individui in questa “obbedienza alla fede” - espressione problematica che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro - il nucleo duro della obbedienza in Cristo.

Parafrasando Nietzsche, si sarebbe tentati di dire che ogni volere presuppone un’obbedienza: quello del Padre, l’obbedienza del Figlio fino all’annichilimento; quello del padre spirituale, l’obbedienza del discepolo pronto a recidere la propria volontà per sostituirla con quella del suo padre spirituale, icona della volontà divina; quello dell’abate o fondatore di ordine religioso, l’obbedienza perinde ac cadaver di un voto, in cui il sacrificio della propria volontà diventa il mezzo necessario per la costruzione della comunità. Il cammino di perfezione del singolo, che costituisce la meta del cristiano, presuppone così una volontà di potenza disposta, attraverso l’obbedienza, a pervenire a un’impotenza che si rivela essere la vera potenza.

L’obbedienza, se è il primo requisito per intraprendere un cammino spirituale di perfezione, ne è anche in certo senso la meta, come ricorda il termine stesso di islam: abbandono, obbedienza autentica e totale al volere della divinità.

La tradizione cristiana ha costruito i propri codici dell’obbedienza a partire dall’esempio di Gesù, disposto a obbedire alla volontà del Padre, rinunciando alla propria, fino alla morte.

La Lettera agli Ebrei 5, 8-9, ha fissato in modo pregnante questa decisione e le sue conseguenze salvifiche per il credente: « Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono».

Paolo, poi, ha fatto dell’obbedienza della fede il fulcro della sua predicazione, sulla base della constatazione che l’obbedienza incondizionata del Figlio al volere del Padre ha liberato tutti gli uomini dal peccato: «Come per la disobbedienza di uno i molti sono stati costituiti peccatori; così per l’obbedienza di uno i molti saranno costituiti giusti». (Rom 5, 19).

Lo stesso Paolo, d’altro canto, dialettizzando il rapporto tra Legge e Vangelo, tra obbedienza ai comandamenti positivi presenti nella Torah e obbedienza interiore e spirituale al Cristo, non soltanto ha posto le basi per la rilettura cristiana dell’obbedienza biblica, ma ha sollevato per la prima volta il problema del ruolo della coscienza, che diventa il “tribunale”, anche per coloro che non hanno conosciuto la rivelazione definitiva della volontà del Padre in Cristo, cui fare riferimento, ai cui decreti ubbidire, nelle questioni etico-religiose decisive. Di frequente, infatti, l’apostolo propone la coscienza come criterio primo di moralità, attribuendo alla sua testimonianza particolare valore (Rom 2, 15), dal momento che lo Spirito Santo si esprime in una coscienza forte e incontaminata (Rom 9,1).

È qui contenuta in nuce l’idea moderna, riconosciuta dal Concilio Vaticano II, secondo cui l’obiezione di coscienza rientra nel diritto-dovere di ogni credente di formarsi una coscienza illuminata dalla parola di Cristo e dalla grazia dello Spirito Santo, alla quale obbedire come all’unica forza autenticamente cogente per la persona (Dichiarazione sulla libertà religiosa, n. 11). Vi è anche contenuta l’idea, che distingue la tradizione cristiana da quella classica, secondo cui «l’obbedienza ai precetti divini costituisce il fondamento di tutte le virtù» (Ambrogio, che verrà seguito da Agostino).

Sempre Paolo, nel controverso capitolo 13 della Lettera ai Romani, incita i cristiani a obbedire anche alla legittima autorità civile, nel rispetto dell’ordine voluto da Dio. Il controcanto a questa ubbidienza nei confronti del potere politico, che troppo spesso si è tradotta in remissività e complicità, è dato, con il suo potenziale critico, dal celebre passo di Atti 5, 29, in cui Pietro, al sommo sacerdote che ingiunge a lui e agli altri apostoli di non più predicare, risponde: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini». Passo che ha segnato la storia antica e recente della testimonianza cristiana di fronte al potere politico e a cui, in epoca moderna, si sono continuamente ispirati movimenti pacifisti e libertari cristiani nella loro disobbedienza civile.

La libertà interiore del credente costituisce il vero problema del modo in cui il cattolicesimo moderno, per reagire all’individualismo religioso promosso dalla Riforma, è venuto riproponendo in forma sempre più sistematica e cogente, culminata nella dichiarazione dell’infallibilità pontificia, una concezione “positiva” dell’obbedienza tipica dei voti monastici e di chi sceglieva una forma di vita religiosa.

Nell’Antico Testamento, dopo la consegna a Mosè delle tavole della Legge, l’obbedienza a Dio si dimostra nell’obbedienza ai precetti della Torah. Oggi, la rinnovata dottrina sociale della Chiesa e i valori non negoziabili sembrano porsi, per i cattolici italiani, come le nuove tavole della Legge, che Dio avrebbe affidato a un novello Mosè, la cui autorità è garantita dalla Tradizione. Si ripropone, in questo modo, un annoso contrasto, non certo specifico del cristianesimo, solo che si pensi al conflitto tra Antigone e Creonte.

Non si può fare a meno di ubbidire: ma a chi? a quali leggi? a quale autorità mediatrice? Il problema del contrasto tra spirito e lettera è un problema universale. Quante volte la disobbedienza si è rivelata essere la vera, più profonda forma dell’obbedienza religiosa, come insegna, tra tanti, il caso del leader religioso induista Ramanuja (XI sec. d.C.), che disubbidì al suo guru, rendendo pubbliche, affinché tutti gli uomini fossero salvi, le dottrine di salvezza che fino a quel momento erano considerate esoteriche.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  La Costituzione e la Repubblica che è in noi

Sovranità e Sacerdotalità - universali. VIRGILIO, DANTE ... E IL ’CODICE’ DI MELCHISEDECH: DIO è AMORE ... in ‘volgare’ - E LE RADICI DELLA TERRA SONO “COSMI-COMICHE”!
-  Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

"Questa è la nostra fede" (CEI). Il testo è qui commentato da Federico La Sala, in polemica con Sequeri

COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....

LO STATO DEL FARAONE, LO STATO DI MINORITÀ, E IMMANUEL KANT "ALLA BERLINA"! DOPO AUSCHWITZ. ... "LEZIONE SU KANT" A GERUSALEMME: PARLA "PILATO", IL SUDDITO DELL’"IMPERATORE-DIO".

AL DI LA’ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO: "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ ἀνδρός «uomo»], e capo di Cristo è Dio" (1 Cor. 11, 1-3).

FLS


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