j’accuse
Esce anche in Italia il pamphlet del noto giornalista francese Jean-Claude Guillebaud, «neoconvertito»
Cristiani, in Europa messi al bando
«Non c’è persecuzione, ma quella derisione beffarda che agita i media e indica il credente come un essere arcaico amputato di parte di sé, votato alla credulità»
DI JEAN-CLAUDE GUILLEBAUD (Avvenire, 10.09.2008) *
« Ma lei è cristiano, sì o no?» Ci sono domande che ti assediano, così, di botto, quando uno non se le poneva più. Si disinteressava. Pensava di averle superate. Forse, giorno dopo giorno si sottraeva, senza saperlo. Conferenze, incontri, dibattiti: sono gli altri che in tali contesti pubblici mi hanno incalzato, e senza mezzi termini. All’inizio, la loro curiosità mi infastidiva. Mancava poco che la percepissi come sconveniente. Ero cristiano? Ma io stesso me ne rendevo conto forse? È una qualità - o un’identità - di cui, in ogni caso, non avevo intenzione di fregiarmi. Presagivo che la questione, prima o poi, si sarebbe ripresentata ma, senza un calcolo deliberato, rimanevo nel vago, nell’ambiguità, nel non-detto.
Dichiararmi cristiano mi sarebbe sembrato presuntuoso per non dire magniloquente, ma sostenere il contrario sarebbe stata vigliaccheria. Allora? Rimandavo a più tardi, spingendo in avanti la suddetta questione, come un bagaglio con il lucchetto, un po’ ingombrante. E non andavo a messa. Poi arriva un momento in cui il bagaglio bisogna aprirlo sul serio. Non è semplice.
Allora, sono cristiano? Capisco meglio, adesso, il torpore spirituale, la prostrazione istintiva, la prudenza pigra che mi assalivano appena mi avvicinavo con il pensiero a tale questione centrale. Reagivo come chiunque. Rispondere in modo diretto, spiegarsi senza raggiri esige che si accetti di «mollare la presa». Che cosa vuol dire? Vuol dire che si rinuncerà per quanto possibile all’eloquenza, al calcolo.
Mentre scrivo penso alla sorte che «questo» tempo riserva ai cristiani. Parlo qui non certo di «persecuzione» propriamente detta (sarebbe un’idiozia), ma di quella derisione beffarda che pervade la nostra epoca e agita i media, soprattutto a sinistra, dove si situano perlopiù i miei amici. Si ama indicare chi si palesa credente come se fosse uno zombi arcaico, amputato di una parte di sé, votato a una credulità che fa sorridere o addirittura scatena ostilità. Negli ambienti filosofici e scientifici la messa al bando è d’obbligo. Come potrebbe pretendere di pensare razionalmente chi si commuove ancora con queste «favole»? Può porsi come interlocutore e ricercatore serio chi non è riuscito a rompere una volta per tutte con l’eredità delle superstizioni o non si è augurato di farlo? Ma pensa! Preoccuparsi ancora di significato, ontologia, metafisica!
Non è la vivacità ostile di questi discorsi che mi colpisce. I cristiani, dopo tutto, di fronte alla disputa che accompagna fin dalle origini la storia del cristianesimo non si sono mai tirati indietro. Il confronto con un discorso ostile, anche violento, è un’evenienza di cui occorre accettare la durezza. Forse anche rallegrarsene. Qualunque convinzione non deve forse «dare ragione» di sé, salvo rimanere nell’oscurantismo o nel sentimentalismo?
Di libro in libro ho tentato, da parte mia, di prendere sul serio le argomentazioni anticristiane. Ho avuto cura, per quanto sono stato in grado, di mettere a confronto il cristianesimo con le critiche più severe, quelle che arrivavano a ricusarne il fondamento. In uno dei suoi saggi, Jacques Ellul racconta che, uscito dall’adolescenza e sentendo rinascere in lui la fede cristiana, si affrettò a leggere - o rileggere - i grandi autori anticristiani per mettere alla prova la sua fede ritrovata. Non fu mai ostacolato dalla vivacità o dalla violenza di quei testi.
No, è la superbia e la degnazione spesso incolta - per non dire ignorante - di certe requisitorie contemporanee che mi irritano, soprattutto quando sono intimamente vissute come ferite dagli uomini e dalle donne che incontro. Queste requisitorie non hanno più niente a che vedere con una controversia documentata. Derivano da un imperativo pieno d’odio, molto vicino, in fondo, a ciò che furono gli anatemi ideologici del XX secolo. Si vorrebbero convincere i cristiani che non solo sono reazionari, come si usa dire, ma anche oramai esclusi dalla storia delle idee. Sono out o, come si scrive nei settimanali, irrimediabilmente «in ribasso ».
Penso anche a certi autori come il fenomenologo Michel Henry o il romanziere Frédéric Boyer che furono a lungo lodati dalla critica per il loro lavoro e i loro libri, fino al giorno in cui confessarono la loro inclinazione cristiana. Allora lessero recensioni beffarde o falsamente dispiaciute nelle pagine letterarie di alcuni grandi giornali. Ne furono sopraffatti, per quanto avessero gli strumenti per difendersi. Ma che dire dei credenti comuni, quelli che non hanno accesso ad alcuna tribuna e giorno dopo giorno devono incassare questo disprezzo calato dall’alto? Un disprezzo che in fondo mi sembra non solo ingiusto ma intellettualmente bizzarro.
Questa ignoranza della teologia la si ritrova perfino presso gli intellettuali o gli universitari che professano di «combattere l’oscurantismo religioso ». Tutta la storia del cristianesimo, a sentir loro, è ridotta a una spaventosa successione di crociate, inquisizioni, violenze clericali, mentre i grandi autori della tradizione ebraica o cristiana vengono presentati come manipolatori o, nel migliore dei casi, come spiriti sempliciotti.
Chi, oggi, parla delle dure lotte giuridiche portate avanti dalla Chiesa nel tentativo di mitigare la violenza medievale («pace di Dio», «tregua di Dio», interdizione progressiva delle ordalie, eccetera)? Chi ricorda le opere di assistenza ospedaliera o educativa perseguite di secolo in secolo? In breve, chi conserva almeno memoria di ciò che un semplice studente di diritto dell’università laica e repubblicana imparava ancora negli anni ’60? Nessuno, naturalmente. L’intera storia del cristianesimo non è più ripercorsa se non nell’ottica di una demonizzazione a oltranza. Anche l’Inquisizione ha quindi cambiato campo. In questo contesto, molti cristiani d’oggi reagiscono emotivamente e cedono a reazioni contraddittorie. Primo riflesso: rasentano i muri e tacciono prudentemente la loro fede, come facevano negli anni postbellici ma soprattutto durante i decenni ’60 e ’70, di fronte alle grandi intimidazioni marxiste, sartriane o strutturaliste. Al di là della contrizione e del pentimento, acconsentono a divenire degli impotenti, assenti dal dibattito contemporaneo, perfino afasici.
Questa prudenza eccessiva non mi soddisfa. È parente della resa e rende tutto troppo facile all’aggressività di cui è circondata, all’incultura generalizzata o al cinismo diffuso. Lascia intendere che la tradizione cristiana sarebbe un arcaismo residuo che, pur rimanendo rispettabile, non ha più niente da dire rispetto al mondo del XXI secolo. Pone l’adesione al cristianesimo nel capitolo degli affetti elementari, delle effusioni intime che non sarebbero in grado di allargarsi a ciò che compete all’intelligenza e alla ragionevolezza. Il cristianesimo, si lascia intendere, storicamente è forse apprezzabile ma nel senso stretto del termine non ha più voce in capitolo. Io invece, sono convinto del contrario.
IL LIBRO
IL «RICOMINCIANTE»
In Francia li chiamano i «ricomincianti»: sono i cristiani «di ritorno», le persone che - cresciute in ambiente più o meno cattolico - hanno poi lasciato la fede per scelta o per incuria e più avanti nella vita ricominciano un cammino cristiano consapevole e convinto. Jean-Claude Guillebaud è uno di loro; nato ad Algeri nel 1944, già giornalista a «Le Monde», ateo e di sinistra, oggi Guillebaud (foto qui a fianco) è direttore della casa editrice Seuil ma Oltralpe è diventato un caso anche per la sua conversione. Ora egli stesso ne racconta le tappe in «Come sono ridiventato cristiano» (Lindau, pp. 142, euro 14), da cui riprendiamo in questa pagina lo stralcio iniziale. Dalle missioni giornalistiche di guerra in Vietnam, Israele, Libano, Etiopia, India, al volontario distacco da quella che egli stesso chiama «la pura orizzontalità del fatto» per puntare a una riflessione più profonda; dal maggio Sessantotto vissuto sulle strade di Parigi alla riscoperta delle origini cristiane delle democrazie e persino del marxismo: Guillebaud descrive i «tre cerchi» attraversati nella ricerca - del tutto non apologetica - che l’ha condotto felicemente (ne fa testo la sorridente foto di copertina) al cristianesimo.
Torna il grido di Camus: «Cattolici, svegliatevi!»
«I cristiani sono tanti (...). Se lo volessero, milioni di voci nel mondo si aggiungerebbero nel mondo al grido di un pugno di solitari che, senza fede né legge, oggi lottano un po’ dappertutto e senza sosta per i bambini e per gli uomini » . Così Albert Camus ( nella foto), lo scrittore e premio Nobel francese, dichiarava in un celebre discorso tenuto nel 1948 davanti ai domenicani di boulevard La Tour Maubourg a Parigi. Proprio quel testo dell’autore de La peste, la cui nostalgica dialettica col cristianesimo è ben nota, viene rilanciato ora da Guillebaud, che annota: « Camus rimproverava già i cristiani - senza aggressività, anzi - di non esprimersi più con voce alta e comprensibile sul loro credo. Parlava della loro timidezza del dopoguerra di fronte al terrorismo staliniano. Aveva ragione. Che cosa direbbe oggi!».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
FLS
l’intervista
Il direttore dell’editrice Seuil, già inviato di «Le Monde»,
rilegge i temi forti dei giorni del Papa a Parigi.
«Ci insegna a riscoprire coraggio del futuro.
Accogliamo il suo invito a fuggire gli “idoli” e fare il bene insieme, credenti e non»
Guillebaud: «Le ragioni della fede? Non sono più tabù.
Ratzinger, maestro di speranza nella crisi della democrazia»
DI LORENZO FAZZINI (Avvenire, 14.09.2008)
L’ importanza del richiamo ad una «compenetrazione feconda» tra fede e ragione. E l’invito ad abbandonare gli idoli per «costruire il bene». Sono questi i passaggi delle giornate parigine di Benedetto XVI che Jean-Claude Guillebaud - direttore della casa editrice Seuil, già inviato del giornale Le Monde e autore del recente «Perché sono ridiventato cristiano» (Lindau) - coglie dalle parole del Papa come messaggi significativi per la società transalpina d’oggi.
Ieri Benedetto XVI ha rilanciato il tema del legame fra fede e ragione: «Mai Dio domanda all’uomo di fare sacrificio della sua ragione! Mai la ragione entra in contraddizione reale con la fede»...
Penso che uno dei messaggi più importanti che il Papa abbia dato finora in questo viaggio sia l’invito alla riconciliazione tra fede e ragione. Ha ribadito l’invito presente nella prima lettera di Pietro: essere capaci di rendere ragione della nostra speranza di credenti. La fede non è qualcosa che ci obbliga a mettere tra parentesi la nostra ragione; il credente deve invece sempre essere capace di dare un senso alla sua fede. Così si crea come una compenetrazione feconda tra fede e ragione.
A suo giudizio questo invito trova una Francia più sensibile rispetto a qualche anno fa, ad esempio all’epoca del Sessantotto?
Sì, lo constato nell’ambiente della cultura: ci sono intellettuali, anche non cattolici, più disponibili ad accogliere il valore della compenetrazione tra fede e ragione. Essere cristiani ed intellettuali è qualcosa che viene meglio accettato rispetto a qualche decennio fa. Un esempio: alcuni anni fa - prima che Ratzinger fosse eletto Papa - la rivista Esprit tradusse il celebre dialogo che egli ebbe con il filosofo tedesco Habermas. In Francia quel testo ebbe una grande eco, perché quell’incontro tra un grande teologo cattolico e uno dei più significativi filosofi atei attuali fu visto come un evento nuovo.
Facendo eco a san Paolo, Benedetto XVI ha invitato i francesi a fuggire «il culto degli idoli» e a «non smettere di fare il bene». Nota qualche realtà concreta in cui credenti e non credenti di Francia operano positivamente insieme per costruire questo bene?
Certamente. Vi è un insieme di gruppi e di associazioni, molto numerose ma che non ricevono attenzione dai mass media, e che incontro girando il Paese, in cui cristiani e non cristiani lavorano insieme nel campo della solidarietà e dell’aiuto ai poveri. E questo è sicuramente qualcosa di positivo.
Il Papa ha denunciato la tentazione di «idolatrare un passato che non esiste più» e «un futuro che non esiste ancora»...
Nella nostra società viviamo in un presente perpetuo, in cui assistiamo sia alla perdita dell’ancoraggio alla tradizione sia della capacità di progettare. Invece, come ha detto Benedetto XVI nella sua enciclica sulla speranza - la Spe salvi del 2007 - è proprio questa virtù che spinge l’uomo ad impegnarsi per il meglio. La nostra epoca vive in un «oblio perpetuo» che dimentica la propria genealogia, l’importanza dei genitori, il valore della pedagogia: vogliamo essere autonomi dal passato. Rispetto al futuro c’è un sentimento diffuso e pericoloso che vede le cose di domani, anche l’economia e la tecnologia, come ineluttabili. E ciò fa sorgere la crisi della democrazia. Non abbiamo più la forza di fare progetti; la gente, quando pensa al futuro, ha più paura che speranza. Il segno algebrico del domani diventa il negativo.
E di fronte a questa situazione quale apporto vede nelle parole del Pontefice?
Egli ha dato una buona risposta a questa crisi perché, da fine intellettuale, ha ripetuto il messaggio che già fu di Giovanni Paolo II: non abbiate paura del domani. Il futuro è quello che decidiamo di costruire insieme: la fatalità è un dio falso.
Sette viaggi di papa Wojtyla in Francia non hanno prodotto una svolta. Le chiese rimangono vuote, le messe pressoché deserte, il clero in estinzione. È la prova che il revival religioso,
Le chiese: Dove sono dirette?
COSA sta succedendo alle chiese “cristiane”? Dalle vostre parti sono in declino o stanno prosperando? Forse avete sentito parlare di un risveglio spirituale, e di tanto in tanto da Africa, Europa orientale e Stati Uniti giungono notizie di congregazioni religiose che si espandono. Ma in altre parti del mondo, soprattutto nell’Europa occidentale, le notizie parlano di chiese che chiudono i battenti, di fedeli in diminuzione e di diffusa apatia nei confronti della religione.
Di fronte al calo delle presenze, molte chiese hanno cambiato stile. Alcune dicono di non voler giudicare o criticare il comportamento della gente, lasciando così intendere che Dio accetti qualunque tipo di condotta. Sempre più spesso anziché impartire istruzione basata sulla Parola di Dio le chiese offrono intrattenimento e attività ricreative, nonché attrazioni che nulla hanno di religioso. Anche se alcuni praticanti considerano questi cambiamenti un necessario adattamento alla realtà del mondo attuale, molte persone sincere si chiedono se le chiese non stiano deviando dalla missione affidata loro da Gesù. Esaminiamo le tendenze che hanno caratterizzato le chiese negli ultimi decenni.
Il Papa nella Francia delle chiese vuote
di Marco Politi (la Repubblica, 12.09.2008)
Sette viaggi di papa Wojtyla in Francia non hanno prodotto una svolta. Le chiese rimangono vuote, le messe pressoché deserte, il clero in estinzione. È la prova che il revival religioso, i successi mediatici, i trionfi delle folle convivono con la secolarizzione. Perché l’eclissi del sacro in Europa è irreversibile dal momento che l’esistenza dei credenti, anche dei praticanti, non è più scandita da un calendario sacro come accadeva nei millenni trascorsi. Nel tempo della secolarizzazione c’è spazio per il ritorno di Dio, la nostalgia del trascendente, la ricerca generica di spiritualità. Ma è uno spazio condiviso con altre istanze, altri bisogni, altri desideri.
Il pellegrinaggio di Benedetto XVI nella Francia del XXI secolo è l’appuntamento più importante del suo pontificato. Perché Ratzinger ha sempre ritenuto fondamentale il ruolo della fede nel Vecchio Continente, culla e colonna della «società cristiana».
L’Europa è il banco di prova del suo pontificato, che aspira a salvaguardare l’integrità della fede e diffondere il messaggio di un cristianesimo gioioso e libero e non un mero fardello di regole.
Parlerà di laicità positiva e di cultura il Papa, che Parigi attende di conoscere da vicino. Insisterà nel dire che la religione deve avere un ruolo nella sfera pubblica. La domanda è: per dire cosa? Perché la caratteristica del cristianesimo e la forza speciale del cattolicesimo è consistita sempre nella capacità di reinventare la configurazione del suo messaggio. E allora cresce l’attesa di quanti intendono capire dopo tre anni di pontificato qual è il discorso con cui Joseph Ratzinger intende afferrare le società occidentali. L’organizzazione del viaggio rivela due pecche. Non c’è un vero incontro con le altre confessioni cristiane, segno della crisi dell’ecumenismo. Non c’è un vero confronto con i musulmani, nel paese che ha la più forte rappresentanza islamica europea.
A Parigi, presenti i rappresentanti dell’Unesco, Benedetto XVI parlerà all’Europa intera. Ma il viaggio sarà l’occasione anche per ascoltare. Non basta il richiamo alle tre radici: Gerusalemme, Atene, Roma. L’Europa, continente dinamico per eccellenza, è molto di più. È il Rinascimento, la Riforma protestante, l’Illuminismo, il pensiero liberale e socialista, la nuova soggettività di massa. E in questo humus in evoluzione c’è anche un Islam, che non è ospite di passaggio ma religione coltivata da milioni di cittadini europei.
Non basta più, in questo contesto variegato, denunciare il relativismo. Perché certamente esiste a livello becero una dittatura dell’egocentrismo, che eleva a massima suprema il faccio-come-pare-a-me. Ma certamente non si può tacciare di relativismo una molteplicità di visioni etiche dotate della propria coerenza.
Se nei territori dell’ex Sacro Romano Impero, della Francia «primogenita» della Chiesa, nella Spagna un tempo apostolica il cristianesimo è minoranza, è l’esito di processi profondi che vanno al di là di un Zapatero, di una Merkel, di un Sarkozy. La carenza drammatica di clero non potrà più essere rimossa per molto con l’esortazione a «distribuire meglio» ciò che non c’è.
Serve un’analisi strutturale della situazione ed una riposta all’altezza dei nuovi, drammatici tempi. Ma soprattutto, nel Vecchio Continente in cui c’è un cristianesimo da re-impiantare, è forse maturato il momento che il Papa senta ciò che pensa il popolo di Dio. Diceva Giovanni Paolo II che non solo i vescovi, ma anche i battezzati hanno il compito di «interpretare alla luce di Cristo la storia di questo mondo». Pensare ad un rilancio del cristianesimo in Europa senza un loro reale coinvolgimento, senza dare spazio a come loro nel quotidiano vedono e vivono la dottrina, l’etica, la morale e il messaggio cristiano, alla lunga non sarà possibile.
Benedetto XVI arrivato a Parigi
"Fede e laicità non in contraddizione" *
PARIGI - "La laicità non è in contraddizione con la fede" e questo vale per i francesi e per i cristiani di oggi, "ed è importante vivere con gioia la libertà della nostra fede. Mostrare la fede di essere credenti oggi è una cosa necessaria per la società ": lo ha detto il Papa in volo sull’aereo che lo ha portato in Francia, dove è atterrato questa mattina intorno alle 11, per un viaggio speciale che lo porterà anche a Lourdes.
All’aeroporto di Parigi è stato accolto dal presidente Nicolas Sarkozy e dalla moglie Carla Bruni, insieme all’arcivescovo di Parigi, cardinale Andrè Vingt-Trois, con il tradizionale tappeto rosso e un picchetto militare.
* la Repubblica, 12 settembre 2008.
Ecce Homo...Ecco l’Uomo; disse Pilato.
Quell’Uomo rifiuto’ il pane, offertogli da satana e condanno’ anche la; mondana filosofia. "Non si vive solo di pane"; ne’ di solo filosofia. Comunque; il clero continua ad insegnarla...sapendo o non sapendo che e’ in conflitto con cio’ che la Sacra Scrittura dice...perche’? e perche’ immischiarla; e’ forse per fare una piu’ bella figura ed apparire colti e teocratici. Ragione-religine, si, si devono ricononoscersi l’una l’altra ma; immischire pure la filosofia e’ un condimento che non condisce, per il beneficio di un migliore sapore; al contrario gli da’ un differente test amaro e non piacevole al palato...almeno per chi vuole dimostrare chi siamo e che siamo diventati ( e cio’ che si e’)!!!.
La filosofia, dovrebbe; essa stessa essere riformata...che sia piu’ umanitaria, piu’ comprensibile usarla solo per aiutare ad arrivare a ragionare molto meglio ed arrivare ad una conclusione basata sulla vera conoscenza della verita’ delle leggi Supreme, evitando il sentimentalismo e la sufficenza della maggioranza; o; di quello che le persone, in generale fanno e praticano; riguardo ad un soggetto, o in un modo di fare certe cose!!!.
Oltre a Kant c’e’ ben altro; ci puo’ essere; una terza prospettiva, che; pur intuendo di cosa comporta... deliberatamente nella maggioranza dei casi ; non vogliono metterla in pratica...come alternativa sconosciuta alla maggioranza dell’uomo comune e anche a quelli intellettuali e colti; nella o con la filosofia mondana.
Anche in questo ventunesimo secolo; fra dieci filosofi vi possono essere piu’ di dieci idee...imitando cosi’ il detto che; anche fra i Giudei; dove sono dieci a conversare e dibattere vi sono piu’ di dieci opinioni, fra di loro.
Deliberatamente, molti non si costruiscono una vera biografia; mostrandosi d’essere differenti che; nella maggioranza dei casi comporta praticare il (Penziero debole) ma che; a lunga distanza prova d’essere il migliore penziero!.
Sento, dentro di me; il dover di tentare di fare la prova; cosi’ che; in questo affare di parole; le mie piu’ ricordate, per ultimo; cercando e insistendo nel provare che la filosofia; dovrebbe essere riformata. Per esempio, nel caso dell’eutanasia...caso che; dovrebbe essere basato sulla nostra coscienza; dovremmo lascare che; ci ditta quale via sia migliore e quando sia necessaria...al contrario se; la coscienza diventa dittatoriale allora la nostra mente ragiona a senzo unico...usando la scusa dell’antitesi; paragonando e mettendo nella stessa categoria gli aborti con l’uso dell’eutanasia di Welby e di Eluana.
Anche qui la filosofia fa’ fiasco ragionando che questa vita e tutto quello che c’e’! altri invece la pensano al contrario facendo prolungare l’agonia compiendo sforzi disperati...prolungando la vita fino agli ultimi sgoccioli. Filosofia secolare-tecnologie mediche...si; ragionevoli da chi vuole essere quello che vuoi essere ma; non quello che sarebbe essere il migliore di te stesso, seguendo l’esempio del nostro creatore, imitando le orme del suo Figlio e ragionare e dire quello che Lui stesso disse e fece in certe circostanze....essendo molto flessibile, considerevole e compassionevole, usando empatia. Ecco perche’ si diventa quello che si e’!!!. Come uno che; non costruisce una buona biografia-reputazione di se stesso... ma; pensa a quella che sia migliore che dimostri...agli uomini!!! e non a Dio. Molti; riggettano la cosa giusta da fare...figuriamocci se; darebbero la loro vita per gli altri!!!. Solo pochi lo fanno; mostrando cosi...che scelgono di diventare cio’ che si e’...usando la forza interiore, del muscolo ben addrestrato; la nostra coscienza...tramite lo Spirito Santo; per distruggere i penzieri dell’antitesi del dio interno!!!
Per diventare puri ci sono delle esiggenze da soddisfare...la nostra spiritualita’ e la moralita’ mentale e fisico. Per spiritualita’ non consiste solo nel dire di credere ma; praticare. Dimostrando che ora abbiamo una nuova personalita’ che si conforma...per farci diventare cio’ che si e’. Non consiste nel leggere o pregare a cantilena e non capire o meditare, su’ quelle parole che diciamo...VENGA IL TUO REGNO COME IN CIELO COSI ANCHE SULLA TERRA!!!. Non consiste ad avere una certa forma di santa devozione...per poi mostrarsi falsi quando ci e’ di comodo. Chi vuole essere puro puo’ anche sapere e studiare quanti atomi ci sono in un pelo di barba, con accurata conoscenza. Puo’ darsi che crediamo che nel prossimo futuro ci sara’ una certa fine...Fine di un’epoca moderna, meglio tradotto; Fine di un stistema di cose. La traduzione dei Scritti Sacri meritano una migliore traduzione...poiche’ capire quello che e’ scritto ne dipende la nostra vita stessa...e la nostra spiritualita’; difatti anche la punteggiatura sbagliata, puo’ trasmettere a praticare una certa dottrina nel modo sbagliato, come anche capire la distinsione fra un nome e un titolo puo’ farci capire una cosa sbagliata. Addirittura credere in certe dottrine che la parola stessa...se da una solo parola si puo’ capire quale... ci si puo’ trovare a credere cio’ che e’ considerato sbagliato e che Gesu’ non ha’ mai menzionato; ne Dio lasciato detto tramite i suoi comandamenti!!! Quindi piu’ cose sbagliate crediamo e pratichiamo e piu’ ci fa’ diventare cio’ che si e’. Fra essere o non essere io scelgo; ESSERE CIO’ CHE SI E’!!! e che si dovrebbe essere!!!.