Una lezione di Zygmunt Bauman su Facebook alla Festa del Libro di Roma. Il sociologo e filosofo polacco ha detto quattro cose:
1) che per acquistare il social network servono 50miliardi di dollari;
2) che ogni utente vale 100 dollari;
3) che è provato il limite massimo di amici con cui relazionarsi, pari a 150;
4) che sta nella tensione tra sicurezza e libertà il problema per stabilire se il fenomeno Facebook è transitorio o il principio d’una rivoluzione antropologica e globale.
Sasà, molto più ironico di me, ha espresso la propria delusione riferendosi anche all’imbarazzo degli oltre mille presenti in sala, rimasti seduti sino alla fine per evitare una figuraccia.
Soltanto nel 2006, infatti, nello stesso luogo, all’Auditorium della capitale, Giacomo Marramao aveva organizzato un memorabile festival della filosofia sul tema dell’incertezza; il quale richiamava in pieno la riflessione di Bauman sulla modernità liquida.
L’intervento di Bauman è stato, perciò, una specie di presa per i fondelli, vista la situazione italiana e mondiale: le guerre in corso e gli aiuti statali agli speculatori della finanza e dell’impresa, responsabili del crollo economico e della crisi che ci annulla.
Qualcuno osserverà che all’accademia non compete il discorso politico, e che la cultura deve mantenere la sua direzione. Personalmente, ho sentito troppe volte sintesi del genere, e non voglio sprecare tempo per dimostrarne oscurantismo e faziosità.
Bauman mi ha deluso: non un accenno al ruolo di Facebook per la rivoluzione in Egitto; non uno, per esempio, alle ingerenze del sistema capitalistico nella comunicazione pubblica od alle strategie del sistema per arginare e reprimere, non tanto in senso tecnico, l’alternativa politica; inevitabilmente sospinta da posizioni critiche e, per citare Žižek, realmente pericolose per le oligarchie imperanti.
Tanto di cappello solo per lo sforzo compiuto da Bauman, quasi 86 anni, che ha parlato in piedi per oltre 60 minuti.
L’Italia è culturalmente serrata. Il paradigma berlusconiano è declinato h 24 dalla televisione commerciale, pubblica e privata. Il paradigma berlusconiano coincide col grande sogno italiano da un lato: il sogno di ricchezza, potere e libertà. Questa nell’accezione peggiore: libertà dalla legge, legge in libertà, libertà della verità, costruita in funzione di obiettivi ignobili e perversi. Dall’altro lato, invece, questo paradigma è reso, ma in caricatura, con l’immagine del vigore virile, della giovinezza e sagacia nella terza età; dilatandosi limiti e pertinenze dell’ultimo tempo, per citare Carlo Maria Martini, della vita dell’uomo.
In sostanza, chi aspira a diventare come il premier italiano, incarnazione d’un liberismo illiberale, storicamente imprescrittibile, cammina sulla via della salvezza e della felicità. Il cristianesimo è l’esatto contrario di questa religione laica e pagana.
Ma arriviamo a San Giovanni in Fiore. Chi segue da tempo "la Voce di Fiore" sa bene che è un laboratorio di idee, in cui la libertà di pensiero e parola è talmente assoluta da farci pubblicare tutto, meno che diffamazioni.
Negli ultimi mesi è chiara la posizione del nostro vicedirettore, Vincenzo Tiano, che ha scelto, e ne riconosciamo la piena legittimità, di sostenere il candidato a sindaco di San Giovanni in Fiore Antonio Barile, del Pdl.
Altro il mio parere: conoscendo Barile, lo avrei appoggiato a voce alta solo se avesse rinunciato a simboli del Popolo delle libertà e collegamenti a Berlusconi. Ma non lo ha fatto e, anzi, una delle sue liste si chiama "Pdl Berlusconi con Barile".
La nostra testata conduce da anni una lotta antimafia, anzitutto sul piano culturale. Nel 2005, presentammo Gianni Vattimo come candidato a sindaco di San Giovanni in Fiore, col dichiarato obiettivo di cambiare il sistema vigente.
Chi ci segue sa bene che per noi la politica non è semplificazione, non è stereotipo, non è sufficienza. Pertanto, non potrebbe essere
di Emiliano Morrone e Carmine Gazzanni
Dopo la laurea in Giurisprudenza entra in magistratura, con funzioni effettive, nel 1979 prestando servizio dapprima alla Procura della Repubblica di Brescia, e ottenendo poco dopo il trasferimento alla Procura della Repubblica di Milano. Si occupa, quasi subito dopo il suo arrivo a Milano, di criminalità organizzata.
La sua prima inchiesta di rilevanza nazionale viene denominata Duomo Connection e ha come oggetto l’infiltrazione mafiosa nell’Italia settentrionale. L’inchiesta è portata avanti con la collaborazione di un gruppo di investigatori guidati dall’allora tenente Ultimo, il capitano divenuto poi famoso per l’arresto di Totò Riina. Sono gli anni delle prime collaborazioni anche con il Giudice Giovanni Falcone, che sfoceranno in un legame di profonda amicizia.[1]
All’inizio degli anni novanta entra in rotta di collisione con altri colleghi del pool antimafia milanese, ne viene estromessa dall’allora Procuratore Capo Francesco Saverio Borrelli[senza fonte], ma porta comunque a termine il processo sulla Duomo Connection. Dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, nel 1992, chiede di essere trasferita a Caltanissetta dove rimane fino al ’94 sulle tracce degli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.[2] Collabora nuovamente con Ultimo alla cattura di Riina e scopre, in collaborazione con altri magistrati applicati a quelle indagini, mandanti ed esecutori delle stragi Falcone e Borsellino. Dopo una breve parentesi alla Procura di Palermo torna a Milano e, su richiesta del Procuratore Borrelli, si occupa dell’inchiesta denominata Mani pulite subentrando ad Antonio Di Pietro dimessosi dalla magistratura il 6 dicembre del 1994.[3] Collabora, quindi, con i colleghi Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Armando Spataro e Francesco Greco, seguendo in particolare gli sviluppi delle inchieste riguardanti Silvio Berlusconi e Cesare Previti[senza fonte].
Continua ad operare presso la Procura di Milano dove si occupa di indagini sulla criminalità mafiosa e sul terrorismo. Ha diretto a partire dal 2004 le indagini della DIGOS che il 12 febbraio 2007 hanno portato all’arresto di 15 sospetti appartenenti all’ala movimentista delle Nuove Brigate Rosse, denominata anche Seconda Posizione. Secondo l’accusa, la presunta organizzazione terroristica, operante nel Nord Italia, stava preparando attentati contro persone e aziende. Il 28 maggio 2009 il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) l’ha promossa alla funzione di Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano.[4]
Attualmente indaga sul caso riguardante l’affidamento di una giovane donna marocchina, definito giornalisticamente caso Ruby, nota negli ambienti della politica e della moda, che avrebbe compiuto alcuni furti.[5] L’inchiesta interessa, tra gli altri, il presidente del Consiglio dei Ministri italiano Silvio Berlusconi che, secondo l’accusa, avrebbe esercitato indebite pressioni sulla questura di Milano per ottenere suo rilascio e che l’avrebbe pagata in cambio di prestazioni sessuali quando era ancora minorenne.[6] A causa di quest’incarico e di altre attività che hanno impegnato le procure della Repubblica nelle indagini su Silvio Berlusconi per reati quali concorso esterno in associazione mafiosa, prostituzione minorile, concussione, corruzione, strage, appropriazione indebita, traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco, abuso d’ufficio, frode fiscale e falso in bilancio, Berlusconi la ha indicata fra gli appartenenti ad una ipotetica frangia della magistratura, da lui definita "sovietica" e "comunista".
Tratto da Wikipedia
COMUNICATO POLITICO N. 1
Ancora a tutt’oggi, onestamente, non sono state spiegate al popolo sangiovannese le vere ragioni per cui il Sindaco Barile e la sua Giunta siano stati mandati a casa. Non avevamo bisogno di quest’ulteriore campagna elettorale e spendere altri soldi pubblici, soldi nostri, ma dal momento che ci siamo dentro dobbiamo trasformarla in un’opportunità. Una cosa è certa: dal punto di vista politico, sociale, economico, finanziario e di bilancio comunale è stato un atto scellerato ed irresponsabile che sta pesando (vedasi gli aumenti del circa 30% su tutti i servizi comunali, dalla spazzatura all’acqua, e gli aumenti di stipendio ad alcuni dipendenti comunali da parte del Commissario Prefettizio grazie ai 15 consiglieri dimissionari) soprattutto sulle spalle di noi cittadini, e che peserà anche per il futuro. Si era appena iniziato ad amministrare concretamente nell’interesse della collettività, ma si vede che la sete di potere, o meglio, in questo caso, l’assenza di potere, ha avuto il sopravvento sprigionando tutta l’irrazionalità di questo mondo. Vi erano dei progetti avviati concretamente, qualcosa si stava muovendo per risanare il grave dissesto finanziario, c’era un’aria di rinnovamento e cambiamento, anche la cultura, che in questo paese era la grande assente, stava iniziando a risorgere, si stava lavorando seriamente anche per il centro storico, l’ambiente e i rifiuti, ma tutto ciò non è forse piaciuto a qualcuno. Mentre i vecchi parrucconi della politica sangiovannese hanno iniziato a buttare fumo negli occhi alle famiglie intere, i vecchi furboni sono già in fermento ed in giro per promettere prebende, aiuti e posti di lavoro con dei candidati sindaci avventati, fantocci, specchietti per allodole e calati dall’alto. Per una volta non caschiamo più in queste trappole, apriamo la mente, riflettiamo, non siamo gonzi! Chiedo soprattutto ai giovani, ai diplomati, ai laureati, agli studenti tutti, ai cittadini, alle donne e agli anziani: tracciamo la nostra strada per il vero rinnovamento ed il vero cambiamento! No alla restaurazione! Facciamo riprendere il cammino alle lancette di San Giovanni in Fiore che da molti anni sono ferme! Non possiamo stare più fermi ai box con il motore spento! Partecipiamo e votiamo in modo tale che nel più breve tempo possibile si rimetta in moto la nuova macchina amministrativa per poter continuare la sua marcia verso un vero sviluppo morale, economico, di lavoro, civile e di benessere per i sangiovannesi tutti, vicini e lontani!
Il cittadino Pietro Giovanni Spadafora
Sostenitore del candidato Sindaco Dott. Antonio Barile e della sua coalizione.
Stampare e distribuire!
Intervento dell’arch. Tullio Cusani all’incontro-dibattito "Perchè di nuovo al voto a San Giovanni in Fiore?"
Buonasera, ringrazio gli organizzatori che mi danno l’opportunità di dare il mio modesto contributo. Io sono una persona assolutamente indipendente. Non sono un politico, tuttavia credo che la mia azione, in questa città, possa essere servita a qualcosa. Vivo qui da vent’anni e ho sempre cercato di dare il mio contributo, organizzando eventi e dedicandomi alle attività delle associazioni presenti nella nostra comunità. Mi sono sempre tenuto lontano dai partiti politici, sia per formazione familiare (mio padre era un magistrato) che per la natura stessa del mio lavoro di architetto. Quest’ultimo mi spinge verso quelle attività più propriamente indirizzate alla costruzione e al recupero della nostra città. Tuttavia oggi, per la prima volta nella mia vita (ho cinquantuno anni) non ho avuto dubbi nel sostenere questo progetto politico, assolutamente nuovo, che ci dà la possibilità di compiere una svolta, e di dare voce ai bisogni di questa città, per troppo tempo trascurati. Io ripongo una grande fiducia in Antonio Barile. Ho avuto modo di conoscerlo quando ho fatto il Coordinatore del “Comitato per le primarie aperte per tutti”, attraverso il quale speravamo di organizzare una “festa della democrazia”. Un’iniziativa innovativa finita nel nulla perché una delle parti, il PD in quel caso, dopo aver dato l’adesione - avendo, tra l’altro, firmato un protocollo d’intesa - si è tirata indietro senza dare nemmeno una spiegazione. Già in quell’occasione ho avuto modo di apprezzare la lealtà e la disponibilità di Antonio. E infatti uno degli ingredienti fondamentali della sua politica è proprio la “trasparenza”, ampiamente dimostrata con i fatti. Durante il suo recente mandato, prematuramente interrotto, Antonio Barile ha reso i Consigli Comunali, attraverso la messa in onda televisiva, aperti e partecipati. Inoltre la Giunta Comunale, grazie agli incontri pubblici in piazza, non ha avuto timori a confrontarsi con la gente. In questo senso, c’è qualcosa che veramente è cambiato. Il filosofo Gianni Vattimo dice che oggi non esiste più “la Verità”, quella assoluta, quella dei Filosofi. La “verità” è scesa in terra ed è, per questo, più prossima al concetto di democrazia. Essa è più vicina a chi apre gli orizzonti e a chi dà voce a coloro che non hanno voce: e l’impegno di Antonio Barile va proprio in questa direzione. E con lui è cambiato anche il linguaggio della politica: certamente quando era consigliere d’opposizione i suoi toni erano molto più duri e accesi, date le situazioni assurde nelle quali si è trovato ad operare. Ma osservandolo al lavoro come Sindaco molti di noi hanno avuto modo di vederlo affrontare ogni cosa con la massima serietà, tranquillità, impegno e attenzione. E certo non gli sono mancati i problemi da risolvere, caduti “tra capo e collo”e tutti di diversa qualità e importanza. Io lo ringrazio per un motivo molto semplice, perché mi ha stimolato a dare un contributo più forte. Ed io sono qui proprio per questo: per stimolare la gente comune, gli intellettuali, i professionisti e tutti coloro che ritengono di avere un ruolo in questa città, a mettersi in gioco apertamente. Gramsci diceva che: “l’indifferenza è il peso morto della Storia”. Oggi abbiamo la possibilità di essere compartecipi di questo evento unico, abbiamo l’opportunità di collaborare e di respirare una nuova aria di democrazia. Antonio non è respingente verso chi ha una buona proposta e vuole dare il proprio contributo. Il suo connaturato senso di lealtà lo spinge ad un rapporto franco con chiunque. È uno che si assume le proprie responsabilità e questo è un atteggiamento che sa cogliere, apprezzare e promuovere anche negli altri. Ed è proprio per questo che non tollera i modi della vecchia politica che - cito le sue parole - ha ridotto questa città “ben al di sotto dei livelli minimi di decenza”. Antonio è un uomo pragmatico e concreto che tuttavia rivela, a chi ha l’occasione di conoscerlo da vicino, una spiccata sensibilità e una profonda spiritualità. Quando si è presentato come candidato a sindaco nell’ultima tornata elettorale, molte persone, basandosi sull’evidenza dei dati di fatto hanno cercato di dissuaderlo. Gli ripetevano : “Ma tu sei pazzo! Ti presenti ancora una volta, per la terza volta! Basta con questa ostinazione”! In realtà tale caparbietà si è rivelata un requisito preziosissimo per Antonio, come per chiunque voglia credere profondamente nel perseguimento dei propri obiettivi. E i cittadini liberi di San Giovanni in Fiore hanno dimostrato di saper apprezzare questa qualità, conferendogli, attraverso il voto, la fiducia che merita. Infatti lui ha vinto, a mio parere, perché in campagna elettorale ha scritto sul suo manifesto: “Io ho un sogno: quello di veder finalmente trasformata la nostra città”. E sono sicuro che non desisterà nel suo intento, se solo saremo capaci di manifestargli ancora la nostra fiducia, la nostra collaborazione e il nostro sostegno. E allora io dico, con Roberto Benigni: “Svegliamoci!" Perché il modo migliore per realizzare i nostri sogni è essere svegli. Partecipiamo più attivamente alla politica a San Giovanni in Fiore: scopriremo una naturale attrazione per Antonio Barile, un uomo che la politica la sta rinnovando nelle idee, nei i modi e nei fatti. Grazie per l’attenzione.
domenica 6 marzo 2011, San Giovavanni in Fiore - Polifunzionale
Concordo con te. Un caro saluto e auguri.
emiliano
Facebook La fine dell’intimità Il trionfo dell’esibizionismo nell’era dei social network
di Zygmunt Bauman (la Repubblica, 09.04.2011)
Facebook ha distaccato di molto ogni altra novità e moda passeggera legata a Internet, e ha battuto tutti i record di crescita del numero degli utenti regolari. Altrettanto dicasi per il suo valore commerciale, che secondo Le Monde del 24 febbraio scorso ha ormai raggiunto la cifra inaudita di 50 miliardi di dollari. Mentre scrivo, il numero degli "utenti attivi" di Facebook ha doppiato la boa del mezzo miliardo: alcuni di essi, naturalmente, sono più attivi di altri, ma ogni giorno va su Facebook almeno la metà di tutti i suoi utenti attivi. La proprietà informa che l’utente medio di Facebook ha 130 amici (amici su Facebook), e gli utenti vi trascorrono complessivamente più di 700 miliardi di minuti al mese. Se questa cifra astronomica è troppo grande da digerire e assimilare, sarà bene far notare che, se divisa in parti uguali fra tutti gli utenti attivi di Facebook, corrisponderebbe a circa 48 minuti al giorno per ciascuno. In alternativa, potrebbe corrispondere a un totale di 16 milioni di persone che trascorrono su Facebook 7 giorni a settimana, 24 ore al giorno. Si tratta di un successo davvero sbalorditivo secondo ogni parametro. Quando ha ideato Facebook (ma c’è chi dice abbia rubato l’idea), e l’ha poi lanciato su Internet nel febbraio del 2004 ad uso esclusivo degli studenti di Harvard, l’allora ventenne Mark Zuckerberg dev’essersi imbattuto in una specie di miniera d’oro: questo è piuttosto evidente. Ma che cosa era quel minerale simile all’oro che il fortunato Mark ha scoperto e continua a estrarre con profitti favolosi che non cessano di accrescersi? (...) Ciò che si è acquistato è una rete, non una "comunità". E le due cose, come si scoprirà prima o poi (a condizione, naturalmente, di non dimenticare, o non mancare di imparare, che cosa sia la "comunità", occupati come si è a crearsi reti per poi disfarle), si rassomigliano quanto il gesso e il formaggio. Appartenere a una comunità costituisce una condizione molto più sicura e affidabile, benché indubbiamente più limitante e più vincolante, che avere una rete.
La comunità è qualcosa che ci osserva da presso e ci lascia poco margine di manovra: può metterci al bando e mandarci in esilio, ma non ammette dimissioni volontarie. Invece la rete può essere poco o per nulla interessata alla nostra ottemperanza alle sue norme (sempre che una rete abbia norme alle quali ottemperare, il che assai spesso non è), e quindi ci lascia molto più agio e soprattutto non ci penalizza se ne usciamo. Però sulla comunità si può contare come su un amico vero, quello che "si riconosce nel momento del bisogno". (...) Ebbene: quei nomi e quelle foto che gli utenti di Facebook chiamano "amici" ci sono vicini o lontani? Ultimamente, un entusiasta "utente attivo" di Facebook si vantava di riuscire a farsi 500 nuovi amici al giorno, più di quanti ne abbia acquistati io nei miei 85 anni di vita. Ma come osserva Robin Dunbar, che insegna antropologia evoluzionistica a Oxford, "la nostra mente non è stata predisposta (dall’evoluzione) a consentirci di avere, nel nostro mondo sociale, più di un numero assai limitato di persone". Questo numero Dunbar l’ha addirittura calcolato, scoprendo che "un essere umano non riesce a tenere in piedi più di circa 150 rapporti significativi". (...)
Le "reti di amicizie" supportate elettronicamente promettevano di spezzare le recalcitranti limitazioni alla socievolezza fissate dal nostro patrimonio genetico. Ebbene, dice Dunbar, non le hanno spezzate e non le spezzeranno: la promessa può soltanto essere disattesa. «È vero», ha scritto lo studioso lo scorso 25 dicembre nella sua rubrica sul New York Times, «con la propria pagina di Facebook si può fare amicizia con 500, 1000, persino 5000 persone. Ma tutte, eccetto quel nucleo di 150, non sono che semplici voyeur che mettono il naso nella tua vita quotidiana». Tra quei mille amici su Facebook, i "rapporti significativi" - mantenuti per mezzo di un servizio elettronico oppure vissuti off-line - sono calmierati, come prima, dai limiti invalicabili del "numero di Dunbar". Il vero servizio reso da Facebook e da altri siti "sociali" simili è dunque il mantenimento del nucleo di amici nelle condizioni del mondo attuale, un mondo ad elevata mobilità, che si muove in fretta e cambia rapidamente... (...)
Dunbar ha ragione quando sostiene che i succedanei elettronici del rapporto faccia a faccia hanno aggiornato il retaggio dell’età della pietra, cioè hanno adattato i modi e i mezzi dei rapporti umani ai requisiti della nostra nouvel âge. Mi sembra però che trascuri un fatto, e cioè che nel corso di tale adattamento, quei modi e quei mezzi sono stati anche modificati in notevole misura, e di conseguenza anche i "rapporti significativi" hanno cambiato significato. Altrettanto deve aver fatto il contenuto del concetto di "numero di Dunbar". A meno che tale contenuto non si esaurisca precisamente e unicamente nel numero. Il punto è che, indipendentemente dal fatto che il numero di persone con cui si può stabilire un "rapporto significativo" non sia variato nel corso dei millenni, il contenuto richiesto per rendere "significativi" i rapporti umani dev’essere cambiato in notevole misura, e in modo particolarmente drastico in questi ultimi trenta-quarant’anni... Esso si è modificato al punto che, come ipotizza lo psichiatra e psicoanalista Serge Tisseron, i rapporti considerati "significativi" sono passati dall’intimité all’extimité, cioè dall’intimità a ciò che egli chiama "estimità". (...) L’avvento della società-confessionale ha segnato il trionfo definitivo di quella invenzione squisitamente moderna che è la privacy - ma ha anche segnato l’inizio delle sue vertiginose cadute dalla vetta della sua gloria. Trionfo che si è rivelato una vittoria di Pirro, naturalmente, visto che la privacy ha invaso, conquistato e colonizzato la sfera pubblica, ma al prezzo di perdere il suo diritto alla segretezza, suo tratto distintivo e privilegio più caro e più gelosamente difeso.
Analogamente ad altre categorie di beni personali, infatti, la segretezza è per definizione quella parte di conoscenza la cui condivisione con altri è rifiutata o proibita e/o strettamente controllata. La segretezza, per così dire, traccia e contrassegna i confini della privacy, essendo quest’ultima la sfera destinata ad essere propria, il territorio della propria sovranità indivisa, entro il quale si ha il potere totale e indivisibile di decidere "che cosa sono e chi sono", e a partire dalla quale si possono lanciare e rilanciare le campagne per far riconoscere e rispettare le proprie decisioni e mantenerle tali. In una sorprendente inversione a U rispetto alle abitudini dei nostri antenati, però, abbiamo perso il fegato, l’energia e soprattutto la volontà di persistere nella difesa di quei diritti, di quegli insostituibili elementi costitutivi dell’autonomia individuale. Quel che ci spaventa al giorno d’oggi non è tanto la possibilità del tradimento o della violazione della privacy, quanto il suo opposto, cioè la prospettiva che tutte le vie d’uscita possano venire bloccate. L’area della privacy si trasforma così in un luogo di carcerazione, e il proprietario dello spazio privato è condannato a cuocere nel suo brodo, costretto in una condizione contrassegnata dall’assenza di avidi ascoltatori bramosi di estrarre e strappare i nostri segreti dai bastioni della privacy, di gettarli in pasto al pubblico, di farne una proprietà condivisa da tutti e che tutti desiderano condividere. A quanto sembra non proviamo più gioia ad avere segreti, a meno che non si tratti di quel genere di segreti in grado di esaltare il nostro ego attirando l’attenzione dei ricercatori e degli autori dei talk-show televisivi, delle prime pagine dei tabloid e delle copertine delle riviste su carta patinata. (...).
In Gran Bretagna, paese arretrato di cyber-anni rispetto all’Estremo Oriente in termini di diffusione e utilizzo di apparecchiature elettroniche di avanguardia, gli utenti forse si affidano ancora al social networking per manifestare la loro libertà di scelta e addirittura lo ritengono uno strumento di ribellione e auto-affermazione giovanile. Ma in Corea del Sud, per esempio, dove la maggior parte della vita sociale è già abitualmente mediata da apparecchiature elettroniche (o, piuttosto, dove la vita sociale è già stata trasformata in vita elettronica o cyber-vita, e dove la "vita sociale" per buona parte si trascorre principalmente in compagnia di un computer, di un iPod o di un cellulare e solo secondariamente in compagnia di altri esseri in carne e ossa), ai giovani è del tutto evidente che non hanno neanche un briciolo di scelta: là dove vivono, vivere la vita sociale per via elettronica non è più una scelta ma una necessità, un "prendere o lasciare". La "morte sociale" attende quei pochi che ancora non si sono collegati a Cyworld, leader del mercato sudcoreano in fatto di cultura show-and-tell. (...)
I teenager equipaggiati di confessionali elettronici portatili non sono che apprendisti in formazione e formati all’arte di vivere in una società-confessionale, una società notoria per aver cancellato il confine che un tempo separava pubblico e privato, per aver fatto dell’esposizione pubblica del privato una virtù pubblica e un dovere, e per aver spazzato via dalla comunicazione pubblica qualsiasi cosa resista a lasciarsi ridurre a confidenze private, insieme a coloro che si rifiutano di farle. (...) Essere membri della società dei consumatori è un arduo compito, un percorso in salita che non finisce mai. Il timore di non riuscire a conformarsi è stato soppiantato dal timore dell’inadeguatezza, ma non per questo si è fatto meno tormentoso. I mercati dei consumatori sono bramosi di capitalizzare questo timore, e le industrie che sfornano beni di consumo si contendono lo status di guide/aiutanti più affidabili per i loro clienti, sottoposti allo sforzo incessante di essere all’altezza del compito. Sono i mercati a fornire gli "attrezzi", cioè gli strumenti indispensabili per "auto-fabbricarsi": un lavoro che ciascuno esegue da sé. E in realtà, le merci che i mercati rappresentano come "attrezzi" destinati a essere usati dai singoli per prendere decisioni non sono che decisioni già prese. Quelle merci sono state approntate ben prima che il singolo si trovasse dinanzi al dovere (rappresentato come opportunità) di decidere. È quindi assurdo pensare che quegli strumenti rendano possibile una scelta individuale delle finalità. Al contrario, essi non sono che cristallizzazioni di un’irresistibile "necessità" che gli esseri umani, oggi come un tempo, sono tenuti a imparare, cui devono obbedire, e cui devono imparare a obbedire per essere liberi... Ma allora, lo strabiliante successo di Facebook non sarà dovuto al fatto di aver creato il mercato su cui, ogni giorno, necessità e libertà di scelta s’incontrano?
(Traduzione di Marina Astrologo)