Cile, in salvo i primi minatori
Ore con il cuore in gola, poi dalla
terra arriva Florencio. Ed è festa*
MINIERA SAN JOSÈ. Dopo oltre due mesi passati nelle viscere della terra Florencio Avalos è tornato in superficie: è stato il primo dei 33 minatori intrappolati dal 5 agosto scorso nella miniera San Josè a entrare nella capsula Fenix, che ha impiegato un quarto d’ora a percorrere gli oltre 600 metri del tunnel della salvezza.
Undici minuti dopo la mezzanotte locale (le 5:11 in Italia) la Fenix lo ha portato in superficie dove ad aspettarlo c’era il figlio di otto anni che gli è gettato tra le braccia. Il primo dei soccorritori a scendere sul fondo della miniera ventitre minuti prima era stato l’esperto minerario Manuel Gonzalez e la tv ha immortalato le immagini del suo abbraccio con i minatori. L’operazione di salvataggio San Lorenzo, slittata di alcune ore rispetto alle previsioni è stata seguita con il cuore in gola da tutto il Cile incollato alle televisioni e dai familiari del Campamento Esperanza.
Le fasi del salvataggio sono state più lunghe per una serie di test sulla capsula che è stata fatta scendere vuota un paio di volte e senza arrivare sul fondo. Poi la discesa di Gonzalez seguita dalla risalita di Avalos. Ora sta scendendo sul fondo il secondo dei soccorritori. Via via, uno dopo l’altro, entreranno nel cilindro lungo e stretto tutti i compagni di Florencio. L’ultimo a risalire sarà il capo turno Luis Urzua. In superficie, oltre ai familiari, li attendono una folla di circa 2.000 cronisti a cameramen oltre al presidente Sebastian Pinera che segue di persona le operazioni sul bordo del pozzo. Al recupero dei minatori partecipano circa 150 persone. E da ieri è entrato in attività anche il personale di supporto di Copiapò, la località di 160 mila abitanti a una cinquantina di km dalla miniera.
Sarà proprio all’Hospital Regional della città capitale dell’Atacama che i 33 verranno portati in elicottero dopo la risalita, dopo i primi controlli delle loro condizioni fisiche, dopo il primo abbraccio con i familiari. A quel punto l’Operazione San Lorenzo potrà considerarsi conclusa. E per tutti i 33 "mineros" sarà l’inizio di una nuova vita. Il secondo minatore a risalire in superficie è stato Mario Sepulveda, 39 anni ex dirigente sindacale. Ad accoglierlo la moglie. Il suo arrivo è stato accolto dall’urlo che è riecheggiato più volte nel corso della giornata: «CiCiCi LeLeLe los mineros de Chile». Sepulveda, conosciuto come uno dei più estroversi del gruppo, dopo l’abbraccio con la moglie, ha praticamente inscenato un piccolo show saltando, urlando e abbracciando tutti. Ad uno ad uno stanno tornando ora in superficie i loro colleghi.
Florencio Avalos, caporeparto di 31 anni, è stato il primo ad essere riportato in superficie alle 00.10 locali (5.10 in Italia). Davanti alle telecamere di tutto il mondo, l’uomo ha subito stretto il figlio di sette anni in un lungo abbraccio, quindi la moglie Monica e infine il presidente cileno Sebastian Pinera e diverse altre persone presenti attorno al pozzo. Mario Sepulveda, elettricista di 39 anni, è stato il secondo a risalire. Con un sorriso enorme sulle labbra, ha subito abbracciato la moglie Katty, quindi ha iniziato a scherzare, distribuendo pezzi di roccia raccolti nella miniera ai soccorritori, al presidente Pinera e al ministro delle Miniere. Poi è stata la volta di Juan Illanes, 52 anni, ex militare, e dell’unico boliviano del gruppo, Carlos Mamani, 23 anni, che il 5 agosto scorso lavorava nella miniera da soli cinque giorni quando ci fu la frana, causata da un terremoto, che bloccò i minatori.
«Sono stato reclamato da Dio e dal diavolo, hanno combattuto e alla fine Dio mi ha vinto», è stato il commento di Mario Sepulveda, il secondo minatore estratto dalla miniera cilena di San José, che ha raccontato davanti alle telecamere della televisione di stato la sua esperienza chiedendo di «non essere trattato come un artista, ma come un lavoratore, come un minatore». «I dirigenti devono dare ai quadri i mezzi per cambiare le condizioni di lavoro, perché così non si può andare vanti», ha avvertito Sepulveda, che ha ringraziato i responsabili della società mineraria che gestisce l’impianto e «tutti i professionisti cileni» che hanno collaborato alle operazioni di salvataggio. Un grazie speciale è andato al presidente Sebastian Pinera, «un imprenditore di successo, che ha ottenuto la sua ricchezza con lavoro e perseveranza».
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Diretta
Cile, il giorno più lungo
I minatori tornano alla luce
Cile, il giorno più lungo I minatori tornano alla luce
In corso l’operazione che sta riportando in superficie i 33 operai cileni intrappolati dal 5 agosto nella cava di San José. Vengono trasportati uno alla volta grazie a una piccola capsula metallica (53 centimetri di diametro) sollevata da una gru, attraverso una galleria lunga 622 metri ma larga appena 66 centimetri. Sul posto il presidente cileno Pinera. La gioia dei familiari (la Repubblica)
CILE
Esce l’ultimo dei minatori
A San Josè l’incubo è finito
Alle 2.56, ora italiana, fuori Luis Urzua. Era il capo -squadra, lui ha razionato il cibo in nei 70 giorni di "reclusione" *
MINIERA DI SAN JOSE’ (CILE) - L’incubo è finito. E’ durato settanta giorni. L’ultimo ad uscire è stato Luis Urzua. Anche lui portato in salvo dalla capsula Fenix. Appena fuori, lo hanno avvolto con la bandiera cilena. Poi l’abbraccio del presidente Sebastian Pinera. Che, una volta usciti anche i soccorritori, ha sigillato il pozzo della miniera.
Luis Urzua (54 anni), è nato a Vallenar, un villaggio non lontano da San Josè, ed ha una trentina d’anni d’esperienza mineraria. E’ stato il capo-turno e leader del gruppo fin dal giorno del crollo, il 5 agosto. Urzua, che è riuscito a imporre l’ordine e la disciplina nel gruppo. Fin dai primi giorni di "prigionia" Urzua ha razionato gli alimenti dei quali disponevano i minatori, qualche lattina di tonno, latte e frutta in scatola. Prima di Urzua, per ultimi, erano usciti Richard Villarroel, Juan Aguilar, Pedro Cortez e Ariel Ticona. Ma solo dopo l’uscita dei sei soccorritori calati in fondo al giacimento per organizzare la risalita degli operai il Cile ha potuto andare a dormire sereno. Manuel Gonzalez, tecnico con 20 anni di esperienza nell’affrontare questo tipo di incidenti, è rimasto per circa mezz’ora solo nella cavità sotterranea. Le tv cilene l’hanno definito "l’uomo che ha spento la luce".
Infine, il gesto del presidente cileno Sebastian Pinera. Che ha coperto e sigillato l’imboccatura del pozzo attraverso cui sono stati salvati i minatori. Un modo per scrivere la parola fine, anzi lieto fine, sull’incidente che ha intrappolato 33 uomini per oltre due mesi.
* la Repubblica, 14 ottobre 2010
Sul tema, in connessione con l’evento, si cfr.:
CILE - CINA
Una gru costruita in Cina sta salvando i minatori cileni
I minatori latinoamericani ringraziano Dio e il Cile per il loro recupero. La mortalità nelle miniere cinesi è sempre fra le più alte del mondo. Secondo fonti ufficiali vi sono 2900 morti all’anno nelle sole miniere di carbone. Fonti ufficiose affermano che i morti sono 20 mila all’anno. Molti incidenti vengono nascosti. Vi sono anche 301mila morti per pneumoconiosi e silicosi. *
San José (AsiaNews/Agenzie) - Le televisioni di tutto il mondo seguono in diretta il salvataggio dei 33 minatori intrappolati da oltre due mesi in una galleria della miniera di San Josè, a 624 metri di profondità. Le immagini commoventi dell’arrivo uno ad uno, dell’attesa dei familiari, degli abbracci e delle preghiere di ringraziamento muovono tutti alla compassione e alla gioia.
Il primo a raggiungere la superficie, verso la mezzanotte locale, è stato Florencio Avalos, rivestito di uno speciale strumento - lo stesso che usano gli astronauti e che controlla cuore, respiro, temperatura del corpo e consumo di ossigeno - insieme a occhiali da sole per proteggere gli occhi dalla luce, dopo mesi di buio.
I superstiti che via via arrivano in superficie si inginocchiano indicando il cielo, per ringraziare Dio, salutano, gridano “Cile! Cile”, abbracciano i familiari, il presidente Sebastian Pinera e sua moglie, i propri compagni di lavoro. Vengono poi portati a una visita medica di controllo e trasportati in ospedale, dove rimarranno sotto osservazione per almeno due giorni. Secondo i responsabili del salvataggio ci vorranno quasi due giorni per riportare in superficie tutto il gruppo.
Un particolare importante: la gru che solleva la capsula per portare a salvezza i 33 minatori cileni, è fatta in Cina. Lo afferma un dispaccio della Xinhua di ieri, che con grande orgoglio afferma esservi un ingegnere cinese a manovrarla. I media cinesi sono pieni di notizie sulle operazioni di soccorso, ma nessuno si pone domande sulla situazione delle miniere nel proprio Paese.
Il maggior numero di incidenti (esplosioni, crolli, allagamenti,...) avviene in Cina nelle miniere di carbone. Per rispondere alla fame di energia responsabili governativi e pubblici spingono ad uno sfruttamento intensivo, e per aumentare i profitti riducono le misure di sicurezza.
Secondo uno studio del CLSA (un’agenzia di studio sui finanziamenti), vi sono almeno 2900 morti all’anno nelle miniere di carbone: un morto per ogni milione di tonnellata di carbone estratto. Queste però sono cifre ufficiali. Fonti ufficiose dicono che le vittime per incidenti in miniera in Cina sono almeno 20mila l’anno, ma il numero reale è impossibile da certificare, dato che i proprietari, aiutati da persone del governo, insabbiano ogni incidente minerario.
Ai morti in miniera andrebbero aggiunti coloro che muoiono di pneumoconiosi o silicosi (almeno 301 mila all’anno, secondo le cifre del ministero della Sanità).
Negli ultimi tre anni il governo ha approvato regolamenti sulla sicurezza nelle miniere, ma la loro applicazione è molto vaga. Grazie alla corruzione, governi locali e proprietari delle miniere riescono a evitare la chiusura, nascondendo spesso incidenti e numero dei morti. Il Partito ha ordinato ai suoi dirigenti di non investire nel settore, ma questa direttiva è largamente ignorata.
A cosa stai pensando? Be! io sto’ pensando al salvataggio dei minatori Cileni. Ad una porta... Questa mattina; (Commentando la gioia sulla foto sul giornale; del primo minatore del Cile Poi; gli feci capire che anche noi! (Pur essendo sulla terra e non sotto! siamo bisognosi di un salvataggio. ( Misi in risalto...tramite la Bibbia; la morte del nostro Signore Cristo Gesu’ per redimere i nostri peccati e provvedendo cosi’ un riscatto di SALVATAGGIO!....
Un particolare importante: la gru che solleva la capsula per portare a salvezza i 33 minatori cileni, è fatta in Cina. Lo afferma un dispaccio della Xinhua di ieri, che con grande orgoglio afferma esservi un ingegnere cinese a manovrarla. I media cinesi sono pieni di notizie sulle operazioni di soccorso, ma nessuno si pone domande sulla situazione delle miniere nel proprio Paese.
Il maggior numero di incidenti (esplosioni, crolli, allagamenti,...) avviene in Cina nelle miniere di carbone. Per rispondere alla fame di energia responsabili governativi e pubblici spingono ad uno sfruttamento intensivo, e per aumentare i profitti riducono le misure di sicurezza.
"Ritornar nel chiaro mondo" (Dante, Inferno, XXXIV, v. 134). *
Pedofilia, il gesto dei vescovi cileni «necessario per un nuovo inizio»
Così la docente presso la Pontificia Università Cattolica di Santiago commenta le dimissioni collettive dei presuli: da Francesco un segnale forte per tutta la Chiesa Che sta dando frutti
di Lucia Capuzzi (Avvenire, sabato 19 maggio 2018)
«La Chiesa cilena ha aperto le finestre per far entrare lo Spirito. Lo sento soffiare con forza in questo momento». Sandra Arenas, teologa di spicco e docente della Pontificia Università Cattolica di Santiago, ricorre alla nota metafora di san Giovanni XXIII per analizzare la temperie attuale. Un periodo intenso, «di crisi ma anche di straordinaria opportunità di intraprendere un nuovo cammino », sottolinea. In tale ottica vanno interpretate le cosiddette “dimissioni in blocco” dell’episcopato del Paese australe.
Un atto, al contempo, individuale e collettivo. Ognuno dei 32 vescovi in carica ha rimesso l’incarico nelle mani del Pontefice. Compiendolo insieme, nel medesimo istan- te, «essi decidono di farsi carico, come corpo episcopale, di un problema trasversale e sistemico. Un gesto, forse tardivo, ma di sicuro coraggioso. Con cui i vescovi riconoscono di non essere stati all’altezza delle circostanze, al di là delle responsabilità, più o meno gravi, dei singoli. Ed esprimono la disponibilità ad avviare un processo di conversione profonda, personale e comunitaria, per rendere la Chiesa più conforme al mandato evangelico. La notizia mi ha dato molta speranza».
Il gesto dell’episcopato arriva all’indomani di tre giorni di preghiera e meditazione con papa Francesco. Che cosa significa questo metodo di “discernimento congiunto” proposto dal Pontefice?
Rappresenta un precedente per la Chiesa universale, non solo cilena. Francesco ha dato l’esempio, negli ultimi cinque mesi, di come un pastore deve affrontare una situazione difficile.
In che modo?
Egli per primo s’è lasciato “provocare” dalla realtà - incontrata nel viaggio e sottolineata dal commento del cardinale Sean O’Malley - e si è sottoposto per primo, con umiltà evangelica, a un processo di discernimento. Da qui è maturata la prima richiesta di perdono, la volontà di fare chiarezza e di accettare la realtà, in tutta la sua durezza e scomodità. Né la Chiesa né una comunità di perfetti né Francesco un superuomo. Invece di proporsi come tale, ha ammesso pubblicamente il proprio errore e ha cercato di porvi rimedio. In modo innovativo. A conclusione della missione di Scicluna e Bertomeu ha avviato una seconda fase di discernimento comunitario. Prima con le vittime, poi con i vescovi. Un’esperienza concreta di sinodalità, assunta a pieno, in una contingenza critica, in cui più forte è la tentazione di “prendere in mano le redini” da soli. In tal modo, Bergoglio ha mandato un messaggio forte all’intera Chiesa. E, nel caso particolare cileno, possiamo vedere che il ’metodo Francesco’ sta producendo frutti.
Lei ha parlato di ’problema sistemico’. Che cosa intende?
Al di là del caso Karadima e dei ’gravi errori ed omissioni’ di alcuni, la Chiesa cilena ha mostrato, negli ultimi decenni, una disfunzione di fondo. Una certa “spiritualità da sacrestia”, cioè un forte clericalismo, l’ha separata dal resto della società. Lo hanno riconosciuto gli stessi vescovi nella loro lettera quando affermano la necessità di dare nuovo impulso alla missione profetica e di rimettere Cristo al centro. Al suo posto, nel passato recente, la Chiesa ha messo se stessa e i propri interessi. O, peggio, quelli del proprio gruppo, del proprio settore, della propria comunità. L’autopreservazione e autodifesa a oltranza hanno ferito la comunione ecclesiale.
Come ripartire?
Francesco ha indicato la direzione: la sinodalità. Solo da un processo di discernimento approfondito e condiviso tra vescovi, sacerdoti, religiosi, laici, possono venire quelle misure di lungo periodo affinché il «volto del Signore torni a risplendere nella nostra Chiesa».
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SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE.
Federico La Sala