(San Giovanni in Fiore, Cosenza) - L’opposizione alle amministrazioni comunali degli ultimi dieci anni è stata svolta principalmente da due esponenti della società sangiovannese. Antonio Barile senza dubbio ha rappresentato l’opposizione politico-istituzionale verso quello che lo stesso Barile definiva “il sistema”. L’altra opposizione, quella mediatica, quella forse più ostica e perfida perchè fatta sulla stampa, sulla rete Internet, sulle televisioni, è stata fatta da Emiliano Morrone. Morrone il grillino, il dipietrista, l’amico di De Magistris, il rompipalle, il Travaglio “de noi artri”. Morrone però, durante la sua azione di incosciente, lucida, più o meno condivisibile denuncia, ha fornito smisurati assist a Barile. Basta pensare solo al dossier sull’Abbazia florense, alla questione ospedale ed ai numerosi convegni e dibattiti organizzati, ai quali Barile partecipava spesso tra i relatori.
Dopo la campagna elettorale, l’elezione di Antonio a sindaco e la bella affermazione di Emiliano alle regionali, qualcosa sembra aver mutato il rapporto tra i due: Barile è partito come un treno nell’azione amministrativa, mentre Morrone si è esiliato in silenzio presso Caprera con un sacchetto di lenticchie.
Più di qualcuno si aspettava una delega di assessore nella giunta Barile per il giornalista ribelle che tanto aveva fatto per la sconfitta del centrosinistra sangiovannese.
Senza voler mettere in discussione le capacità di nessuno, forse il legittimo vice-sindaco, o assessore alla Cultura di Barile, doveva essere proprio Emiliano Morrone. Morrone doveva entrare nella giunta di Barile non tanto per come sono andate le cose negli ultimi mesi, ma per quello che è successo negli ultimi anni.
La politica però non sempre è algebrica: Barile ha dovuto tener conto di alleanze e pressioni. Non dimentichiamo anche il rapporto che lega il centrodestra sangiovannese a politici come Pino Gentile, sul conto del quale Morrone non ha risparmiato attacchi e critiche. Poteva poi Morrone far parte della stessa giunta di Salvatore Audia? Poteva l’amico del castrista Vattimo e dell’antiberlusconiana Sonia Alfano far parte del gruppo che dovrebbe destrizzare l’ex Stalingrado del Sud? E, ancora, Morrone rimane per molti inaffidabile e incoerente: pronto a dichiarazioni ed azioni inaspettate e non concordate. Un “alleato-saponetta” che sguscia, scivola, non s’inquadra, non rispetta equilibri e accordi.
Forse è proprio questa la differenza tra i Vattimo boys del 2005 e il progetto di Barile del 2010. Da una parte c’era una visione rivoluzionaria del cambiamento che non accettava accordi e mediazioni; dall’altra, c’è una prospettiva pur condivisibile della politica che mira al cambiamento tramite riforme, accordi e finanche compromessi: amministrare in maniera pragmatica e magari cedere su alcuni giusti principi pur di ottenere il risultato o parte di esso.
Francesco Scarcelli
Pubblicato sul mensile calabrese Il Quindicinale, nel numero del luglio 2010
Forse di me non hanno bisogno -
o forse si’ -
io lascero’ il mio cuore giusto in vista -
puo’ darsi che un sorriso modesto come il mio
sia proprio cio’ che ci vuole per loro
Da Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1369. Emily Dickinson - poetessa imprescindibile - visse ad Amherst, Massachusetts, tra il 1830 e il 1886; molte le edizioni delle sue poesie disponibili in italiano con testo originale a fronte (tra cui quella integrale, a cura di Marisa Bulgheroni: Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005; ma vorremmo segnalare anche almeno la fondamentale antologia curata da Guido Errante: Emily Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1956, poi Guanda, Parma 1975, e Bompiani, Milano 1978; e la vasta silloge dei versi e dell’epistolario curata da Margherita Guidacci: Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, Bompiani, Milano 1993, 2000); per un accostamento alla sua figura e alla sua opera: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L’alfabeto dell’estasi, Feltrinelli, Milano 1998, 2000; Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Mondadori, Milano 2002
Fonte: TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 278 del 10 agosto 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Dopo la campagna elettorale, l’elezione di Antonio a sindaco e la bella affermazione di Emiliano alle regionali, qualcosa sembra aver mutato il rapporto tra i due: Barile è partito come un treno nell’azione amministrativa, mentre Morrone si è esiliato in silenzio presso Caprera con un sacchetto di lenticchie....
In Italia e a San Govanni in Fiore già troppi sono i pesci in barile! Ed è bene distinguere tra "silenzi" dei "pesci sotto sale" e i silenzi" guizzanti dei "salmoni" che risalgono la corrente e cercano di raggiungere la sorgente imontana. Che i Lari-ci pisani e lo Spirito di Gioacchino sostengano nel suo ’viaggio’ il ’monaco’ florense!!!
Federico La Sala
LA CHIESA, LA MAFIA, LA ZONA GRIGIA
di Raffaello Saffioti
DALLA CALABRIA UN CONTRIBUTO ALL’INCONTRO DI ROMA SUL TEMA: “SOTTO LE DUE CUPOLE. CHIESA, RELIGIONE, MAFIA” *
L’incontro che avrà luogo a Roma col titolo “Sotto le due Cupole. Chiesa, religione, mafia” mi dà l’occasione per richiamare e sviluppare il mio recente documento “Le feste religiose nel Sud. Palmi, San Rocco, la Varia. E la chiamano fede”, pubblicato sul sito del periodico “Il dialogo” (www.ildialogo.org) e su quello delle Comunità Cristiane di Base (www.cdb.it).
In quel documento ho esaminato due feste religiose di Palmi, in Calabria, che registrano una straordinaria partecipazione popolare, e manifestano la devozione della città a San Rocco e alla Madonna. Mi sono chiesto quanto queste feste siano segno di autentica fede religiosa, ponendomi dal punto di vista biblico, proponendo una scelta di testi dell’Antico e Nuovo Testamento.
Chiedevo: Palmi, città cattolica? E notavo che di fronte al fenomeno mafioso la città “non vede, non sente, non parla”.
Due anni fa, in occasione del trasferimento del Vescovo Giancarlo Bregantini dalla diocesi di Locri-Gerace alla diocesi di Campobasso, avevo pubblicato un documento col titolo “La Chiesa, il potere, la mafia. Quando il Pastore lascia il suo gregge: il ‘caso’ Bregantini” (www.peacelink.it).
Scrivevo:
“Per chi vive lontano dalla Calabria è difficile capire a fondo come si vive in questa regione, capire pure come funziona il sistema di potere clientelare-mafioso e il ruolo che giocano la Chiesa come istituzione, gli ecclesiastici e i cattolici in genere”.
Raccogliendo le suggestioni e gli stimoli che provengono dal testo che accompagna il programma dell’incontro di Roma, va sottolineato “l’accostamento ‘chiesa e mafia’ ” che “rinvia ad analisi e interrogativi sul ruolo del cattolicesimo italiano”.
Quando diciamo “Chiesa”, di quale Chiesa parliamo?
Per il tema dell’incontro di Roma, credo che ci convenga parlare della Chiesa-istituzione e riproporre il tema del potere della e nella Chiesa-istituzione.
Il tema andrebbe esaminato partendo dal Vangelo e arrivando alla Costituzione Lumen gentium, del Concilio Ecumenico Vaticano II, ripercorrendo il processo storico bimillenario. Qui basta affermare, oltre l’esigenza permanente della riforma della Chiesa (“Ecclesia sempre reformanda est”), l’esigenza attuale ed urgente della riforma della struttura gerarchica della Chiesa-istituzione, per renderla coerente e conforme alla legge evangelica dell’eguaglianza e della fraternità.
Il principio gerarchico va attaccato alla radice, non solo nelle varie organizzazioni laiche, ma anche nella organizzazione della Chiesa. Dove c’è gerarchia, c’è disuguaglianza, dipendenza, violenza, segretezza. E questi sono principi che si ritrovano anche nelle organizzazioni criminali.
La parola “gerarchia” dovrebbe scomparire da ogni vocabolario.
“Quali sono le strutture gerarchiche di un sistema autoritario e quali le tecniche per annientare la personalità di un individuo? Quali rapporti si creano tra oppressori e oppressi?”
Queste domande vengono poste dal libro I sommersi e i salvati, di Primo Levi (Einaudi, 1986).
“Un saggio imprescindibile per capire il Novecento e ricostruire un’antropologia dell’uomo contemporaneo” (dalla quarta di copertina).
“Il capitolo centrale, il più importante del libro è quello intitolato La zona grigia”, come dice lo stesso Levi.
Una breve citazione.
“Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri o lo incoraggi. Limitiamoci al Lager, che però (anche nella sua versione sovietica) può ben servire da ‘laboratorio’: la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l’ossatura, ed insieme il lineamento più inquietante. E’ una zona grigia dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna terribilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare.
... Questo modo di agire è noto alle associazioni criminali di tutti i tempi e luoghi, è praticato da sempre dalla mafia, e tra l’altro è il solo che spieghi gli eccessi, altrimenti indecifrabili, del terrorismo italiano degli anni ‘70” (pp. 29, 30).
Chi fa parte della zona grigia?
La Chiesa cattolica ne fa parte?
Il tema posto da Primo Levi si sta divulgando. Esso, mentre le varie analisi del fenomeno mafioso finora tentate si sono rivelate inadeguate e insufficienti, aiuta a decifrare e comprendere sempre meglio quel fenomeno, per il quale si può dire quello che è stato detto per la mafia calabrese, che “prima ancora di essere un’organizzazione criminale, è diventata ormai un fenomeno sociale e culturale”.
E’ dalla zona grigia che la mafia trae la sua forza ed è in essa che si trovano collusioni, connivenze e complicità di ogni tipo.
Francesco Tassone, direttore della rivista “Quaderni del Sud-Quaderni Calabresi”, dopo una intimidazione mafiosa alla famiglia dell’ingegnere Antonio D’Agostino, di Vibo Valentia, ha scritto:
“Non basta denunciare il sistema mafioso (...), e neppure costruire luoghi di aggregazione sociale e posti di lavoro, senza contemporaneamente rompere di fatto, oltre moralmente, con quel sistema, senza iattanza ma in modo visibile, marcando nel concreto della situazione la differenza. Evitando di far parte, come avviene per la gran parte di essi (avvocati, sacerdoti, medici, ingegneri, insegnanti - non parliamo dei sindacalisti e degli altri ruoli direttivi) dell’establishement locale e delle sue regole di (buon) comportamento” (Dalla lettera a Comunità Libere, Gioiosa Ionica e a Libera, Vibo Valentia, in “Quaderni del Sud-Quaderni Calabresi”, 104/106, giugno/dicembre 2008, pp. 139-140).
Quindi, per combattere la mafia, ormai lo sappiamo, non basta la repressione con l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine, e non bastano le denunce, neanche quelle di documenti solenni e autorevoli della Gerarchia ecclesiastica.
In questi ultimi mesi alcuni vescovi del Sud hanno espresso posizioni nuove, molto coraggiose. Su “Famiglia Cristiana” (n. 11 del 14 marzo 2010), tre vescovi hanno commentato il documento della CEI sul Mezzogiorno.
Il Vescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro:
“Ci siamo occupati del sacro e non della fede ... sosteniamo un’idea di Chiesa intrecciata attorno alle devozioni, che possono consolare, che non incidono e non cambiano i comportamenti”. “Proporrò di abolire ogni festa religiosa nei paesi dove si contano gli omicidi. Il sacro non basta per ritenersi a posto, se poi nessuno denuncia, e la cultura mafiosa è l’unica ammessa”.
Il Vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero:
“ Ogni comunità scelga un argomento in relazione alla situazione del proprio territorio e agisca: pizzo, usura, corruzione della politica, mafia devota che offre soldi per le feste popolari”.
Il Vescovo di Acerra, monsignor Antonio Riboldi:
“I cristiani al Sud devono svegliarsi. (...) Bisogna tagliare i ponti, anche quelli tra le nostre chiese e la cultura mafiosa, che spesso dimostra di essere devota”.
Grande è il ruolo e grande è la responsabilità della Chiesa cattolica. Un fatto di cronaca che fa riflettere (dal quotidiano “calabria ora” del 21 agosto 2010, p. 12):
“Abolite due soste, la statua non passa da casa dei clan”.
“Sotto osservazione delle forze dell’ordine, la processione che tutti gli anni si svolge il 16 agosto a Palmi in onore a San Rocco. L’ufficio di Polizia palmese, infatti, avrebbe ‘consigliato’ al Comitato organizzatore, di evitare due delle fermate previste durante il lungo tragitto che compie la statua del santo per le vie della città”.
Le due fermate sconsigliate avrebbero dovuto aver luogo davanti la casa di due note cosche cittadine. “L’invito della polizia è stato accolto dagli organizzatori che, dopo più di 50 anni, hanno mantenuto intatto il percorso della processione, ma hanno abolito le due soste considerate dalle forze dell’ordine ‘inopportune’ ”.
Quelle due soste, “segno di ‘riverenza’ verso le potenti famiglie di mafia”, dovevano essere sconsigliate dalla Polizia, o dal Vescovo e dal Parroco?
Palmi, 15 settembre 2010
Raffaello Saffioti
rsaffi@libero.it
* Il Dialogo, Domenica 19 Settembre,2010 Ore: 05:04
Tavola rotonda dal titolo "Sotto le due Cupole. Chiesa, religione, mafia" *
Intervengono: Augusto Cavadi (teologo), Don Luigi Ciotti (presidente e fondatore Associazione Libera), Alessandra Dino (sociologa) e Giuseppe Leotta (magistrato).
Dal sito di Radio Radicale