L’UNIVERSITA’ OGGI, TRA MODULI E CREDITI
Nelle intenzioni il sistema potrebbe favorire lo studio e l’inserimento nel mondo lavorativo, ma la realtà dei fatti spesso è un’altra
È ormai finito da tempo il sistema dei vecchi esami all’università. Il periodo in cui gli studenti si preparavano per mesi su decine di libri sembra un ricordo lontano. Oggi l’università, secondo il nuovo ordinamento voluto dall’attuale governo, dovrebbe poter favorire vari sbocchi al termine dei due percorsi di studio principale, ovvero la laurea triennale e la laurea specialistica (oggi denominata laurea magistrale). Le intenzioni sono giuste: dopo avere acquisito i fatidici 180 CFU (Crediti Formativi Universitari), ovvero dopo aver conseguito la laurea triennale, ogni studente può scegliere tre vie, tre percorsi che dovrebbero poter offrire tre soluzioni differenti: il proseguimento degli studi, ovvero il conseguimento della laurea magistrale, il master di primo livello oppure il mondo lavorativo. Purtroppo accade che, una volta conseguita la laurea triennale, lo studente sia quasi costretto a proseguire gli studi: sia perché un master costa e nessuno garantisce un eventuale sbocco lavorativo, sia perché una laurea triennale è, in fin dei conti, poco più di un diploma superiore e, quindi, poco professionalizzante e poco ricercato dalle aziende. La laurea triennale, quindi, non permette di avere incarichi importanti e dirigenziali in qualsiasi settore, cosa che invece permette la laurea specialistica. Di contro, per conseguire la laurea specialistica, una volta acquisiti i famosi 180 CFU, ne occorrono altri 120, per un totale di 300 CFU. Risultato: tantissimi esami, chiamati moduli, da sostenere considerando che ogni esame varia tra 4 e 8 CFU in media. Se è vero che il “peso” di ogni modulo è dato dal numero di crediti da ottenere, quindi il numero dei libri di testo sui quali studiare varia al variare dei crediti da acquisire, è pur vero che, dati i tempi stretti per poter sostenere i numerosi esami, ognuno di questi rimane finalizzato a se stesso. Ovvero non c’è più il tempo e la possibilità di approfondire quegli argomenti ritenuti più interessanti. Tuttavia, osservando il lato positivo, l’eventuale bocciatura ad un esame permette allo studente di riprepararsi meglio sullo stesso in tempi tutto sommato accettabili, dato che non ci sono più, appunto, tantissimi libri sui quali studiare. C’è da osservare però una contraddizione: se uno studente del cosiddetto vecchio ordinamento, ovvero la classica laurea di 5 anni abolita qualche anno fa, volesse passare al nuovo, si vedrebbe in una situazione di svantaggio. Infatti, se a tale studente mancasse uno o due esami al conseguimento della laurea e volesse passare al nuovo ordinamento, a mala pena si ritroverebbe ad avere acquisito di diritto un numero di crediti di poco superiore a quelli previsti per il conseguimento della triennale (il numero esatto varia da università ad università). Fatto, questo, molto svantaggioso e che fa riflettere: paradossalmente, pur essendoci meno libri da preparare, ci sono quindi più moduli da sostenere. Risultato: i tempi per il conseguimento del titolo si allungano e si accorcia il tempo per trovare un posto di lavoro. Ecco, quindi, che la riforma universitaria nelle intenzioni è giusta, ma nella realtà pratica andrebbe quantomeno rivisitata. In ogni modo, la riforma ha aperto la porta alla creazione di numerosi corsi di laurea, alcuni molto utili ed innovativi, altri perfettamente inutili ai fini lavorativi. Tanto per fare un esempio, se uno studente si iscrive a giurisprudenza, dovrebbe conseguire prioritariamente la laurea triennale, ma poi in un certo qual modo è “obbligato” a proseguire con la laurea magistrale, perché solo col primo titolo non ci fa nulla. Non può fare l’avvocato, non può insegnare, non può proseguire con la carriera. Ed allora, quale potrebbe essere l’utilità della sola laurea triennale? L’unica nota positiva che vedo nel conseguimento di questa, è la possibilità che si offre ad uno studente di poter rinunciare ad almeno tre anni di studi senza poi rimanere con un pugno di mosche in mano. Può essere chiamato “dottore”, ma questo potrebbe essere solo un fatto di orgoglio personale che, al mondo lavorativo, interessa ben poco. Un discorso positivo può essere fatto sul riconoscimento degli esami, che non richiede più pratiche burocratiche lunghe e snervanti. In effetti, secondo la legislazione vigente, un modulo è “quella parte di uno specifico settore che si intende approfondire”. Ovvero per ogni modulo c’è un cosiddetto Settore Scientifico Disciplinare che lo inquadra, e che serve allo studente per capire quali parti della materia si vanno a studiare. Per esempio, un modulo intitolato “Storia dell’Italia contemporanea” è quella parte da studiare nel S.S.D. denominato M-STO/04 Storia Contemporanea. Ovvero, nel vasto campo della storia contemporanea si va ad approfondire la storia dell’Italia contemporanea. Quindi, se uno studente dovesse cambiare università e, quindi, corso di laurea, si vedrebbe riconosciuto il numero di crediti conseguiti il quel settore anche se il nuovo percorso di studi non avesse attivato il modulo di storia contemporanea (sempre che tale settore sia previsto comunque nel corso di studi). In conclusione, l’università oggi andrebbe rivisitata perché deve favorire il giovane nell’inserimento del mondo del lavoro, e deve fare di tutto per dare la possibilità di acquisire il titolo nei tempi giusti, a patto che, chiaramente, lo studente si impegni al massimo. La numerosa presenza dei moduli, quindi, non aiuta il giovane sia ad approfondire che a cercare un buon posto di lavoro perché i tempi si allungano e le aziende, si sa, cercano spesso persone giovani per offrire loro contratti in cui pagano pochi contributi. L’università, da fabbrica di esami quale è oggi, dovrebbe diventare fabbrica di ventagli d’opportunità. E la strada, per tutti, è ancora lunga.
Mauro Diana
Tutto è nuovo. Tutto è vergine. Nuove case, negozi mai visti,facce volti e vestiti diversi, innumerevoli, amalgamati come i colori di un caleidoscopio, immerso in un rosso dilagante che avvolge e fa da sfondo al tutto. Bologna vergine. E’ così che si presenta la nuova citta, il luogo in cui un ragazzo di 19 anni si appresta a passare almeno tre anni della sua vita. Sono le percezioni di una matricola, di una persona che si vede assegnare un numero di dieci cifre, che sancisce la sua entrata nel mondo ancora da scoprire. Migliaglia ogni anno, sono i ragazzi che provano esperienze simili e che decidono di lasciare la terra natia per buttarsi nel loro futuro altrove, chi più lontano e chi più vicino a casa. Sono scelte, e la città in cui si decide di studiare assume un’aura strana che si interpone tra il mistero e il desiderio, tra il passato e il futuro. Bologna è una di queste città. Altissimo è il numero di matricole provenienti da regioni diverse; i ragazzi del mezzogiorno in particolare sono i più numerosi. Camminando per via Zamboni, tra persone con cani al guinzaglio o in sella ad una bicicletta da 15 euro, ad ogni passo si percepiscono idiomi assonanze e versi simili al parlato del luogo natio. Calbresi,pugliesi,siciliani e campani tutti insieme in una nuova avventura. Ognuno intraprende scelte e strade diverse. C’è chi alloggia in studentati, chi in collegio, altri in appartamento. Di conseguenza ciascuno ha problemi e questioni differenti da risolvere: orari di rientrata, lavatrici, bollette e quant’atlro. E poi c’è il primo giorno di lezione. Si conosce gente nuova, si entra in luoghi mai visti. Aule grandi a volte stracolme (tanto da rimanere fuori seduti a terra, cercando di cogliere gli echi lontani delle parole del prof), a volte quasi vuote. Professori giovani, di mezza età, avanti con gli anni che si alternano su quella cattedra, che prendono quel microfono in mano ed iniziano a spiegare, a parlare e anche a leggere il giornale, ad un uditorio armato di carta e penna che freneticamente prende appunti e annotazioni. A volte sono distanti, quasi intoccabili, con i quali si ha quasi timore a parlare, chiusi nella loro superiorità accademica. Altri invecesono aperti, cordiali, spiritosi e naturali. Tra un appunto e l’altro si scambiano batutte con i vicini, si conoscono studenti francesi, tedeschi, inglesi e americani, che come molte matricole si trovano anche loro in modo diverso ma uguale a vivere un mondo sconosciuto. Nascono nuove amicizie, si formano gruppi e si scambiano consoderazioni e lamentele sulle lezioni e sui prof. Passano i giorni e piano piano si avvicinano i primi appelli, i primi parziali. Niente ha a che fare con la scuola media superiore. Niente più compiti a casa, niente più interrogazioni, ognuno si autogestisce e rogola il proprio tempo. Non si hanno nè orari, nè aule fisse. Tra una lezione e l’atra capita di spostarsi in luoghi diversi, sfruttando il cosiddetto quarto d’ora accademico. Si decide il proprio piano di studi, i corsi da seguire, i seminari e i laboratori. Esiste, inoltre, una carta magnetica, denominanta baige, con il proprio numero di matricola, nome e cognome, codice fiscale, tutto correlato con l’altisonante nome dell’università. Questa "scheda" è come un passaporto, una nuova carta d’identià che riconosce l’identità di studente. Insieme al baige lo studente viene fornito dell’amato ed odiato libretto universitario; quello stesso libretto, che presenta in prima pagina il volto e gli occhi dello studente sognante pronto al nuovo avvenire, da immacolato inizia a riampirsi di date e firme, di 18, 25 e 30. Tutto questo è ciò (esplicato in minama parte) che risiede nel cuore e nella mente di uno studente forestiero nella nuova casa, che vive, sogna e brama una neo vita. Mancano gli affeti, manca la propria piccola patria, ma in quello stesso cuore, in quella stessa mentel’animo ribolle si eccita, ama e odia, desidera e ripudia qualcosa che sta conoscendo, qualcosa di indefinibile, sfuggente ma che materialmente esiste: l’università.
Davide Colasanto