Caro direttore Emilione Morrone,
non è nel mio stile confondere le posizioni. Gli articoli che pubblico sono firmati da me o dai suoi autori. Non condivido per nulla la tua analisi politica, nella misura in cui ritieni che Barile abbia fatto l’errore di farsi connotare come il candidato di Berlusconi e di Scopelliti. Sai bene che San Giovanni in Fiore è un comune storicamente di sinistra. Se Barile ha preso settemila voti, alle ultime comunali, è perché soprattutto le persone di sinistra lo hanno votato, e credo che lo facciano di nuovo e di più. Barile è riuscito a parlare al cuore della gente. Ha vinto con le sue idee, tenacia, sacrificio, intelligenza, autorevolezza, capacità di aggregazione. Contrariamente a quello che scrivi, ha coinvolto persone di ogni genere, età, estrazione sociale, professionale, ideologica. Tu, invece, ti barrichi dietro discorsi sui simboli. La mia autonomia è rimasta uguale a quella del passato. Autonomo, ma capace di scegliere quando si presenta il momento. Scegliere tra le offerte politiche presenti sulla scena. Ad una di queste ho deciso di contribuire anima e corpo! "La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vana gloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta”. Queste sono parole di Martin Luther King che ho deciso di fare mie. Il discorso che tu fai è sbiadito, non chiaro. "Impegnocivile" è un’associazione i cui componenti appoggiarono il progetto “Vattimo per la città”. Come tanti altri di cui ricordo solo qualcuno: Tullio Cusani, Rosa Talarico, Pietro Giovanni Spadafora, Gabriella Militerno, Luciano Iaquinta. Tutte queste persone ora hanno visto in Barile realizzate le loro istanze di rinnovamento. Temo che il tuo modo di pensare, legittimo per carità, sia visto come un atto non meritato da coloro che ti hanno seguito, quando tu hai proposto le tue cose, e oggi si sono riversati nel progetto di Antonio Barile, in continuità col passato. Personalmente non mi sono mai schierato col più forte: ho appoggiato Vattimo e successivamente Barile, quando con una sola lista era definito perdente. L’ho fatto in entrambi i casi non guardando ai simboli, ma alle persone. Credo, inoltre, che sia semplicistico limitarsi a definire i candidati con aggettivi, senza entrare nel merito nelle proposte, delle coalizioni, di tutto ciò che ruota intorno ad essi. Soprattutto degli otto mesi di nuova amministrazione. Penso sia ingiusto affiancare Barile a personaggi politici di sorta. Barile brilla di luce propria. In passato ha aderito sempre alle nostre, alle tue manifestazioni, ne ha condiviso lo spirito, si è scontrato a nostra difesa. Dov’erano gli altri candidati che oggi tu elogi? Io continuo a credere che l’occasione che si presenta per la città è storica e non si ripeterà nel futuro prossimo. Su questo vorrei che tu ti esprimessi! A me pare che coloro che dicono che bisogna sganciarsi dai simboli, siano i primi ad esservi ancorati. Noi da un pezzo ci riuniamo, persone di varie ideologie politiche o nessuna ideologia politica. Uniti intorno ad un unico obiettivo: rompere col sistema politico sangiovannese del passato e tentare una percorso diverso. La politica florense, che tu definisci impoverita, non è mai stata così ricca e non ha mai visto la partecipazione di persone perbene: operai, imprenditori, donne, ragazzi, professionisti. Arrivano contributi economici, mai visti, dall’Europa e dalle Americhe da parte di emigranti. Il tuo essere “autonomo”, mi dispiace dirlo, è un modo per non affrontare la realtà e non dire, in coscienza e a viva voce, chi è degno, in questo momento, di guidare la città.
Vincenzo Tiano
Il vilipendio al potere
di Mario Pirani (la Repubblica, 23 aprile 2011)
Quanto più esplode con voluta sfrenatezza l’odio berlusconiano per le garanzie costituzionali, tanto più un nutrito gruppo di opinion makers si prodiga in deprecazioni per le reazioni risentite dell’opposizione. Quasi quest’ultima, invece di far finta di nulla, come conviene ai gentiluomini, si abbandonasse ad una altrettanto rabbiosa e biasimevole violazione del galateo politico. Non è neutrale questa raffigurazione. Anche quando è delineata in buona fede essa presuppone la rimozione delle caratteristiche devastanti della situazione italiana. Si ignorano le degenerazioni tipiche del berlusconismo e si finge di assimilarle a quelle sussistenti nei normali contenziosi politici d’oltre frontiera.
Il panorama preferito da questi pittori della domenica nel dipingere i loro affreschi fintamente ingenui è quello che rappresenta gli italiani nella loro essenza fisiognomica come tutti eguali, berlusconiani e avversari del premier, distinti solo dal secolare spirito di parte che dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini li ha sempre spinti ad azzannarsi fra loro con quella esasperazione partigiana che sopravanza un pacato esame delle ragioni altrui.
Se, invece, analizzassero con fredda oggettività le linee del contendere si accorgerebbero presto che esse passano, come in tutte le altre democrazie occidentali, per attaccamento a valori compatibili, se pur dialetticamente contrapposti, con la destra che predilige la libertà rispetto all’eguaglianza e la sinistra l’eguaglianza rispetto alla libertà. Insomma, saremmo degli inglesi, fieri della loro Westminister, se non fosse per le caldane iraconde da curva sud che ci fan scambiare i mulini a vento del Cavaliere per draghi e guerrieri vogliosi di distruggerci.
Se poi a qualcuno sorge il dubbio che le cose non stiano proprio così e che Berlusconi abbia sdoganato e reso più accettabili comportamenti incivili tra il plauso dei suoi fan, basta lasciar da parte con noncuranza il fastidioso problema e rifarsi al solito vizio caratteriale, quella specificità negativa italiana della partigianeria che i politici eccitano, anziché moderare.
In ogni caso, insomma, quale chi sia l’interprete, il dramma italiano sarebbe destinato a una eterna replica della disfida tra Capuleti e Montecchi. Tutti si somigliano e tutti si odiano perché tale è il loro destino caratteriale. Dopo di che non resta che acquistare il biglietto, sedersi in poltrona, applaudire o fischiare i commedianti nei quali ci rispecchiamo.
Debbo dire che il copione non mi soddisfa e il racconto mi sembra ingannevole. Eppure, data la diffusione che queste idee tendono ad assumere, credo utile contestarne la validità senza veruna indignazione di maniera.
Ora, se è una banalità antropologica ricordare che gli italiani dell’una e dell’altra sponda sono tutti italiani e, in quanto tali, hanno molti tratti che li accomunano, va anche ribadito che la scissione che oggi ne divide le azioni e i pensieri non scaturisce da una tara caratteriale che li renderebbe naturalmente impenetrabili alle ragioni comuni ma da una ben individuabile fase della loro storia. Solo analizzando questo aspetto potremmo forse capire le odierne avversioni come le specificità di una situazione non paragonabile a quella delle altre nazioni democratiche e tale da far temere il nostro progressivo scivolamento verso un regime plebiscitario.
Per contro, se poniamo al centro la Storia e la Politica, capiremmo assai meglio le cose e ricorderemmo meglio anche un passato non troppo lontano. Mi riferisco al periodo conclusivo del secondo conflitto mondiale, quando con il disastro bellico venne meno il consenso di massa al regime fascista. E poi al cinquantennio che ne seguì, quello della ricostruzione, della Repubblica, della Costituzione, del miracolo economico, dell’adesione all’Alleanza atlantica e al Mercato comune. Infine, il terrorismo. Il periodo si concluse con la caduta del Muro di Berlino e con Tangentopoli.
Non si può dire, peraltro, che antropologicamente gli italiani fossero diversi da quelli di oggi né che le avversioni non avessero spazio per esplicitarsi nelle lotte e manifestazioni di piazza, negli scioperi, nelle elezioni, negli scontri parlamentari. Eventi che, per di più, si collocavano in un retroterra internazionale segnato dalla guerra fredda e da schieramenti di campo che vedevano gli uni sodali con l’universo sovietico, gli altri con gli Stati Uniti e il Vaticano. Tutto
“Afascisti” e antifascisti
di Maurizio Viroli (il Fatto, 23.04.2011)
Non ricordo un 25 aprile così carico di preoccupazioni come questo che ci prepariamo a celebrare. É ormai evidente a tutti che l’attuale scontro politico in Italia è fra il signore con la sua corte da una parte e la Costituzione repubblicana dall’altra. La nostra Costituzione, ricordiamocelo, è antifascista, non afascista. I Costituenti avevano quale loro ideale guida, pur con le grandi differenze politiche e ideologiche che li dividevano, la volontà di mettere per sempre al riparo l’Italia da una ricaduta nell’orrore del fascismo. Per questa ragione, che era in sintesi un’esigenza di libertà, vollero inserire nella nostra carta fondamentale tutti i principi che il fascismo aveva deriso e calpestato: i diritti individuali, il valore supremo della persona umana, l’idea che il potere sovrano deve procedere dal basso all’alto, il concetto dei limiti imposti all’esercizio del potere sovrano da parte della Costituzione, la centralità del Parlamento, l’indipendenza della magistratura, il puntiglioso elenco delle libertà individuali, il rifiuto di qualsiasi discriminazione di razza e religione.
E PER TOGLIERE ogni dubbio in merito allo spirito che sostiene ed ispira la nostra Costituzione deliberarono, pur fra contrasti e preoccupazioni serie, di collocare fra le disposizioni transitorie e finali la norma che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. Non si può dunque difendere la Costituzione senza difenderne in modo intransigente il carattere antifascista.
E invece, in questa povera patria in cui si stanno perdendo anche le più elementari cognizioni di rigore intellettuale e di serietà politica e morale, l’attacco alla Costituzione tocca già l’antifascismo, e quel che più avvilisce è che si vuol distruggere l’antifascismo in nome della libertà.
È infatti in nome della libertà di esprimere le proprie idee che il senatore Cristiano De Eccher e i suoi sodali vogliono abolire la norma FINALE non transitoria (proprio non ci arrivano a capire la differenza!) XII che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. Come si fa a non essere d’accordo? Il fascismo è un’idea politica come le altre e dunque chi vuole professarla, in uno Stato democratico e liberale, deve essere libero di farlo.
Il problema è che lo scopo di ogni partito politico non è dibattere idee ma governare. Un partito democratico vorrà governare secondo i principi della democrazia; un partito liberale secondo i principi liberali; un partito socialista secondo i principi socialisti; un partito fascista secondo i principi del fascismo. Il che vuol dire, per essere precisi, assassinare, mettere in carcere o inviare al confino di polizia gli oppositori politici; abolire la libertà di stampa; dichiarare illegali gli altri partiti; trasformare le elezioni in ratifiche di nomine dall’alto; perseguitare gli ebrei; scatenare guerre di conquista. La riorganizzazione di un partito fascista sarebbe dunque un vero e proprio atto di guerra contro la libertà. Favorirla o non ostacolarla, vuol dire aiutare la libertà a morire, altro che difenderla.
E NON TIRIAMO fuori i soliti argomenti: ‘lasciamoli fare tanto non sono un pericolo’; ‘ma il fascismo non può tornare’ e altre cretinate del genere. Nel 1922, 1923, 1924, nessuno, o pochissimi, pensavano che Mussolini avrebbe instaurato un regime come il fascismo. Quando l’élite politica si rese conto del pericolo, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti , era troppo tardi. Per questo bisogna agire ora, con assoluta intransigenza.
La mentalità comune italiana è intrisa di anticomunismo, di razzismo, di disprezzo per il parlamento e per i metodi della democrazia, per non parlare della spaventosa ignoranza storica. Ci sono parlamentari che copiano senza batter ciglio frasi intere del ‘Manifesto degli intellettuali fascisti’ redatto da Giovanni Gentile nel 1925 per dare base ideologica al nuovo regime. In un contesto simile un partito fascista troverebbe facilmente proseliti.
E quando ciò avverrà, cosa faremo? Lo lasceremo prosperare fino a quando conquisterà il potere? O dichiareremo uno stato d’emergenza con leggi eccezionali che metteranno a repentaglio la libertà di tutti? Non trascuriamo poi il fatto che appena abolita la norma, i fascisti sfileranno liberi ed esultati nelle piazze inneggiando al duce e ai campi di sterminio. Chi sarà allora in grado di impedire gravi disordini e inevitabili tragedie?
QUANDO SI tratta di libertà e di fascismo ciascuno deve fare la sua parte, subito, senza aspettare. Anche la Chiesa deve fare sentire la sua voce. Dica la verità, dica che il fascismo è incompatibile con la fede cristiana perché questa si fonda sul carità e quello la derideva e disprezzava come segno della mentalità dei deboli, e predicò e praticò una dottrina delle razze superiori e delle razze inferiori che ripugna alla fratellanza in Cristo.
Facciano sentire, una buona volta, una voce indignata e unanime le forze politiche, le associazioni che si riconoscono nell’antifascismo e gli intellettuali. Si schierino apertamente contro l’abolizione della norma XII tutte le persone che amano davvero la libertà e non voglio metterla in pericolo per la colpevole irresponsabilità di senatori che hanno studiato il liberalismo alla corte del signore.