Il Papa a Lourdes: "I vescovi accettino la messa in latino" *
LOURDES - Un appello ai vescovi affinché accettino la messa in latino per l’unità della Chiesa e un monito contro la "relativizzazione" della famiglia. Questi i cardini del discorso che Benedetto XVI ha pronunciato alla Conferenza espiscopale francese riunita a Lourdes per i 150 anni delle apparizioni mariane.
Il Papa spera che, grazie anche ad "alcuni frutti già manifestati" dal "motu proprio" che ha liberalizzato la messa in latino, si realizzi finalmente "l’indispensabile pacificazione degli animi". I vescovi francesi sono stati tra i più risoluti nel contrastare la liberalizzazione della messa tridentina, fino ad arrivare allo scisma dei seguaci di monsignor Lefebvre. Rivolgendosi ai seguaci del prelato ultratradizionalista, il Pontefice ha affermato che "occorre giungere in tempi ragionevoli a soluzioni soddisfacenti per tutti, così che la tunica senza cuciture del Cristo non si strappi ulteriormente. Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza eccezioni, in essa deve potersi sentire ’a casa sua’, e mai rifiutato".
Il Papa è poi tornato sul tema della famiglia. Scagliandosi ancora una volta contro quelle leggi che secondo la Chiesa ’’da vari decenni’’ ’’relativizzano in molti Paesi la sua natura di cellula primordiale della società’’. Parole non nuove per il Pontefice ma che acquisiscono un valore particolare in quanto pronunciate davanti ai vescovi della Francia, paese che ha legalizzato (con i Pacs) le unioni civili già nel 1999.
E proprio su quest’ultime Benedetto XVI ha affondato il suo attacco. La Chiesa, ha ribadito, deve opporsi alle leggi che favoriscono le unioni civili, attenendosi "con fermezza, anche a costo di andare controcorrente, ai principi che fanno la forza e la grandezza del Sacramento del matrimonio". "Spesso - ha proseguito - le leggi cercano più di adattarsi ai costumi e alle rivendicazioni di particolari individui o gruppi, che non di promuovere il bene comune della società".
Ratzinger ha osservato quindi come oggi un problema che ’’appare dappertutto di una particolare urgenza’’ sia ’’la situazione della famiglia’’ che si trova ad affrontare delle ’’vere burrasche’’. ’’I fattori che hanno generato questa crisi - ha proseguito - sono ben conosciuti’’ e, pur senza soffermarsi ad elencarli, il Pontefice non ha mancato di notare come ’’da vari decenni le leggi hanno relativizzato in molti Paesi la sua natura di cellula primordiale della società’’.
’’L’unione stabile di un uomo e di una donna, ordinata alla edificazione di un benessere terreno, grazie alla nascita di bambini donati da Dio, non e’ più, nella mente di certuni, il modello a cui l’impegno coniugale mira’’, ha ammonito ancora, aggiungendo: ’’Tuttavia l’esperienza insegna che la famiglia è lo zoccolo solido sul quale poggia l’intera società’’.
Malgrado la durezza dell’attacco, il Papa ha voluto comunque affermare che "la Santa Sede desidera rispettare l’originalità della situazione francese" riguardo alla distinzione tra Stato e Chiesa. "Sono convinto - ha spiegato - che le Nazioni non devono mai accettare di veder sparire ciò che costituisce la loro specifica identità".
* la Repubblica, 14 settembre 2008
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO".
FLS
In un convegno nella Città del Vaticano la testimonianza
del Segretario della Commissione Ecclesia Dei
"I vescovi ostacolano la messa in latino"
La denuncia di monsignor Perl
Segnalati problemi analoghi anche all’estero, soprattutto in Germania
CITTA’ DEL VATICANO - La messa in latino viene di fatto ostacolata dagli stessi vescovi. A denunciarlo in un convegno nella Città del Vaticano è il Segretario della Commissione Ecclesia Dei, monsignor Camille Perl: "In Italia la maggioranza dei vescovi, con poche ammirevoli eccezioni, ha posto ostacoli all’applicazione del motu proprio sulla messa in latino. Lo stesso bisogna dire di molti superiori generali che vietano ai loro sacerdoti di celebrare la messa secondo il rito antico".
Ad organizzare l’incontro "Il motu proprio Summorum Pontificum di Sua Santità Benedetto XVI - Una ricchezza spirituale per tutta la Chiesa un anno dopo" l’associazione "Giovani e tradizione" con il patrocinio della Commissione "Ecclesia Dei", il cui compito è quello di favorire il rientro dei lefevbriani all’interno della Chiesa cattolica.
Ma ostacoli alla messa in latino ci sono anche all’estero: "In Germania la Conferenza episcopale ha pubblicato una direttiva molto burocratica che rende di difficile applicazione il motu proprio". Le richieste da parte dei fedeli provengono da un nucleo di Paesi: Francia, Gran Bretagna, Canada, Stati Uniti, Australia. In Francia vi sono luci e ombre. Alcuni giovani sacerdoti hanno preso l’iniziativa, ha spiegato monsignor Perl, di celebrare la messa secondo il rito di San Pio V rivisto da Giovanni XXIII senza chiedere l’autorizzazione ai vescovi. "Del resto - ha detto il Segretario di Ecclesia Dei - il Papa aveva messo nelle loro mani il messale antico. Alcuni vescovi hanno appoggiato queste iniziative, altri no".
Ma il problema in Francia come in Germania è, più in generale, la scarsità dei sacerdoti: "Si accumulano sulla mia scrivania le lettere di fedeli di varie parti del mondo che reclamano l’applicazione del motu proprio. Ma bisogna tenere conto del fatto che il numero dei sacerdoti è scarso un po’ ovunque. Così un prete che deve già celebrare tre o quattro messe in un giorno non riesce ad aggiungerne un’altra. Questo è un problema soprattutto nelle diocesi di campagna in Francia e in Germania dove un solo prete ha un territorio ampio da coprire".
Inoltre, ha detto ancora monsignor Perl, "bisogna tenere conto che il rito riformato da Paolo VI è in vigore da 40 anni e ci sono molti preti che non sanno celebrare la messa con il vecchio rito; senza contare che sono stati indottrinati secondo una visione precisa: cioè che la vecchia liturgia superata". Tuttavia ci sono anche giovani sacerdoti che vogliono celebrare la messa in latino "e credo che il Papa abbia fatto il motu proprio pensando a loro".
Anche negli Stati Uniti ci sono fedeli che devono fare parecchia strada per raggiungere la chiesa dove si celebra la messa in latino perché non tutti i sacerdoti la vogliono celebrare. Così, ha detto Perl, "dobbiamo ricordarci che un anno è poco nella vita della Chiesa, ed è normale che molti fedeli siano delusi perché pensavano a un’applicazione immediata e capillare ovunque". Tuttavia, a un anno di distanza il clima sta cambiando favorevolmente
"Non abbiamo intenzione di fare il processo alla liturgia nuova", tuttavia la liturgia post-conciliare "è una mescolanza di antico e nuovo che produce spesso una mancanza di armonia e una confusione", ha concluso monsignor Perl.
* la Repubblica, 16 settembre 2008
La buona laicità
di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 16/9/2008)
Il lungo ciclo delle prese di posizione pubbliche di Papa Ratzinger, tra il discorso di Ratisbona (settembre 2006) e il solenne ricevimento all’Eliseo a Parigi (settembre 2008), si chiude con un successo di attenzione mediatica. Il Papa ha ribadito che il contrasto principale di oggi è tra «religione e laicismo». Nel contempo ha evocato benevolmente una «laicità positiva» lasciandone tuttavia indeterminati i contorni. A scanso di equivoci, però, lontano da Nicolas e Carla, ha invitato i Vescovi a non benedire «le unioni illegittime». Tutto deve tenere.
Sembra essersi affermata nell’opinione pubblica l’idea che ci sia il pericolo di una illegittima esclusione dalla sfera pubblica della religione, della Chiesa, del cristianesimo, di Dio (con una intenzionale o preterintenzionale confusione e sovrapposizione di questi concetti).
Naturalmente questo non risponde a verità. Quanto meno occorre distinguere tra la situazione francese e quella italiana. Da noi molti cattolici coltivano la sindrome della vittima: costante presenza mediatica accompagnata dal lamento dell’esclusione; denuncia della critica e del rifiuto delle loro opinioni come prova dell’ostilità verso il cristianesimo-cattolicesimo, verso la Chiesa, anzi verso Dio. Da qui l’equivoco di scambiare il dissenso ragionato verso aspetti - naturalmente importanti - della dottrina della Chiesa e della sua strategia come inimicizia preconcetta contro la religione o come ateismo militante. Magari si prende occasione dall’atteggiamento di alcuni laici, del tutto legittimamente atei, che con le loro posizioni polarizzano su di loro l’attenzione dei media e della Chiesa.
Ma dove passa la differenza tra laicità positiva e laicismo? In concreto: nella definizione della famiglia «naturale», nei temi connessi a quella che viene genericamente chiamata eutanasia, nei problemi cruciali della bioetica? Chi non è d’accordo sul lungo elenco dei «no» degli uomini di Chiesa - dalle coppie di fatto alla sospensione dell’alimentazione forzata nel caso di Eluana - è dichiarato laicista. Chi invece è d’accordo è laico positivo. Come si possono schiacciare in queste caselle le convincenti considerazioni di Barbara Spinelli su «quando muore il cervello» (La Stampa 14 settembre)?
Ma c’è un altro malinteso. In Italia si sta estinguendo il dialogo, se con esso miriamo allo scambio di ragioni e di argomenti. Se lo intendiamo come la ricerca della verità su questioni complesse, dove ognuno degli interlocutori dovrebbe essere disposto a mettere in gioco le proprie convinzioni. No: il dialogo è diventato sinonimo di rassegna e competizione di posizioni già predisposte in funzione identitaria (cattolici contro laici). In particolare per gli interlocutori religiosi la verità c’è ed è intrattabile. Ma questo avviene sulla base di un passaggio logico non esplicitato: l’incontrovertibilità della verità passa impercettibilmente dal piano della «rivelazione religiosa» ai temi della «natura umana» che dovrebbero essere invece affrontabili con strumenti razionali e scientifici presuntivamente comuni e accessibili a tutti.
La Chiesa in questi anni di esposizione pubblica è riuscita a riaffermare la credibilità della sua dottrina naturale. Il costo (non detto e persino non percepito da molti Pastori) è che non si parla più davvero di teologia ma di antropologia, come si sente ripetere in continuazione. Il problema che sta a cuore non è la questione di Dio, ma l’idea di natura umana e di razionalità (nel senso inteso da Ratzinger) che passa surrettiziamente dietro e dentro l’idea di Dio quale è codificata nei termini tradizionali della dottrina. Il laico che solleva questa problematica è etichettato senz’altro come laicista. Con lui si polemizza, non si dialoga.
A questo punto confesso d’aver perso il senso della distinzione benevola-polemica tra laicità positiva e laicismo. Secondo lo stereotipo corrente il laico-laicista è il non-credente, il razionalista («arido», naturalmente), lo scettico cultore del dubbio metodico, relativista rispetto ai valori, l’uomo senza speranza. Inutile dire che queste sono caricature clericali. In realtà oggi il laico (senza bisogno di sentirsi definire «positivo») non condivide più la «religione della ragione» settecentesca, la «religione dell’idealismo» di stampo ottocentesco, neppure quella della scienza novecentesca, anche se tiene ben fermi come criteri di certezza quelli offerti dal metodo scientifico. Di conseguenza si pone interrogativi su Dio che appaiono incompatibili con la dottrina corrente della Chiesa.
Il laico è l’uomo/la donna delle certezze che sanno di essere radicalmente contingenti, ma non per questo meno stringenti. È l’uomo/la donna della ragionevolezza, cioè della razionalità temperata da ciò che non appare riducibile alla semplice strumentazione scientifica. Ma non per questo accetta dottrine costruite su modelli mentali e antropologici storicamente elaborati con mentalità pre-scientifica (o addirittura anti-scientifica) che pretendono accesso privilegiato alla trascendenza.
Il confine tra razionale e irrazionale è precario, ma sempre definibile con gli strumenti della ragione. L’orizzonte della ragione e delle sue espressioni semantiche è intrascendibile. La fede non vi trova posto. Questa è la lezione irrinunciabile da Kant a Wittgenstein, due studiosi che non si dichiaravano affatto atei ma ponevano la fede nella «ragione pratica» o nell’ambito delle «forme di vita». Chi ragiona così è un laicista o un laico positivo? Francamente questa distinzione, che pretende diventare una graduatoria della razionalità, è insostenibile.
Diteglielo al Papa che così non va
di Sergio Grande *
CI sono delle cose che a me sembrano semplicissime da comprendere ma che, evidentemente, non lo sono per quelli che si definiscono “uomini di cultura”. Se poi si tratta di filosofi o addirittura teologi peggio ancora se professori, le cose diventano ancora più complicate. Pigliamo ad esempio Papa Benedetto XVI al secolo Joseph Ratzinger.
A Lourdes ha invitato i fedeli a "rifiutare i moderni idoli del denaro, del potere, dell’avere e persino del sapere per tornare al rapporto con Dio e alla ricerca della vera felicità". Bene, benissimo, ma qual è l’alternativa? Inginocchiarsi davanti ad una statua in una grotta a Lourdes o benedire un’altra statua di un’altra madonna a Cagliari. E che cosa è questo se non idolatria? Una idolatria che, fra l’altro, è molto lucrosa per chi lo gestisce o che svolge attività turistiche nelle città sedi di “santuari” come quello di Lourdes o di San Giovanni Rotondo, solo per citare i più famosi.
Da un lato si combatte l’idolatria del denaro dall’altro si mette su un fiorente commercio sulla idolatria del sacro e si accettano doni costosissimi dai potenti della terra. A Cagliari, per esempio, Benedetto XVI ha accettato in dono un calice d’oro purissimo tempestato di pietre preziose del peso di 1,5Kg. Solo l’oro ha un valore di oltre trentamila euro. L’idolatria del denaro non è giusta ma in sostituzione si propone una idolatria che procura denaro alla chiesa e alle sue istituzioni.
Continuiamo. Sempre sull’argomento della ricchezza Ratzinger ha utilizzato anche recentemente belle parole per sostenere la “povertà evangelica”. Non gli hanno spiegato che se si sostiene la “povertà evangelica” non si possono poi ricevere in udienza i club dei ferraristi e far schierare una decina di auto Ferrari rosso fiammanti sul sagrato di San Pietro. Ne si possono ricevere in dono auto extralusso da note case automobilistiche per di più gravemente inquinanti come le SUV. Ne si può trasformare il Papa in un testimonial di tali auto. Più di qualcuno si contorce nella tomba.
Ma veniamo a qualcosa di meno materiale, la questione dei divorziati. Ci sono organizzazioni religiose che hanno regole particolari che devono essere rispettate da chi a quelle religioni aderisce pena l’esclusione. Se per esempio un Testimone di Geova decide di sottoporsi ad una trasfusione di sangue su prescrizione di una struttura sanitaria viene immediatamente escluso da quella organizzazione religiosa. E nessun Testimone di Geova avrà più a che fare con chi è stato escluso. Al di la del merito della questione, su cui ognuno può avere le proprie valutazioni, si tratta di un comportamento che alle dichiarazioni di particolari regole fa seguire fatti precisi, decisioni incontrovertibili. E’ un comportamento che la grande maggioranza delle persone definisce “coerenza” fra quello che si dice e quello che poi concretamente si fa.
Ciò con vale per la chiesa cattolica. Da un lato si definisce la regola del rifiuto della benedizione per i divorziati risposati, dall’altro si fa accedere determinate persone che si trovano in tale situazione addirittura a ruoli religiosi. E’ il caso del presidente francese Sarkosy, pluridivoziato e pluririsposato che ciò nonostante è diventato “canonico di Franca”, con tanto di consacrazione in quel di San Pietro non molto tempo fa. Stessa cosa per i funerali di Pavarotti, anche egli divorziato e risposato e che quindi non avrebbe potuto ricevere il funerale in chiesa, per il quale si è scomodato il vescovo della sua città. Per lui la regola non è valsa. Come non vale per i tanti divorziati e risposati che però militano politicamente nell’area dei partiti di destra. Se uno di sinistra divorzia e si risposa peste lo colga, scomunicato seduta stante, se lo fa uno di un partito di destra nessuna condanna, e non c’è bisogno di fare nomi.
Allora occorre che qualcuno lo spieghi al Papa e ai vescovi che con la politica dei due pesi e due misura la chiesa cattolica è destinata a perdere credibilità e consensi perché si tratta di comportamenti che sfuggono alla comprensione della gente comune e soprattutto di quelli che vivono sulla propria pelle quelle condizioni che la chiesa condanna come aberranti ma solo per alcuni.