[...] La strage di Tolosa è avvenuta nell’anniversario dell’indipendenza dell’Algeria. L’assassino avrebbe ucciso prima dei paracadutisti francesi, che sono gli ultimi che lasciarono Algeri, dopo aver compiuto barbari crimini. Poi ha ammazzato gli ebrei. Ma perché gli ebrei? Perché entrare armato fino ai denti in una scuola nella periferia della città e sparare su chiunque gli si presentava davanti? C’è premeditazione, in questo massacro [...]
[...] In Italia, a Firenze, sono stati abbattuti come vitelli al macello, dei commercianti senegalesi, degli “sporchi negri” che pretendevano di vivere come noi. Anche in questo caso l’assassino nazifascista frequentava ambienti che, dietro la pretesa di fare cultura, fanno coltura dei virus delle pseudo-ideologie nazifasciste [...]
La peste nera
di Moni Ovadia (l’Unità, 20.03.2012)
A Tolosa, un “folle” cavalcando uno scooter, armato di una pistola, ha assassinato esseri umani innocenti, grandi e piccoli con feroce determinazione animata da un odio nutrito con ossessione fanatica. Questa volta sono ebrei, colpiti proditoriamente nella loro istituzione educativa.
Le vittime sono un insegnante, due suoi figli piccini e un adolescente anche se l’intento del carnefice era quello di fare una strage di maggiori proporzioni, la logica quella dello sterminio indifferenziato purché l’obiettivo fosse quello odiato, il “perfido giudeo”. La stessa mano probabilmente ha colpito già tre “maledetti mussulmani”, tre paracadutisti francesi di origine magrebina.
In questi casi, di primo acchito, si cerca una spiegazione rassicurante: è un folle. Forse sarà anche un folle e se verrà catturato ce lo dirà la perizia psichiatrica ma, verosimilmente, è prima di tutto un antisemita, un islamofobo, un razzista, un sostenitore della supremazia della razza bianca ariana. Il suo delirio si è abbeverato a quella cloaca pestilenziale dell’armamentario ideologico del nazifascismo che circola incontrastato sulla rete e non solo.
Ne abbiamo già sperimentato i micidiali effetti nella civile Norvegia, dove il neonazista Breivik ha assassinato con la freddezza di un perito cacciatore, i nemici socialdemocratici, rei di volere l’integrazione, l’accoglienza, la civiltà del diritto universale.
In Italia, a Firenze, sono stati abbattuti come vitelli al macello, dei commercianti senegalesi, degli “sporchi negri” che pretendevano di vivere come noi. Anche in questo caso l’assassino nazifascista frequentava ambienti che, dietro la pretesa di fare cultura, fanno coltura dei virus delle pseudo-ideologie nazifasciste.
Ancora abbiamo visto nelle nostre strade, pestaggi di omosessuali, roghi di campi rom solo sulla base delle parole di una ragazzina terrorizzata dai genitori. Abbiamo ascoltato la violenta propaganda xenofoba di esponenti di un partito di governo, la Lega Nord. E cosa fa l’establishement delle caste che ci governano per contrastare i germi della peste nera? Chiacchiere, chiacchiere, retorica molta falsa coscienza nel Giorno della Memoria.
Che cosa fa la vile Europa con Paesi membri i cui governi sono coalizzati con forze di stampo neonazista? Indignazione soft per non scomporre le ordinate capigliature degli eurocrati.
Che cosa fanno i politici della nostra destra? Si sono lasciati andare per tre lustri a dei veri sabba revisionisti con il solo scopo di calunniare i partigiani e la Resistenza antifascista, spesso davanti ad imbarazzati e balbettanti esponenti dello schieramento di centrosinistra. Risultato: se gli antifascisti sono così cattivi, i fascisti e i nazisti non sono così male. Per gli ebrei oggi è giorno di dolore ma passato il periodo di lutto, torniamo a ricordare bene cosa sono il Nazismo e il Fascismo e chi sono i loro complici dall’aria per bene.
L’Europa antisemita
di Marek Halter (La Repubblica 20.03.2012)
Quando accadono tragedie come quelle di Tolosa, mi chiedo se si possono ancora considerare gli ebrei come i capri espiatori della Storia. Ebbene, la risposta è sì. Mi torna in mente quella barzelletta triste di quei due amici che s’incontrano al bar e cominciano a parlare di crisi, disoccupazione, miseria.
A un certo punto uno dice all’altro: «È tutta colpa degli ebrei e dei ciclisti!». E l’altro gli risponde: «E perché mai dei ciclisti?». Ora, in questi tempi di ristrettezze sta crescendo in Francia la rabbia verso gli "arabi", perché sono visti come quelli che ci mangiano nel piatto, e parallelamente aumenta l’antisemitismo. Appena la società si rivolta contro una minoranza, a pagarne le conseguenze sono anche gli ebrei, che però non sono minoranza, poiché da secoli gli ebrei francesi sono cittadini francesi come gli ebrei italiani sono cittadini italiani. Ma da duemila anni sono loro i "colpevoli" di tutti mali. Primo tra tutti, quello di aver ucciso Cristo. Appena si punta il dito contro un popolo accusandolo di un peccato qualsiasi, purtroppo si pensa immediatamente anche agli ebrei.
Negli ultimi anni la comunità ebraica di Francia è stata vittima di numerosi attentati: nel 1979 contro una scuola ebraica parigina, nel 1980 contro la sinagoga della rue Copernic, nel 1982 contro un ristorante nel "ghetto" della rue des Rosiers, nel 1996 contro il giornale Tribune Juive. Non è dunque la prima volta, dal dopoguerra a oggi, che si uccidono degli ebrei in quanto ebrei.
La strage di Tolosa è avvenuta nell’anniversario dell’indipendenza dell’Algeria. L’assassino avrebbe ucciso prima dei paracadutisti francesi, che sono gli ultimi che lasciarono Algeri, dopo aver compiuto barbari crimini. Poi ha ammazzato gli ebrei. Ma perché gli ebrei? Perché entrare armato fino ai denti in una scuola nella periferia della città e sparare su chiunque gli si presentava davanti? C’è premeditazione, in questo massacro. E ci sono stati sicuramente dei sopralluoghi, anche perché il killer sapeva che alle 8 meno 5 arrivavano i professori e gli alunni.
È verosimile che l’assassino si sia detto: «Se uccido solo dei parà la stampa non ne parlerà abbastanza. Ma se ammazzerò anche qualche ebreo ne parleranno tutti». Così è stato. Tutto sembra minuziosamente preparato, attentamente meditato.
Nella campagna per le presidenziali francesi alcuni leader hanno proposto un controllo più severo delle frontiere per fermare "l’invasione" di rom o di extracomunitari nordafricani, accusati di chissà quali reati. Il risultato di questa campagna xenofoba è stato devastante, soprattutto se si guardano le cifre degli atti razzisti e antisemiti, che sono aumentati del 150 per cento.
È fortemente simbolico attaccare una scuola religiosa dove si insegna il giudaismo, e dove i bambini indossano tutti la kippà. Chi detesta gli ebrei vuole ucciderli quando sono ancora piccoli. Un po’ come nel culto della Geenna, a Gerusalemme, dove si sacrificavano bambini a Moloch.
In quella scuola di Tolosa c’ero stato all’inizio del mese. Quei bimbi sono poi venuti a vedere il mio documentario su Birobidjan. Ed è terribile pensare che alcuni di quei bimbi che sono venuti ad applaudire il filmato, oggi non ci sono più. Se non fossero bambini ebrei sarebbe altrettanto doloroso.
È già capitato che in Francia un pazzo prenda in ostaggio una scuola. Quando accadde a Neuilly, fu l’occasione per Sarkozy di far parlare di sé per la prima volta. Era allora sindaco di quel ricco sobborgo di Parigi. Entrò disarmato nell’aula dove l’attentatore s’era rinchiuso con i bambini e lo convinse ad arrendersi.
Diverso è l’attacco di Tolosa. Perché non c’è casualità nella strage di ieri. Sono convinto che sia stata ordinata da qualcuno. O voluta da un’ideologia, o da gruppi politici. Come il norvegese neonazista che lo scorso luglio ha ucciso un’ottantina di ragazzi perché ai suoi occhi incarnavano la rivoluzione marxista. Se si sceglie un luogo così simbolico per compiere un olocausto non si agisce solo per follia.
La sparatoria nella scuola è un gesto che ha sconvolto la Francia. Non è un caso che tutti i politici si siano precipitati a Tolosa dopo aver deciso di fermare la campagna elettorale. François Hollande ha annullato un suo intervento in tv e Nicolas Sarkozy ha procrastinato una sua intervista alla radio. Nel nome della Repubblica francese si sentono tutti coinvolti da quanto è accaduto. Anche se questa Repubblica non è in grado di proteggere i suoi cittadini, quando questi sono ebrei.
(testo raccolto da Pietro Del Re)
di Elena Loewenthal (La Stampa, 20.03.2012)
La strage di Tolosa ha lasciato muta l’Europa e inorridita Israele. Prima di ogni giudizio, prima di una riflessione che non potrà né dovrà mancare, pesa su tutto lo sgomento. Braccare dei bambini dentro una scuola, rincorrerli fra i banchi per prendere meglio la mira prima di sparare: è una cosa tremenda anche solo pensarla.
Eppure, questo delitto che forse ha dei precedenti, forse è il terribile seguito di una catena di orrori - ma forse no - non desta incredulità. Non è una cosa cui non si può credere e che nessuno si sarebbe mai aspettato. Ha, piuttosto, una inenarrabile coerenza, per quanto sotterranea e difficile da ammettere.
Ammazzare dei bambini dentro la loro scuola è una cosa cui ci piacerebbe non poter credere, ma non è così. Perché questo delitto si è consumato in una città fitta di conflitti come lo sono molte, nel Sud della Francia. Forse si lega a una sequenza di omicidi di ambiente militare. Ma ha avuto per teatro una scuola ebraica. E le prime immagini che ci sono arrivate da lì mostrano teste di uomini e bambini coperte dalla kippà, la papalina che portano sempre gli ebrei religiosi. Che portano, in Francia, con un certo timore, con la paura di essere aggrediti anche solo per questo. Capita persino che la si lasci a casa, la papalina, per evitare guai per strada.
Incidenti piccoli e grandi sono all’ordine del giorno nei pressi di ogni scuola ebraica. I bambini arrivano scortati, spesso accolti da insulti e non raramente da lanci di pietre. Questa è la Francia del Sud, ma è anche la Francia tout court e in una certa misura lo è tutta l’Europa. In Israele, oggi, c’è paura dell’Europa. Dove, a quanto pare, l’antico demone dell’antisemitismo è ancora vivo, aleggia, sta sotterraneo, magari appena sotto la superficie della civiltà civile e benpensante.
È un demone antico e tenace, l’antisemitismo. China la testa, sembra sconfitto per sempre, e poi ricompare, quasi corroborato dal tempo trascorso in clandestinità.
Perché oggi come oggi nessuno si dichiara più antisemita, l’odio per gli ebrei - cioè i diversi, gli irriducibili dell’identità, come se ciò fosse una colpa ancora in questo presente che si fa un vanto del proprio multiculturalismo non è politicamente corretto.
Ma il fatto che non sia decoroso dichiararsi antisemiti non significa che questo pregiudizio sia morto. Anzi. Quando viene fuori, non parla ma distrugge. Prima o poi torna. E ci fa paura, in Israele così come in questa Europa ammutolita tanto brava a commemorare retoricamente il passato affinché non si ripeta più, così intraprendente nel condurre le giovani generazioni ad Auschwitz perché imparino la lezione.
In questa Europa così saggia e attenta al proprio passato, in questa Europa che ha davanti agli occhi le camere a gas e le racconta con tanto slancio nei libri di scuola, capita ancora di morire perché si è ebrei. L’orrore, lo sgomento, la paura, lasciano addosso una rabbia amara e impotente.
Inventare un nemico
di Ali Rashid (il manifesto, 22 marzo 2012)
Con scellerata leggerezza si tentano oggi di attribuire a una causa, i crimini efferati. Sia i vinti e i disperati, che gli onnipotenti e gli arroganti, hanno bisogno di una causa, una ideologia o un Dio per giustificare i loro crimini, scaturiti dall’angolo buio della loro ignoranza, che si esprime in atti di mascherata impotenza o delirio di onnipotenza.
Così, in tante forme e a intensità variabili, si sono eretti sostenitori o accusatori della causa palestinese coloro che per loro frustrazione o cinico opportunismo si sostituiscono ai palestinesi stessi e agiscono nel loro nome.
Per attuare quell’atto criminale della strage di Tolosa, nel modo freddo e calcolato in cui è stato portato a termine, è indispensabile avere quella cultura dell’annientamento e della morte propri di una mente malata ogni volta che inventa un nemico. Per farlo le cause sono opzionali.
Una cultura che si esprime per mezzo di atti criminali, di parole «gagliarde» che inondano le diverse dichiarazioni politiche e prese di posizioni, in uno scenario politico che ha azzerato le certezze e le speranze che ci animavano fino a pochi anni fa in un progresso che avrebbe abbracciato tutti nel mondo.
Le tragiche condizioni di vita dei bambini e degli adulti palestinesi, vittime della barbara occupazione Israeliana, non autorizzano a nessun criminale, singolo o gruppo che sia, di versare altro sangue innocente.
A tale proposito le dichiarazioni del primo ministro palestinese sono molte chiare e prevengono qualsiasi speculazione politica.
Le condizioni e le amare prospettive di futuro, sia dei palestinesi che degli israeliani, dimostrano, senza bisogno di ulteriori prove, che l’uso della violenza rappresenta un pozzo di veleno inesauribile,che uccide e annichilisce entrambi, e si estende come una macchia di olio verso tutta le regione e oltre.
Atti simili andrebbero combattuti con forza, e andrebbero isolati terreni di coltura, dove prosperano tutte le tendenze razziste, fondamentaliste ed estremiste che stanno delegando in tutto il mondo senza eccezione.
Dopo la strage della scuola ebraica a Tolosa, è legittimo chiedersi, come abbia potuto un elemento di tale pericolosità, già noto ai servizi segreti francesi, agire liberamente con tante armi ed esplosivi per così lungo tempo.
Forse la risposta sta nel fatto dimostrabile, che esistono canali di comunicazione sotterranei per un reciproco utilizzo tra il vasto arcipelago fondamentalista e i servizi segreti di varie potenze occidentali e medio orientale, per destabilizzare le regione. Sono stati foraggiati in Libia, in Siria, Yemen, per snaturare la rivolta pacifica dei loro popoli e condizionare il suo esito. Come vengono oggi cospicuamente finanziati in Egitto per mettere a rischio un passaggio pacifico del potere dal consiglio militare alle forze politiche e rinviare la pace in Palestina a tempi indeterminati.
Un «no» collettivo all’antisemitismo
Il primo dovere della politica
di Bernard-Henri Lévy (Corriere della Sera, 20 marzo 2012)
Così dunque in Francia, nel 2012, nella terza metropoli del Paese, si può sparare contro una scuola ebraica e uccidere, a bruciapelo, dei bambini. L’inchiesta chiarirà, dobbiamo sperarlo, le circostanze di questa tragedia, l’identità dell’assassino, i suoi eventuali moventi. Ma quali che siano i moventi, quale che sia stato lo svolgimento della sparatoria sopravvenuta davanti ai cancelli, poi, se ho ben capito, all’interno della scuola Ozar Hatorah, quale che sia il legame che sarà stabilito con i misteriosi omicidi di militari, la settimana scorsa, a Tolosa e a Montauban, il fatto è questo ed è mostruoso: bambini francesi, ebrei e francesi o, se si preferisce, sovranamente francesi ma colpevoli d’essere nati ebrei, sono stati freddamente abbattuti, in pieno giorno, sul territorio della Repubblica.
A far da corollario, quasi ugualmente insopportabile, ecco tornati i tempi bui in cui bisogna «dare l’ordine ai prefetti di rafforzare la sorveglianza intorno a tutti i luoghi religiosi in Francia e particolarmente nelle adiacenze delle scuole israelite». Sono i termini del comunicato del ministero dell’Interno reso pubblico dal suo titolare, Claude Guéant, pochi minuti dopo il dramma.
Comunicato che era inevitabile. Era il minimo che potessero fare le autorità rimaste sconcertate, come tutti noi, davanti all’orrore della situazione, prendendo misure d’urgenza appropriate. Ma queste parole, al tempo stesso, gelano il sangue. E tremiamo di vergogna e di collera all’idea che ci troviamo di nuovo - come dopo gli attentati della rue Copernic e della rue des Rosiers a Parigi, poi dopo l’esplosione di atti antisemiti dell’inizio degli anni Duemila - a pregare, a raccoglierci, a morire o, semplicemente, a studiare sotto «l’alta protezione della polizia» e al riparo di «perimetri di sicurezza» ricostituiti. Che miseria...
Allora, di fronte a tale abominio, e tenuto conto del periodo molto particolare in cui questa catastrofe accade, esiste una sola reazione possibile. Voglio dire: esiste una sola risposta - mentre la campagna per l’elezione presidenziale è al culmine e addirittura entra, apparentemente, nella sua ultima fase - che sia all’altezza dell’avvenimento. Certo, l’indignazione e la paura. Certo, le condanne verbali, le parole forti, le visite simboliche delle autorità, come ci annunciano mentre scrivo queste righe.
Certo, il bel gesto del candidato Hollande che decide, in omaggio alle vittime, di sospendere unilateralmente la sua campagna elettorale e di dedicare le prossime ore a un grande momento di raccoglimento collettivo e di lutto. Certo, il riflesso non meno bello del candidato Sarkozy che parla di «tragedia nazionale» e che decreta, da parte sua, un minuto di silenzio in tutte le scuole di Francia, in memoria dei tre bambini - di 3, 6 e 8 anni - e del professore, massacrati a sangue freddo da un assassino professionista.
E, certo, le speculazioni d’uso sul clima politico, sulla rimozione dei tabù, sulla liberazione della parola infame, che valgono, tramite mediazioni che l’emozione del momento soprattutto non deve far trascurare, come una sorta di permesso d’uccidere: qui per un omicida di bambini, lì per un serial killer di militari.
Ma anche un’iniziativa comune, che dico?, un atto di comunione che vedrebbe tutti i candidati democratici, dico proprio democratici, dimenticare per un istante quello che li contrappone e gridare all’unanimità e, se possibile, senza secondi fini politici, il loro rifiuto categorico dell’antisemitismo e delle sue conseguenze sempre criminali.
Poco più di vent’anni fa, tutta la classe politica (a parte il Front National), con François Mitterrand in testa, seppe sfilare insieme contro la profanazione di 34 sepolture ebraiche nel cimitero di Carpentras.
Occorrerebbe oggi, con Nicolas Sarkozy e François Hollande in testa, l’equivalente di quella manifestazione nella Tolosa in lutto: occorrerebbe che sulla Place du Capitole - importante luogo della nostra memoria nazionale dove il generale de Gaulle, il 16 settembre 1945, venne a predicare l’unità del Paese di fronte a un popolo di partigiani dell’Ffi (le Forze francesi dell’interno in cuierano confluiti nel ’44 i principali gruppi della Resistenza nazionale, n.d.r.) e dell’ Ftp (Franchi tiratori e partigiani, di origine comunista, n.d.r.) e di superstiti delle brigate internazionali in Spagna - si riunissero solennemente tutte le forze politiche per dire, apertamente, che è la Francia intera ad essere attaccata, e che quindi deve far fronte all’attacco quando i suoi figli, chiunque essi siano, e qualunque siano, ripeto, il profilo dell’omicida o le sue ragioni, vengono così massacrati.
Avviso ai piromani della difesa di una «identità nazionale» intesa come entità chiusa, timorosa, che si nutre di risentimento e di odio: è il contratto sociale a essere ucciso in una strage di questa sorta; è la base stessa del vivere insieme che, quando si scatena simile follia, vacilla e viene meno. Non c’è peggiore offesa alla nostra cultura, all’anima del nostro Paese, alla sua Storia e, tutto sommato, alla sua grandezza, del razzismo e, oggi, dell’antisemitismo. (traduzione di Daniela Maggioni)
Il male oscuro dell’Europa
di BARBARA SPINELLI *
TUTTI ci stiamo trasformando, senza quasi accorgercene, in tecnici della crisi che traversiamo: strani bipedi in mutazione, sensibili a ogni curva economica tranne che alle curve dell’animo e del crimine. L’occhio è fisso sullo spread, scruta maniacalmente titoli di Stato e Bund, guata parametri trasgrediti e discipline finanziarie da restaurare al più presto. Fino a quando, un nefasto mattino, qualcosa di enorme ci fa sobbalzare sotto le coperte del letto e ci apre gli occhi: un male oscuro, che è secrezione della crisi non meno delle cifre di bilancio ma che incide sulla carne viva, spargendo sangue umano. La carneficina alla scuola ebraica di Tolosa è questo sparo nel deserto, che ci sveglia d’un colpo e ci immette in una nuova realtà, più vasta e più notturna.
Come in una gigantesca metamorfosi, siamo tramutati in animali umani costretti a vedere quello che da mesi, da anni, coltiviamo nel nostro seno senza curarcene. Il naufragio del sogno europeo, emblema di riconciliazione dopo secoli di guerre, e di vittoria sulle violenze di cui Europa è stata capace, partorisce mostri. Non stupisce che il mostro colpisca ancora una volta l’ebreo, capro espiatorio per eccellenza, modello di tutti i capri e di tutti i diversi che assillano le menti quando son catturate da allucinazioni di terrene apocalissi.
In tedesco usano la parola Amok (in indonesiano significa "uccisione-linciaggio in un impulso d’ira incontrollata"), e tale è stato l’attacco di lunedì alla scuola di Tolosa. Uno squilibrato, ma abbastanza freddo da uccidere serialmente, ammazza in 15 minuti il maestro Jonathan Sandler, due suoi figli di 4 e 5 anni (Gabriel e Arieh), una bambina di 7, Myriam. Chi cade preda dell’amok è imprevedibile e socialmente reietto, ma se ha potuto concepire il crimine (e spesso parlarne sul web) vuol dire che per lungo tempo non si è badato al pericolo, che l’ambiente da cui viene era privo di difese immunitarie. I massacri nelle scuole sono considerati episodi tipici del comportamento amok. Nella cultura malese l’assalto amok evoca lo stato di guerra, ma l’omicida seriale interiorizza la guerra. La spedizione militare è condotta da individui che vivono nel nascosto, ed escono allo scoperto in una sorta di raptus.
Non dimentichiamo che il nazismo quando prese il sopravvento aveva caratteristiche affini, e assecondava la furia amok: "Marcia senza approdo, barcollamento senza ebbrezza, fede senza Dio", così lo scrittore socialdemocratico Konrad Heiden descriveva, nel 1936, la caduta di milioni di tedeschi nel nazismo e nell’"era dell’irresponsabilità". È nelle furie di quei tempi che hanno radice i contemporanei massacri palingenetici, e anche lo spavento stupefatto che scatenano. Non era stato detto, a proposito delle fobie annientatrici: "Mai più?". Invece tornano, perché un tabù infranto lo è per secoli ancora. Il piccolo racconto di Zweig (Amok è il titolo) racconta proprio questo: l’esplosione in mezzo a bonacce apparenti di una "follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana... un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun’altra intossicazione alcolica". Un torbido passato ha fatto del medico protagonista un mutante: nella solitudine si sente "come un ragno nella sua tela, immobile da mesi". Amok è scritto nei primi anni Venti: un’epoca non meno vacillante della nostra. Già prima del ’14-18, Thomas Mann vedeva l’Europa sommersa da "nervosità estrema".
"L’amok è così - spiega Zweig nel racconto - all’improvviso balza in piedi, afferra il pugnale e corre in strada... Chi gli si para davanti, essere umano o animale, viene trafitto dal suo kris (pugnale, in malese, ndr), e l’orgia di sangue non fa che eccitarlo maggiormente... Mentre corre, ha la schiuma alle labbra e urla come un forsennato... ma continua a correre e correre, senza guardare né a destra né a sinistra, corre e basta. L’ossesso corre senza sentire... finché non lo ammazzano a fucilate come un cane rabbioso, oppure crolla da solo, sbavando". Ci furono opere profetiche, negli anni ’20-’30: i film Metropolis e Dottor Mabuse di Fritz Lang, o il racconto di Zweig. Dove sono oggi opere che abbiano quell’orrida e precisa visione del presente? Se fosse un caso isolato non ne parleremmo come di un fatto di cultura, colmo di presagi. Ma non è un evento isolato, solo criminale. Quest’odio del diverso (dell’ebreo o del musulmano o del Rom: tre figure di capro espiatorio) pervade da tempo l’Europa, mescolando storia criminale e storia politica. E ogni volta è una fucilata subitanea, che interrompe finte normalità. Fu così anche quando nella composta Norvegia scoppiò la demenza assassina del trentaduenne Behring Breivik, il 22 luglio 2011. L’attentato che compì a Oslo fece 8 morti. Il secondo, nell’isola Utoya, uccise 69 ragazzi.
Fenomeni simili, non immediatamente mortiferi, esistono anche in politica e mimeticamente vengono imitati. Nell’America degli odii razziali, in prima linea: l’odio suscitato da Obama meteco tendiamo a sottovalutarlo, a scordarcene. Ma l’Europa è terreno non meno fertile per queste idrofobie umane, peggiori d’ogni intossicazione alcolica. Colpisce la loro banalizzazione, più ancora del delitto quando erompe. In Italia abbiamo la Lega, e banalizzati sono i suoi mai sconfessati incitamenti ai linciaggi. Nel dicembre 2007, il consigliere leghista Giorgio Bettio invita a "usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto fatto a un nostro cittadino". Lo anticipa nel novembre 2003 il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni, che menzionando un gruppo di clandestini sfrattati prorompe: "Peccato. Il forno crematorio di Santa Bona è chiuso". Il gioco di Renzo Bossi (vince chi spara su più barche d’immigrati) è stato tolto dal web ma senza autocritiche.
Com’è potuto succedere che gli italiani divenissero indifferenti a esternazioni di questa natura? Com’è possibile che l’Europa stessa guardi a quel che accade in Ungheria alzando appena le sopracciglia? Eppure il premier Viktor Orbán, trionfalmente eletto nell’aprile 2010, non potrebbe esser più chiaro di così. Il suo sogno è di creare un’isola prospera separata dal turbinio del mondo: una specie di autarchia nordcoreana. A questo scopo ha pervertito la costituzione, le leggi elettorali, l’alternanza democratica, scagliandosi al contempo contro l’etnicamente diverso. A questo scopo persegue una politica irredentista verso la diaspora ungherese in Europa. Il sacrificio di due terzi del territorio nazionale, imposto al Paese vinto dal trattato di Trianon del 1920, è definito "la più grande tragedia dell’Ungheria moderna". Ben più tragica dello sterminio di 400.000 ebrei e zigani nel 1944. Il vero scandalo dei tempi presenti è la punizione inflitta alla democrazia greca, e la non-punizione dell’Ungheria di Orbán. I parametri economici violati e gli spread troppo alti pesano infinitamente più dell’odio razzista, della banalizzazione del male che s’estende in Europa, della democrazia distrutta.
In due articoli sul Corriere della Sera, il 7 e 12 marzo, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha difeso lo Stato-nazione oggi derubato di sovranità: lo descrive come "unico contenitore della democrazia", poiché senza di lui non c’è autogoverno dei popoli. È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odii razziali, che negli imperi europei (l’austro-ungarico, l’ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi. Vale la pena ricordarlo, nell’ora in cui un fatto criminoso isolato, ma emblematico, forse ci risveglia un po’.
* la Repubblica, 21 marzo 2012